Congegno
Avevo provato ad essere normale,
consumata attrice -
Ma sento il fragore dei macchinari che schioccano:
impossibile ignorarne il frastuono,
il desiderio che frana
come cataste di rottami
a coprire il giorno.
Non riesco a sentire le voci degli altri,
a capire le loro parole,
fatico persino ad udire me stessa.
Tra i tarli e la ruggine il grido dei motori,
il ferro arroventato che marchia ogni protesta.
Irrespirabile precipitare nel ritorno sterile
a una cisterna vuota in cui riecheggia il rifiuto,
la mia miseria era una locomotiva enorme-
Ruggisce nel buio che rovina su di me.
Perfettamente lubrificata
e perfettamente lacera,
mi trascino
digrignando i denti degli ingranaggi,
e nascondendo il canto sul fondo dei serbatoi
da te
che sei il macchinista del mio furore.
Strapparsi il cuore a morsi-
Appesantire l’armatura
sostituendo cardini e rivetti-
Ambire a divorare il sole
ché tanto
ad ustionarci dal di dentro
siamo avvezzi-
Le mie canzoni come quelle dei grilli,
suono per lo sfregare delle mie parti difformi,
pezzi seghettati di un congegno estraneo
che sbuffa vapore alla luna e stride, male oliato,
questo ferrovecchio di un’anima.
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