Avviso:
nessuno scopo di lucro, fatti totalmente inventati. Non conosco i
personaggi e non intendo insinuare nulla.
N.B.: anche se non avete letto la
Jimmy/Johnny (anche se vi consiglio di farlo xD) la trama si capisce
benissimo e non ci sono punti misteriosi in cui serve aver letto la
oneshot precedente.
Sorry
For Being So Stupid
Quella mattina mi avviai presto verso casa di Matt, quella stessa sera
avremmo dovuto dare una festa proprio lì, per la prima volta
nella casa di Sign. Ombra, detto
“non-voglio-disastri-in-casa-mia-altrimenti-sono-guai”, che alla fine,
grazie a qualche piccola minaccia da parte del Rev riuscimmo a
costringere a donarci la sua abitazione per una breve festicciola di
una sera.
Un party del tutto innocente.
In quel momento, proprio mentre stavo attraversando il giardino di casa
Sanders,mi ricordai di dover chiamare ancora quel mio amico che mi
forniva la birra, “per il mio speciale Synyster Gates!” diceva quando
mi portava direttamente a casa barilotti pieni e strapieni di buona
birra da far fuori alle feste come quella che avremmo dato da lì
a poco.
Davvero poco, visto che era quasi mezzogiorno. Ehi, presto per me
significa prima delle due del pomeriggio, non contestate.
Insomma, attraversai quel benedetto vialetto del cazzo, e suonai
gentilmente il campanello a lato della porta bianca.
Matt mi aprì con il suo solito sorriso funerario che mostrava
solamente quando noi stavamo per farne una delle nostre. Ohi, ohi.
-Avanti Shads! Vedrai come ci divertiremo! Birra, alcol! Fighe!-
esclamai dandogli una pacca sulla spalla e mettendogli un braccio
poggiato addosso.
Entrammo nel suo soggiorno, zona fondamentale per la festa, spazioso,
con due divani quasi da imperatori, Matt si trattava bene, eccome.
-Brian, siamo entrambi fidanzati…- tentò di ricordarmi
mandandomi occhiate che cercavano di incutermi timore, oramai lo
conoscevo fin troppo bene da non averne più paura, non servirono
a nulla.
-E se incontrassi la donna della tua vita, Shads?- esclamai ridendo e
cercando di strizzargli i coglioni, ma senza risultati in quanto si
allontanò ancora prima che allungassi la mano.
-L’ho già trovata, Bri- mi rispose lapidario.
Voltai gli occhi al cielo, -Sì, Shads lo so, tranquillo- gli
diedi un’altra pacca sulle spalle e ci sedemmo su di un paio di sedie
in cucina, lì gli mostrai le direttive per gli amplificatori e
per i bidoni di birra. Argomenti essenziali per una buona festa.
Poco dopo ci raggiunse anche il Rev, e propose di chiamare altra gente,
perché quelli che avevamo invitato da una settimana sosteneva
non bastassero, inutile dire che Matt scosse la testa disperato, ma non
disse comunque nulla. Oramai era già tutto fatto.
Qualche ora dopo me ne dovetti andare, poiché avevo un
appuntamento con Michelle, voleva farmi vedere qualche nuovo campione
per ridipingere la cucina e ci dovevo essere anche io, assolutamente.
Prima che scegliesse robe imbarazzanti, s’intende. Mi chiese anche chi
ci sarebbe stato quella sera e non potei che accontentarla, facevo
parte degli organizzatori dopotutto.
Io e Michelle andammo alla festa verso le nove di sera, so benissimo
che era fin troppo presto, ma ne approfittai per far si che fosse tutto
al suo posto, alcolici, musica, vari oggetti delicati nascosti per bene
per evitare che Shads desse di matto, e poi lasciai Michelle con Val a
preparare gli stuzzichini che rimanevano.
Intercettai Zacky nel momento in cui varcò la soglia di casa e
lo tirai via con me su per le scale, verso la zona notte. Lo spinsi in
una stanza e ci chiusi a chiave all’interno entrambi. Fui subito
lì per lì per fiondarmi su di lui, ma notai che c’era
qualcosa che non andava. Lo osservai, aveva uno sguardo leggermente
perso, ma non ingenuo, no, sembrava pensare ad altro, qualcosa che lo
turbava.
Mi avvicinai a lui e gli presi i fianchi fra le mie mani, seguitava a
non guardarmi in faccia, fissava le scarpe.
-Zack?- lo chiamai cercando di ridestarlo, ma lui, testardo peggio di
un mulo evitava costantemente i miei occhi.
Mi abbassai leggermente, non avevamo questa grande differenza di
altezza, e lo guardai dal basso sorridendogli lievemente, cercando di
non turbarlo eccessivamente come al mio solito. Lo sapevo, non ero un
gran che come amante, ma a lui ci tenevo tanto.
-Ehi…- sussurrai, cercando di esser dolce, mentre avvicinavo le mie
labbra alle sue, poggiandole cautamente, per far si che rispondesse.
-Cosa c’è?- gli chiesi, in un attimo in cui mi parve rispondesse
ai miei baci a stampo.
-Hai portato anche Michelle?- mi chiese con tono serio, freddo,
talmente tanto da farmi staccare per un attimo dalle sue labbra carnose
e guardarlo in faccia.
-Avevi detto che- m’interruppe.
-So che cosa avevo detto, ma me lo sono rimangiato. Non permetti che io
abbia altri partner e invece tu ti scopi tranquillamente quella troia?-
scoppiò d’un botto, facendomi spaventare. Come poteva aver
tenuto dentro di sé questo fino a adesso? Mi dispiaceva, e
sentii il mio sorriso spegnersi gradualmente. Non… aveva detto che per
lui andava bene…!?
-Non chiamarla così…-
Errore. Avrei dovuto stare zitto, darmi del coglione, e invece avevo
aperto la mia bocca del cazzo, dicendo le uniche cose che potevo
formulare: cazzate.
Fu come sentire il cuore di Zack spezzarsi, ne sentii distintamente il
crack e vidi la sua espressione colmarsi di dispiacere. Non pianse,
dopotutto era un uomo, e certe cose non le faceva, ma potei sentire
bene anche le lacrime che avrebbe voluto scendessero dai suoi occhi.
In quel momento sembrò così distante da me che feci un
passo per diminuire le distanze, in senso concreto, ma non
cambiò nulla. L’espressione che aveva sul viso non ammetteva
repliche.
Lo avevo ferito, gli avevo fatto del male, cose che mi ero giurato mai
di fare.
-Non contare ancora su di me la prossima volta che litighi con la tua
ragazza- mormorò repentino prima di girare la chiave ed uscire,
lasciandomi solo.
Tutta l’euforia che avevo se n’era andata, troppo velocemente. Faceva
troppo male, ed era un coglione a non avergli chiesto ancora scusa.
Quella vicenda ebbe come risultato una serata in cui mi ubriacai come
un pazzo, di fronte ai suoi occhi, già, era seduto a fianco di
Johnny, e talvolta gli parlava, e mi fissava. Posso ricordarmi il suo
sguardo come un laser, mentre sulle mie gambe Michelle finiva il suo
cocktail e io la baciavo, preso dalla sbronza.
Quando riuscii a reggermi in piedi mi voltai nuovamente su quel divano,
ma loro due non c’erano più. Mi chiesi se voleva vendicarsi, ma
in quel momento tutto quel che feci fu ridere come uno scemo, fare gare
di rutti come al mio solito e bere, bere, bere.
Ad un certo punto Michelle mi disse che voleva tornarsene a casa, non
la riaccompagnai, lei mi consigliò vivamente di stare seduto su
di un divano, ad aspettare di riuscire a vedere non sdoppiato e a
reggermi da solo in piedi. Diceva che se la sarebbe cavata meglio senza
di me con la macchina.
L’indomani mattina mi ritrovai addormentato sempre sul pavimento, in
una posizione che più scomode non ne esistono, la bava alla
bocca e della birra fra i capelli -che schifo-.
Mi alzai e dopo essermi fatto una doccia e svegliatomi, aiutai il Rev a
mandare via tutta la gente che si era addormentata in casa di Shads,
che poi svegliammo. Pulimmo il giusto necessario, risparmiandoci di
lavare il pavimento e altre schifezze troppo da donne, poi ci
insediammo nella bella cucina dal pavimento che puzzava di mojito.
Shads fece il caffè, preparandolo anche per Johnny e Zack, che
dormivano ancora chissà dove.
Mi sedetti su di uno sgabello e aspettammo che arrivasse il pomeriggio,
ascoltando le canzoni pop che metteva su Matt, cose disgustose specie
la mattina dopo una sbornia.
Johnny si fece vivo verso le undici, con la faccia assonnata e i
capelli tutti disordinati. Quel ragazzo era proprio un bambino quando
faceva le nottate alle feste, troppo tonto al mattino. Sorrisi quando
lo vidi entrare in cucina, e dirigersi verso la prima tazza di
caffè disponibile o aspirina.
-Zacky non si è ancora svegliato?- chiese al posto mio Matt,
voltandosi verso il bassista, che scosse la testa.
Scattai immediatamente, dovevo risolvere una faccenda importante, e
ghignando esclamai che gli sarei andato a fare il solletico,
così saettai su per le scale, seguito dalle note di una canzone
di Kid Rock. Feci fino all’ultimo scalino in punta di piedi, e aprii
ogni stanza mi trovavo di fronte, per vedere se contenesse Zack. Lo
trovai alla fine, in una stanza con un letto matrimoniale, lui, girato
a pancia in giù con il viso voltato verso la finestra e le
lenzuola bianche che lo coprivano per buona parte del corpo.
Appena chiusi la porta lo sentii mugugnare qualche parola
incomprensibile così cercai di fare più silenzio
possibile.
Mi sdraiai a fianco a lui, facendo cigolare non poco il materasso,
tanto che lui si voltò verso di me, ma ancora assopito, per mia
fortuna.
Avevo il suo viso a pochi centimetri al mio, e il suo respiro mi
sfiorava la pelle. Era come il paradiso, stare con Michelle non aveva
lo stesso effetto, Zack… Zack aveva qualcos’altro, qualcosa di speciale.
Si mosse appena avvicinandosi ulteriormente a me, e mugugnò
ancora delle cose, come un bambino durante un sogno. Gli carezzai i
capelli, lentamente, senza svegliarlo, e lo sentii quasi fare le fusa.
Allungò le mani verso il mio busto e in uno strano tentativo di
abbracciarmi mi si attaccò contro. Sorrisi, per non dire che
ridacchiai per la sua tenerezza disarmante, anche se sapeva essere
acido e quando s’incazzava lo faceva sul serio, aveva questo lato dolce
come lo zucchero filato di cui io non potevo non essere attratto.
Restai lì immobile ad accarezzagli i capelli lisci per qualche
minuto, non so precisamente quanto, non avevo la cognizione del tempo,
ma ero certo che fosse una delle cose più piacevoli.
Ad un certo punto si mosse eccessivamente, e una parola fra quei versi
mugugnati fino a quel momento risuonò nelle mie orecchie.
-Brian-
Lo osservai, con il cuore che batteva più velocemente,
distendere il viso e rilassarsi, una volta avvicinatosi ancora a me.
Mi presi la libertà di stringerlo, mi mancava tanto, e anche se
approfittavo sempre quando si addormentava alle feste per poter stare
con lui, non era la stessa cosa. Oramai, non voleva essere l’amante, e
il fatto di continuare a vedermi non lo faceva sentire in pace con se
stesso. Voleva l’esclusiva ed aveva anche ragione, non era giusto come
lo stavo trattando. Era troppo facile per me e troppo complicato per
lui. Ero solamente un codardo senza palle. Avrei dovuto garantirgli la
felicità e invece che facevo? Lo facevo arrabbiare sempre, con
le mie parole senza senso che lo offendevano.
Avvicinai le labbra alle sue stampandogli un bacio vellutato, leggero,
come piacevano a lui.
Da quant’era che non ci baciavamo sul serio? Molto.
E anche se io continuavo, mi scusavo, cercavo di tenermelo, non serviva
proprio a nulla, tanto ne combinavo una dietro l’altra e Zack non era
mai felice.
Gli lasciai accanto al cuscino il mio solito biglietto di scuse, che la
maggior parte delle volte aveva successo -anche se ultimamente stavano
diminuendo e non mi perdonava più come prima. Lo pregavo di
scusarmi, che sì, ero senza speranze, ma che lo amavo davvero, e
che a dimostrarlo ne ero capace, solo che non avevo le palle per farlo.
Gli scrissi che se avrebbe rinunciato a noi, io avrei tentato in ogni
modo di ricominciare da capo, ma sempre insieme. E che non lo volevo
con nessun altro, sapevo di essere egoista, ma era Zack, il mio Zack.
Scesi di nuovo giù per le scale, con uno sguardo afflitto,
sembravo un uomo in carriera che torna dal lavoro e non ha una moglie
con cui rilassarsi, un perdente. Quello sarei diventato di lì a
poco, ecco.
Mi passai una mano sul viso, cercando di ridestarmi dalla stanchezza e
raggiunsi gli altri in soggiorno dicendo che dovevo assolutamente
tornare a casa, perché Michelle mi aveva ordinato per telefono
di esser lì entro dieci minuti, altrimenti morte sicura. Tra le
risate e gli sfottò mi salutarono, e ci demmo appuntamento per
la sera stessa, un’altra festa.
Una volta sulla mia BMW* ingranai la marcia e raggiunsi casa mia il
più velocemente possibile. Non avrei potuto restare a casa di
Shads un secondo in più, di lì a poco Zack sarebbe sceso
dalle scale, stropicciandosi gli occhi, ignaro dei miei furtivi metodi
per stare assieme a lui, e io… Non sarei resistito. Non potevo
sopportare la vista di un essere così assolutamente perfetto
-perfetto per me?- con i vestiti stropicciati, i capelli arruffati e
quell’espressione disorientata che ha sempre quando si sveglia.
No, assolutamente, dovevo fuggire.
Raggiunsi casa mia nello stato di devasto più totale, ormai non
sapevo più dove sbattere la testa, e in preda al disaccordo
contro me stesso -ora vado da Zack e lo bacio davanti a tutti/No!
Cazzo, non ne ho le palle!- scaraventai il primo pallone che prese
posto fra i miei piedi e il risultato fu che beccai il lampadario che
Michelle aveva affisso in corridoio, quello che era un regalo dei suoi
-quei pidocchiosi.
Fu come assistere all’esplosione di una bomba atomica, o dei fuochi
d’artificio, il rumore dell’oggetto rovinato a terra mi arrivò
alle orecchie dopo, lasciandomi alcuni secondi per immobilizzarmi.
Realizzai solo dopo pochi minuti che alcuni pezzi di vetro mi erano
arrivati persino in viso e sulla testa. Passai una mano fra i capelli e
lasciai che i piccoli residui di vetro colorato cadessero e rimanessero
sul tappeto scuro.
Quasi mezz’ora dopo stavo sinceramente sclerando, Michelle ogni volta
che combinavo qualche disastro iniziava a farmi una di quelle prediche
che tirano fuori i parenti, i morti e i santi. Non potevo sopportarla
sgridarmi un’altra volta, ogni occasione era buona e questa volta me
l’ero proprio cercata.
Pensai a chiamare il Rev, magari mi avrebbe accompagnato, trovai il
cellulare spento, così pensai a Matt, ma era impegnato a casa
sua, e se gli avessi chiesto pure quello mi avrebbe mandato a quel
paese senza tante cerimonie. L’unico era Johnny.
Mi abbassai talmente tanto a pregarlo, mentre andavo in cantina a
cercare qualche sorta di scopa e paletta per tirare su quei vetri in
corridoio. Uscii di casa e me lo trovai di fronte, con un’espressione
dubbiosa sul viso, come a dire che cazzata avevo fatto questa volta.
Con il sacco della spazzatura in mano mi diressi verso la mia auto
davanti a casa e lo misi nel bagagliaio.
-Che cosa hai combinato questa volta? Hai ammazzato un gatto?-
Tornammo a casa dopo aver passato in rassegna ben due negozi di
lampadari e compagnia che fa luce, nessuno, nemmeno uno era simile. Mi
depresse talmente tanto che mentre mi vergognavo dell’ultima mia azione
intelligente lasciai che Johnny se ne tornasse a casa. Entrai
sconsolato e chiusi la porta appoggiandomici contro.
-Brian! Dov’eri?- ed ecco che spuntò la mia dolce Michelle dalla
porta della cucina, con uno sguardo interessato. Lo sapeva?
Ingoiai la saliva e mi preparai al peggio, socchiudendo gli occhi e
guardando in basso come un cane bastonato, in fondo dovevo consolarmi,
era meglio che scoprisse che avevo distrutto quel lampadario di lusso
che averla tradita con il mio secondo chitarrista.
Oddio, me ne vergognai talmente tanto di questi ultimi pensieri che
quasi avrei voluto urlarglielo. Come potevo essere così meschino?
Ripensai a Zacky, al suo odore, così penetrante e che mi drogava
ogni volta che lo potevo inalare. Pensai alle piccole goccioline di
sudore che attraversavano il suo viso dopo aver passato con me la
notte, e quel sorriso stanco, ma appagato… e felice.
Mi conficcai le unghie nei palmi delle mani e mi morsi l’interno
guancia. -Michelle… devo dirti una cosa…- mormorai, guardando basso.
-Ho rotto il lampadario dei tuoi…-
Arrivammo alla festa che era piuttosto tardi, e ci sistemammo al centro
della sala, Michelle sulle mie gambe e i miei amici attorno a me. Mi
divertii, come in ogni festa, e cercai forzatamente di non incontrare
lo sguardo di Zacky, bensì sapessi perfettamente che mi fissava
tremendamente male. E mi dispiaceva.
-Vado a pisciare fra i cespugli!- urlai mentre gli altri mi ridevano
addosso, feci scendere Michelle dalle mie ginocchia e m’incamminai
traballante verso il bagno al pian terreno, scelta adeguata per il mio
stato d’allora, non sarei riuscito ad uscire per raggiungere i
cespugli, e il bagno al primo piano era un’utopia. Sbattei fortemente
la porta, tanto che potei sentire dei piccoli granellini scendere
dall’intonaco e finire a terra. Risi asciugandomi la bocca, e andai
verso il cesso, aprendo la cerniera dei jeans.
Non tirai l’acqua, non era il mio primo pensiero in quel momento. D’un
tratto volevo Zack.
Volevo baciarlo, volevo mangiargli quelle labbra troppo carnose,
dannatamente troppo carnose. Volevo spogliarlo, strappandogli via i
vestiti, facendogli male mentre con forza gli tiravo giù i jeans
stretti. Aprirgli le gambe ed insinuarmi fra di esse, accarezzargli
l’interno coscia, sentirlo gemere per me. Chiamare il mio nome.
Socchiusi gli occhi dal piacere che provai in quel momento, anche se
era del tutto represso. La mia mano quasi inconsciamente e di
volontà sua scese lungo il mio cavallo dei pantaloni, ma per
fortuna non iniziai a fare quello che ormai facevo ogni sera pensando a
lui; uscii dal bagno inferocito come un toro.
Strinsi per le spalle uno sconosciuto e gli urlai in faccia se sapeva
dov’era Zack, dovevo essere piuttosto ubriaco, perché dovetti
ripetere più scandito, avevo una cadenza troppo biascicata e non
aveva afferrato nemmeno il senso della domanda.
-Vengeance? Boh, prima l’ho visto uscire da lì- indicò
sgraziatamente la porta d’ingresso ed ebbi un tuffo al cuore. Se n’era
andato?
Mollai il colletto di quel coglione e velocemente affrettando il passo
mi diressi in quel punto che mi aveva indicato, spalancando la porta ed
uscendo nel buio.
Potevo distinguere le varie forme dei cespugli del cortile, il chiaro
vialetto di ciottoli, e in lontananza i fari delle auto che
percorrevano la strada di fronte alla villa.
Avevo il fiatone, forse per l’ansia che provavo in quel momento. Non so
bene per quale motivo, ma andai verso il lato sinistro della casa,
forse un presentimento. Fatto sta che lo trovai, e in quel momento
avrei voluto solamente piangere dalla felicità. Era ancora
lì.
Scorsi la piccola luce rossa della sigaretta, e un lato del suo viso
illuminato da un lampione, era seduto su di una sedia di metallo,
quelle bianche da giardino.
-Ti amo-
Si voltò di scatto verso di me, con un’espressione che mi fece
quasi preoccupare, era sconvolto. Sorrisi, colpa dell’alcol, e feci
qualche passo nella sua direzione. Si teneva ad un bracciolo della
sedia con una mano, l’altra tratteneva fra le dita la sigaretta
appena iniziata. Era troppo sconvolto per alzarsi e allontanarsi
da me, così che si fece prendere in contropiede e abbracciare da
me. Circondai il suo collo con le mie braccia tatuate, e affondai il
viso fra quell’intreccio.
-Non respiro senza di te-
Evidentemente la teoria che l’alcol rende più loquaci era stata
appurata dal sottoscritto in quell’istante. Abbracciare il mio Zacky
pietrificato era come essere in paradiso per qualche minuto e sentire
il suo respiro, in quell’attimo di pace e silenzio fu un toccasana.
Feci scorrere una mano su per il suo collo, e la portai fin su alla
tempia, poi accarezzai i suoi capelli corti e lisci e sentii una
sensazione umida lungo il polso, ancora poggiato sulla sua guancia.
Scattando cercai quelle piccole gocce salate e ci passai le dita al di
sopra, asciugandole.
-Zack… Zack, non piangere ti prego- mormorai con voce quasi rotta, non
potevo realizzare quell’istante. La prima volta che Zack di fronte a me
avesse mai fatto scivolare una lacrima lungo le sue guance. Mi scosse,
talmente tanto da terrorizzarmi.
Alzai il viso indispettito, e lo baciai sull’altra guancia, asciugando
le altre lacrime che non smettevano di scendere dai suoi bellissimi
occhi chiari. La sensazione di poggiare le mie labbra sulla sua pelle
mi scaldò, era come se fosse tornato tutto come all’inizio,
quando provavamo per le prime volte ad amarci, a spendere le notti
insieme, a fissarci con gli occhi liquidi di lussuria.
Mi staccai velocemente da lui e fece il giro della sedia su cui era
seduto, mettendomi di fronte a lui in ginocchio. Portai i palmi delle
mani attorno al suo viso, e vidi il riflesso del lampione insinuarsi
nei suoi occhi, in quel momento mi sembravano quasi eterei.
Si mordeva le labbra, e le sopracciglia erano quasi tremolanti. Voleva
evitare di piangere ancora, ma gli occhi non la smettevano di
lacrimare. Gli cadde la sigaretta dalle dita mentre mi alzai di poco e
mi sporsi verso di lui per circondargli la vita e stringerlo a me.
-Zack, ti amo- sussurrai contro il suo collo mentre lui si aggrappava a
me con forza, quasi a strapparmi la stoffa della maglia. Un singhiozzo
lo scosse, mi fece venire i brividi. Nascose il viso nell’incavo del
mio collo e la sensazione del suo viso bagnato contro la mia spalla mi
fece immensamente rabbrividire nuovamente. Potevo sentire le sue labbra
contro la mia pelle.
Non disse nulla, rimase in silenzio, o almeno non lo spinsi a
rivolgermi la parola, mi bastava che mi stringesse a sé, mi
bastava il suo respiro, era come mille parole. Rimanemmo lì per
un tempo indeterminato, interrotto da alcuni baci che ci scambiavamo
malinconici e in astinenza, e accompagnato dai nostri respiri in
simbiosi costantemente.
Si inginocchiò sulla terra, ci sporcammo i pantaloni, ma
restammo lì, lui in ginocchio, accucciato fra le mie braccia, e
io con le gambe divaricate, in modo da abbracciarlo al meglio. Il vento
mi gelava la schiena, e la rugiada della notte mi faceva diventare
umidi i pantaloni, ma l’importante era averlo lì, poggiato a me,
col respiro finalmente calmo e le labbra rosse per i baci e il pianto.
Mi svegliai quando un inizio d’alba s’intravedeva all’orizzonte, avevo
una nausea pazzesca, e la testa mi girava anche fin troppo. Una cosa
strana, perché solitamente al mattino riuscivo a reggere
perfettamente la sbornia e la smaltivo con qualche minuto di calma
appena sveglio. Ero quello famoso per essere pimpante già dal
mattino. Starnutii, e mi alzai, notando che in mezzo all’erba ero
rimasto solamente io, Zack non c’era. Cercai la sigaretta che gli era
caduta dalla sedia, ma non ce n’erano. Spalancai gli occhi.
Forse era la sbornia, e avevo avuto un allucinazione, ora sarei
rientrato in quella casa e lui mi avrebbe guardato con astio, come la
sera precedente. Sospirai, con la fortuna che avevo doveva essere
così.
Tuttavia quando una volta raggiunta la sala della villa trovai Zacky
seduto sul divano ad allacciarsi le scarpe non potei fare a meno di
sorridere, ricordandomi di quello che l’allucinazione mi aveva fatto
passare.
Scossi la testa e mormorai il suo nome involontariamente. Si volse
verso di me, e in quell’attimo venni a conoscenza di aver sbagliato. Il
suo sguardo non era di astio, no. Era vuoto, indifferente.
Lo guardai ipnotizzato e confuso dalla sua reazione.
Si ricordava? Era successo quindi?
-Ieri…- mormorai, ancora.
Lui sbattè gli occhi, -Non intendo parlarne, eri ubriaco-.
-Zack! Ero lucido!! Mi ricordo…- la mia voce si spense sotto la sua
occhiata che non ammetteva repliche. Cosa gli era successo?
-Zacky, ti prego… Cos’è successo?-
Mi guardò come se fossi fuori di testa o appena scappato da un
manicomio.
-Io… io, non ci credo più- abbassò lo sguardo verso le
sue scarpe -Brian, il tuo comportamento di ieri sera è stato
influenzato dall’alcol, non saresti capace di ripetere le stesse cose
in questo momento. Quindi non ha senso…- l’ultima frase fu per un
miracolo che riuscii a sentirla, e me ne rimpiansi.
Mi guardò, aspettando che dicessi qualcosa.
-Brian dimmi, le sapresti ripetere?- il suo sguardo era ferito, potevo
vedere nei suoi occhi l’indecisione di continuare a soffrire per colpa
mia oppure di dimenticarmi. Era quindi arrivato quel momento?
Quel momento in cui lui avrebbe deciso se darmi altre
possibilità? Quel momento che avevo cercato di ritardare il
più possibile, ma che con il mio comportamento non era arrivato
tanto tardi.
La mia bocca non riuscì ad emettere nessun suono, lo stavo
perdendo, ma nonostante questo l’imbecillità del mio cervello
non mi permetteva di rimediare ancora una volta.
Forse aveva ragione lui, non ero al suo livello, non avrei potuto
renderlo felice, lo facevo soffrire solamente, e non ne poteva
più.
Mi guardò, ancora una volta, e mi ricordò il momento in
cui lo vidi per la prima volta piangere. Sembrava stesse per rifarlo.
Oh, ero l’unico ad averlo mai fatto piangere. Avrei dovuto sparire
dalla sua esistenza.
-Come pensavo-
Furono le sue ultime parole rivolte a Brian, la nostra relazione
-qualsiasi tipo di relazione era- finì in quell’istante. E se
qualcuno provasse mai a chiedermi qual è stato il mio più
grande sbaglio nella vita, risponderei questo. Ma non serve a nulla
disperarsi, avrei dovuto urlargli che lo amavo, di fronte a Matt, il
Rev e Johnny, ma forse… forse non lo amavo abbastanza.
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Note:
*[ BMW ]: ho trovato tempo fa
una foto che ritrae Syn e Zack che salgono su di una BMW nera, Brian
dalla parte del guidatore credo ne sia il proprietario, se non fosse
così, scusatemi tanto xD.
Sweetcurry’s Time!
Care, mi son messa a scrivere lo spin off mentre ero ancora in
Sardegna, e non avevo nulla da fare, l’ho continuato oggi, proprio
perché la nostra dolce Lilla partirà per lo stage il 7 e
mi ha pregata di postare quest’indecenza prima della sua partenza xD. E
ho mantenuto la promessa (wow, strano! XD), quindi gliela dedico <3.
Per quanto riguarda la ff, mi scuso con tutte le fans della Synacky, ma
un happy end non riuscivo a farlo, la mia intenzione già prima
di mettere giù la JJ, era di mettere un finale triste, quindi mi
sono impegnata per non cambiare il mio obbiettivo.
Per il resto, beh, riconosco che l’ultima parte è un po’ meno
particolareggiata che le precedenti, ma sapete a fare ‘ste scene io
soffro xD. Per quanto riguarda il POV, beh, non avrei potuto scegliere
Zacky, non avrei avuto una visuale del tutto integra, e poi
diciamocelo, una volta si scrive del corteggiato (Johnny) e l’altra
volta del corteggiatore (Bri) xDD teoria completamente insensata.
Spero che nonostante la malinconia vi sia piaciuta, mi aspetto le
vostre recensioni, numerose come la scorsa volta. Mi rendete sempre
felice ragazze, grazie.
Baci baci,
Curry
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