Fanfiction
partecipante alla challenge 2oo Summer
Prompts indetta dal gruppo Facebook Non solo Sherlock
– Gruppo eventi
multifandom (https://www.facebook.com/groups/366635016782488).
Verrà
un giorno in cui smetterò di far interagire
questi due in un contesto di guerra, ma non è questo il
giorno.
Difesa
Nel
fronteggiare
situazioni in cui rischiano davvero di perire, i soldati faranno
l’impossibile
pur di salvarsi; intrappolati all’interno di terreni ritenuti
fatali, essi sopravviveranno.
Sun
Tzu, L’arte della guerra.
Si
sente le spalle al muro, le irregolarità della
parete di roccia gli si conficcano nella pelle attraverso la tunica,
ghiaia e
terra si staccano dai massi al di sopra di lui e spiovono sui suoi
capelli e le
sue spalle. Link sbatte le palpebre e si scrolla tutto come un cane
bagnato per
liberarsi gli occhi dalla polvere, ripone la spada e imbraccia il suo
arco.
È
disperato, nel senso del termine che denota
un’assoluta mancnza di speranza. Ha combattuto abbastanza
battaglie da rendersi
conto che da quella situazione non c’è via di
fuga: è tagliato fuori dai suoi
compagni, in una zona in fondo al Canyon di Tanagar che forse non
è neppure
sulle mappe. Alle sue spalle c’è una grotta, ma
dentro di sé Link stabilisce di
arretrarvi soltanto quando non riuscirà più a
mantenere questa posizione. Dove si
trova ora ha ancora la possibilità di venir visto
dall’alto – è una possibilità
remota, perché il fulcro della battaglia, Link lo sente
dagli scoppi e i boati
che echeggiano sempre più lontani dal suo orecchio, si sta
allontanando, e le
pareti del canyon appaiono vertiginosamente strette al di sopra della
sua testa;
ma, ancora, c’è. Alla disperazione Link si adegua
come ha sempre fatto: con
imperturbabile calma, perché agitarsi non porta a nulla e
sarebbe anzi
controproducente, Link trova contro la roccia la posizione
più comoda per poter
resistere a lungo, si sfila lo scudo che lo appesantisce e lo impaccia
e
appoggia la faretra piena contro il ginocchio. I boblin rumoreggiano e
insorgono vociando sotto la ristretta piattaforma di roccia
dov’è riparato,
Link vede da pochi centimetri di rilievo le loro facce orrende, bavose,
deformi, avide di raggiungerlo; sono mostri animaleschi, con una loro
intelligenza elementare che in questo momento è incentrata
tutta su di lui. Non
saranno in grado di arrampicarsi fino a lui senza utensili, ma al di
sopra
della sua testa Link sente fischiare sassi e pezzi di legno. Lo stanno
bersagliando. La sua salvezza, per ora, è che i boblin sono
troppo in basso
rispetto a lui e non riescono a vederlo abbastanza bene da colpirlo. La
fregatura è che non sono così stupidi da non
saper aggiustare il tiro.
Link
tende l’arco e tira in mezzo al mucchio. Non
vede neppure dove colpisce: sente gridare, l’ondata
incalzante dei boblin
ondeggia e si ricompone per coprire il punto rimasto vuoto, e questo
è quanto.
Ha colpito qualcuno, ma la vastità del mare di mostri sotto
di lui è rimasta
immutata.
In
quel momento in sasso lo colpisce a una spalla
mozzandogli il respiro.
Non
è nulla di grave, è un dolore acuto ma sordo e
si attenua subito, e Link riprende a respirare ma per poco: non
può resistere a
lungo. Rispetto ai boblin ha una visibilità migliore e il
vantaggio
dell’altezza, ma loro sono infiniti. Di
questo passo, potrà resistere
forse un’ora.
Link
alza lo sguardo per cercare al di sopra di sé
una via di fuga che sa già non esserci: la roccia
è troppo ripida, il canyon
troppo profondo. Se anche riuscisse ad arrampicarsi, i boblin avrebbero
tutto
il tempo di mirare e colpirlo. La cosa più sicura,
paradossalmente, per lui è
restare arroccato su questa guglia di roccia finché gli
dureranno le frecce.
Gliene rimangono una trentina, e in aggiunta a esse l’ultima
freccia esplosiva;
ma per quest’ultima la gola è troppo stretta, e
Link si ritroverebbe ferito
nell’esplosione. Una volta finite le frecce, gli resteranno
soltanto la spada e
la grotta.
È
in questo istante, mentre rapidamente la sua
mente conta le munizioni e le speranze che gli rimangono, che i suoi
occhi
ritornano quasi senza volere sull’impennaggio colorato della
freccia esplosiva.
Non può usarle per colpire i boblin all’interno
della gola, ma può usarle fuori.
Link
afferra una freccia esplosiva dalla faretra e
punta verso l’alto, verso l’alta fessura stretta
della gola che si apre
perpendicolarmente sopra la sua testa, e scocca. Al di sopra della sua
testa
sbocciano rossi fiori di fuoco.
Non
sa quanto tempo sia passato. Sta sanguinando,
qualcosa lo ha colpito sulla fronte, ha gli occhi pieni di sangue, la
bocca che
sa di terra e di ferro, le braccia che gli tremano. Non ha sempre
coscienza di
dove si trovi: ha momenti di vuoto. Quando se ne risveglia, dopo pochi
istanti,
è ancora lì, sulla roccia, ha il suo arco tra le
mani, una freccia tra le dita
che sta cercando di incoccare; e i boblin lo incalzano ogni momento
più da
vicino. Link incocca la freccia e colpisce ancora nel mucchio, nel
mucchio.
Cade un boblin, gli altri strillano, si riorganizzano, ondeggiano e si
ricompattano: ma ormai non hanno più paura di lui. Per
quanto possano essere
stupidi, a quest’ora devono essersi accorti
d’essere in soprannumero, che lui è
solo, e che non potrà respingerli ancora per molto.
Non
ha più le forze per restare esposto. Per un
po’ ha creduto che avrebbe sentito il rumore di Medoh che si
avvicinava, ma non
l’ha udito; e se Revali non è riuscito ad
avvistarlo finora, ormai è chiaro che
non arriverà più in tempo. Non
c’è da fargliene una colpa. È la
guerra. Se non
ha fatto in tempo, è perché qualcuno o qualcosa
gliel’ha impedito; ma Link non
ha più abbastanza forza per aspettare ancora.
La
faretra è vuota, Link l’abbandona su una roccia
perché non avrebbe senso trascinarsela dietro. Lo scudo, che
aveva posato prima
perché non lo impacciasse, gli pare di una pesantezza mai
provata prima: sotto
lo sforzo di sollevarlo, il braccio gli trema incontrollabilmente e le
sue dita
non si chiudono abbastanza da trattenerne la cinghia. Link lo lascia al
suolo.
La
grotta che ha visto prima si apre sulla parete
di roccia alla sua sinistra, indietro di pochi metri rispetto a lui.
È alla
distanza di poche falcate, o lo sarebbe se Link potesse alzarsi; ma
levandosi
in piedi si renderebbe più visibile, e in ogni caso le sue
gambe non lo
reggerebbero.
Appiattendosi
al suolo, Link inizia la sua strada
trascinandosi verso la grotta. I boblin insorgono, gridano, lo vedono
strisciare tra le rocce e la polvere come un verme, mirano e cercano di
colpirlo: Link ingoia l’orgoglio e il sangue e la polvere e
striscia verso la
grotta che gli appare lontanissima. Su di lui piovono pietre e bastoni,
l’impatto di un proiettile sulla schiena gli strappa un grido
e uno sbocco di
sangue: Link l’osserva sulla terra e sulle sue mani, rosso e
denso, sentendosene
distante come se neppure appartenesse a lui...
L’aria
attorno a lui vortica di una folata di
vento, i boblin ora gridano come impazziti. Link combatte col vuoto e
col buio
della sua mente e fa forza su se stesso per aprire le palpebre. Non
riesce a
girare la testa; ma sul terreno, di fronte a sé, vede
disegnarsi la forma di
larghe ali. Concede a se stesso di chiudere gli occhi di nuovo,
irrazionalmente
rassicurato, e reclina il capo sulla spalla sentendo di non aver
più niente da
temere.
«Link!
Stai bene?»
«Sei
arrivato» risponde Link senza alcuna logica e
senza neppure curarsi di venir sentito.
«Link,
devi dirmi che stai bene!»
Link
sente allentarsi i suoi contatti colla realtà
a poco a poco.
Gli
scorre acqua sulla fronte, acqua tra le
labbra; Link ne acquisisce consapevolezza e ne prova la sensazione di
frescura
e refrigerio, tossisce, beve, avvolto in una nebbia; poi la
realtà si allontana
di nuovo. Non prova angoscia ad abbandonarsi nel buio. Riposa.
La
dolcezza dell’acqua lo sveglia ancora un paio
di volte; ogni volta la nebbia che lo circonda è meno densa
e l’aria meno
confusa. Link beve e si riaddormenta subito, senza provare a lottare.
Non ha
paura.
Quando
apre gli occhi di sua spontanea volontà, ha
la bocca secca ma non molto, e un po’ caldo: ha un mantello
ripiegato sotto la
nuca, vicino alle sue gambe scoppietta un fuoco. Si trova nella grotta,
ma in
qualche modo questo lo sapeva già.
«Ehi»
dice, o meglio gracchia, per comunicare
d’esser sveglio.
Revali
riposa a pochi passi da lui, con la schiena
poggiata contro la parete di roccia e le ampie ali ripiegate e
incrociate sul
petto. Non sta dormendo, però, e di questo Link è
certo anche senza saper dire
il perché.
«Ben
svegliato» risponde Revali senza degnarsi
d’aprire gli occhi.
Link
si solleva a sedere lentamente per saggiare
le proprie forze e si sfiora la fronte colla punta delle dita: sente
una benda
e, al di sotto di essa, l’irregolarità di una
grossolana cucitura. Allontana le
dita di scatto.
«Non
toccare» lo ammonisce Revali, che
evidentemente lo sta tenendo d’occhio attraverso la fessura
delle palpebre
semidischiuse. «È soltanto finché non
potrà curarti Mipha, ma tu vedi di non
stuzzicare i punti.»
Link,
che non prova il minimo desiderio di toccare
le suture, obbedisce senza discutere.
«I
boblin...»
Revali
si stringe nelle spalle. «Li ho ricacciati
indietro. Non credo che torneranno stanotte, e per domattina saremo
fuori di
qui. Tu nel frattempo riposa.»
«Dov’è
Medoh?» insiste ancora Link, che piuttosto
che riposare preferisce aver contezza di ciò che
è successo.
Revali
inspira profondamente per manifestare la
sua insofferenza verso quelle domande, ma Link è ormai
troppo abituato alla sua
drammatica teatralità per prestarvi attenzione.
«Non sarei mai riuscito a
raggiungerti dentro questa gola su Medoh, e spostandomi da solo sarei
stato
meno visibile. Sono venuto volando.»
Questo
spiega perché Link non l’ha sentito
avvicinarsi: se lo conosce bene, Revali ha lasciato Medoh in volo
solitario da
qualche parte a nord del canyon per distrarre i nemici.
«Grazie»
dice sinceramente a questo punto, ora che
ha tutto chiaro: Revali ha lasciato la sicurezza della Bestia sacra ed
è venuto
a salvarlo. È quanto gli basta sapere.
«Uhm»
risponde Revali con sufficienza, ancora
senza sollevare le palpebre. «Non c’è di
che. Vorrei poterti dire che un giorno
tu farai lo stesso per me, ma dubito che mi troverò mai con
le spalle al muro
com’è capitato a te,
perciò...»
Link
sorride tra sé senza rispondere. Quello è il
solo modo che Revali abbia per dirgli non preoccuparti, siamo
compagni
d’armi, anche tu avresti fatto lo stesso per me; non avrei
voluto che morissi; ma
gli va bene così. Ha già fatto abbastanza sforzi
per lui senza che debba pure
sforzarsi a esprimere come si sente.
Link
torna a distendersi sul mantello ripiegato
che gli fa da cuscino e chiude gli occhi per riposare ancora: quando
respira e
si muove contemporaneamente avverte una gran fitta al costato, tra il
fianco e
la schiena, ma non sembra nulla di grave. Sopravvivrà.
È sopravvissuto a cose
peggiori.
«Perché
volevi che ti dicessi che stavo bene?»
Adotta
la stessa strategia di Revali e lo osserva
al di sotto delle ciglia appena accostate: Revali
s’irrigidisce un po’ contro
la parete e apre gli occhi per un attimo, il tempo necessario ad
assicurarsi
che non possa vederlo. Link lo intravede attraverso le palpebre,
ovviamente, ma
si sforza di non cambiare espressione perché non se ne
accorga. «Come, prego?»
«Quello
che hai detto quando sei venuto a
salvarmi. Di dirti che stavo bene...»
«Lo
avrai sognato» taglia corto Revali tornando ad
adagiarsi contro la roccia.
«Ma
ero ancora sveglio quando sei arrivato. Ti ho
sentito.»
«Allora
avrai avuto le allucinazioni. Può
succedere in battaglia.»
«Erano
piuttosto realistiche come allucinazioni.»
Revali
schiocca la lingua con aria comprensiva.
«Già, già. Succede sempre
così. Lo dicono tutti.»
Link
ride tra sé, scuote la testa e rimane in
silenzio. Non l’avrà mai vinta, perciò
non vale la pena sprecar le forze a
insistere su questo argomento; ma sarebbe divertente vedere quali altre
scuse
Revali s’inventa per nascondersi e difendersi da lui, come
uno scudo. Lascia
perdere.
«Hai
fatto bene a tirare quella freccia esplosiva,
comunque. È stata una buona mossa. Senza non sarei mai
riuscito a trovarti.»
Link
lo scruta di sottecchi reclinando un po’ il
capo dal suo cuscino improvvisato. «Ho scoccato
perché sapevo che stavi tornando
a cercarmi.»
Revali
sta per dire qualcosa, per un attimo Link
riesce quasi a vedere attraverso la barriera delle sue difese e la
roccaforte
del suo orgoglio; ma dopo quest’attimo di debolezza le sue
spalle
s’irrigidiscono ancora e Revali torna a reclinare comodamente
il capo contro la
parete per mettersi a dormire.
«E
avevi ragione. Perché ora non ti rimetti a
riposare invece di far tante domande? Dobbiamo essere fuori di qui
prima
dell’alba se non vogliamo renderci visibili.»
Arroccato
nella difesa del suo ego e del suo
orgoglio, Revali non gli darà mai più
soddisfazione di così; ma per Link, che
lo conosce bene, la sua acredine parla più forte di
qualsiasi parola. Perciò
Link sprimaccia un poco il suo mantello che odora di piume e di guerra,
si distende
e si rimette a dormire in attesa dell’alba, perché
in questa grotta si sente
ora al sicuro come nel mare calmo.
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