Prima di cominciare
Prima di cominciare,
una breve premessa: questa fic è nata in una sorta di parallelo con un’altra
storia che ho scritto (Loving
Liar, sempre pubblicata qui su EFP) e possiamo definirla un tentativo di
guardare l’altra faccia della luna. Quella era incentrata sullo stato d’animo di
Fay al ritorno da Celes, mentre questa prova ad indagare su Kurogane. Il momento
è quindi più o meno lo stesso, così come più o meno le stesse sono le
conclusioni cui giungono i due personaggi.
Sebbene le due storie
siano collegate, comunque, sono perfettamente comprensibili anche da sole.
Certo, mi farebbe solo piacere se, dopo aver letto questa, leggeste anche
l’altra, ma non è obbligatorio ^^
Da ultimo, grazie
alla mia beta-moyashi, a Miri e al fratellino che, a vario titolo, mi hanno dato
una mano a portare a termine il lavoro. Questa fic è per loro perché, senza di
loro, probabilmente sarebbe rimasta solo un’idea nella mia testa o, alla meglio,
sarebbe stata cestinata prima di essere conclusa. Vi voglio bene!
♥
Missing moment tra i
capp. 167-169
Il titolo riprende quello dell'omonima
canzone dei Counting Crows di qualche anno fa, ma per il resto non c'entra
nulla.
Accidentally
in Love
Raramente nel corso
della sua vita un guerriero si ferma a riflettere. Non perché non voglia o non
ne sia capace, tutt’altro! È semplicemente perché fermarti a riflettere anche
solo un secondo di più quando hai una spada in pugno e un nemico che ti vuole
morto non è affatto una bella idea.
Un guerriero non ha
tempo di riflettere: tutte le sue decisioni deve prenderle in fretta ed essere
sempre convinto di quel che fa, perché da ogni sua azione dipendono la vita e la
morte sua e dei suoi compagni.
Anch’io sono un
guerriero e anche per me, soprattutto per me, è sempre stato così. Ancora di più
da quando ho iniziato questo assurdo viaggio, apparentemente senza meta, tra le
dimensioni. E da quando ho conosciuto quello stupido mago.
La decisione di
salvargli la vita, poi di fidarmi comunque di lui nonostante avesse ammesso di
aver mentito e infine di sacrificare un braccio per salvarlo di nuovo… tutte
scelte che ho compiuto senza aver tempo di pensare. E di cui non mi pento.
Sarebbe tutto un
altro discorso, invece, se provassi a chiedermi perché io abbia fatto quelle
scelte… ma tanto, bloccato a letto come sono, posso concedermi il lusso (adesso
sì) di fermarmi a rifletterci sopra.
Mi sforzo di tirarmi
seduto, ma la debolezza datami dalla ferita non mi facilita certo le cose, anche
perché cerco inutilmente di aiutarmi con una mano che non ho più.
Se devo essere
onesto, sbattere il muso contro questa consapevolezza mi disorienta un po’. Non
che non sapessi cosa stavo facendo quando mi sono tagliato di netto il braccio
sinistro – per gli dèi, ero io a manovrare la spada! È solo che, a ripensarci
adesso a mente fredda, mi rendo conto di non aver forse ancora preso piena
coscienza di quel che ho fatto.
Ma tutto passa in
secondo piano se considero ciò che ho ottenuto: lui è vivo. Non mi va di
ragionare sul perché questa certezza abbia il potere di cancellare ogni cosa, né
voglio rammentare le parole che, non so come, ho udito dalla voce di Tomoyo-hime
e che mi hanno in qualche modo rivelato la maniera di scappare da quel dannato
inferno di ghiaccio.
Eppure non riesco a
impedire alla mia mente di correre a lui.
Con aria pensierosa,
volto gli occhi verso la porta da cui l’idiota è entrato qualche ora fa e le
labbra mi si incurvano in un ghigno che nemmeno io riesco pienamente a
decifrare.
Mi basta concentrarmi
un attimo, ed ecco che me lo rivedo lì come se ce l’avessi davanti in questo
momento, avvolto in un kimono bianco che chiaramente non è abituato ad indossare
e che pure porta con incredibile leggerezza… anche se, in fondo, in ogni suo
minimo movimento c’è sempre stata un’incredibile leggerezza e pure un’eleganza
che, a giudicare solo dal suo comportamento da pazzoide, non gli avrei mai
attribuito.
Più di qualsiasi
altra cosa però, degli interminabili secondi che ha impiegato ad avvicinarsi al
mio letto, quello che credo non dimenticherò mai sarà il suo sguardo. Anzi, la
sua testa bionda, ostinatamente chinata a nascondere l’espressione del suo viso.
Sembrava un fuscello in quel momento, e non solo perché con quel suo fisico così
assurdamente esile quasi scompariva nella stoffa abbondante del kimono.
Devo confessare a me
stesso che questa è stata la seconda occasione in cui, per causa sua, mi sono
ritrovato senza parole, incapace di prevedere con un minimo di sicurezza quale
sarebbe stato il suo prossimo gesto, l’atteggiamento che avrebbe assunto.
L’altra volta in cui ci avevo provato ad immaginarmi la sua reazione, avevo
fatto un errore così clamoroso da sentirmi quasi male quando me ne sono reso
conto.
Non che quel giorno
ad Acid Tokyo mi aspettassi che svegliandosi, vivo e trasformato in un vampiro,
avrebbe fatto salti di gioia… andiamo, non sono così ingenuo! Per un assurdo
motivo che allora non potevo comprendere (e che, in tutta sincerità non
comprendo del tutto neanche ora, che pure conosco il suo passato), lui non
aspettava altro che un’occasione per morire e non appena l’aveva trovata, con la
possibilità perfino di farla passare per un gesto di generosità, io gliel’ho
soffiata da sotto il naso. Sapevo che non l’avrebbe presa bene, ma da lì a
comportarsi in quel modo…
Sì, mi ha fatto male,
e molto anche.
Chiudo gli occhi e mi
massaggio con due dita le palpebre, rovesciando indietro la testa.
Ricordare il sorriso
con cui mi ha salutato e le parole che mi ha rivolto quando ha ripreso i sensi
dopo la trasformazione, mi apre ancora un tremendo e inspiegabile buco nello
stomaco. Come se per un istante mi togliessero di colpo l’aria dai polmoni,
impedendomi di respirare.
E pensare che era da
quando l’ho conosciuto che non aspettavo altro che di vedergli fare un sorriso
normale (non dico sincero, ma quantomeno non esagitato) e di sentirgli
pronunciare il mio nome per intero, senza quelle orribili storpiature con cui
l’ha sempre martoriato! Eppure, quando finalmente lui si è comportato per una
volta da persona seria, mi sono reso conto, con mia somma incredulità, che mi
mancava il solito stupido mago… mi sono sentito un cretino per giorni, prima di
riuscire a mettere da parte la semplice domanda che quella constatazione mi
aveva fatto nascere subito spontanea: perché? Avevo ottenuto quel che
desideravo, l’idiota aveva smesso di fare l’idiota, mi lasciava finalmente in
pace… e allora perché mi sembrava quasi che mi mancasse qualcosa?
Poi per fortuna gli
eventi hanno ricominciato a correre e io non ho più avuto tempo né modo di darmi
una risposta. Ma non mi illudevo certo di aver vinto la partita con la mia
coscienza, oh no! Anche perché, con il passare dei giorni, lo strano
comportamento dello stupido mago si è fatto perfin più strano: non solo non mi
assillava più con la sua idiozia, addirittura mi ignorava. Sembrava quasi che
avesse eretto un dannatissimo muro di indifferenza nei miei confronti.
Mi scappa un sospiro
a ripensare al periodo logorante che abbiamo passato in quell’accidenti di paese
a giocare a scacchi viventi.
Perché se l’idiota si
era trincerato nel suo silenzio e sembrava vivere solo per la principessa, non è
che nemmeno gli altri due stessero molto meglio… lei per prima e il ragazzo di
conseguenza. Maledizione, non mi sono mai sentito così impotente come in quei
giorni! Avevo la sgradevole sensazione che ogni cosa mi stesse crollando attorno
e non sapevo come fare a tenere in piedi tutto… non sono mai stato bravo in
queste faccende! Però non ce l’ho proprio fatta a lasciar sfasciare
quell’assurdo gruppo che eravamo diventati. Non che io abbia avuto molto
successo…
Un altro sospiro.
È vero, ci siamo
salvati, ma a che prezzo? Ora mi ritrovo una principessa senz’anima, il ragazzo
depresso come non mai e il mago… dèi del cielo, non so più nemmeno cosa pensare
di lui!
Eppure, anche se
sembra tutto perduto, non ho nessuna intenzione di arrendermi, né penso lo
vorranno gli altri: non so dove sia finita l’anima della ragazzina, ma appena ci
saremo rimessi in sesto ricominceremo a viaggiare e la troveremo.
Mi alzo a fatica dal
letto, aggrappandomi al baldacchino per affrontare il capogiro che mi coglie
appena cerco di reggermi sulle mie gambe. Il braccio da cui lo stupido vampiro
si è nutrito poco fa mi pulsa dolorosamente; mi sollevo il polso davanti agli
occhi e un lieve sorriso mi si distende sulle labbra, notando la chiazza
violacea che testimonia un travaso di sangue sotto pelle, lì dove l’idiota ha
affondato i denti con involontaria violenza, spinto dall’istinto di
sopravvivenza.
Chissà da quanti
giorni non mangiava, quel cretino: aveva una faccia pallida da far impressione e
delle marcate occhiaie a segnargli l’occhio, di un azzurro troppo spento. Non
fatico ad immaginare che, con la sua cocciutaggine, abbia impedito a Tomoyo-hime
di farmi prelevare del sangue mentre dormivo, così da potersi nutrire… odia
dipendere da me, e un po’ lo capisco (io reagirei probabilmente allo stesso
modo, nella sua situazione), ma ugualmente non potevo permettere che morisse –
né ad Acid Tokyo né tantomeno a Celes, per mano di quel suo sedicente
benefattore.
Lui deve vivere,
voglio che viva, costi quel che costi. Sono disposto a fare tutti i sacrifici
necessari per realizzare questo desiderio, anche ad andare contro la sua stessa
volontà… e continuerò a farlo, finché non avrà capito e non troverà la forza di
rialzarsi da solo.
E non mi importa se
così facendo mi guadagnerò solo il suo disprezzo e la sua indifferenza. Mi farà
male, lo so benissimo, ma tra noi due il più testardo sono io e sono sicuro che
alla fine la spunterò su quel suo dannatissimo orgoglio.
Anche se… anche se
forse posso sperare che lui si sia già arreso.
Perché l’idiota che
prima è entrato al rallentatore nella mia camera, per poi scatenarsi come un
tornado e osare tirarmi un pugno in testa, chiamandomi di nuovo con uno di quei
nomignoli inaccettabili, quell’idiota non è il mago disperato che a Celes,
spezzato dal dolore, mi ha chiesto di lasciarlo morire e salvarmi da solo. E non
è nemmeno il vampiro altezzoso e gelido che a Infinity non faceva altro che
ignorarmi con malcelato disprezzo, senza peraltro poi poter fare a meno di me
per nutrirsi.
Ma, assurdamente, mi
rendo anche conto che la creatura fragile e confusa (glielo si leggeva in faccia
che era quello il suo stato d’animo) a cui poco fa ho dato il mio sangue come
cibo non è neanche lo stesso idiota con cui ho viaggiato finora, e non solo per
i cambiamenti fisici che ha subìto.
C’era luce nel
sorriso con cui mi ha salutato, e nello sguardo una gioia sincera, seppur venata
di malinconia, quando ha visto che stavo bene.
E quel sorriso e
quell’espressione sono bastati a ripagarmi di quel che mi ha fatto passare.
Mi avvicino con passi
lenti alla finestra della stanza che dà sul giardino e, inaspettatamente, lo
vedo qualche metro più in là che passeggia tranquillo tra i ciliegi in fiore. I
suoi sensi si sono probabilmente acutizzati dopo la trasformazione, perché si
accorge subito di me e si volta, sorridendomi e agitando una mano nella mia
direzione, con il risultato che l’ampia manica svolazzante del suo kimono me lo
nasconde ritmicamente alla vista.
Lui ride estasiato,
con la risata tipica dei bambini, poi continua a cercare di catturare la brezza,
facendo gonfiare le maniche dell’abito come una vela. Scuoto la testa,
sconsolato dal riemergere della sua idiozia (che a questo punto non posso più
definire costruita, è davvero cretino così al naturale…) ma non posso fare a
meno di restare ad osservarlo. Ed è solo adesso che mi accorgo, con stupore, di
quanto mi fosse mancato anche questo suo lato infantile e candido, che ad ogni
arrivo in un nuovo mondo lo faceva stare per delle ore a meravigliarsi di
qualunque cosa.
Mi siedo sul
davanzale, poggiando il piede sul legno e il braccio sul ginocchio e continuando
a seguirlo con lo sguardo, adesso che ha spostato la sua attenzione sui numerosi
gatti bianchi portafortuna che popolano il giardino.
È incredibile come,
nonostante il passato orrendo che ha sulle spalle, sia rimasto così
fondamentalmente puro. E fragile. Una smorfia mi oscura il viso se ripenso a
quella storia tragica che ho scoperto essere la sua vita. È stato trascinato
attraverso un susseguirsi quasi infinito di tragedie, ha ucciso e visto uccidere
fin dalla più tenera età, è stato usato, ricattato, ingannato, illuso, strappato
ai suoi affetti e costretto a mentire… eppure, nonostante tutto, la sua
innocenza non ne è stata assolutamente scalfita: in questo è il mio esatto
opposto, io che ho le mani e il viso tanto grondi di sangue da non poterli più
nemmeno lavare.
E forse è stata
proprio la sua innocenza che mi ha convinto a fidarmi ancora di lui, a dargli
un’altra possibilità quando ha confessato di averci mentito fin dall’inizio. O
forse no, forse in realtà non ho mai smesso di aver fiducia in lui.
Perché lui di questo
dannatissimo viaggio sapeva molto di più di quanto volesse ammettere. Ma si è
tenuto dentro tutto fino alla fine e l’ha fatto così bene da non farmi venire
nemmeno il minimo sospetto che sapesse. Credevo che il segreto che si portava
dentro fosse legato solo al suo passato, senza capire che, in realtà, ciò che
gli pesava come un macigno sul cuore non erano soltanto i suoi ricordi.
Ero certo che non
avrebbe mai fatto del male a nessuno di noi e tanto mi bastava per voler
scoprire il suo segreto solo per il gusto di fargliela pagare per averlo
serbato, non accorgendomi di quanto soffrisse per la condizione in cui era
costretto.
E quando finalmente
ho scoperto la verità, mi sono reso conto di non aver capito niente.
Proprio per questo
non me la sono sentita di condannarlo, perché in fondo la sua situazione era la
stessa di Tomoyo-hime. Lei non me l’ha mai detto, ma sono sicuro che non mi ha
spedito in questo viaggio assurdo solo per insegnarmi il significato della vera
forza. Tomoyo-hime sapeva e non ha potuto parlare, ma ha dovuto mandarmi via
rischiando di attirarsi le mie ire e sono certo che questo le abbia causato
dolore… e per lui non sarà stato diverso. Ma la sofferenza di coloro che sanno
e sono costretti a tacere, chi non si trova in quella condizione non la può
capire[1].
Per questo l’ho
perdonato. Perché nei suoi occhi quella sofferenza era scritta a chiare lettere,
e se non avessi perdonato lui, non avrei dovuto perdonare nemmeno Tomoyo-hime.
Ma non è stato solo
per questo.
Se voglio
essere del tutto onesto con me stesso come sono sempre stato, devo ammettere
che, a monte di tutto, il vero motivo per cui ad Acid Tokyo gli ho salvato la
vita è stato un motivo puramente egoistico: non volevo perderlo. Non so se sia
stata la sua fragilità, la sua innocenza o semplicemente quel mistero che lo
avvolgeva e che non ero ancora riuscito a svelare. Non lo so e non mi interessa.
So solo che non volevo che mi fosse portato via.
Il giorno in cui
morirono i miei genitori, giurai che avrei ucciso chiunque avesse osato fare del
male alle persone che amo[2]
e un ninja mantiene sempre la parola data.
Per questo l’ho
salvato e ho promesso che ne avrei avuto cura.
Non so come sia
successo, e in fondo non è nemmeno così fondamentale per me scoprirlo, ma quella
creatura astrusa, mezzo mago, mezzo vampiro e completamente idiota, è diventato
la persona per me più importante e in quanto tale lo proteggerò con tutte le mie
forze.
E che nessuno mi
venga a dire che ciò che è accaduto era inevitabile, era destino, era
necessario… quelle sono solo un cumulo di sciocchezze! Ognuno la vita se la
costruisce con le proprie scelte e la mia è stata questa: ne sono pienamente
convinto e la porterò fino in fondo.
Il rapido scorrere
del pannello della porta mi strappa ai miei pensieri. Mi volto verso la fonte
del rumore e vedo il soggetto delle mie riflessioni affacciato all’ingresso
della stanza, con un gran sorriso stampato in faccia.
“Hyuu, Kuro-sama! ♥
Tomoyo-hime vuole che la raggiungiamo in giardino, vieni!”
“Arrivo, arrivo…
dammi il tempo di vestirmi…”
Borbotto, scendendo
lentamente dal davanzale. Afferro il kimono abbandonato al fondo del letto e
comincio ad indossarlo. Prima ancora che io possa avere difficoltà
nell’allacciarmelo a causa del mio braccio, lui mi si avvicina.
“Hyuu! Ti do una mano
io, Kuro-kun!”
“Sì, sì va bene… ma
smettila di fare quei versi, dannazione!”
Replico scocciato
come al solito, ma ormai lo faccio solo per riflesso condizionato, perché in
realtà ho finito con l’abituarmi a lui, ai suoi soprannomi idioti e anche a
quella fastidiosa imitazione di fischio con cui si ostina ad assordarmi.
Mi allaccia
rapidamente la cintura dell’abito, poi alza gli occhi verso di me e mi sorride
senza aggiungere altro. In fondo, sia per me che per lui il sollievo di questa
normalità, per quanto precaria, non è qualcosa che si possa esprimere a parole.
Ci sono momenti, come
questo, in cui parlare è superfluo e a me non è mai piaciuto dire frasi banali
solo per riempire ad ogni costo il silenzio.
Ricambio il suo
sorriso con uno appena accennato e mi avvio verso la porta.
“Dai, stupido mago,
andiamo”
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