– 2001 –
La stanza era immersa
nelle tenebre, silenziosa ed oscura, ad eccezione dell'angolo acuto illuminato
dalla sottile tenda scostata.
Luna stropicciò gli
occhietti assonnati osservando l'astro con il suo stesso nome. La grande palla
bianca splendeva luminosa nel cielo, una corona bianca lucente tra le nuvole
indistinguibili. Ombre oblique e inquietanti si allungavano dalla scimmietta
della scatola a molla posta sul davanzale, ingombravano il pavimento, mostruose
e di primo acchito scambiate per un demone strisciante. Un mostro, un ulteriore
presenza sguisciante sulle assi scricchiolanti tra giochi malandati e libri
delle elementari.
Ma non c’era nessun altro
in quella porzione di casa, solo lei e Mana.
Nemmeno Takashi.
Il futon accanto a lei era
vuoto, lo spazio solitamente occupato dalla confortante presenza del fratello
emanava un'aurea gelida nel suo impeccabile ordine. Luna tirò via non senza
qualche sforzo la coperta accuratamente ripiegata, stringendosela intorno per
placare l'ondata di freddo. In attesa. I rimasugli dell'incubo scivolavano in
piccoli brividi lungo la schiena mentre l'immagine di lei isolata e abbandonata
in un bosco persisteva. Non si era mai svegliata da sola dopo un brutto sogno,
accanto a lei accorreva sempre la mamma se la sentiva urlare. Ma, il più delle
volte non serviva, bastava scrollare un po' la figura addormentata del fratello
per ritrovarsi in un modo confortante fatto di calore, battiti costanti e massaggi
sul pancino. Takashi la teneva stretta sbiascicando parole nel sonno,
rassicurandola sul non aver paura, permettendole di restargli accanto per tutto
il resto della notte. Poche volte si era svegliata con solo Mana accanto: la
mattina presto quando Takashi era in cucina a preparare la colazione, o nel
cuore della notte per una scappatina nel bagno.
Takashi c’era sempre, in
qualche situazione.
Luna attese, minuti,
forse ore nella sua mediocre conoscenza del tempo.
Gli occhi fissi sulla porta socchiusa e le manine artigliate alla coperta.
La luce del corridoio non
era accesa, nemmeno il più piccolo barlume o scroscio dell’acqua arrivava dalla
direzione del bagno. Luna lo sapeva, nessuno sarebbe ritornato in camera, la
casa era completamente vuota. La mamma era bloccata al lavoro fino a quando
entrambe le lancette non avrebbero puntato il numero dodici, un intervallo
lungo visto che la lancetta piccola e lenta era bloccata tra il dieci e
l’undici.
Suo fratello invece, aveva finalmente deciso di andare via.
Takashi per la prima
volta si era arrabbiato sul serio, aveva urlato qualcosa di brutto dopo che la
mamma era andata al lavoro al mattino senza preoccuparsi che lei o Mana la
ripetessero come al solito. Aveva passato l’intero pomeriggio imbronciato, non
aveva giocato con loro, le aveva persino gridato contro quando dopo un rifiuto lo
aveva chiamato “brutto e cattivo”.
Luna non era ancora in
grado di comprendere cosa significasse ferire le persone, la mamma diceva
sempre a Takashi di non farlo né a parole né con i gesti ma non ne aveva mai
capito il senso fino a quel pomeriggio. Takashi le aveva risposto male e lei
aveva fatto altrettanto, si erano urlati a vicenda offese smettendo al pianto
di Mana e alla pronta ritirata del fratello per consolarla. Takashi non aveva
ripreso il discorso dopo averla cullata, illeggibile aveva continuato a seguire
i suoi soliti impieghi giornalieri senza né una smorfia scontenta né un
sorriso. Un’innaturale calma tenuta salda fino al momento di andare a dormire.
Era stata colpa sua se
Takashi non c’era più.
L’aveva accusato di
essere la causa dei ritardi della loro mamma. L’origine principale di quella
mancanza d’affetto materno che lui aveva potuto godersi più di lei e Mana. Senza
di lui la mamma avrebbe trascorso più tempo in casa perché non ci sarebbe stato
nessuno disponibile a preparare i pasti, a pulire o a svolgere le altre
faccende. La mamma era via perché avevano un fratello disposto a fare tutto, in
sua assenza lei sarebbe stata con loro.
Lo aveva insultato.
Takashi offeso aveva seguito il loro papà lasciandole finalmente sole con la
mamma, assecondando la sua richiesta senza salutarla. Lei non credeva davvero a
tutto quello che aveva detto, dallo stare con lui era finita con il restare da
sola. Takashi la infastidiva con i suoi rimproveri sempre puntuali, sul fare il
bagno prima di andare a dormire, sul mangiare anche le verdure, sull’alzarsi
per andare a scuola e tutte le altre cose della lista che stavano perdendo
importanza quanto più ci pensava.
Lei gli voleva bene come
a Mana, forse anche di più.
Non voleva più sostituirlo con nessuno, nemmeno con la loro mamma.
Tenendo salda la coperta
del suo fratellone con le labbra tremolanti camminò fino alla cucina, alla
ricerca di prove e certezze. Nel bagno non aveva trovato nessuno, nell’armadio
ogni cosa era stata al suo posto ma la solitudine la colpì arrivata al basso
tavolino. La luce accesa aveva sottolineato freddamente l’assenza di Takashi.
Il solo ronzio del frigo accompagnò i sospiri pesanti e frequenti fino a
sfociare in singhiozzi rumorosi.
Luna si rannicchiò contro uno dei cuscini ai piedi del divano piangendo il più
silenziosamente possibile per non svegliare la sorellina che non sarebbe stata
in grado di far riaddormentare. Prosciugando ogni riserva d’acqua finché gli
occhi non bruciarono e le braccia tremarono involontariamente per il freddo
nonostante lo spesso stratto avvolto intorno.
Le lacrime punsero
nuovamente rammentando la cura per quelle situazioni simili, quando la gola le
faceva troppo male e Takashi le preparava latte e miele prima di tornare a
letto.
Voleva ritornare a quelle sere, assaporare quella bevanda calda dolciastra e
pensare di averlo ancora lì con lei.
Fissò il frigorifero con
aria assente prima di decidersi a rialzarsi e afferrare il piccolo rialzo
adoperato sempre dal fratello per raggiungere il bancone. Sollevata sulle punte
arrivò a prendere la bottiglia di latte posta nel ripiano in basso trovando maggiori
difficolta per riscaldarlo. Aveva visto Takashi maneggiare abilmente sia le
manopole dei fornelli che l’accendino con il pulsante, ma non aveva idea di
quale girare o come arrivarci.
La coperta strusciò per
terra come uno strascico aggirando il tavolo, fermandosi davanti la libreria
per poi tornare indietro, eseguendo quel percorso due volte. I pesanti tomi
vennero posti l’uno sull’altro come ulteriore aggiunta al basso scalino di
legno consentendo la giusta altezza per arrivare ai fornelli.
Luna giunta faticosamente
in cima osservò insoddisfatta la bottiglia lasciata indietro sul tavolo.
Portando con sé il pentolino tornò corrucciata in basso per riempirlo,
sgocciolando accidentalmente parte del contenuto sul tavolo e il pavimento. Con
la cospicua dose di latte finalmente ottenuta si arrampicò nuovamente
schizzando gocce qua e là sul pigiama fino ad appoggiarlo sul fornello.
Titubante restò a contemplare le quattro manopole con l’accendino tra le mani
non sapendo quale scegliere. Provò la prima avvicinando la fiamma al fornello
senza ottenere nulla. A labbra serrate e mento premuto sui palmi fissò il
fornello ancora spento sentendo la classica puzza e il rumore d’accensione ma
della fiamma nemmeno l’ombra. Indispettita girò la seconda ottenendo la medesima
situazione. Sbuffando per il persistente odore forte sotto il suo naso provò a
girare la terza sobbalzando alla porta d’ingresso sbattuta violentemente.
«Luna!»
Per lo spavento Luna
saltò sul posto, i piedini nudi scivolarono sulla copertina plastificata del
libro smuovendo la torre precaria che in un’istante andò in frantumi cadendo
insieme a lei. Il lamento doloroso risuonò fra le quattro mura, anche se
atterrata sul sedere non era mancato il ginocchio sbattuto contro lo spigolo murario.
Takashi materializzatosi
dal nulla l’aveva scavalcata issandosi sullo sgabello di legno, ruotando a gran
velocità i vari pomelli per poi balzare giù e aprire la finestra. Soltanto dopo
lo scatto fulmino si era voltato a guardarla, affannato e sudaticcio, con
l’espressione più impaurita che gli avesse mai visto addosso. Si erano
osservati senza dire nulla, lei deglutendo pensando di avere le allucinazioni e
lui immaginando cosa sarebbe potuto succedere se fosse tornato qualche minuto in
ritardo.
«Cosa stavi pensando di
fare?» la voce di Takashi era alta, scandita distintamente nonostante l’enfasi
con cui continuava ad asciugarsi il sudore sulla fronte per le rampe di scale
imboccate di corsa alla vista della luce accesa «Ti ho detto decine di volte di
non giocare lì! Lo vuoi ca-»
«Sei tornato!»
Takashi si ritrovò seduto
contro la base della finestra alla spinta inaspettata, il corpicino della
sorella schiacciato addosso. Luna lo stava stritolando con le gambe strette ai
lati della vita e le braccia allacciate attorno al collo. La scia di lacrime annaffiava
la sua spalla tra singhiozzi violenti e parole incomprensibili sussurrate
all’orecchio intervallate da boccate d’aria forzate.
«Luna ehi…» provò a
scostarla delicatamente ottenendo l’effetto contrario, la sorellina scuotendo
ferocemente la testa era tornata rannicchiata con le sue sillabe smozzicate
«Non volevo urlare così, mi dispiace se ti ho spaventata»
«I-io non lo pensavo
davvero» il nasino tirò su con forza sulla sua maglietta non dando minimamente
cenno di averlo ascoltato «Scusa se ti ho fatto arrabbiare»
«Eh?»
Takashi sbatté perplesso
le palpebre cercando inutilmente di guardare in faccia la sanguisuga attaccata
al suo stomaco. I capelli sfregavano sul suo viso spingendolo a tossicchiare
per non ingoiarne uno, provando nel medesimo a tempo a placare l’ondata di
pianto con piccoli cerchietti concentrici sulla schiena della sorellina.
«Shhh,
non piangere» sussurrò piano tra le ciocche scompigliate dondolando leggermente
a destra e sinistra per evitare di svegliare il resto del vicinato «Non è
successo nulla, non sono arrabbiato»
«Lo so che ti sei offeso»
fu l’immediata ma traballante risposta tra profonde ispirazioni, gli occhi
arrossati e gonfi puntati nei suoi «È stata colpa mia…anche se mi odi però non
andartene, anche Mana e la mamma ne sarebbero dispiaciute, piangerebbero anche
loro e io non lo so preparare il latte con il miele come fai tu per consolarle e..e..» il flusso di parole senza pause si interruppe un
istante lasciando l’impronta dei dentini sulle labbra salate «Io ti voglio
bene…per favore non andare via»
Takashi con sguardo vacuò
spostò l’attenzione con più lucidità dal pentolino sul fornello ai libri
gettati alla rinfusa, sino alla bottiglia e la copertina abbandonata in mezzo
alla stanza. Luna doveva essersi svegliata da diverso tempo sentendosi
abbandonata non trovando nessun altro in casa. Probabilmente lo aveva cercato
impaurita mentre lui scorrazzava in giro con lo strano bambino che abitava nel
bordello. Aveva fallito nell’incarico principale affidatogli dalla mamma: tenerle
al sicuro.
«Luna…io non ti odio»
esordì risoluto sollevandole il visino con entrambe le mani, umettandosi le
labbra per combattere il senso di colpa crescente «Sei la mia sorellina, non
potrei mai odiarti»
«Ma…andrai via lo
stesso?»
«No»
ribadì veemente più di una volta con l’ombra di un sorriso, attirandola di
nuovo contro di lui «Non abbandonerò te, Mana e la mamma. È una promessa»
Luna stropicciò il
davanti della maglietta del fratello macchiata di nero usandone il busto come
cuscino. Takashi aveva un profumo forte addosso, non il suo solito. Un misto di
rose nel quale sembrava essersi infilato interamente unito al forte odore
spiritato simile a quello dei suoi pennarelli colorati. Strano ma ugualmente rassicurante
se accompagnato da quei sorrisi sbilenchi e voce pacata che da sempre l’avevano
contraddistinto.
«Che ne dici se ti
preparo un po’di latte con il miele e andiamo a dormire?»
Luna annuì mentre il
sonno tornava a far capolino alle dolci carezze nel borbottio tra i capelli.
Era stanca, più di quanto pensasse. Nessun mostro l’avrebbe portata via ora che
Takashi era tornato a casa.
«Possiamo aggiungere i
biscotti?»
Takashi ridacchiò piano scoccandogli
un bacino sulla guancia, uno dei pochi dati di sua iniziativa da quando ne
avesse memoria.
«E va bene» la sollevò da
terrà mettendola seduta su una delle sedie mentre rovistava nella scatoletta
rossa sempre posizionata in cucina «Però, prima mettiamo del ghiaccio sul tuo
ginocchio»
■ ■ ■
La guancia pizzicava,
prudeva e pulsava come il cuore nella cassa toracica. Stretto dalle braccia
gentili della mamma, le stesse che poco prima l’avevano schiaffeggiato. Un solo
schiaffo, l’unico che ricordava di aver mai ricevuto con quella forza.
Takashi avrebbe voluto
farle presente il suo dolore, non solo quello fisico odierno ma tutto il
rancore che si portava dentro in anni in cui non avrebbe dovuto fare altro che
giocare con gli amici e divertirsi anziché imparare a cucinare o cucire.
Luna aveva involontariamente
parlato a sproposito nel suo sproloquiare innocente, le aveva confessato che
era scappato via la notte precedente lasciandole da sole. Takashi avrebbe
voluto difendersi, accampare qualche scusa, ma non ne aveva avuto il tempo
prima di ritrovarsi la faccia voltata. Ed anche ora, stretto così saldamente
non ne aveva trovata alcuna. Nessuna bugia da dire alla mamma, nessuna
giustificazione per il suo comportamento. Si sentiva soltanto in colpa e non
era giusto.
«Mi dispiace farti
sopportare tutto questo» *
L’aveva fatta piangere.
L’odio si era attenuato,
spazzato via da uno spiffero d'aria come la cenere dalla stufetta malandata a
pochi passi da loro. Voleva consolarla, dirle che non doveva preoccuparsi per
lui, che era grande rispetto a Luna e Mana, capace di assumersi le sue
responsabilità.
Le corte braccia, quelle
che restavano ancora del suo essere bambino avvolsero il busto singhiozzante
della mamma. Vibranti e incerte, le dita affondate nella maglia per ispirare il
suo profumo familiare, stringendone la stoffa per attenuare un altro tremore e
nascondere quell'amara verità sempre taciuta. L'odiava e amava in eguale modo,
un'opposizione dolorosa e struggente. Lo sapeva che non era colpa della mamma
ma aveva continuato a riversare su di lei quei sentimenti contrastanti. Era
stato perfido provare quel briciolo di soddisfazione ad inizio fuga, altrettanto
malvagio decidere di non voler tornare ma più e quasi rischiare che Luna si
facesse del male durante la sua assenza.
“Io non ho nessun
genitore, vorrei poter dire che la loro cucina faccia schifo” **
Le lacrime bagnarono il
collo in un battito di ciglia. Il fiumiciattolo salato silenzioso scorse lungo
le sue guance brucianti di vergogna non ascoltando ragioni. Non era più un
bambino, doveva essere forte per sé stesso, la mamma e anche le sorelline.
Doveva smettere di piangere, nemmeno ne aveva voglia. I suoi occhi non lo
ascoltarono, implacabili continuarono a disperdere liquidi spingendolo a non
respirare correttamente. Il singhiozzo traditore sfuggì nella lana spingendo
l'abbraccio più stretto e soffocante.
La falla nella diga straripò
e prima che se ne rendesse conto, Takashi piangeva disperato.
_._._
Note finali
* Volume 12, capitolo 101 – ricordo di Takashi
sull’evento narrato nella fanfiction
** Volume 14, capitolo 122 – frase detta da
Draken a Takashi in riferimento all’evento narrato nella fanfiction
Benvenuti alla rubrica “Missing
moments: Aky e la sua ossessione”, se non ne inserisco uno a fandom
non sono contenta. La data a inizio storia è stata ricavata dalle informazioni
e età dei personaggi calcolata da me durante la narrazione dei loro ricordi.
Questo manga mi ha fatto male, due storie in due giorni.
Io devo aggiornare le cose in sospeso non scriverne di nuove ç.ç
Alla
prossima,
Aky
Questi personaggi non mi
appartengono, ma sono proprietà di Ken Wakui, questa storia è stata scritta senza alcuno
scopo di lucro.