S.O.S. dal futuro
*
Capitolo
1
*
Era quasi
notte inoltrata ed il temporale continuava ad imperversare sulla città di
Parigi con tuoni e fulmini a farla da padrona, innalzando un muro d’acqua che
non permetteva di vedere ad un palmo dal naso, a meno che tu non fossi un super
eroe.
Ormai
erano ore che lo scrosciare dell’acqua addosso le pareti e sui tetti accompagnavano
i parigini fino a che i più assonnati non si addormentarono tra i sussulti e
con il pensiero che se il brutto tempo avesse continuato per tutta la notte,
l’indomani si sarebbero svegliati con una città completamente allagata.
Un
rintocco quasi spettrale risuonò attraverso l’ululato del vento quando un uomo
sulla cinquantina di bell’aspetto, alto, corporatura magra, capelli neri lisci
e con sguardo glaciale, stava discutendo animatamente con un suo coetaneo molto
più basso e grasso, in testa portava un caschetto antinfortunistica color
arancio nonostante indossasse una camicia a scacchi e una cravatta nera, un
abbigliamento che faceva ben intendere di non essere un operaio qualsiasi, ma
qualche capo reparto che passava le sue giornate comodamente seduto sulla
poltrona del suo ufficetto ingurgitando ciambelle zuccherose e caffè
all’interno della sua tazza bianca con inciso a caratteri cubitali “ti
voglio bene papà”, mentre impartiva ordini ai lavoratori della catena di
montaggio, e che infilasse quell’elmetto protettivo solo se si richiedeva la
sua presenza all’interno del reparto. Giusto per non ritrovarsi con un buco in
testa.
Si
trovavano in una fabbrica che produceva prodotti chimici ad alta tossicità,
probabilmente di proprietà di quello più alto.
Due
occhi color smeraldo continuavano a seguirli con insistenza ed enorme
curiosità.
Le
gocce d’acqua di quel temporale colpivano ripetutamente il vetro dell’ufficio
posto ai piani alti e il rumore di tuoni e fulmini si udivano in lontananza.
“Quindi
tu vuoi dirmi che non c’è più posto per stoccare le scorie!” Disse in tono
calmo quello alto mentre controllava minuziosamente il grafico appena
allungatogli.
“S-si!”
Confermò timidamente muovendo la testa su e giù.
L’amministratore
delegato prese la cartellina e chiuse gli occhi facendo un bel respiro profondo
voltandosi, poi senza un accenno e con violenza, tirò quell’oggetto addosso al
grassone facendogli cascare gli occhiali da vista sul pavimento polveroso.
“SEI
UN’IDIOTA, DIDIER! In mezzo anno ti sei giocato l’equivalente di tre, adesso
che cosa facciamo?”
Il
grassone si accucciò a raccogliere quanto caduto e dopo un paio di tentativi
riuscì a trovare quelle lenti.
“Mi-mi
dispiace signor Arthur. La produzione è salita molto nell’ultimo semestre,
dovrebbe essere contento di quanto guadagnato fino ad ora.” Trasalì per cercare
di indorare la pillola.
“Il
problema resta! E lo risolverai TU mio caro” Gli puntò un dito nel petto che
affondò nel grasso, digrignando i denti, non aveva intenzione di pagare per un
errore di calcolo di quell’imbecille, infondo, era quello il suo lavoro, no?
Risolvere i problemi, mentre lui sganciava ingenti somme di denaro
guadagnandone altrettanto.
“I-io?”
Balbettò spaventato, non era semplice far sparire quintali di scorie tossiche
senza che nessuno se ne accorgesse.
Un
fulmine squarciò il momentaneo silenzio tombale che si era creato all’interno
dell’abitacolo della fabbrica, e se quei due avrebbero guardato fuori dalla
finestra, sarebbero riusciti a scorgere sue sagome ben distinte che li controllavano
mentre stavano appostati sul tetto difronte.
“Si,
tu. Hai capito bene”
“Cosa
vuole che faccia?” Chiese aprendo le braccia.
“Non
me ne importa: portatele a casa, bevile se ti fa piacere, ma voglio che
spariscano di qua.”
Didier
arricciò le labbra poco convinto, anche se avrebbe chiamato tutte le centrali
nucleari, nessuno avrebbe acconsentito a ricevere quelle scorie, doveva trovare
un altro modo e in fretta se non voleva essere licenziato, e lui aveva la
soluzione a portata di mano.
Volse
lo sguardo appena fuori la finestra in basso e appena l’ennesimo fulmine
illuminò il vicolo, vide un tombino e un canale di scolo aperto.
“Va
bene. Mi disferò di quei liquami”
Il
signor Arthur lo guardò di sottecchi, nonostante fosse un uomo d’affari molto
potente, la sua ricchezza se l’era guadagnata senza sotterfugi o imbrogli di
alcun tipo, i suoi conti erano sempre stati limpidi e trasparenti come l’acqua,
ma quell’ultima frase del suo collaboratore, soprattutto nel modo in cui gliela
aveva detta, lo aveva fatto preoccupare e non poco.
Didier
era un ottimo braccio destro quando non beveva troppo o si intratteneva con
donne che non fossero sua moglie, oltre l’orario di lavoro in ufficio.
Si,
Arthur sapeva anche delle sue scappatelle, ma era pronto a passarci sopra se lui eseguiva bene il suo lavoro, ma ogni tanto aveva
bisogno di qualche scossone per riattivare i neuroni del suo cervello e farlo
rigare nella giusta direzione.
“In
modo pulito ovviamente” Sottolineò l’amministratore delegato dandogli le spalle
prendendo la via della porta, per poi voltarsi di scatto e lanciargli
un’occhiata fulminante “…inutile dirti che se intendi fare qualcosa di losco,
la colpa ricadrà su di te. Tu dirigi il reparto, tua la colpa.” Disse in tono
mellifluo chiudendo dietro di sé la porta lasciando il grassone da solo con i
suoi pensieri.
Non
ci pensò due volte e prese la bottiglia mezza vuota di gin che teneva
nell’ultimo cassetto della scrivania e senza troppi complimenti ne trangugiò un
bel sorso fino a che la gola non gli bruciò e dovette buttare fuori dell’aria
dalla bocca per sopperire a quel breve, ma dolce dolore.
“Fa
presto lui a parlare…” Berciò tra sé e sé buttando la testa all’indietro “…e
intanto si incassa i bei soldoni…” Ingurgitò dell’altro gin cercando di trovare
un’altra soluzione, questa volta più pulita rispetto a quella di svuotare i
bidoni nelle fogne rischiando di avvelenare i parigini.
Volse
nuovamente lo sguardo fuori dalla vetrata e quando un altro fulmine squarciò il
cielo vide una figura nera che lo stava osservando nel tetto difronte.
Indietreggiò
per lo spavento riconoscendo quella figura inquietante: Chat Noir.
Poi,
quando fece per assicurarsi che fosse ancora lì, il super eroe era sparito.
“Sarà
stata solo la mia impressione” Tirò un sospiro di sollievo staccandosi dalla
bottiglia che lanciò nel primo cestino libero.
*
“Dici
che ti ha visto?” Chiese sussurrando la nuova portatrice del miraculous dell’ape mentre assieme a Chat Noir saltellavano
tra i tetti della città.
L’eroe
in nero fece spallucce “Anche se fosse? Non hai sentito che cosa aveva in mente
quel delinquente?”
“Non
puoi esserne sicuro, e poi sarebbe una cosa terribile da fare.”
“Il
capo gli ha detto chiaramente di far sparire quelle scorie” Chat Noir richiamò
la sua farfalla spia sulla punta del dito indice quando rientrò in casa dalla
finestra che aveva lasciato aperta seguita dalla giovane, poi schioccò le dita
facendola sparire per sempre.
“Peccato,
era carina!” Fece spallucce la ragazzina bionda trattenendo uno starnuto.
“Ha
fatto il suo dovere, non abbiamo più bisogno di lei…Plagg,
Duusu, dividetevi” Chat Noir venne avvolto da una
luce verdastra con sfumature bluastre.
“Ritrasformami!”
Ordinò lei prima che la porta si spalancasse furiosamente.
“Dove
siete stati voi due??” Chiese un’iraconda Marinette
ancora con i capelli arruffati ed il segno evidente sulla guancia lasciato dal cuscino
“…non avete visto che ore sono? E TU…” Si rivolse a suo marito con l’indice
alzato “…TI PARE TRASCINARE UNA RAGAZZINA DI QUATTORDICI ANNI CON QUESTO
TEMPACCIO E A QUEST’ORA DELLA NOTTE NELLE TUE SCORRIBANDE, PER GIUNTA AMMALATA???”
Lo avrebbe preso volentieri a schiaffi quel gattaccio.
Adrien
trasalì e deglutì il nulla, era incazzata e questa volta non l’avrebbe passata
liscia.
Gli
occhi di Marinette erano lucidi, ma anche fuori dalle
orbite e presto avrebbero anche sputato frecce avvelenate addosso a lui; doveva
fare qualcosa, per prima cosa: rimanere il più calmo possibile per non
rischiare di litigare proprio davanti a sua figlia.
“Tu
dormivi” Disse con naturalezza sfoderando il suo fascino “…e poi Emma mi ha
detto di stare bene, l’influenza è passata.” Adrien prese un asciugamano dal
bagno personale e ne passò subito dopo uno alla figlia, dovevano asciugarsi
immediatamente, altrimenti rischiavano di beccarsi un malanno entrambi.
Nonostante
fosse primavera inoltrata e la temperatura era salita di qualche grado nelle
belle giornate, c’era sempre l’inconveniente che quando pioveva, l’aria
diventava gelida, costringendo i cittadini a rispolverare i vecchi cappotti
riposti con cura all’interno degli armadi o negli scatoloni per il cambio
stagionale.
“Si,
mamma. Sto bene” Confermò la bionda ragazzina con ovvietà, sentendosi ad un
tratto strana: la vista iniziava ad annebbiarsi e lo stomaco improvvisamente
contorcersi dal dolore e dal senso di nausea.
La
testa iniziò a farle male e le guance avvampare all’improvviso.
Brividi
di freddo le attraversarono il corpo, costringendola a chiudersi di più nell’asciugamano
per non far trasparire il suo malessere.
“Lo
decido io se stai bene, OK???! Vuoi forse finire all’ospedale a causa della tua
patologia?” Non aveva mai visto sua madre così furiosa e allo stesso tempo
preoccupata.
Questa
volta padre e figlia l’avevano combinata grossa, più Adrien, perché era stato
lui ad acconsentire ad Emma di uscire di casa nel buio e nel freddo di quella
notte tempestosa.
“La
tratti come un’appestata!” Convenne Adrien prendendo le difese della biondina
ammiccandole “…se ti ha detto che sta bene, sta bene.”
Marinette digrignò i denti
dalla rabbia ricordando alla perfezione lo spaghetto che entrambi avevano preso
quando solo qualche mese fa Emma era stata ricoverata in ospedale in condizioni
gravi.
Ora,
era reduce da una semplice influenza, ma ampliata dai problemi respiratori di
cui soffriva la giovane, diciamo pure un souvenir che nonna Emilie le aveva
trasmesso, una forma di asma rara e pericolosa se non curata a dovere, ma gli
Agreste potevano contare sempre sulle cure migliori in assoluto, soprattutto grazie
alla generosità di nonno Gabriel, il quale donava spesso denaro al reparto di
terapia intensiva e devolveva anche aiuti alla ricerca sulle malattie
respiratorie rare.
“…ormai
sono giorni che non ha più la febbre e per me può ricominciare la scuola già da
domani.” Continuò il biondo con aria spocchiosa fomentando ancora di più l’ira
della moglie che non la pensava di certo allo stesso identico modo, ma si
fidava anche molto di suo marito e sapeva bene che non avrebbe mai messo in
pericolo sua figlia per niente al mondo, in fondo quella sera sarebbe toccato a
lei pattugliare quella fabbrica, dopo che Gabriel aveva espresso la
preoccupazione del suo amico Arthur su sospetti illeciti compiuti dal suo
braccio destro Didier.
Peccato
che Marinette si era addormentata non appena aveva
toccato il divano del salotto nel tentativo di trascorrere un po' di tempo con
Hugo, il figlio più piccolo, che la seguì a ruota appena aveva appoggiato la
sua testolina nera sul suo petto.
“Forse
hai ragione… sto esagerando.” Mormorò Marinette
avvicinandosi al marito e vedendo che Emma tutto sommato stava bene, ma solo
all’apparenza, perché la ragazzina non vedeva l’ora di ritornarsene nella sua
stanza e sotto le coperte.
“Stai
lavorando sodo in questo periodo, è normale essere stanchi.” Adrien le mise le
mani sulle spalle amorevolmente ed Emma non potè non
pensare che al mondo esistessero genitori migliori di loro due e sorrise mentre
strofinava i capelli dentro l’asciugamano e tremava dal freddo.
“La
sfilata si avvicina e sai bene che acque tirano ai piani alti.” Sospirò
mestamente ricordando tutta la fatica di quel periodo, però aveva un uomo
meraviglioso accanto che sapeva bene come tirarle sempre su il morale e farle
dimenticare per qualche attimo tutti gli impegni lavorativi e non.
Le
bastava un suo tocco per lasciarsi andare completamente a lui.
Adrien
sogghignò, nonostante il suo ufficio si trovasse un po' più in basso, nei
corridoi si percepiva la tensione che scendeva dall’alto.
Vento
freddo,
lo chiamava per scherzo.
Stoffe
del colore e del tessuto errato, gioielli che non arrivano, pizzi sgualciti,
modelle e modelli che si danno malati e quindi da sostituire… per non parlare
di Gabriel Agreste e di come riusciva a trasmettere la sua ansia all’intero
staff.
E
conosceva bene quella sensazione di smarrimento, la testa che vortica e tu
vorresti solo vomitare, proprio come era accaduto ad Emma in quel preciso
momento prima di svenire sul pavimento della camera da letto dei genitori.
*
Continua
*
Angolo
dell’autrice:
Hola Miraculer! Eccovi come
promesso la storia nuova ambientata nel futuro, spero vi piacerà.
In questo mio
scritto vedremo un nuovo cattivo, il quale è stato menzionato all’interno della
seria, ma lo ritroveremo più avanti.
E come di consueto
ringrazio fin da subito chi vorrà intraprendere con me questo viaggio che vi
racconterò.
Un ringraziamento
speciale va a summerlover o persefoneb, la quale dispensa sempre ottimi
consigli.
Un abbraccio, e vi
do appuntamento alla prossima settimana.
Erika