Primo pensiero e ultima parola: il diario del maestro

di Joy
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7° Entry

 

 

La salute di Levi è migliorata molto negli ultimi tre giorni: non ha più febbre e la tosse è quasi scomparsa, però non dorme.

Passa la notte rigirandosi sul divano e l'altra mattina l'ho trovato addormentato sulla sedia con la testa sul tavolo.

Quando gli ho posato una mano sulla spalla per svegliarlo con delicatezza, è quasi caduto a terra per la fretta di allontanarsi da me.

Mi ha riconosciuto solo lunghi istanti dopo, nei quali il terrore ha sbarrato i suoi occhi e accelerato il respiro, finché non mi sono risolto ad alzare le mani in segno di resa e a chinarmi di fronte a lui come quel primo giorno in strada, mormorandogli:

“Sei al sicuro, ricordi?”

Si è guardato intorno, confuso, e si è rilassato solo quando ha individuato sul tavolino i fogli di Erwin e i suoi colori; ha comunque impiegato qualche istante prima di riuscire ad annuire e ad afferrare la mano che gli stavo porgendo.

Non ho potuto esimermi dal trascinarlo lentamente contro di me, avvolgendogli le braccia attorno: “Passerà la paura, come è passata la tosse, te lo prometto” gli ho bisbigliato.

Non ha replicato, si è lasciato abbracciare con un lieve sospiro. Era gelido di sudore.

La sera gli ho preparato un infuso di melissa, tiglio e passiflora, sperando che avesse su di lui lo stesso effetto benefico che ha sempre avuto su di me.

L'odore emanato da quel miscuglio di erbe nel bollitore mi ha commosso: lo associo ancora a te, all'insonnia annegata nei libri e scacciata dalla tua mano. Dalla morbidezza del tuo corpo contro la mia schiena, dal conforto delle tue braccia allacciate appena sotto il mio cuore e dal bisbiglio lieve della tua voce: “Lascia andare tutti questi pensieri Ludwig, lasciali qui sulla scrivania, li ritroverai domani...”

Forse non era quel tè che mi posavi davanti a farmi bene, forse eri tu.

Su di lui ha avuto effetto, comunque. Si è addormentato subito e ha dormito a lungo, anche se immagino che si sia svegliato in un momento imprecisato della notte, perché la mattina l'ho trovato accoccolato contro la schiena di Erwin, nel suo letto, e più tardi gli ho sentiti pigolare come passerotti nel nido.

Non li ho interrotti, li ho lasciati alle loro storie e alla loro immaginazione.

Quella di Erwin è fervente, difficilissima da imbrigliare -sebbene io non abbia mai desiderato farlo-, appassionata quanto la tua, ma credo che desideri un compagno: soffre di solitudine pur non essendone consapevole.

“Rimarrà con noi, non è vero, papà?”

Lo ha chiesto sottovoce, ieri sera, guardandomi negli occhi, serio come non lo era mai stato.

Non ho risposto, ho continuato a preparare la cena, ma lo sguardo di nostro figlio non mi ha mai abbandonato.

“Chi si prende cura di te, Levi?” ho domandato, una volta seduti davanti ai nostri piatti.

Mi ha risposto con un'occhiata scettica e un lieve fremito nel labbro inferiore; il cucchiaio ha oscillato nella sua mano anche se non ha più i geloni.

“Kenny” ha mormorato, spostando lo sguardo sulla sua zuppa, e lasciandomi intuire un seguito che forse non può pronunciare.

Erwin non ha commentato, ma ha osservato con attenzione e quando mi sono alzato per non lasciar spegnere il fuoco nella stufa, gli ha chiesto dove fosse la sua mamma.

“Morta” gli ha risposto Levi.

E sono sicuro, mia cara: nel momento in cui Erwin ha puntato gli occhi nei suoi sussurrando piano “Anche la mia”, è successo qualcosa tra loro.

È quella connessione che talvolta ho visto nascere tra i miei studenti, nello scoprire di non essere soli in una situazione di disagio.

È il sollievo di sentirsi compresi, senza che siano necessarie le parole, che spinge le mani a cercarsi al di sotto della linea dei banchi e a stringersi, come hanno fatto le loro, sotto il tavolo della nostra cucina.

Mia cara, ho deciso in quell'istante che avrei fatto il possibile per tenere con me il bambino e stamani il dottor Lange si è detto disposto ad aiutarmi a rintracciare Kenny.

Non m'illudo che sia facile, ma oggi è una giornata luminosa e la voce di Erwin non mi è mai sembrata tanto allegra, mentre ciarla di tutto ciò che potrebbero fare all'aperto.

Tanto che la sua domanda nemmeno mi sorprende.

“Possiamo uscire, papà? C'è il sole...”

Erwin è qui con me in questo momento, in piedi di fronte allo scrittoio, composto e attento, in attesa di risposta che non dubito sia per lui di fondamentale importanza.

Levi tende le orecchie, inclinando la testa verso di noi con le mani agganciate al davanzale, mentre cerca di scorgere attraverso il vetro quanto più possibile dell'esterno: gli piace il sole, è sempre stato al buio.

Sospiro, i fogli sotto le mie mani scricchiolano.

Lo so cosa mi stai dicendo, amore mio, e hai ragione, come sempre.

Ripongo la penna e vado con loro.

 

 

Fine.





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