Salve ciurma (o quel
che ne resta).
Questi lunghissimi mesi
trascorsi dall'ultimo aggiornamento sono stati davvero difficili per me
dal punto di vita emotivo e pregni di impegni importanti cui dare
priorità, così purtroppo, ancora una volta non
sono stata capace di trovare la serenità e
lucidità mentale per scrivere.
Ma non ho mai
dimenticato questa travagliata ff cui tengo molto a dare un finale, a
discapito di come la sto trattando.
Perciò, non
mi dilungo oltre con le scuse e le spiegazioni e lascio a voi questo
nuovo capitolo, con l'augurio di poter sfruttare le vacanze per
dedicarmi ancora alla scrittura.
Ringrazio chi
mi ha mandato messaggi, chi si è preso la briga di
leggere o rileggere nell'attesa e chi semplicemente aprirà
la storia.
Buona estate e al
prossimo approdo!)
XXXVII
– HOSTAGES
Assenza di suoni. Buio.
Perdita del
senso dell’orientamento, della cognizione dello spazio e del
tempo.
Si sentiva
fluttuare dolcemente in qualcosa d’impalpabile, inodore,
insapore.
Leggera,
senza peso, come se la gravità avesse cessato
incomprensibilmente di esistere, come se la propria mente si fosse
distaccata ed errasse placida e libera in un’estensione
indefinita, incapace e incurante di ricongiungersi al proprio corpo.
Non aveva
paura. Era una sensazione conosciuta, anelata, rassicurante. Di tepore.
Piena e
appagante. Era come essere tornata finalmente laddove era nata. Anche
se la solitudine di quel luogo ora sembrava immensa, incolmabile,
devastante.
D’un
tratto un lieve brusio cominciò a propagarsi attraverso quel
vuoto denso e rarefatto, una variazione di pressione sempre
più forte, piccole onde concentriche riflesse sulla pelle,
più numerose, più insistenti, solleticavano il
padiglione auricolare, facevano vibrare i timpani, attutite, appena
percettibili ma impossibili da ignorare.
Quel rumore
di fondo, ritmico, ripetitivo continuava a riverberarsi, a spandersi
tutto intorno, sempre meno inconsistente, simile ad un rintocco, ad un
istigamento a reagire.
A
ridestarsi.
Bulma
aprì le palpebre. C’era come una sottile patina a
velarle, le immagini davanti a sé le apparvero sfocate,
sbiadite, distorte, i colori sfumati, tremolanti, mescolati, eppure in
quei contorni deformati fu capace di distinguere due figure, due volti
freddi e spigolosi dai connotati essenzialmente identici che la
osservavano.
Intuì
dal loro modo di interagire che stavano discutendo, ma il loro
parlottio era stranamente inudibile, la loro voce le arrivava lontana,
frammentata, ovattata.
O per
meglio dire, annacquata.
Determinata
ad avere la loro attenzione, schiuse la bocca, ma un ostacolo
invisibile le impedì di emettere alcun suono diverso da un
gorgoglio, composto di bolle e bollicine, le uscirono copiosamente
anche dal naso, inondandole in breve tutto il campo visivo.
Con un
deciso colpo di coda tentò di riemergere, ma non si mosse di
molto. Riuscì a malapena a sporgersi per tossicchiare la
gran quantità d’acqua salata ingerita e riprendere
a respirare a pieni polmoni.
- Hai
visto, sorella? Che ti dicevo? Non era affogata –
esclamò uno dei due sequestratori, un ragazzo, a giudicare
dal timbro maschile ma adolescenziale, continuando a picchiettare in
maniera snervante sulla superficie di vetro – Adesso sgancia
i miei due scellini.
La sodale
accanto a lui gli rifilò un colpetto di gomito sul fianco,
lasciandogli cadere sul palmo aperto un paio di monete, poi
avanzò di qualche passo, puntandole contro il bagliore
dorato di un lucernino d’ottone: - Era ora che ti svegliassi,
donna pesce
– la dileggiò, esibendo lo stesso sorrisetto
sghembo con cui le si era presentata la prima volta.
Bulma
riconobbe la bionda e glaciale piratessa che, insieme al suo complice,
pochi attimi prima che potesse agguantare l’ultima sfera
l’aveva trascinata via dai frenetici combattimenti in corso
al fastoso Palazzo di Pilaf.
Estenuata
dalla vana lotta contro i loro soprusi, indebolita dalla trasformazione
causata dalla luna, aveva perso i sensi, e adesso le mancava un pezzo
di quella serata per ricostruire cosa fosse accaduto esattamente dopo
quella fuga rocambolesca.
E
perché fosse rinvenuta ritrovandosi immersa in quella grande
vasca cubica ricolma fino all’orlo, i polsi chiusi da grezzi
anelli di metallo arrugginiti da cui si dipartivano delle catene
agganciate al basso soffitto di un locale piuttosto buio e angusto.
Si
domandò per quale crimine dovesse pagare. Non ricordava di
aver commesso nulla di così condannabile!
- Chi siete
voi? Dove mi trovo? Perché mi tenete qui? – si
dimenò inviperita, così facendo procurandosi uno
spiacevole strattone alle braccia, tese e bloccate al di sopra della
testa.
- Calma,
non ricominciare a strillare, o ti rificco quel bavaglio in bocca
– la redarguì con fare sardonico e annoiato il
giovane furfante dal caschetto bruno, accomodandosi con indolenza su
una cassa di legno. – Capitan Freezer non tollera la gente
che starnazza.
A
quell’appellativo Bulma ebbe un sonoro singulto: - Capitan
Freezer? Volete dire che … - bisbigliò scossa da
un brivido, guizzando una serie di occhiate frenetiche alle stranianti
ombre di quello sconosciuto ambiente per tentare di raccapezzarsi.
Rammentava
di essere stata sbatacchiata su una scialuppa e che avevano remato a
lungo tra le nebbiose calette dell’isola, portandosi sul
versante opposto rispetto a quello da cui erano arrivati lei e gli
altri, ma la sua contezza di quanto le fosse accaduto in seguito si
interrompeva lì.
Il lugubre
cigolio di una porta, finora rimasta nascosta alla sua percezione, le
provocò un altro fremito lungo la spina dorsale, inducendola
a trattenere il fiato e poi a dilatare gli occhi, ancora più
confusa e trasognata quando il provvido spiraglio luminoso che
penetrò le permise di mettere a fuoco il soggetto che si era
palesato sulla soglia.
Era
l’aitante gentiluomo ammantato di bianco che aveva incontrato
alla festa e di cui aveva creduto di aver suscitato
l’apprezzamento. Peccato che, in mezzo a tutto quel
trambusto, avesse dimenticato perfino se le avesse rivelato quale fosse
il suo nome.
Entrando
posò brevemente le iridi bronzee su di lei, sul volto
un’espressione superba, lanciando poi un mazzo di chiavi ai
suoi carcerieri: - Voi due. Tiratela subito fuori di lì. Il
Capitano desidera conoscerla.
L’azzurra
trasalì un'altra volta, mentre le sue speranze andavano in
frantumi: - Come?! Che disdetta! – sbottò
avvilita. Il suo pressoché infallibile potere seduttivo non
aveva riscosso alcun successo. Con quel bel tipo aveva sciaguratamente
preso un granchio! A quanto pareva era anche lui uno dei cattivi.
I due
giovani pirati intanto si adoperarono svogliatamente a eseguire le
disposizioni loro impartite dal nuovo arrivato, che seguiva ogni loro
mossa squadrandoli con occhio critico.
- Ogni
tanto il nostro potente Capitano potrebbe anche scomodarsi di persona
… – bofonchiò dispregiativo
Diciassette, facendo salire la sorella cavalcioni sulle sue spalle per
aiutarla a raggiungere il chiavistello imbullonato sul tetto.
- Bada a
come parli, mocciosetto! – gli ingiunse con disdegno Zarbon
– Ci metto un attimo a convincere Freezer a lasciarvi crepare
di stenti sul primo putrido sputo di terra che avvistiamo!
Diciotto lo
scrutò di sottecchi, balzando giù con un salto
aggraziato e passando al gemello un capo delle catene, intimandogli con
un’occhiata carica di disapprovazione di astenersi dal
ribattere con altre battutine di scherno. Dovevano soltanto stringere i
denti e pazientare un altro po’, prima di potersi guadagnare
la tanto agognata libertà.
Issarono la
sventurata prigioniera fuori dalla sua gabbia di vetro, senza curarsi
né di fare piano, né degli schizzi: -
Disgraziati! Non avete un minimo di accortezza! Guardate che sono
comunque una delicata fanciulla, io!
– protestò vibratamente l’azzurra,
stordita e indolenzita dalla brutta caduta sulle dure assi di legno del
pavimento.
Il
luogotenente di Freezer arretrò con un mugugno di disgusto
dalla pozza d’acqua che si era formata: - E fate che non vada
sgocciolando, quando la porterete dal nostro Capitano. Sapete che ci
tiene alla pulizia – si accomiatò difilato,
facendo risuonare gli stivaloni al suo stizzoso allontanarsi.
Bulma si
osservò, scoppiando in dei bassi singhiozzi: il suo
splendido abito da sera di seta e d’organza era ridotto in
uno stato pietoso, le calze erano tutte sfilacciate, aveva perso le
scarpe e i gioielli, e molto probabilmente doveva avere il viso tutto
impiastricciato dal trucco sbavato, considerò affranta,
strofinandosi un avambraccio sulle guance bagnate e intirizzite.
Abbandonatasi
a quegli attimi di sconforto e autocommiserazione, sussultò
violentemente quando si sentì afferrare per i capelli.
- Penso
potrai camminare da sola, visto che sei senza pinne … Non ho
nessuna intenzione di spaccarmi la schiena … - le premise
l’efebico rapitore, con quel suo solito accento denigratorio.
La
piratessa dagli occhi di ghiaccio le gettò addosso un grezzo
panno di tela, e, con premura inaspettata, la aiutò
affinché si asciugasse un po’, intimandole in uno
scontroso sussurro: - Tieni la bocca cucita, fino a che non te lo
chiederà lui.
Bulma
avrebbe voluto rispondere a tono ad entrambi, ma si sentiva ancora
strana e confusa, quasi anestetizzata. Aveva di nuovo i piedi,
perciò voleva dire che il sole era già sorto.
Doveva essere stata diluita qualche sostanza soporifera in quella
salamoia in cui l’avevano messa a marinare, qualche sostanza
che l’aveva narcotizzata, e ciò aumentò
la sua preoccupazione. Voleva essere lucida e cosciente, senza forze e
senza la sua impareggiabile loquela sarebbe stata alla completa
mercé di quegli aguzzini.
La tortuosa
risalita verso il ponte di comando le permise di avere una rapida
ricognizione del cupo luogo che la ospitava.
Doveva aver
perso conoscenza per parecchie ore se non serbava alcun ricordo del
momento in cui era salita a bordo del vascello del temuto pirata noto
col soprannome di “Terrore
degli Oceani”, proprio per la sua propensione a
non lasciare testimoni né a fare prigionieri durante le sue
nefande scorribande, condite da torture, omicidi e devastazioni.
Eppure lei,
a discapito di ogni peggiore previsione, era ancora viva. Anche se non
poteva sapere per quanto ancora lo sarebbe rimasta.
L’avevano
tenuta in ostaggio dentro quella specie di acquario, che dubitava
potessero aver costruito apposta per lei, considerato che nessuno in
giro conosceva il suo segreto; doveva essere già stato usato
per qualcos’altro o per qualcun altro, in precedenza ...
La sua
brillante mente razionale non ne poteva più di essere
vessata da quel turbinio di incongruenze!
Una luce
fioca e sulfurea danzava nelle lanterne pendenti dalle scrostate pareti
in legno d’acero di quei corridoi cunicolari, contribuendo ad
attanagliarle il petto in una morsa di angoscia, tensione e impotenza
quasi insopportabili.
Il
luogotenente Zarbon, che li aveva scortati, bussò
sull’uscio della cabina del comandante, ossequiandolo, mentre
i due giovani malfattori attendevano di ricevere il suo benestare per
entrare. Ricevuta una stringata risposta affermativa
dall’interno, le diedero uno strattone affinché
accelerasse il passo, scostarono discretamente la pesante porta e, non
indugiando oltre il dovuto, scaricarono la prigioniera in malo modo su
un tappeto, sfilandole le catene con cui l’avevano trascinata
fin lì, ma lasciandole ai polsi un paio di ceppi che,
bloccati dietro la schiena, la costringevano in una postura che
accresceva lo sgradito sentore di essere pressoché inerme.
Per alcuni
interminabili secondi Bulma ebbe la nitida impressione di essere
osservata da una presenza invisibile, sembrava ovunque e in nessun
punto in particolare di quella austera stanza, sommersa in
un’infida e funerea penombra cui i suoi occhi, appannati da
incipienti lacrime, stentavano ad adattarsi.
- Che cosa
volete da me? – balbettò cercando di contenere i
tremiti che la scuotevano, auspicando di non apparire sin troppo
spaurita di fronte al suo imperscrutabile carnefice.
Con un
fulmineo fruscio un individuo paludato si manifestò sotto il
barlume incerto delle candele, approssimandosi a lei con incedere lento
e silenzioso. Le strisciò intorno per un paio di volte, con
fare inquisitorio e giudicante, un misto di supponenza e alterigia
impresso sul volto pallido e scarno, ombreggiato dalla larga tesa del
cappello.
La sua voce
bassa, viscida e acrimoniosa la investì come una folata di
schegge di vetro:
- Questa mi
giunge nuova. Da quando in qua le sirene possono farsi crescere le
gambe? Allora è così che vi nascondevate tra gli
uomini. Oppure si tratta di un subdolo inganno … - presunse
continuando a scrutarla circospetto – Che cosa sei tu?
A scapito
di ogni prudenza, Bulma ricacciò il persistente groppo che
le occludeva la gola, sbottando: - Potrei farvi la stessa domanda!
Dicevano tutti che foste morto. Morto
ammazzato, per la precisione – spuntò
il mento, sfacciatamente e pericolosamente diretta.
Capitan
Freezer ridacchiò, un risolino dispettoso, sardonico,
intimamente divertito, che si spense di colpo: - È stato lui a
raccontartelo? – le sputò contro astruso, mirando
a irritarla e farle comprendere che sapeva parecchie cose sul suo conto.
- Mi avete
già derubato della settima sfera! A quale scopo rapirmi?
– fu la replica insolentita dell’ostinata
prigioniera, che si dibatté come un pesce in debito di
ossigeno.
Quell’aberrante
donna dalla lingua assai tagliente e dall’appariscente chioma
acquamarina, sebbene minuta e dotata di una misera capacità
offensiva, pareva possedere uno spirito fiero e indocile, restio a
farsi prendere gioco da qualcuno o a piegarsi ad una altrui
volontà. E ciò lo intrigava molto, specialmente
avendo avuto prova che lei e il suo ex pupillo, il cui carattere era
altrettanto irascibile e impetuoso, avessero imprevedibilmente stretto
un qualche tipo di accordo o tacita tregua, tanto da non essersi
ammazzati.
Gli occhi
ferrigni del redivivo Capitano della Ice Lord sovrastarono con
derisione il suo strenuo e patetico tentativo di rialzarsi: - E dimmi,
il caro Vegeta ti ha raccontato anche del suo maleficio? Ti ha detto
che deve uccidere una creatura azzurra e cibarsi delle sue carni per
liberarsene? – sibilò impietoso, in un pungente
afflato al vetriolo.
La sirena
smise di divincolarsi, restando distesa su un fianco: - Come
…?
Freezer
sogghignò malevolo, beandosi per qualche secondo della sua
espressione evidentemente frastornata e disperata; poi si diresse con
indifferenza verso un tavolo, servendosi un grappolo d’uva
rossa che cominciò a spiluccare:
- Dovresti
essermi grata per averti tratto in salvo dalle sue voraci fauci
– la provocò indefesso, con scherno mascherato da
finta commiserazione.
Bulma si
rigirò sulla schiena, scuotendo la testa, per niente
disposta ad accettare quella scomoda verità, che pure aveva
presentito inconsciamente dal primo istante in cui i loro sguardi si
erano incrociati e i loro respiri sfiorati. Quella fitta allo stomaco
che provava in sua presenza era chiaro le stesse comunicando un
messaggio inconfutabile per i suoi sensi, che il suo ottuso
romanticismo però non aveva saputo ben interpretare o aveva
voluto ignorare e negare.
Dopotutto
era stato lui stesso a farle quella rivelazione, mentre con uguale
bramosia stavano lasciandosi andare alla passione.
Da parte
sua non c’era stata vera attrazione. L’aveva
soltanto usata.
Eppure
l’acredine, la conflittualità, la repulsione
reciproca che vi erano state agli inizi tra lei e quell’uomo
deprecabile, col passare delle settimane e con l’accumularsi
delle leghe marittime si erano mutate in qualcos’altro.
Una connessione, un'alchimia. Non avrebbe saputo definire
esattamente cosa fosse, o forse semplicemente non era sicura di
volergli dare una definizione tanto scontata.
Ad ogni
modo, la conquista di quell’ultima sfera se l’era
sudata tutta, era stato difficoltoso arrivare a destinazione, e non
poteva credere che per tutto il tempo aveva rappresentato soltanto una
pedina sacrificabile all’interno della sua opportunistica
strategia.
Dovette
sforzarsi di impedire a quell’amara delusione di pervaderla e
sopraffarla, facendola cedere ad un inopportuno piagnucolio.
- Quindi
è questo il vostro piano? Volete usarmi come esca? Beh,
state pur certo che Capitan Vegeta non ci cascherà mai!
– gli strillò contro con enfatica esasperazione,
puntellandosi sui gomiti e sulle ginocchia, per risollevarsi e
dardeggiare uno sguardo sfrontato su di lui.
Le spalle
curve di Freezer ondeggiarono, dalla sua gola uscì un suono
stridente che si mutò in una grassa risata, pregna di
mefistofelica compiacenza: - Esilarante! Pensi davvero di conoscerlo
meglio di me? – sbottò supponente protendendosi
verso di lei – Quello non è un uomo, è
un abominio. Una belva assassina priva di sentimenti, sospinta
unicamente dai suoi istinti primari. È soltanto un sadico e
insaziabile assassino. È questa la sua natura –
replicò schiumando un malanimo che trasudava del manifesto
rancore personale.
Con un
sibilo si gettò alle spalle il voluminoso mantello viola che
lo copriva, rivelandole il suo corpo deforme e seminudo, sfregiato da
molteplici repellenti cicatrici di ustioni e tagli.
La
piratessa dovette distogliere le pupille, sconcertata da quei solchi
profondi che scavavano la carne viva, quasi come quelle terribili
ferite fossero appena state inferte, con disumana e indemoniata
brutalità.
- Sei tu la
sua preda designata, adesso. Perciò sta pur certa che molto
presto verrà a reclamarti – riprese a parlare
l’albino, ravvolgendo nella pesante cappa il suo
raccapricciante aspetto – Ma io non permetterò che
ti uccida, non prima di aver ottenuto tutte le sette sfere e di aver
espresso tutti i miei tre desideri. Fino ad allora, mi
servirà che tu resti viva. O chissà, magari
invece potresti tornarmi utile e deciderò di risparmiarti
– sussurrò con ambigua ponderazione, chinandosi su
di lei e facendo scorrere un sottile dito unghiato lungo il suo collo.
Era una
mattinata assolata e ventosa, ideale per la navigazione in alto mare,
che procedeva spedita e senza intoppi sin da quando si erano
allontanati dalle acque impervie e stagnanti di quella remota regione
insulare. Sulla Speedy Cloud ognuno aveva il suo bel da fare, tra cime
da assicurare, vele da tesare, assi da strigliare o riparare, armi da
lucidare o da sottoporre a ordinaria manutenzione.
Goku si
spostava come una trottola da prua a poppa, su drizze e pennoni, coffe
e stralli, prestando di buon grado una mano ai compagni anche nelle
più piccole incombenze quotidiane, non approfittando mai del
suo rango di primo ufficiale per oziare o dettare legge. Ed erano
proprio quella sua spiccata umiltà e la mancanza di
vanagloria a renderlo tanto benvoluto tra la ciurma, che lo considerava
un loro pari.
Anche se
quel giorno percepiva che qualcosa fra loro si era incrinato.
Quegli
uomini, verso i quali non aveva mai tradito il suo giuramento di
protezione e fedeltà, uomini che un tempo non avrebbero
minimamente esitato ad affidargli la propria vita, adesso parevano
diffidare persino della sua capacità di stringere un
semplice nodo d’arresto o della sua perizia nel ripulire la
canna di un moschetto.
Tutti lo
guardavano con sospetto e disappunto prendendone quasi le distanze da
che aveva condotto con sé quel controverso individuo. Aveva
pensato che, se la sua vecchia amica di gioventù in qualche
modo ci si era alleata, quel criminale non dovesse essere poi tanto
intrattabile e incivile. Era sempre stato convinto che con il dialogo e
con la correttezza si potesse ottenere molto di più,
piuttosto che con una lotta senza quartiere.
Incassato
l’ennesimo diniego ad una sua benevola offerta
d’aiuto, il giovane tenente Son si rassegnò a
rimanere affacciato alla balaustra, facendosi schiaffeggiare la faccia
dalla fresca brezza salmastra, finché una voce rasposa non
lo chiamò in causa: - Progressi col nostro stimabile
prigioniero?
Era stato
il Capitano Muten a strapparlo al suo monologo interiore e ora lo stava
fissando con le labbra rugose serrate in una smorfia di disapprovazione.
- Stavo
giusto per andare a parlargli – si premurò di
rassicurarlo con tono deciso e risoluto, mettendosi istintivamente
sull’attenti.
- Il tempo
stringe – gli rammentò brusco il vecchio
comandante, assestandogli un ammonitorio colpetto di bastone sugli
stinchi.
Goku
soffocò un gridolino di dolore e ubbidendogli si
avviò rapidamente al boccaporto, scendendo verso la parte
più bassa del vascello.
Alla fine
era prevalso il voto di chiedeva che i pirati catturati, dieci in
totale, per precauzione fossero trasferiti e rinchiusi nelle prigioni
di bordo e guardati a vista da un pari numero di piantoni, per
scongiurare possibili rivolte.
Lì
sotto gli spazi erano limitati, soffocanti, l’aria umida e
stantia impregnata dell’acre odore del sego delle candele, il
cui flebile chiarore che si spandeva tra le sbarre rendeva
l’atmosfera asfissiante e sonnolenta. Condizione che
sicuramente non contribuiva a mitigare il pessimo umore di chi vi era
tenuto segregato.
Tuttavia
non si udivano lamenti, invettive o proteste, soltanto un sommesso
mormorio, intervallato dal rumorio di passi, dallo sgocciolare della
cera e dal fischio degli spifferi del vento che s’infiltrava
tra le paratie.
Il giovane
ufficiale si schiarì la gola, avvicinandosi ai ligi e
tesissimi soldati impegnati nel servizio di guardia: - Tutto a posto,
ragazzi?
-
Affermativo tenente. Tutto sotto controllo – risposero
prontamente due di loro, arrestando la ronda e stringendo i fucili al
petto.
Goku li
pregò di rompere le righe: - Prendetevi pure tutti quanti
una pausa. Resto io qui con loro – li invitò
consegnando il cinturone con le armi a un secondino.
- Ma
signore, il Capitano … – balbettarono unanimemente
disorientati, non propendendo a lasciare le loro posizioni.
Il
luogotenente però ripeté con assidua
serenità: - Andate – al che i marinai si
scambiarono delle occhiate incerte per poi decidersi a congedarsi
lentamente con un cenno di deferenza, sebbene alcuni di loro rimasero
comunque nelle vicinanze, a garanzia di maggiore sicurezza.
Goku si
avvicinò alla cella in cui si trovava il prigioniero dalla
peggiore nomea, quello che più di tutti gli altri si temeva
potesse creare seri problemi durante la detenzione.
Era stato
deciso di metterlo ai ferri, ma lui che ci aveva duellato ed era stato
testimone in prima persona della sua dirompente forza, capiva benissimo
che avrebbe potuto spezzare quei catenacci in qualunque momento se solo
avesse voluto.
Nonostante
ciò, se ne stava seduto seraficamente su una panca di legno,
a braccia e gambe incrociate, un’espressione di inattaccabile
superiorità dipinta su quel volto indecifrabile.
- A quanto
pare io e te siamo gli ultimi due saiyan
esistenti sulla faccia della Terra – lo approcciò
vago, non sapendo bene come rompere il ghiaccio, oltre che mosso da
una genuina curiosità.
Il pirata
non lo degnò neppure di un’occhiata, limitandosi a
sbuffare un risentito: - Tsk.
Goku si
passò un dito sul setto nasale: - Io l’ho scoperto
da poco, sai. Di appartenere alla tua stessa stirpe. Ma sono nato
altrove.
Vegeta
questa volta gli rivolse l’imitazione di un sorriso: - Tu
pensa …
- Tu,
invece? Ricordi qualcosa del nostro paese? –
incalzò ancora a domandare il giovane ufficiale, provando a
portare avanti una chiacchierata come se tra loro non vi fossero
barriere e non vi fosse mai stata inimicizia.
- Poco
– smozzicò quello evasivo, dando già
segno di starsi innervosendo per quell’importuno
interrogatorio mascherato da amichevole chiacchierata, soprattutto
perché non ne coglieva la finalità.
Ma il suo
incauto interlocutore non pareva avere alcun senso della misura nella
sua spropositata insulsaggine: - Sei stato allevato da Freezer, vero?
- Vi
insegnano a fraternizzare con il nemico, o è soltanto una
tua malsana predisposizione? – ribollì a quel
punto l’ostaggio, alzandosi di scatto e facendo stridere le
catene che gli bloccavano caviglie e polsi.
Goku si
ritrovò i suoi occhi di onice appiccati addosso, e in quel
momento pensò che il bagliore ardente nel suo sguardo
intimidatorio lo rendesse più simile a una fiera che ad un uomo.
Tuttavia non riusciva a provare del sano timore.
- Tu
conosci bene Capitan Freezer, perciò devi esserti fatto
un’idea del perché abbia rapito proprio Bulma
– continuò ad argomentare, quasi credendo che la
scelta delle parole più neutrali potesse essere un
grimaldello per convincerlo ad aprirsi.
- Quella
sciocca donna si è semplicemente trovata in mezzo tra lui e
la sfera – latrò con sprezzo il filibustiere,
voltandogli le spalle. Il sorgere della luna nuova si avvicinava ogni
ora di più e lui era terribilmente affamato, tanto che se
quel seccante ragazzo avesse continuato a subissarlo con le sue
saccenti illazioni, non avrebbe risparmiato di strappargli a morsi
qualche arto, anche se era sicuro che sarebbe stato un boccone insipido.
- Beh,
allora Freezer avrebbe potuto semplicemente
eliminarla, non credi? – insistette a dissentire il cocciuto
ufficiale.
Vegeta
digrignò la mascella, ma, con suo rammarico, dovette
riflettere sulla sensatezza di quella considerazione. Freezer era
sempre stato un freddo calcolatore, non lasciava mai niente al caso. E
dunque doveva esserci necessariamente una ragione valida e ben precisa
dietro la sua volontà di incaricare qualcuno del rapimento
di quella detestabile donna.
Che avesse
in qualche maniera scoperto il suo segreto? E se così fosse,
cosa stava ordendo?
- A quanto
ne so, il Terrore degli
Oceani è un tipo che non si fa scrupoli a
trucidare innocenti. Ho sentito storie orribili sul suo conto
– continuò ad addurre il loquace marinaio
– Tu, piuttosto, perché l’hai rapita?
Il pirata
smise subito di tastarsi il braccio da lei medicato: - Mi serviva
… Quello che sapeva. Non l’avevo rapita
– mormorò tutto d’un fiato, le orecchie
che fumavano; quegli invadenti interrogativi stavano mettendo a dura prova il
suo già precario autocontrollo.
- Ti
serviva per rintracciare le sfere – evinse sorridente Goku,
contento di sé per come stava pian piano ottenendo la sua
insperata cooperazione.
- Io e
Bulma negli ultimi mesi insieme avevamo recuperato tre sfere
– s’interpose Yamcha, che da qualche minuto si era
spinto sin laggiù ed era rimasto qualche metro indietro ad
ascoltare il loro animato diverbio – Andava tutto a gonfie
vele, prima che ci impelagassimo con questo bastardo qui –
recriminò col dente avvelenato, scoccando al rivale
un’occhiata colma di disdegno, interiormente lieto che le
loro posizioni si fossero infine capovolte.
-
Sì, lo so – esclamò con sicumera il
tenente Son, appoggiandosi con la schiena alla parete e facendogli
spazio accanto a lui nello stretto corridoio in cui sostava –
Avevo nascosto quelle sfere in un posto sicuro –
rivelò candidamente.
Il galeotto
col volto segnato dalle cicatrici allibì: - Cosa?! Era a te
che le aveva affidate? Questo non me lo aveva detto …
– si rattristò, umiliato nello scoprirsi
inconsapevole vittima di un altro inganno perpetrato dalla donna che
credeva di amare.
-
Quell’imbrogliona patentata ci ha preso tutti indistintamente
per il culo – commentò con causticità
il saiyan recluso, accorgendosi di provare tuttavia una strana
ammirazione per la sua indiscussa fastidiosa bravura.
- Comunque
si sono spostate – affermò con rincrescimento
Goku, grattandosi una tempia e assumendo un’espressione
meditativa.
Vegeta gli
si avvicinò da dietro le sbarre, scrutandolo come se potesse
trapassarlo con le sue sclere divenute nerissime: - In che senso
“spostate”?
- Credo che
qualcuno le abbia trovate – affermò
l’altro, stringendo le dita sul magico manufatto che gli
pendeva dalla fusciacca – Si avvicinano a noi. Me ne sono
già accorto qualche giorno fa.
Yamcha
imprecò sottovoce, portandosi una mano alla fronte in un
moto di resa e desolazione. La brutta faccenda in cui erano coinvolti
continuava maledettamente a complicarsi, ma quello strampalato marinaio
d’acqua dolce pareva prendere tutto quanto con sin troppa
sbadataggine.
-
È palesemente opera di Freezer! Lo sporco codardo non si
è neanche degnato di farsi vedere! Ci sta tendendo una
trappola! – vomitò come un’onda
schiumante di veleno il truce pirata, restando a stento confinato nel
ristretto perimetro della cella.
Il paziente
secondo di bordo invece non abbandonò
l’atteggiamento composto e controllato mantenuto finora: -
Sai per caso se ha un covo da queste parti, in cui sia solito mettere
la sua nave alla fonda? Oppure pensi che preferirà
coinvolgerci in una battaglia?
Vegeta
assottigliò lo sguardo; non poteva farsi offuscare
dall’istinto omicida, doveva usare oculatezza: - Non mi hai
ancora detto cosa ci guadagno – inclinò la testa,
osservandolo in modo penetrante dalle punte dei capelli a quelle degli
stivali.
- Tu non me
lo hai chiesto – ribatté irriflessivamente Goku,
capendo troppo tardi che stava per impegnarsi in una promessa che per
il bene suo e di altri non avrebbe dovuto accettare.
I lineamenti marcati del filibustiere si distesero, mentre un luccichio diabolico affiorava tra i suoi occhi e i suoi denti:
- La tua bussola. E la sua nave.
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