Dopo mesi e mesi che non scrivevo niente alla fine
sono riuscita a mettere per scritto il mio video ideale per la canzone
"The Poet And The Pendulum" dei miei adorati Nightwish *___* capita
quando uno ascolta a ripetizione la solita canzone XD
Non so se sia corretto in questo caso mettere l'avviso song-fic,
casomai ditemelo che lo levo subito ^-^
Ah, se ancora non l'aveste capito ecco la soundtrack perfetta per
leggere questa one-shot =)
The Poet And The Pendulum - Nightwish - Dark Passion Play
Il poeta si stava rigirando nel sonno, ancora una volta
quell’incubo, quel solito e incomprensibile incubo, lo
tormentava. Schizzi di sangue, volti umani resi irriconoscibili da
squarci di lama, indicibili sofferenze, urla; ogni notte il medesimo
copione.
Il poeta sudava freddo, in qualche modo era consapevole del fatto che
quell’orribile sogno era strettamente legato a lui e al suo
passato ma non era in grado di darsi una spiegazione logica.
L’uomo si alzò di scatto dal letto, il brusco
risveglio che seguiva la notte era diventata un’abitudine per
lui, lentamente si tolse le lenzuola di dosso e si alzò in
piedi, si fece una toeletta veloce e si mise al suo scrittoio, in
attesa che la dolce musa della poesia facesse lui visita. Il poeta
scriveva e scriveva, versi su versi, strofe su strofe ma niente gli era
di suo gradimento; scriveva di getto, poi si soffermava a leggere cosa
aveva partorito la sua mente e puntualmente accartocciava il foglio
gettandolo da una parte della stanza, insieme alle tante sue creazioni
rinnegate.
Viveva solo in una villa immensa e immersa nel verde dei boschi,
c’erano molte stanze ma l’uomo era solito usarne
due o tre, si spostava dal suo rifugio personale solo per lo stretto
indispensabile, la villa era troppo lugubre e spaventosa per lui;
polvere e ragnatele ovunque, l’oscurità regnava
sovrana in quei lunghi corridoi e nelle stanze disabitate. Non si era
mai chiesto che cosa ci facesse lì, per quel che ne sapeva
lui era sempre vissuto in quella grande casa e solo in quel luogo era
sicuro di poter ritrovare la memoria perduta.
Non sapeva chi fosse. Una sera si era risvegliato in quella stanza,
sperduto e impaurito come un pulcino caduto dal nido, c’era
silenzio, una tranquillità inquietante; a fargli compagnia
solo il ritmico battito di un pendolo appoggiato alla parte di fronte
il letto. Era un orologio molto particolare, non segnava le ore e i
minuti; il quadrante era tutto bianco e dove avrebbe dovuto troneggiare
il numero dodici c’era una linea rossa, forse punto
d’arrivo di un’unica lancetta.
Stanco ed esausto il poeta si allontanò dal suo scrittoio
per recarsi nella piccola cappella di proprietà della villa,
appena fuori la casa e unita ad essa tramite un breve sentiero che
passava attraverso quello che un tempo doveva essere un magnifico
giardino.
Si inginocchiò davanti all’altare e mirando la
croce intrecciò le dita delle mani sulla sua fronte,
abbassò lo sguardo e pregò, pregò che
i suoi incubi potessero avere fine un giorno, pregò di poter
ritrovare la sua identità perduta.
Due occhi candidi lo osservavano giorno e notte senza che lui se ne
accorgesse, occhi pieni di tristezza di chi sa e non può
fare niente, due occhi di anima in pena che ancora non può
raggiungere il paradiso; occhi di fantasma.
Il poeta ritornò nella sua camera il più
velocemente possibile, non amava camminare per quei corridoi, aveva
quasi sempre la netta sensazione di essere osservato; più
volte si era voltato di scatto ed aveva intravisto come un pezzo di
stoffa ondeggiare poco distante dalla sua persona. Non si sentiva al
sicuro in quella villa, a volte percepiva lo strascichio di un mantello,
altre volte il passo leggero di una persona; le prime volte faceva una
ricognizione veloce di tutte le stanze e di tutti i passaggi ma
c’era un punto oltre il quale non osava procedere. Era un
andito più oscuro di tutti gli altri e un’odore
sgradevole di sangue permeava le sue pareti, a circa un quarto
dall’inizio c’era una grande tenda malandata che
divideva le due parti, l’uomo non aveva mai trovato il
coraggio di scostare il tendaggio e vedere che cosa si celasse dietro.
L’inconsistente presenza era al suo fianco, avvolta in un
mantello nero come la notte, ancora non poteva lasciare il regno
terreno ed era costretta a rimanere prigioniera di quel luogo; il volto
femminile dello spirito si voltò verso il poeta e lo
guardò con occhi colmi di disperazione, lei lo conosceva, lo
conosceva bene e sapeva che quella condizione era una tortura per
entrambi, non poteva agire liberamente ma poteva fare qualcosa molto
importante, poteva guidarlo verso la giusta via.
L’uomo era intento a scrivere un qualcosa più
simile ad un necrologio che ad una poesia quando sentì un
fruscio alle sue spalle, si volse immediatamente ma non vide nulla, in
quella stanza c’erano solo lui e il pendolo misterioso, che
non segnava il trascorrere del tempo terreno. Si convinse che si
trattava solo della sua immaginazione, quelle scritte funeree lo
avevano condizionato molto.
Ancora un fruscio, un lamento; il poeta si alzò di scatto
facendo cadere la sedia su cui era seduto, non poteva essere la sua
fantasia, quella cosa era reale come lui, non seppe perché
ma il suo sguardo era indirizzato all’orologio, a quello
strano pendolo la cui lancetta ormai era vicina alla linea rossa, si
avvicinò per osservarlo meglio e quello che vide lo fece
sobbalzare e indietreggiare di un passo: il volto di una donna che
piangeva lacrime di sangue era specchiato sul quadrante del pendolo.
Doveva uscire da quella stanza, ormai non era al sicuro nemmeno
lì.
Prese un passaggio a caso, guidato, forse, dal suono di alcuni passi
che sentiva davanti a lui, c’era una presenza in quella villa
e per un attimo il poeta pensò che dovesse essere la chiave
di tutto, convincersene fu un attimo e con passo stavolta spedito si
diresse verso il corridoio oscuro. Si bloccò per un secondo
di fronte alla tenda color cremisi, strappata in più punti.
Era impossibile che il vento che fischiava fuori
dall’edificio entrasse dentro eppure qualcosa di molto simile
fece scostare la tenda rivelando al poeta i suoi più oscuri
segreti.
L’uomo deglutì di fronte a quello che gli si
presentava agli occhi, corpi in avanzato stato di decomposizione
giacevano scomposti per terra, le pareti sembravano dipinte con il
sangue rappreso dei poveretti e una gelida atmosfera opprimeva quel
posto.
Il poeta proseguì evitando i cadaveri pieni di insetti e
parassiti, cercava di contenere i conati di vomito ma non riusciva a
trattenersi per più di qualche minuto, la morte lo
circondava.
Si fermò in prossimità dell’ultima
stanza del corridoio, la porta era divelta e mezza aperta, il fantasma
della donna era entrato dentro e anche se lui non poteva vederla lei
gli indicò ugualmente il letto addossato alla parete
perpendicolare alla porta d’ingresso.
Il poeta entrò con cautela, cercando di non spostare niente;
c’era qualcosa di molto familiare in quella camera, dolci
sensazioni riaffiorarono dentro di lui prima di morire alla vista di
ciò che era steso sul letto.
Una donna dai lunghi capelli e un bambino appena nato al suo fianco.
L’uomo urlò dal terrore, iniziava a ricordare, si
addossò alla parte opposta tenendosi la testa nelle mani.
Ora sapeva chi era e che cosa era successo in quella villa tempo
addietro.
La villa è in festa, presto la moglie del poeta
partorirà il bambino che porta in grembo, tutti i pochi
servitori sono radunati lungo il corridoio dove la donna
darà alla luce suo figlio. Il poeta è nella sua
stanza, è nervoso; è giovane e non sa se
sarà all’altezza del compito che la nascita di suo
figlio comporterà, sa solo che ama profondamente sua moglie
e che insieme a lei farà del suo meglio per crescere il loro
erede.
Sta componendo un sonetto in onore della moglie e del figlio, vuole
leggerglielo quando il bimbo sarà nato; l’aiutante
della levatrice lo chiama a gran voce e gli annuncia che il momento
è finalmente giunto.
Preso dall’euforia il poeta si alza di scatto e quasi corre
verso la stanza adibita al parto, non trova nessuno lungo il suo
cammino, tutti sono in attesa di fronte alla porta.
Arrivato trova la porta chiusa, sente le grida della moglie e vorrebbe
entrare per prendere la sua mano e confortarla, esserle vicino. La
governante gli suggerisce di rimanere fuori, la levatrice ha annunciato
che sarà un parto difficile e non vuole seccature esterne.
Il poeta è preoccupato, fa avanti e indietro per tutto
l’andito, i servitori si scostano al suo passaggio, cercano
di tranquillizzarlo ma il terrore è sempre più
radicato nell’animo dell’uomo.
Da un po’ non si sentono più le urla della donna,
forse il parto è andato a buon fine ma non si sentono i
vagiti del neonato, la porta della stanza si apre e la levatrice ne
esce con uno sguardo tetro e oscuro, il poeta comprende ma non vuole
accettare; entra per vedere con i suoi occhi, nel grande letto la sua
donna giace immobile, accanto a lei è stato deposto il
corpicino del bambino morto. Il poeta fissa il vuoto davanti a
sé, ora è solo, sua moglie non è
più insieme a lui e il loro figlio ha preferito seguire la
madre verso il regno dei morti.
L’uomo grida più forte che può ma
ciò non potrà ridargli indietro i suoi cari, si
accascia sulle ginocchia e piange disperato, non vuole accettare.
La levatrice è dietro di lui e gli pone una mano sulla
spalla, dice che le dispiace infinitamente e che ha fatto il possibile
per salvare almeno il bambino ma il poeta non l’ascolta, ha
un solo pensiero in mente in quel momento: versare sangue per riavere
la moglie e il bambino indietro.
Con pacata lentezza si alza e si avvicina al tavolo dove è
appoggiato un lungo tagliacarte, la levatrice pensa al peggio e gli si
avvicina per bloccarlo, non permetterà che il suo padrone si
ammazzi. Il poeta sente lo strattone della donna, il suo volto si
tramuta in una maschera di ferocia e con un colpo ben assestato
colpisce la levatrice al braccio.
La donna scappa, esce dalla camera ma il poeta è
più veloce e le si avventa alla schiena ferendola
più e più volte finché la morte non
sopraggiunge. I servitori fuggono ma non serve a niente, il poeta li
accoltella uno dopo l’altro senza che loro abbiano il tempo
di salvarsi, la furia dell’uomo è devastante, non
ha pietà per coloro con cui ha diviso parte della sua
esistenza.
E mentre uccide l’ultimo degli uomini vede un piccolo
orologio cadere dalla giacca insanguinata, la lancetta è
esattamente sopra una piccola linea rossa.
Il poeta cade in ginocchio, la lama gli cade dalla mano, è
confuso, non sa cosa gli sia preso, è fuori di
sé; con le ultime forze prende una grande tenda e
l’appende in modo da coprire l’orrore che egli
stesso ha creato e barcolla fino al suo studio. Quando riapre gli occhi
non sa chi sia ne dove si trovi.
Il poeta cadde rovinosamente a terra, ora rammentava ogni minimo
particolare di quell’orrenda uccisione di massa, era
disgustato da se stesso, non poteva tollerare ancora la vista di
quell’eccidio. Lo spirito era ancora al suo fianco ma non si
mosse quando l’uomo si alzò e corse via, in un
attimo si trovò nello studio dell’uomo e
contemplò il pendolo, la lancetta era molto vicina alla
linea rossa.
L’uomo fuggì gridando e piangendo, uscì
dalla villa e si addentrò nel bosco innevato, correva
cercando di scappare da quell’orrore ma a un certo punto una
fitta al petto lo bloccò e lo fece cadere a terra, Con la
coda dell’occhio vide il suo pendolo in mezzo agli alberi e
vide chiaramente che la lancetta si stava posizionando esattamente al
posto della linea rossa; rivide sua moglie, allegra e spensierata come
un tempo e con l’ultimo sbuffo di forza vitale
implorò perdono per i suoi peccati.
La neve iniziò a scendere candida dal cielo e ben presto
ricoprì con il suo bianco mantello tutto ciò che
trovava, i rami si piegavano sotto il suo peso e ne facevano cadere in
quantità; dentro alla foresta c’era silenzio, i
grossi predatori erano in letargo e quelli piccoli si muovevano
silenziosi lasciando orme che in breve tempo sarebbero scomparse.
Il poeta aprì incredulo gli occhi, si alzò in
piedi e vide sotto di sé un grosso cumulo di neve, cercò di
scostarla per capire che cosa ci fosse sotto ma non era in grado di
toccarla, la mano passava attraverso come materia inconsistente. Si
guardò intorno, poco lontano da lui c’era la donna
che lo guardava con un misto di gioia e tristezza. L’uomo
capì in un attimo. Era diventato uno spirito.
Il fantasma gli si avvicinò e gli sorrise, gli prese la mano
e lo condusse ancora più dentro la foresta, dove la luce del
sole non arrivava e il buoi faceva da padrona.
L’oscurità li avvolgeva ma ormai il poeta non
aveva più paura, adesso era di nuovo accanto alla donna
della sua vita e non voleva più separarsene.
Alla fine del sentiero tenebroso che avevano percorso vide una potente
luce farsi sempre più grande mano a mano che si
avvicinavano, lei era al suo fianco e lo rassicurava con lo sguardo.
Arrivarono in una grande valle in fiore, dove l’estate era
perenne e gli uccellini cantavano ad ogni ora del giorno.
Il cuore del poeta traboccava di felicità, non poteva
desiderare niente di meglio per lui e per lei. Con la coda
dell’occhio vide verso ovest una grande foresta di pietra che
ricopriva l’unica collina presente in quel luogo paradisiaco;
gli alberi erano lugubri, assomigliavano a delle anime in pena,
condannate per sempre in quella tetra forma, uomini che in vita si
erano dannati di gravi delitti.
L’uomo teneva ancora la mano della sua amata ma aveva
rallentato leggermente il passo, l’energia di quel bosco
pietrificato lo attirava, era quello il luogo che gli era stato
destinato alla morte, la donna continuava imperterrita nel cammino
quando sentì la presa del suo compagno allentarsi e
staccarsi definitivamente, si voltò lentamente e vide il
poeta guardarlo con lo sguardo più dolce che le avesse mai
rivolto. Non ci fu bisogno di parole per capire che le due anime si
stavano congedando per sempre.
Il poeta abbassò la testa e si diresse verso la foresta, non
si volse mai indietro, se avesse rivisto ancora la sua donna forse non
avrebbe più avuto il coraggio di compiere il suo destino,
l’aveva vista per l’ultima volta e gli era bastato
per prendere quella decisione. A capo alto attraversò la
foresta, alcuni radici iniziarono a sbucare fuori dal terreno e si
avvinghiarono alle gambe dell’uomo, il poeta se ne
liberò con fatica, prima di tramutarsi in un albero voleva
scegliersi il punto migliore.
Le sue gambe iniziarono a farsi sempre più pesanti e
iniziarono a piantarsi al terreno, il busto si allungò e le
braccia si tesero in alto verso l’esterno, il volto
sparì all’interno del tronco di un maestoso albero
per ricomparire sotto forma di venatura, un volto sereno e pacifico.
La donna osservava cosa stava accadendo insieme ad altre anime che si
erano radunate per l’occasione, non si era mai vista una cosa
del genere in quel luogo; un grosso, enorme, albero di ciliegio stava
nascendo proprio nel punto più alto della collina. Una
lacrima scese dagli occhi della donna.
Un vento improvviso scosse i rami di quel nuovo albero colmo di fiori
portando con sé petali profumati.
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