Dovrei
aggiornare “Ogni promessa è debito”,
vero? Si, dovrei, avete
ragione. Però avevo iniziato a scrivere questa one-shot
prima di
partire per le ferie, dopo aver ricevuto un bel messaggio da una
lettrice molto molto appassionata che era in vacanza a Londra,
fantasticando con lei di una storia ambientata in
metropolitana…
ovviamente non ero riuscita a finirla, ma eccola qua, meglio tardi
che mai!
Una
piccola storia senza pretese, dai toni molto più leggeri
rispetto al
mio solito, e che spero possa strapparvi un sorriso. Perché
si, qui
si prende in giro la mania di Levi per la pulizia, siete avvisati!
Non
vi annoio oltre, vi lascio alla lettura.
Storia
dedicata a Giorgi_b,
perché
è pazza di questi due quasi quanto me.
Grazie
per i messaggi, cara! <3
MIND
THE GAP
Avevano
litigato ancora, per l’ennesima volta quella settimana.
E
sempre per lo stesso motivo: Erwin voleva fargli conoscere la sua
famiglia.
Per
i suoi genitori sarebbe stato importante conoscere il suo ragazzo e
quindi avevano proposto una cena per quel venerdì sera, Levi
però
si ostinava a rifiutare, ancora e ancora.
Era
già la terza volta quella settimana, ed era finita in un
brutto
litigio.
Erano
volate parole pesanti, cattive, e alla fine Erwin
aveva deciso
di andarsene da casa del suo ragazzo, preferendo una ritirata
strategica per cercare di salvare il salvabile, piuttosto che un
accanimento senza senso. Aveva imparato a sue spese quanto la lingua
di Levi potesse essere tagliente, e non gli andava di rimanere oltre.
Era uscito da casa dell’altro sbattendo la porta ed aveva
camminato
fino alla stazione della metropolitana, cercando di farsi passare il
nervoso.
Non
gli piaceva litigare.
Soprattutto
con lui.
Ad
Erwin piaceva il dialogo costruttivo, avrebbe voluto semplicemente
che Levi si aprisse con lui; ovviamente aveva capito che
l’ostacolo
apparentemente inaffrontabile erano i suoi genitori, perché
purtroppo Levi era rimasto orfano da bambino, finendo affidato al suo
strambo zio Kenny. Non sapeva gestire i rapporti familiari, ma Erwin
lo capiva. Avrebbe solo voluto che glielo dicesse apertamente,
perché
quella sincerità avrebbe significato rispetto e fiducia.
Avrebbe
significato tutto, perlomeno per lui.
Invece
il moro continuava a dirgli sempre e solo di no, ad impuntarsi sul
non dare troppe spiegazioni, e questo lo faceva arrabbiare
più di
quanto potesse esprimere a parole.
Stavano
insieme da sei mesi ed Erwin sentiva il bisogno di portare la loro
relazione ad un livello più ufficiale.
Non aveva senso
continuare a vedersi a casa sua o dell’altro solo quando non
c’era
nessuno, non voleva ci fossero questi inutili paletti, iniziavano a
pesargli, non erano più dei ragazzini.
Erwin
arriva alla banchina della metropolitana mentre le porte del treno si
stanno chiudendo.
Le
guarda chiudersi davanti a sé con espressione afflitta,
storge
l’angolo della bocca, poi si dirige sospirando verso la
panchina
poco più avanti, sulla sinistra. Si siede, apre la tracolla
che ha
in spalla e tra i due libri ed i vari quaderni di appunti cerca le
cuffie. Le indossa e taglia tutto il mondo fuori dalla sua testa,
facendo partire la musica.
La
sua musica triste, come la chiama Levi, abituato ad
ascoltare
solo rock.
Vorrebbe
convincerlo.
Vorrebbe
davvero che venisse venerdì sera, eppure Erwin sa benissimo
di non
poterlo costringere. Lo sa anche perché il suo ragazzo ha
pensato
bene di urlarglielo in faccia neanche mezz’ora prima,
etichettandolo poi con sentitissimo “Stronzo”.
Sospira
ancora Erwin, poi guarda il tabellone luminoso che lo avvisa che
mancano sei minuti al suo treno.
Chiude
gli occhi ed abbassa la testa, iniziando a battere nervosamente il
piede a terra.
Non
sa cosa fare con lui.
È
sicuro che la loro storia può funzionare, è
innamorato di Levi, ma
allo stesso tempo inizia a pensare che forse semplicemente vogliono
due tipi di relazione differenti, e…
Erwin
sobbalza di colpo quando si sente toccare la gamba.
Alza
la testa di scatto e si trova davanti Levi con ancora il piede alzato
verso di lui. Ha le mani sprofondate nelle tasche della felpa nera, e
sembra stringersi nelle spalle appena incrocia il suo sguardo.
“Ohi”
gli dice semplicemente il moro, una volta che lo vede togliersi le
cuffie dalle orecchie. E lo dice con un filo di voce, quasi come se
non riuscisse a trovare un tono migliore da usare, cosa che lo lascia
stupito: Levi Ackerman sembra sempre sicuro di sé,
è una delle cose
che gli è piaciuta subito di lui.
Eppure
Levi non si sente sicuro per niente in questo momento, tanto che ha
bisogno di far vagare lo sguardo sul muro ricoperto di locandine, sul
pavimento lercio, e solo alla fine di nuovo su Erwin.
“Che
ci fai qui?” gli chiede il suo ragazzo, sicuramente memore
del suo
“Vattene, cazzo”. O forse
semplicemente realizzando che si
trova in una fottutissimamente lurida stazione della metropolitana.
Proprio lui, che ha un desiderio quasi patologico di pulizia ed
ordine.
Sprofonda
ancora di più le mani nelle tasche.
“Ti
cercavo” dice semplicemente, scuotendo appena la testa e
attirando
l’attenzione di Erwin. “Ho esagerato,
scusa” continua poi, ma
in quell’istante il fischio dei freni preannuncia
l’arrivo della
metro. Lo spostamento d’aria dovuto all’arrivo del
treno gli
smuove i capelli neri dalla fronte, ma lui non fa niente per
rimetterli a posto. Si limita ad osservare Erwin che si è
alzato con
tutta calma e sta camminando verso la linea gialla mentre gli chiede
“Hai fatto il biglietto?”.
Che
cazzo di domanda è?
“Non
avevo tempo. Non c’erano guardie, ho saltato il
tornello”
risponde monocorde, guardandolo di sghembo, aggiungendo poi un
“E
poi le casse automatiche sono luride” storcendo
l’angolo della
bocca in una espressione nauseata.
Il
treno si ferma, le porte si aprono, ci sono passeggeri che scendono e
che salgono.
“Quindi
sei venuto a cercarmi?” chiede ancora Erwin, mettendo
palesemente a
dura prova la sua ben famosa manchevole pazienza.
“Si,
idiota”
E
poi succede.
Mentre
lo sta dicendo vede Erwin fare un passo in avanti ed entrare nel
vagone, voltandosi poi nuovamente verso di lui con espressione di
sfida.
“Non
osare, cazzo” minaccia il moro, assottigliando lo sguardo.
“Erwin,
non osare” ripete ancora, mentre sente il suono che annuncia
la
prossima chiusura delle porte automatiche.
Ma
Erwin osa, come sempre del resto.
Lo
sfida, incrociando le braccia al petto e guardandolo con un
sopracciglio alzato.
E
se Levi dovesse confidare uno dei mille motivi per cui si è
innamorato di lui, probabilmente sarebbe proprio il suo riuscire a
tenergli costantemente testa.
Quel
suo maledetto cipiglio da ostinato bravo ragazzo che lo fa vacillare
ogni volta.
Ed
è mentre le porte iniziano a chiudersi che senza pensarci
oltre si
getta in avanti, finendo col mettere piede nel vagone semi deserto
con un sonoro “CAZZO”. Poi si volta verso il biondo
pronto ad
incenerirlo con lo sguardo, perdendo però tutta la
convinzione
trovandolo con un sorriso davvero adorabile stampato in faccia.
“Sei
salito” gli dice semplicemente, quasi stupito, con un palese E
lo hai fatto per me sottinteso.
Si,
lo aveva fatto per lui.
Perché
voleva chiarire.
Perché
era stanco di litigare con lui per una cazzo di cena.
Si
limita ad annuire mentre Erwin si siede in uno dei tanti posti
liberi, facendogli cenno di fare lo stesso accanto a lui.
“Non
esagerare adesso” è la sua risposta, che lo fa
ridere di gusto.
Erwin
ha una bella risata, è piena, ti entra in testa.
Tutto
di lui sembra entrargli in testa, sin dalla prima volta in cui gli ha
rivolto la parola alla biblioteca universitaria.
Si
mette in piedi di fronte a lui, allargando appena le gambe per avere
maggiore stabilità nel vagone che si muove veloce nelle
gallerie, le
mani ancora ben piantate nelle tasche della felpa per evitare di
toccare una qualsiasi cosa. Alza lo sguardo, osserva la cartina
attaccata sopra le sedute, capisce che hanno ancora diverse fermate
prima di poter scendere e questo pensiero sembra chiudergli la gola.
Storge
appena l’angolo della bocca, ma in quel momento arriva la
voce di
Erwin a distrarlo.
“Sei
su una metropolitana” lo canzona, apparentemente molto
divertito.
Poi il suo tono si addolcisce mentre gli chiede “Come ti
senti?”.
“Sporco”
sentenzia Levi, facendolo ridere di nuovo. “Mi strapperei la
pelle,
se potessi” continua poi, grattandosi nervosamente un braccio
da
sopra la felpa aperta.
“Esagerato,
non stai toccando niente!”
“A
quel punto dovrei amputarmi una mano, sarebbe irrecuperabil-”
Lo
sta ancora dicendo quando il treno frena bruscamente, facendolo
sbilanciare all’indietro.
È
un secondo.
Un
secondo di puro istinto, in cui per evitare di cadere si aggrappa
alla sbarra di metallo alla sua sinistra.
Il
treno rallenta, in arrivo alla prossima stazione, ma Levi rimane
immobile. Rimane immobile ad occhi stranamente sgranati, ancora
aggrappato malamente, cercando di trattenersi
dall’iperventilare,
fino a quando Erwin non lo prende per i fianchi, portandoselo di
forza più vicino in totale silenzio. Lo costringe a sedersi
sulle
sue ginocchia mentre gli dice “Aspetta, ho del gel
disinfettante”,
aprendo velocemente la tracolla.
Lo
sente distendersi appena, mentre lo guarda supplichevole, le mani
alzate, in attesa. Erwin vorrebbe ridere, ma non lo fa. Si forza
addirittura di non sorridere.
Levi
sembra riprendere a respirare solo quando il gel tocca le sue mani.
“Va
meglio?” chiede Erwin passandogli un braccio intorno alla
vita, in
un abbraccio appena accennato.
“Vorrei
farmici il bagno” commenta l’altro con voce
contrita, prendendo
altro gel, rilassandosi in quell’abbraccio mentre il biondo
nasconde un sorrisino divertito contro il tessuto della sua felpa.
“
Mi
spiace per prima, non volevo insistere. "
“E
io non volevo litigare. Non pensavo davvero quelle cose.”
“Lo
so. Neanche io le pensavo” conferma Erwin. “Capisco
il tuo punto
di vista” continua, e questa volta gli morde scherzosamente
la
spalla, allentando totalmente quella poca tensione ancora presente
fra loro, facendolo sorridere appena. Il moro fissa lo sguardo sul
pavimento sporco della metro, la mente chissà dove, a
rincorrere
chissà quale pensiero in particolare, fino a quando la sua
attenzione non viene attirata da un “Ehi, Levi”.
“Mh?”
“Sono
felice tu sia qui” gli dice improvvisamente, ma senza
coglierlo di
sorpresa. Infatti Levi sospira, poi lo guarda e abbozza un sorrisetto
complice, stirando appena le labbra, come in imbarazzo. Non dice
niente, si limita ad annuire tra se e sé mentre Erwin gli
posa una
mano sulla nuca per avvicinarlo a sè, posandogli poi un
bacio sulla
tempia con un “Significa tanto” detto a bassa voce.
E
Levi si ritrova ad annuire ancora.
“Anche
per me.”
“Attento”
gli dice un Erwin stranamente protettivo mentre scendono dalla metro,
indicando lo spazio fra la banchina ed il vagone. Levi si acciglia,
apostrofandolo con un secco e polemico “So come scendere da
una
cazzo di metropolitana” mentre gli rivolge
un’occhiataccia.
Erwin
sorride, alzando le mani in segno di resa.
“Volevo
essere gentile”
“Sei
strano” lo corregge invece lui, facendolo sorridere ancora di
rimando mentre salgono sulla scala mobile, pronti a risalire in
superficie.
Levi
si guarda intorno con fare circospetto, visibilmente a disagio, le
mani di nuovo nelle tasche della felpa ed i piedi ben piantati sui
gradini, attento a non toccare niente neanche per sbaglio.
Arrivati
ai tornelli si accertano che non ci siano guardie in giro, poi Erwin
gli fa segno di mettersi davanti a lui. Passa la carta sul lettore
automatico e passano insieme, in un abbraccio maldestro che fa
ridacchiare Levi, che però aspetta di essere fuori dalla
stazione
per chiedergli “Hai infranto le regole, come ti
senti?”.
“E’
colpa tua, quindi ho la coscienza piuttosto pulita” ammette
il
maggiore con un sorrisetto beffardo, domandandogli poi “Vuoi
che ti
faccia il biglietto per il ritorno?”.
Levi
si blocca sul marciapiede, lasciandosi andare ad una espressione
disgustata.
“Pensi
davvero che riprenderò quella cosa?”
“Ti
riporto in auto?”
“No,
troverò un modo” lo liquida con tono monocorde ed
espressione
neutra, facendo un primo passo nella direzione che sa bene essere
quella di casa dell’altro. Erwin rimane un attimo stupito da
quella
risposta, poi lo segue senza farsi ulteriori domande.
Lo
raggiunge con due falcate e gli prende la mano, vedendosi risolvere
prima un’occhiata sorpresa e poi un sorriso. Un sorriso grato,
bellissimo.
Succede
ogni volta, e probabilmente lo fa proprio per questo: perché
i
sorrisi di Levi sono rari, e vedersene rivolgere uno per così
poco è un regalo che non si lascia mai
sfuggire.
Camminano
tenendosi per mano quella decina di minuti che dista la metropolitana
da casa di Erwin, parlando del più e del meno con
naturalezza,
buttandosi alle spalle il litigio di poco prima. È sempre
così tra
loro: hanno due caratteri forti, finiscono per scontrarsi con
facilità, eppure allo stesso modo riescono a chiarire e far
pace.
Sembrano
fatti per stare insieme, Levi lo sa, sembra averlo saputo sin da
subito, e se ne convince ogni giorno di più.
Un
colpo di fulmine.
Si
sente fortunato, e non è una sensazione così
usuale per lui.
“Sono
arrivato” dice Erwin in tono mesto, indicando la palazzina di
fronte a loro con gesto quasi svogliato mentre Levi si limita a
mugugnare qualcosa che non capisce, abbassando la testa, a disagio.
Il biondo esita con le dita ancora tra le sue. “Ci vediamo
domani?”
gli chiede, stringendo appena, e lui si limita ad annuire.
Poi
alza lo sguardo su Erwin proprio mentre lo vede avvicinarsi al suo
viso, cogliendolo quasi di sorpresa, costringendolo a fermarsi e a
guardarlo interrogativo.
“Tua
madre è già a casa?” chiede, ed il suo
ragazzo inarca un
sopracciglio, sorpreso.
Guarda
l’orologio e conferma, “Si, sicuramente
è già arrivata”.
“Pensi
che potrei conoscerla?”
La
domanda arriva in modo così inaspettato e con tono
così stranamente
incerto da parte sua, che per un attimo Erwin crede di essersela
immaginata. Poi cerca il suo sguardo e che capisce che no, non se la
era immaginata affatto. Si lascia andare ad un sorriso felice mentre
annuisce, mentre risponde “Certo” e si china per
stampargli un
bacio all’angolo della bocca. “Cosa ti ha fatto
cambiare idea?”
chiede mentre lo prende per mano e lo conduce fino al portone della
palazzina a mattoncini.
“Ho
pensato che così venerdì sarà
più facile”
“Quindi
verrai?”
Annuisce
piano, ma sembra convinto.
Erwin
non sa quantificare quanto gli costi conoscere sua madre, sa solo che
non riesce a smettere di sorridere.
“Grazie,
Levi” lo guarda ancora, incuriosito da ogni sua minima
reazione.
Nello
specifico dal modo in cui sta nervosamente battendo il piede a terra
mentre attende che infili le chiavi nella serratura ed apra
finalmente la porta di casa.
“Forza,
apri questa maledetta porta” lo incalza con voce ferma,
impaziente,
senza però avere il minimo effetto.
Anzi,
Erwin decide di tergiversare volontariamente, solo per fargli
dispetto.
“Quindi
potrò conoscere Kenny?” domanda infatti
prontamente, parandosi di
fronte alla porta con le chiavi già inserite.
Levi
lo guarda storto, con quel suo tipico sguardo a metà tra lo
scocciato e lo svogliato che ha imparato a conoscere fin troppo bene
in questi sei mesi.
“Non
esagerare”
“Perchè?”
“Non
seccarmi, Erwin”
“Tu
dimmi perché”
“Perchè
è Kenny” risponde, come se
fosse la cosa più naturale del
mondo, degnandosi finalmente di sfilare le mani dalle tasche.
“E
quindi?” lo incalza ancora lui, vedendolo sospirare ed alzare
gli
occhi al cielo, palesemente trattenendo tra i denti una imprecazione.
“E
quindi” calca Levi con voce calma, facendosi poi un
passo più
vicino per abbassare il tono ed evitare di essere sentito da oltre la
porta, “Sa che scopiamo ed ha una collezione di fucili da
caccia”.
Cala
un attimo di silenzio, poi Erwin annuisce tra se e sé
schiarendosi
la voce.
“Magari
aspettiamo ancora un po’, si”
“Già.”
|