jcjc
cosa sono le nuvole
Non è vero che, se glielo avessero chiesto prima di
conoscere Joseph, Caesar avrebbe avuto una risposta tanto chiara.
È vero, la donna lo affascina, gli piace: Caesar ha amato
molte ragazze con tutto l’impeto dei suoi
vent’anni, e dei suoi diciannove, e prima ancora, e non
è mai tornato sui suoi passi, non ha mai ricalpestato
l’umore del suo sangue in ebollizione, strabordante oltre il
suo cuore. Joseph lo riempie di scherno, geloso di attenzioni (da parte
di chi?), dice che è di una frivolezza detestabile. Che gli
piace sedurre per il gusto di farlo, di conquistare.
Sedurre! Come se non fosse lui, a
rimanere irretito dalle mani sapienti che tessono trame a suo danno.
Non può evitare di ballare, quando viene trascinato nella
frenesia di quel particolare tipo di danza, ed è
più forte di lui, poiché fermamente crede che la
donna vada amata, e venerata quanto possibile. I gioielli che regala
non sono doni per raggirare, doni di vanagloria, ma offerte, come
un sacrificio a un dio, con tutta l’umiltà di
celebrare, di ringraziare.
A differenza di molti
uomini del suo tempo, tra cui in tutta franchezza figura anche lo
stesso Joseph, Caesar ammira le donne, ne ammira le qualità
intrinseche come anche quelle che possono derivare
dall’ambiente in cui sono state cresciute. Ammira la visione
peculiare delle cose che le donne sembrano avere, anche riguardo le
questioni degli uomini, ammira la freddezza con cui demoliscono certe
situazioni rissose nate soltanto per la stupidità e
testardaggine di certi maschi –
entro cui lui si
include, senz'altro.
È assoluto:
Caesar ama le donne, in tutti i modi, con ampia accezione. Arriva
persino a invidiarle, nel loro obbligo e nella loro libertà
di essere portatrici di grazia e bellezza. Dopotutto, è
tutto ciò che Caesar stesso vorrebbe essere, una perla per
l’occhio, una foglia d’oro impalpabile, la
sfumatura più bella dell’affresco che mozza il
fiato quando vi cade lo sguardo. Una seduzione del tutto estetica e
artistica e per nulla sessuale, in qualche modo, qualcosa che dia lo
stesso groppo in gola della Cappella Sistina. Pavone, vanesio, glielo ripeteva sua madre,
ridendo. Non lo può negare, e a spingerlo tanto a curarsi
nell’aspetto e nei modi è anche l’idea
di sfigurare di fianco alla bellezza delle donne che lo accompagnano.
Eppure. Eppure. Ricorda del sogno di una
scrittrice (perché qualcuno gliene ha parlato, ovviamente,
non per sua cultura), un sogno che parlava di metamorfosi: la Fortuna
compie una trasformazione sulla donna, nel sogno, una metamorfosi che
rende il suo corpo forte e snello, ma soprattutto leggero.
Il corpo di un uomo.
Caesar aveva riso,
ascoltando questo racconto, incapace di apprezzarne il vero significato
– l’uomo, snello, leggero? La sua signora in
quell’occasione aveva scosso la testa, chiaro segno che per
l’ennesima volta stava avendo a che fare con un rozzo
esemplare incapace di andare veramente al di là di quanto la
sua natura gli imponeva, ma Caesar l’aveva ignorata. Il vino
era troppo profumato, la sua arroganza e la sua belligeranza
già sopite; gli veniva poi un prurito, a pensare di dover pensare al corpo di un uomo in
termini che non fossero debolezze fisiche, punti deboli, la durezza di
un addome appena inspessito a cui sferrare un calcio o un pugno.
Ora, avrebbe voluto
ritrovare quella donna, per riprendere la conversazione, per
addentrarsi in quei meandri che prima aveva evitato, più o
meno inconsciamente.
Nel frattempo,
infatti, aveva conosciuto Joseph. Esasperante, irritante, senza dubbio
uno dei peggiori esponenti del sesso maschile che la Terra potesse dare
in frutto: la sua irruenza (americano, dopotutto, com’era
ovvio) poteva rivaleggiare soltanto con la sua crudezza (inglese e quindi barbaro, com’era chiaro), e
Caesar l’aveva disprezzato nell’esatto momento in
cui l’aveva visto.
“Dormi?”
Le lenzuola fanno un
fruscio rumoroso, che lo strappa dal suo dormiveglia. Caesar inspira
aria in maniera tagliente, sente il calore depositarsi in petto, la
familiarità delle onde, e apre gli occhi. A specchio, due
occhi blu lo scrutano con la curiosità di un ragazzo.
“Non
più,” Caesar si lamenta, ma il sonno trasforma
l’irritazione in segreto, quasi in confidenza, e
l’altro sorride, gli si increspa la pelle vicino agli occhi,
che è un dettaglio minuscolo nella sua importanza e
insostenibile nel suo peso. Caesar richiude gli occhi, incapace di
sopportare l’immagine: “cosa vuoi? Dovresti dormire
anche tu.”
“Non ho
sonno,” afferma, con insistenza, Joseph. La sua mano va a
coprire quella di Caesar, la solleva a peso morto e la porta sul suo
viso.
Di istinto, senza
aprire gli occhi, Caesar fa scorrere il pollice sul profilo del naso
dell’altro, preme al centro del suo labbro superiore, sente
la resistenza che Joseph oppone. Socchiude gli occhi mentre si sposta
sul letto senza fatica: si sporge, lo bacia. Come tutte le altre volte,
Joseph inspira con un pizzico di foga appena prima che Caesar sia lì, su di lui, e come tutte le
altre volte è una cosa che lo disarma.
Si baciano piano,
respirando di tanto in tanto, spartendosi a turno l’aria che
poi è la più fondamentale base di quello che
condividono. Caesar gli accarezza i capelli, gli cammina sul braccio
nudo, lo sente sussultare al passaggio del suo palmo caldo. Il gesto
è lo stesso che riserverebbe alle donne che tanto ama,
seppure la sensazione che ne risulta sia completamente diversa, e alla
fine decide di stringerlo per la canotta, facendo un pugno nel tessuto
e tirandolo a sé, qualcosa che forse gli è
concesso fare solo con un uomo. Joseph lo vuole baciare con foga, ma
Caesar più di ogni altra cosa ha sonno, per cui gli dà un
pizzicotto poco convinto. Poi si limita a distendere le dita sul suo
petto, per coprirne il più possibile. Un’impresa
ridicola.
Forse questo voleva
dire, la leggerezza del corpo dell’uomo. Joseph si muove
sempre rapido, non è mai fermo, e l’aria stessa
freme a contatto con lui, si energizza, come in attesa di uno prossimo
scatto. Nonostante il suo aspetto, più che una possente
statua greca Joseph rassomiglia di più a una musica
frenetica, quasi una tarantella, dove nessuna nota è mai
stonata nonostante la fretta dell’esecuzione. Joseph
è fresco, un sospiro di sollievo, è la pienezza
data dal primo respiro preso una volta usciti dall’acqua dopo
un’immersione.
Caesar sente che
potrebbe passare non poco tempo a osservare e a magnificare questo
corpo – non che Joseph abbia bisogno di altra aria per il suo
orgoglio a mongolfiera, ma è più forte di lui: amore mio bellissimo, sei splendido, sei
incomprensibile,
gli cantilena in certi momenti, impudico, ma soprattutto forte del
fatto che l’altro continuerà a fare muro contro la
sua lingua, il suo bell'italiano, continuerà a non capire la
sua stessa incapacità di capire, e il suo affetto
rimarrà protetto dallo scherno dell’altro, per
sempre sommesso nell’orecchio di Joseph.
Caesar, in
realtà, non si vergogna. Non si è mai vergognato
con alcuna delle sue donne, e sa che un amore tanto forte non
può essere abominio, non quando ha lo stesso sapore che ha
sempre avuto, per lui, prima che arrivasse Joseph.
Dunque Caesar non si
confessa a Dio, perché non c’è nulla da
confessare, e allo stesso modo neanche si pente. Il suo essere restio a
esprimersi chiaramente è, semmai, orgoglio, è la
seccatura di sentirsi scherniti da Joseph; non esplicita quindi nessuno
dei suoi pensieri, non li comunica all’altro, e si limita a
osservarlo e accarezzarlo mentre respira profondamente, il sudore a
imperlargli la schiena e il petto, quando capita.
Di rimando, neanche
Joseph è particolarmente comunicativo, e questo è
strano: dopotutto è noto per la sua dialettica assurda, per
un’arte oratoria che oscilla tra lo stravagante e il
ridicolo. Per fortuna, Caesar non perde tempo a farsi consumare dal
dubbio, sa che quello che hanno e che hanno avuto va ben oltre la
necessità di dichiarazioni evidenti.
(Tra
l’altro, sospetta che Joseph abbia quantomeno intuito la
natura delle sue confessioni a fiato sconnesso nei loro momenti di
intimità. È sempre una sorpresa, la sua
intuizione, soprattutto se sovrapposta alla sua quasi imperante
idiozia.)
Caesar lo guarda da
due fessure, le labbra curvate all’ingiù, come i
suoi occhi. A maggior ragione, indagando l’uomo davanti a
sé, stringendone la carne inspessita, continua a farsi
domande riguardo la presunta leggerezza, o quantomeno ancora finge di
non averla capita. Forse, in effetti, anche se avesse
l’occasione di riparlarne con la ragazza che lo ha introdotto
alla discussione, non ne caverebbe niente di rivoluzionario; dopotutto,
lei non ha mai conosciuto Joseph Joestar. Cosa può
immaginare, della leggerezza del corpo di un uomo?
“Dormi,”
gli ripete, piano, quando lo vede chiudere gli occhi per un secondo di
troppo. A sua volta li richiude, strofinando la guancia sul cuscino.
Joseph non abbocca (non gli ha mai dato retta, dopotutto,
perché iniziare?) e lo scuote leggermente per la spalla.
“Ehi, pensi
di potertela asciugare così? Ti ho detto che non riesco,
fammi compagnia.”
Un’irritazione
familiare diventa fiamma viva nel petto di Caesar. È sempre
così: proprio quando si lascia andare a un pensiero
particolarmente gentile, morbido, nei suoi confronti, Joseph riesce a
rovinare tutto. La voce gli esce in un sibilo infastidito.
“Jojo.”
È un
avvertimento in tutto e per tutto ed è sicuro che
l’altro l’abbia colto, la minaccia del
“ti spacco il culo e finisci a dormire per terra”
piuttosto chiara nel suo tono. Nel frattempo Joseph ha comunque
ottenuto ciò che voleva: mosso dall’indignazione,
il corpo di Caesar è più sveglio di prima. Il
ragazzo sospira, pronto a esprimere il suo fastidio, ma
l’altro lo precede.
“Sei
bello,” beh, questa è nuova. Caesar si sente
arrossire, non gli succedeva da quando aveva sedici anni.
“Dormivo anche io, poi mi sono svegliato e ti ho visto. E
allora, insomma, dovevo dirtelo.”
C’è
dello shock negli occhi di Caesar, e può solo sperare che
non sia così tanto visibile nella penombra della notte.
Fortunatamente non rimane a lungo a guardarlo boccheggiando come un
pesce e la sua esitazione può ancora essere imputabile al
sonno; Caesar sbuffa, cerca di non fargli vedere quanto quelle due
parole lo abbiano disarmato e svestito. Ovviamente, soltanto Joseph
poteva mettersi in testa di fargli un complimento genuino proprio
quando ha addosso un orribile pigiama sgualcito, con i capelli biondi
che l’umidità ha trasformato in un nido di paglia,
e mentre il sonno lo stringe per metà.
La sensazione
è strana e duale. All’infuori della sua pancia,
che sembra pesante e bollente come un ceppo messo a bruciare sul fondo
del camino, ogni altra parte del suo corpo è pervasa da un
pizzicorio sottile, né sgradevole né piacevole.
Si sente fluttuare, si sente leggero.
Espira
dal naso e ci passa sopra.
“Vedi che
allora i complimenti li sai fare anche tu. Mesi che ci conosciamo e
questo è il primo che mi fai,” Caesar si bea dello
sguardo compunto che Joseph gli rivolge, “sei un pessimo
romantico.”
Contrariamente a
quanto previso, Joseph non si inalbera, non consente al loro solito
bisticciare di prendere il sopravvento. Piuttosto, pare quasi che sia
ancora più risoluto: gli mette una mano sul fianco, un punto
di calore di cui Caesar avrebbe fatto volentieri a meno. Joseph sembra
matto, quando parla di nuovo.
“Quindi ne
vuoi ancora? Pensavo che già sapessi di essere
l’uomo più bello d’Italia.”
Gli dice, piano, e Caesar stringe le labbra, gli si attorciglia
qualcosa nella pancia. “Non pensavo che ne avessi bisogno,
Cesarino. Posso fartene quanti ne vuoi.” Bugia, bugiardo, Caesar conosce benissimo il
modo in cui Joseph si irrigidisce davanti alle sue piccole malizie, al
suo tocco che talvolta può essere poco appropriato. Ha molto
meno fegato di quanto non stia dichiarando, ma nonostante questo.
Nonostante questo. Caesar inghiotte a vuoto, sbatte le palpebre, senza
ben sapere come rispondere.
Passa ancora qualche
secondo, poi Joseph rovina tutto, o forse lo migliora, Caesar non
riesce bene a capirlo – in ogni caso, non era possibile
pretendere che rimanesse serio a lungo, con quel teatrino. Fare lo
spaccone è nella sua natura, ma non è nel suo
stile provocare, lusingare, a quel modo. Joseph gli
scoppia a ridere in faccia e si ferma solo per guardarlo in volto e
ricominciare a ridere. Alla fine, si tira su a sedere, scompigliando i
capelli di Caesar, nel gesto un affetto di una natura tale da
spaccargli il cuore di nuovo, tutto da capo.
“Hai fatto
una faccia,” gli dice, sorridendo, gli occhi pieni di
entusiasmo. “È così facile
imbarazzarti?”
Solo con te. Caesar non si è
mai sentito così stupido. Così tanto facile,
solo con te.
Caesar gli si
avvicina, muovendosi pigramente sul letto, e neanche risponde. Gli
dà uno schiaffo poco convinto sulla gamba e mugugna qualcosa
di vago, al ché Joseph gli chiede di ripetere, e Caesar gli
risponde seccamente: dormi,
cretino.
Joseph ride di nuovo, e scivola nuovamente disteso, curandosi di
lasciargli un bacio sui capelli biondi, stringendolo tra le braccia.
La mattina dopo si
saranno separati, e Caesar avrà anche dimenticato, ma in
quel momento capisce la leggerezza. Joseph è leggero, e
vola, portandolo con sé.
***
beh raga. che
dire. vorrei spiegare un po' il processo creativo e
giustificare alcune cose. sostanzialmente passeggiavo per il centro
città ascoltando il ciclo di conferenze di Barbero sulle
donne nel medioevo e vedendo tutti gli edifici e le chiese e ascoltando
questo invasato pazzo che parlava di Christine de Pizan (che
è in realtà italiana di nascita e fu a detta di
barbero una delle più importanti donne del medioevo,
nonché ovviamente la scrittrice di cui Caesar menziona il
sogno nella storia) mi è venuta proprio la
necessità di mettere tutta una serie di pensieri addosso a
Caesar stesso. Non so come dire, sì nel canon è
mostrato come un coglione vanesio arrogante don giovanni, MA...
potrebbe anche essere veramente pieno di amore per La Donna^tm, e
quindi essere un coglione vanesio arrogante simp. (poi ovviamente ha i
daddy issues, motivo per cui nella mia testa vive per i complimenti,
ovvero ne fa quanti ne vuoi ma non riesce a riceverli, soprattutto se
provengono da un idiota sincero e diretto come jojo)
riguardo la visione delle donne per questi due, credo che possa essere
appropriato per il loro tempo immaginarli così. Mentre Jojo
è un po' sessista in maniera standard (??? lmaooo), del tipo
"donna debole e un po' sciocca" (che poi è tutto canon),
Caesar potrebbe arrivare a fare l'inverso, del tipo: donna angelo da
venerare, mia dea, esempio di grazia e meraviglia, eccetera. mi piace
immaginare comunque che tratta ogni sua donna con rispetto!!! in ogni
caso lui e joseph dovrebbero mettersi assieme, così, per
impedirsi a vicenda di fare danni
se può interessare a qualcuno, Christine de Pizan rimane
vedova e in relativa povertà a gestirsi la famiglia e
l'esistenza. Fa appunto questo sogno in cui si trova su un veliero alla
deriva, e non c'è suo marito a guidare la nave e a salvare
la situazione: ad una certa arriva la Fortuna, che trasforma il suo
corpo in quello di un uomo, e finalmente Christine si mette da
sé ad aggiustare la nave. Già così
è interessante, ma la cosa che mi ha colpito di
più è il fatto che Christine si descrive come
più leggera del solito, cosa un po' bizzarra, che
però quadra se si pensa al peso delle
responsabilità della donna (che al tempo erano banalmente:
sfornare pargoli a manetta, mentre adesso sono cambiate, ma rimangono
comunque cose interessanti su cui riflettere). e niente questo
è tutto!!!
Grazie se siete arrivati fin qui!! Ciaooo
Cate
ps: il titolo viene dalla canzone di Modugno perché ho la
certezza che Caesar amerebbe tutta la musica italiana alla vecchia
maniera
|