Capitolo I
“Questa
storia partecipa a “Luoghi
dell’Orrore” indetto sul gruppo
facebook Il
Giardino di Efp”
PROMPT
14: Egitto.
• Piramide di paura;
• Vestirsi da mummia;
• Maledizione.
«Beato
l'uomo a
cui è rimessa la colpa e perdonato il peccato[1].»
Pronunciò febbrilmente la voce che giungeva dal
confessionale. «Perdonami Padre
di tutti noi. Rimetti i miei debiti, come io li rimetto ai miei
debitori e
liberami da ogni male.»
La
fioca luce
lunare, che attraversava le strette finestre ogivali istoriate,
rischiarava il
volto emaciato dell’uomo che era lì seduto. Dalle
tempie, rivoli di sudore
scendevano veloci verso le guance, profondamente scavate, per poi
proseguire il
loro percorso al di sotto del collarino bianco slacciato.
«Abbi
pietà del
tuo figlio, che si è smarrito su questa terra alla ricerca
della vana gloria.
Riaccoglilo nel suo gregge e riammettilo alla tua mensa,
perché possa essere
salvato e godere della tua grazia eterna.»
Le
mani
stringevano nervosamente il bordo del piano in legno d’olivo.
Il rumore della
porta che scricchiolava aprendosi, proveniente dall’ingresso
principale della
chiesa, fece sobbalzare il chierico.
«Padre
nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo
nome…»
Il
pesante
incedere riecheggiava tetramente per tutta la cattedrale, facendo
sobbalzare
violentemente l’uomo ad ogni passo.
«venga
il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo
così in
terra…»
L’alta
figura
avanzava lentamente lungo la navata centrale, quasi scivolando
agilmente tra i
molteplici coni d’ombra.
«Dacci
oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti,
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori e non abbandonarci alla
tentazione…»
L’ultimo
verso
della preghiera morì nella gola del prete. Una paura
primordiale si impossessò
di lui, quando vide l’essere dinnanzi a sé.
Provò con tutte le sue forze a non
tremare, ma era impossibile. Gli occhi rossi, che spuntavano ferini
sotto lo
strato di bende, lo fissavano intensamente; mentre, sul volto
dell’enorme
figura, l’unica parte risparmiata dalla lercia fasciatura, si
andava componendo
un sorriso schernitore e malvagio.
«Continua.»
Disse
mellifluo il misterioso interlocutore.
«…ma liberaci dal male.»
Una
risata
crudele rimbombò per tutto l’edificio. Poi il
silenzio. Solo una serie di
gemiti strozzati interrompeva quello strano silenzio. Lentamente, la
strana
creatura si alzò da sopra l’uomo, che giaceva
immobile a terra. Con il dorso
della mano destra si pulì la bocca imbrattata; il sangue
fresco brillava
sinistramente sotto la luce della luna.
«Amen.»
Proferì
ironico, per poi sparire nel nulla.
Il
ronzio del
ventilatore rompeva l’asettica monotonia
dell’ufficio. Un uomo dai capelli sale
e pepe era seduto comodamente sulla poltrona. Sfogliava, con aria
concentrata,
l’antico volume posto sulla scrivania. Con gli occhi scorreva
velocemente le
fitte righe, mentre con la mano destra prendeva appunti sul taccuino.
Solo
l’insistente bussare lo distolse dal suo lavoro. Guardò di
traverso l’uscio in mogano del suo
studio. Odiava essere interrotto nel bel mezzo della ricerca. Chiuse
velocemente il tomo e di controvoglia si avvicinò alla fonte
della sua
imprevista distrazione.
«Padre
Ferrua,
scusi il disturbo…»
«Non
è scusata.
Cosa vuole?»
La
donna non fece
caso al tono duro e irritato dell’uomo, era abituata alle sue
uscite poco
eleganti, quando veniva distolto dal suo lavoro.
«Ho
provato a
chiamarla ripetutamente, ma il telefono del suo ufficio era
staccato.»
«Lo
so. Ho tolto
il plug per non essere disturbato da nessuno, compresa la segretaria
del
dipartimento.»
«Non
era mia
intenzione disturbarla, ma è importante.»
«E
cosa sarebbe
questa cosa così importante?» ribatté
acido il presbitero.
«L’interpol.»
«È
uno scherzo?»
«Nessuno
scherzo.
Mi segua, la stanno aspettando nell’ufficio del direttore.
Hanno chiesto
espressamente di lei.»
La
direzione era
inondata dalla luce del sole. Il direttore del dipartimento di
archeologia era
seduto al solito posto, mentre intratteneva i suoi inattesi ospiti.
Padre
Ferrua si fermò un attimo a guardare quella scena atipica,
prima di rivelare la
sua presenza. Guardò il volto del vecchio professore
Biancofiore. Non aveva la
solita espressione gioviale e rilassata, anzi tradiva tensione e
preoccupazione. Gli sembrava invecchiato di dieci anni.
L’uomo con cui aveva
consumato la colazione, gli sembrava un lontano ricordo. Le rughe
sembravano
più marcate e gli occhi, solitamente di un azzurro
cristallino, apparivano ora
più cupi.
«Giovanni,
sei
arrivato! Non avevo sentito aprire la porta. Entra, questi signori ti
stanno
aspettando.»
«Professore
Biancofiore, è successo qualcosa?»
«Non
che la
riguardi direttamente Padre, ma speriamo di avere qualche informazione
in più
da lei.» Disse il più anziano dei due.
«Che maleducato, non mi sono presentato,
sono l’agente Orlandi e questo è il mio collega
Amendola.» Il
poliziotto più giovane si limitò a
salutarlo con un cenno della testa.
«Non
capisco che
informazioni possa avere in mio possesso tanto da scomodare
l’Interpol.»
«Questo
lo lasci
decidere a noi. Se la Santa Sede ci ha fatto il suo nome un motivo ci
sarà. In
che rapporti era con Padre Marcello Tosi?»
«In
che senso
era? Perché parlate di Padre Tosi al passato?»
«Qui
le domande
le facciamo noi.» Si intromise l’agente
più giovane.
«Calma
Amendola,
non stiamo facendo un interrogatorio, ma una chiacchierata amichevole.
Padre
Ferrua ha tutto il diritto di porci delle domande; dopotutto siamo
piombati
alla Pontificia Accademia di Archeologia senza nessun preavviso. La sua
osservazione è giusta Padre» disse Orlandi,
volgendo il suo sguardo a Ferrua
«parlo al passato, perché Padre Tosi è
stato barbaramente ucciso la scorsa
notte, all’interno della cattedrale di San Marco del
Cairo.»
«Cosa?
Non può
essere vero?!
«Purtroppo,
le
assicuro che non mento. Come ben sa il Vaticano ha ben poca
autorità in Egitto.
La sede episcopale è vacante dagli anni settanta, per questo
ha chiesto
all’Interpol di indagare sulla morte di Tosi. Non
c’è un’indagine ufficiale.
Siamo qui a titolo di favore.»
«Capisco.»
Rispose amareggiato Ferrua «Padre Tosi è, o meglio
era, il mio padre
spirituale. Se non fosse per lui ora non sarei qui.»
«Sappiamo
i suoi
trascorsi non facili. Padre Tosi l’ha salvata. Ecco
perché siamo qui, aveva un
rapporto molto intimo con la vittima. Sa dirci se qualcuno avesse
qualche conto
in sospeso con Tosi? Se avesse qualche nemico?»
«No,
nessuno. Era
una persona mite, nessuno avrebbe mai desiderato la sua
morte.»
«Sa
il motivo per
il quale fosse in Egitto?»
«Sì.
Stava seguendo
uno scavo presso l’Oasi del Fayyum. Una piramide mai
esplorata prima, se non
ricordo male. Si era unito ad una missione internazionale.»
«Conosce
i
componenti?»
«Si,
Padre Tosi
mi ha parlato di loro, sono tutti accademici di notevole importanza. Ci dovrebbero essere anche i loro
migliori assistenti.»
«E
Padre Tosi ha
portato qualcuno con sé?
«No.
Mi aveva
chiesto di accompagnarlo, ma ho rifiutato.»
«Per
quale
ragione, se è possibile saperlo?
«Al
momento sono
molto occupato con lo studio delle iscrizioni mitraiche di Roma. Il
viaggio in
Egitto avrebbe rallentato il mio lavoro; inoltre, non sono esperto in
egittologia, contrariamente a Padre Tosi.»
«Capisco.
Penso
che per il momento possa bastare; se dovesse venirle in mente qualcosa non
esiti a contattarmi. Le lascio il mio numero,
può chiamarmi in qualsiasi momento.» Gli porse il
bigliettino da visita.
Ferrua
osservò i
due agenti varcare la porta. Fissò a lungo il direttore del
dipartimento, senza
proferire parola. Fu l’anziano uomo ad interrompere lo strano
silenzio che si
era creato tra loro.
«Vuoi
andare al
Cairo, vero?»
«Sì.»
Rispose
laconico.
«Va
a casa e
prepara il necessario. Al biglietto e all’albergo ci
penserà Silvia. Contatterò
la nostra sede presente nella capitale egizia, per darti tutto il
supporto
possibile. Non cacciarti nei guai, intesi?»
«Non
garantisco
nulla.»
Il direttore
sospirò pesantemente, mentre si
lasciava sprofondare nella poltrona. Cosa diavolo era successo in
Egitto?
|