That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Mirzam - MS.004
- Un Tempo per Vivere
Mirzam
Sherton
Hogwarts Express, Highlands - 1 settembre 1966
“Ti sta
bene la spilla da Prefetto…”
Sussultai. Per tutto il viaggio avevo evitato il suo scompartimento. A
King’s Cross ero fuggito quando avevo visto i Black
materializzarsi, avevo persino evitato di salutarli, approfittando
della calca di quanti si complimentavano per la bellezza della piccola
Narcissa, in partenza per Hogwarts per la prima volta. C’era
pure quel damerino del figlio di Abraxas, Lucius: l’avevo
preso in antipatia dal primo momento, l'anno precedente, e per mesi
avevo approfittato dei miei numerosi impegni per tenermi alla larga da
lui e dalla sua arroganza congenita. Quell’anno,
però, come capitano della squadra di Quidditch, non avrei
potuto ignorarlo: di certo si sarebbe proposto come Cacciatore, anche
se dubitavo, delicato com’era, che sapesse stare su una
scopa. Mentre la mia famiglia si tratteneva con i Black e mio fratello
restava imbambolato davanti a Cissa, mi ero perciò
avvicinato a Sile per farmi spiegare da lei i miei nuovi impegni di
Prefetto. Sul finire di agosto, infatti, Slughorn mi aveva mandato un
gufo in cui mi annunciava che sarei stato il sostituto di Steven Pucey:
quel bizzarro ragazzo stava andando contro le tradizioni di famiglia
già da mesi ma, quell’estate, suscitando un
clamoroso scandalo, era addirittura fuggito da casa e i suoi
l’avevano diseredato. Orion, presente all’apertura
della busta, mi aveva deriso a lungo, osservando la spilla come fosse
qualcosa di cui vergognarsi: dalla fondazione di Hogwarts, infatti, mai
nessuno Sherton era stato nominato Prefetto o Caposcuola, da
generazioni ci vantavamo di non essere persone raccomandabili. Mio
fratello mi aveva riso dietro, Meissa, invece, era rimasta a giocare
per ore con la spilla, su cui campeggiava lo stemma di Salazar: pur
così piccola, temeva già per i risultati del suo
futuro smistamento, così l’avevo abbracciata e le
avevo dato un bacio sul naso, riportandole il sorriso. Come sempre,
avevo percepito lo sguardo di mio padre su di me: non gli era sfuggito
uno solo dei miei gesti durante tutta l’estate, e la sua
espressione, sempre tanto seria da quando avevo dato in escandescenze a
Hogwarts, ormai si tranquillizzava solo quando ero alle prese con mia
sorella. In cuor mio pensavo che anche la storia del Prefetto potesse
essere un suo stratagemma messo in atto con la complicità di
Slughorn per tenermi d’occhio: infondo, quando ricordavo con
estrema vergogna come avevo ridotto la stanza di Lestrange, non potevo
dargli torto.
Tornai al presente, con un sospiro. Mi voltai. Temevo di non riuscire
ad affrontare Bellatrix Black senza combinarne un’altra delle
mie: era meravigliosa, i riccioli raccolti a lasciare scoperto il collo
esile, il corpo stretto in un abito verde, col ricco corpetto ricamato
in argento e la gonna lunga e ampia. Era da togliere il fiato, eppure
in me quel mondo, fatto di desiderio e attrazione, era infranto: la
guardavo e il mio cuore restava in silenzio, privo di qualsiasi
emozione. Ero combattuto tra il sollievo dell’essergli immune
e una profonda tristezza perché una parte della mia vita era
finita, non esisteva più nemmeno l’odio che mi
aveva divorato per mesi: mio padre aveva detto che le Rune mi avrebbero
dato la forza per affrontare le passioni più distruttive
senza soccombere, ma non mi sarei mai aspettato un tale, spaventoso
vuoto dentro di me.
“Dovresti tornare nel tuo
scompartimento, Black, siamo quasi arrivati…”
“… E tu dovresti
mantenere fede alle promesse fatte…”
La guardai, senza capire di cosa parlasse, lei si avvicinò,
la consueta grazia nel passo, la consueta malizia nel sorriso. Mi
chiusi in un silenzio fatto di ostilità e circospezione, il
disagio aumentò ancora, appena appoggiò la mano
sul mio braccio: tutto il desiderio che avevo sempre provato per lei si
era trasformato in un senso d’irritazione.
“Non ricordi? Mi devi un ballo
dalla festa per la vittoria della Coppa dell’anno scorso:
avevi promesso di accompagnarmi, invece alla fine sei sparito dalla
circolazione…”
Per l’ennesima volta rividi la scena: lei e Warrington che si
baciavano in biblioteca, la devastazione nella stanza di Lestrange, le
settimane di delirio, i ricordi nebulosi della notte
sull’isola. Osservavo freddo le immagini della mia vita
recente provando solamente vergogna. La guardai serio e risoluto: non
mi fu difficile mantenere una voce distaccata.
“Qui non ci sono balli,
musica, o feste, Black. Ci siamo solo tu ed io, e
…”
“Appunto
…”
Chiuse la porta dietro di sé e oscurò i vetri con
un paio d’incantesimi silenziosi. Io arretrai, colto di
sorpresa, lei avanzò ancora. Mi ritrovai stretto contro il
finestrino, le sue mani sulle mie braccia, le dita che scivolavano
verso l’alto, lente come i suoi sospiri: la fissavo negli
occhi, sembrava un gatto che giocasse con la sua preda. Rimasi
immobile, se non l'avessi assecondata, forse mi avrebbe lasciato in
pace, ma le sue mani erano già salite lungo il mio collo ad
accarezzare invano la Runa, poi le dita si erano annodate sulla mia
nuca, leggere, perché mi piegassi verso di lei.
Salì in punta di piedi, sorreggendosi a me: percepivo il
calore profumato del suo respiro che mi accarezzava le guance, il blu
dei suoi occhi che mi sondava l’anima. Le sue labbra carnose
erano sul punto di sfiorarmi quando, invece di abbracciarla, forzai la
sua stretta e la allontanai, deciso.
“Ora basta, Black…
Vattene, per favore!”
Lei mi guardò prima sorpresa, poi delusa, infine infuriata.
“Salazar…
Cos’è? Tuo padre ti ha addomesticato anche le @@,
oltre a tutto il resto? O non ti piacciono le donne? So che non vali
niente, non che …”
Odio e derisione, là dove prima riluceva, evidente, la
lussuria, ma in me non si accese l’antica rabbia,
né quel moto d’orgoglio che forse Bella si
aspettava e desiderava, quell’impeto irrazionale che avevo
provato una volta nel bosco: nei suoi occhi leggevo il desiderio che le
dessi ciò che voleva, che le mostrassi con prepotenza, preso
dall’ira, quanto le sue accuse fossero infondate. Invece
scoppiai a ridere, lasciandola ancora più confusa: non si
aspettava il mio autocontrollo. Me ne sorpresi perfino io.
“Non so che farmene di una che
si offre a me come si offre a tutti …”
“Come osi?”
“Ho forse detto qualcosa
d’inesatto?”
Lo schiaffo mi arrivò immediato, la guardai soddisfatto:
aveva le labbra esangui, serrate dall’ira, tremava, ancora
più pallida del solito. Sentii il sapore del mio sangue in
bocca, lo raccolsi con la punta delle dita e le dipinsi di rosso il
contorno delle labbra: non le avevo mai sfiorato il viso
così, con un misto di desiderio e di tenerezza, e rabbia
fusa a dolore… Lei fece guizzare la lingua, fissandomi negli
occhi e suscitando per un attimo i miei antichi desideri, si
leccò le labbra, assaggiandomi. Infine mi sputò
in faccia.
“… Sei patetico,
Sherton: sei capace solo di insultare perché con me ti senti
esattamente ciò che sei, un mediocre e un
codardo… La verità è che tu hai paura
e invidia di me, perché al contrario di te, io mi prendo
tutto ciò che voglio, senza chiedere il permesso,
perché sono una donna vera, con passioni vere, che non si fa
mettere i piedi in testa da nessuno... ”
Stringeva le mani a pugno, convulsamente, la voce era spavalda e
sicura, ma il tremore involontario mandava in frantumi la maschera
impassibile che voleva invano rimettersi addosso.
“Non sei una donna, Black, sei
solo una ragazzina spaventata, che si sta dando via, Merlino solo sa
per quale motivo! Sei così insicura e piena di rabbia da non
accorgerti che qualcuno potrebbe volere te, non il tuo nome, il tuo
sangue o i tuoi soldi, solo te… Qualcuno che ti donerebbe un
mondo più felice di quello che temi e di certo migliore di
quello che ti stai creando da sola…”
Scoppiò a ridere, guardandomi con quella che poteva
definirsi solo pietà.
“… Certo, se solo
concedessi la mia assoluta dedizione a un povero idiota come te, pronto
a declamarmi il suo amore con un anello sontuoso che susciti
l’invidia delle amiche e la soddisfazione della
famiglia… Preferirei ammazzarmi piuttosto! Io non mi
venderò mai per vestiti e gioielli, come una donnetta
qualsiasi… Non mi farò trattare come un trofeo da
esporre in società, e non otterrò rispetto solo
perché sfornerò figli purosangue. Io merito di
più, io farò di più… Io
sarò grande, e lo sarò da me, senza un padre o un
marito a condurmi… Io mi basterò da me, non
vivrò della luce riflessa di un altro… Non voglio
essere come te… Continuerò a prendermi tutto
ciò che voglio! Persino te, se e quando lo
vorrò… Un giorno verrai a supplicarmi tu in
ginocchio, Sherton!”
Se ne andò come una furia, richiudendo con violenza la porta
dietro di sé. Quello che aveva detto mi aveva colpito, avevo
sempre creduto che desiderasse solo trovare qualcuno che
l’amasse davvero e che la sua spavalderia celasse il timore
di finire nella prigione di un matrimonio combinato: ma ora scoprivo
che ero sempre stato innamorato di una fantasia che esisteva solo nella
mia mente. Quanto a me… forse aveva ragione, ero un debole,
ma credevo nell’amore vero, e del resto non
m’importava: la mia famiglia ne dimostrava
l’esistenza, e se finora avevo sbagliato a cercare in lei
ciò che desideravo, un giorno avrei trovato la donna giusta,
la mia metà, accanto alla quale avrei realizzato i miei
sogni e che avrei aiutato a realizzare i propri. Insieme. In quel
senso, sarei stato ben felice di essere paragonato a mio padre.
Poco dopo, gli altri prefetti di Serpeverde mi raggiunsero per
riprendere i propri bagagli, io passai il poco che restava del viaggio
in silenzio, perso nei miei pensieri. Notai lo sguardo di Sile su di
me, ma non avevo voglia di parlare. Il treno alla fine
rallentò, fino a fermarsi, io mi tenni in disparte e uscii
per ultimo. Volevo essere io a chiudere la porta dietro di me, per
lasciarmi alle spalle, in quello scompartimento, il sogno di Bellatrix
e del mio primo, inconcludente, amore…
***
Mirzam
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - 17 settembre 1966
“E tu cosa ci fai
qui?”
Il pomeriggio era grigio e ventoso, sembrava riflettere il mio umore,
che non accennava ancora a rimettersi al bello, eppure quella mattina
mi ero svegliato con la sensazione che sarebbe stato un giorno
importante. Un giorno diverso. Ero sul sentiero che portava allo
stadio, avevo deciso di avviarmi con mezz’ora di anticipo,
sperando di evitare il codazzo di “questuanti” che
volevano raccomandarsi per ottenere un posto in squadra. Quando
l’avevo vista camminare davanti a me, mi ero messo a correre
per raggiungerla con un sorriso stampato in faccia, felice di
quell’incontro inaspettato.
“Credevo ci fosse un provino
per due posti da Cacciatore, oggi. O mi sto sbagliando?”
“Beh, sì,
ma… Da quando t’interessa assistere a dei
provini?”
“Chi ha parlato di assistere?
Io voglio partecipare!”
“Ma dai! Scommetto che non sai
nemmeno stare sulla scopa…”
Mi osservò: i suoi occhi chiari saettavano sfida e
derisione, riconobbi subito lo sguardo tipico di chi ha il Quidditch
nel sangue. Nulla di strano, era la figlia di Donovan Kelly, uno dei
più forti battitori Serpeverde di sempre, compagno di
squadra di mio padre. Sorrisi della mia stoltezza.
“Allora? Quanto vorresti
scommettere, Sherton? Vanno bene cinquanta galeoni?”
“Cinquanta galeoni?”
“Paura di perdere?”
“No, nessuna paura,
ma… non mi piace far piangere le
ragazze…”
“Se è per questo,
non ti preoccupare, perché non sarò io a
piangere…”
Mi guardava con le braccia conserte e una certa impazienza, sapevo
già che avevo appena perso un cospicuo gruzzolo, ma con
quella sua espressione pestifera era troppo carina perché al
momento riuscissi a riflettere su degli stupidi dettagli.
“D’accordo… Se vinci tu, avrai i
cinquanta galeoni, se vinco io… mi passerai i compiti di
Storia della Magia per il resto dell’anno: non ho tempo da
perdere dietro quel vecchio barbogio… Ci stai?”
“Ci sto!”
Mi sorrise e mi diede la mano per sancire il patto: aveva una presa
energica, benché sembrasse una ragazzina debole e delicata.
Mi attraversò un piacevole brivido lungo la schiena, al
contatto con la sua pelle morbida. Mi soffermai a guardarla, come
cercavo di fare sempre più spesso, di nascosto, da quando
eravamo tornati a scuola, soprattutto quando ci ritrovavamo a fare i
turni di ronda insieme in giro per il castello: Sile aveva i lunghi
capelli neri sciolti sulle spalle, a incorniciare un viso dai tratti
delicati, ma meno pallido del solito, merito forse delle vacanze dagli
zii in Provenza, le lentiggini addolcivano e rendevano sbarazzina
l’espressione sicura dei suoi grandi occhi color del cielo.
Era diventata più alta durante l’estate, anche se
vicino a me sembrava, come tutte le ragazze di Hogwarts, una piccola
ninfa. Appena riprendemmo a camminare e fu qualche passo davanti a me,
mi scoprii di nuovo a osservare la linea sinuosa di quel poco di gambe
che s’intravvedeva sotto la gonna della divisa: da un
po’ mi chiedevo, con un certo imbarazzo, come fosse tutto il
resto. Mi riportai subito un passo davanti a lei, muto: ci mancava solo
che voltandosi a parlarmi mi cogliesse ad ammirarla a bocca aperta,
come uno stupido!
Dopo quasi sei anni, non sapevo che pochissime cose su Sile: finora per
me era sempre stata solo una simpatica compagna di corso, una ragazza
allegra e socievole, molto diversa dalle ochette volgari e odiose che
imperversavano nei sotterranei. L’avevo sempre stimata per
questo, soprattutto da quando, la primavera precedente, era uscita un
paio di volte con Rodolphus Lestrange, senza però cadere
nelle trappole di quel cascamorto, anzi dandogli quella che si poteva
definire una bella lezione. Da qualche tempo, però, non era
più così, sentivo una tensione strana nello
stomaco ogni volta che eravamo nella stessa stanza e
quell’inedita, giocosa complicità, che percepivo
tra noi durante le ronde o in qualche chiacchierata in Sala Comune, mi
faceva intuire che anche lei provasse qualcosa per me. Qualcosa tra noi
stava cambiando e mi lambiccavo per ore il cervello per decidermi ad
attaccare bottone. Dopo anni passati a vagheggiare un amore
impossibile, avevo la possibilità di vivere nella
realtà, e non in stupidi sogni ad occhi aperti:
razionalmente sapevo che Sile, con la sua semplicità e
schiettezza, era perfetta per me.
“Da quando
t’interessa il Quidditch?”
“A dire il vero da sempre, ma
finora non mi sentivo pronta per misurarmi e giocare in
squadra…”
“Non mi ero mai accorto di
niente…”
“Tu vivi tra le nuvole,
Sherton, non puoi accorgerti di quello che ti accade
intorno…”
“Io non vivo tra le
nuvole…”
“Su una nuvola con Bellatrix
Black per l’esattezza!”
Mi fece un occhietto malizioso, io m’irrigidii e mi fermai di
scatto, Sile aveva fatto due passi ancora, senza accorgersi che ero
rimasto di nuovo indietro. Quando si voltò, aveva un sorriso
divertito stampato in faccia e piegava la testa di lato appena un
po’: faceva sempre così quando prendeva in giro
qualcuno. Scoppiò a ridere: dovevo avere la tipica
espressione da idiota. Sentii la faccia andarmi in fiamme e mi
maledissi per quanto fossi imbranato.
“E dai, Sherton…
Tutti voi ragazzi le morite dietro… Che male
c’è se capita pure a te?”
“Io non muoio dietro a
nessuna…”
La voce mi uscì più stizzita di quanto volessi,
mi morsi la lingua, sperando di non averla offesa. Il destino mi dava
l’opportunità di frequentare una persona che
m’interessava ed io rovinavo tutto! Inoltre era vero, ero
stato talmente preso per anni dalle mie ossessioni che non avevo mai
visto più in là del mio naso; ma dovevo, volevo
farle capire che ormai era tutto diverso. Quell’argomento
ancora aveva il potere di farmi perdere le staffe e Sile se
n’era resa subito conto, aveva smesso di ridere e aveva
ripreso a parlare di lezioni e di Slughorn, riportandosi su un terreno
sicuro, ma troppo asettico per me: non volevo perdere
quell’attimo, non volevo più essere per lei solo
un compagno musone, interessato solo alle pozioni, al Quidditch e a
Bellatrix Black... Non so dove trovai la faccia tosta, ma le presi la
mano e la tenni stretta nella mia, mentre tornavo a parlare e a ridere,
di me, di lei, di noi e di ciò che più ci
piaceva. Mi sorrise e mi scoccò un’occhiata che
rifletteva la sua sorpresa e il suo imbarazzo, la mano però
si rilassò nella mia e mi godetti uno strano rossore sul suo
viso che doveva assomigliare a quello che mi sentivo addosso: volevo
convincermi che condividesse il mio desiderio di quel timido
contatto.
“… Per quale
squadra di Quidditch tifi?”
“Per i migliori… i
Tutshill Tornados ….”
“Mmmm… Allora avevo
ragione io, non te ne intendi molto di Quidditch!”
Mi mollò la mano di colpo e mi guardò con la
compassione che si riserva ai pazzi, io non potevo far altro che
pensare quanto fosse carina, con quelle lentiggini che si accendevano
quando si emozionava o si arrabbiava ed esaltavano ancora di
più il cielo che brillava nel suo sguardo… Mi
aggrappavo al discorso del Quidditch solo per avere la bocca impegnata,
o le avrei detto tutto quello che pensavo di lei. Anzi…
ciò che volevo in quel momento non era parlarle, ma darle
quel bacio che avevo sempre pensato appartenesse a tutt’altra
ragazza e che era invece da sempre destinato a lei. Forse
intuì le mie intenzioni perché si mise a ridere e
scappò via, io rimasi lì come uno stupido,
incapace di correrle dietro: imbranato come mi sentivo quando ero solo
con lei, se l’avessi raggiunta, avrei detto sicuramente
qualche altra stupidaggine, rovinando tutto.
Per il resto del pomeriggio, durante i provini, continuai a non essere
molto presente a me stesso, ammirato nel vederla svolazzare con la
scopa e fare centri su centri; Rookwood, battitore e mio secondo,
pensando non mi sentissi bene, provò a darmi una mano e
finì con il decidere per me: d’altra parte, fu
evidente da subito a chi spettavano di diritto quei due posti vaganti.
Nei sotterranei, quella sera, si festeggiò a lungo: come
temevo, Lucius Malfoy era entrato in squadra, ma infondo era meno
schiappa di quanto immaginassi e, così silenzioso e serio,
forse meritava di essere giudicato obiettivamente anche da me. Inoltre,
qualsiasi cosa avesse fatto, non sarebbe mai riuscito a catturare
più di tanto la mia attenzione: l’altra nuova
cacciatrice, infatti, era lei.
“Sei pronto a pagare pegno,
Sherton?”
Sorrisi a Sile Kelly e dissi addio ai miei cinquanta galeoni, odiavo
perdere le scommesse, ma non in quel caso: dentro di me ringraziai
Merlino e tutti i Fondatori perché da quel momento avevo
un’ottima scusa per poterla guardare liberamente anche di
fronte a tutti. E potevo passare quasi tutto il mio tempo libero
insieme a lei.
***
Mirzam
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - 25 febbraio 1967
A settembre non avevo tenuto conto che la mia vita potesse cambiare e
arricchirsi di nuovi progetti e speranze in così poco tempo:
avevo temuto che quell’anno, senza più il pensiero
di Bellatrix e senza il timore di esami difficili, sarebbe trascorso
lento, tra lezioni noiose e pomeriggi vuoti. Mi ero perciò
affrettato a organizzare un allenamento furioso e continuo, che diede
fin dall’inizio i suoi frutti: a novembre chiudemmo la prima
partita contro i Grifoni in pochissimi minuti, il tempo di agguantare
il boccino, che svolazzava a pochi metri da terra. Un’impresa
analoga mi riuscì la partita dopo, all’inizio di
febbraio, contro i Tassorosso: sapevo che certe notizie sarebbero
uscite dai confini di Hogwarts e che molti ne avrebbero parlato in toni
entusiastici, ma quando il destino bussò alla mia porta, mi
trovò ugualmente sorpreso ed emozionato. Quella sera, al
termine degli allenamenti, avevo lasciato la squadra negli spogliatoi
ed ero ritornato nel deposito a sistemare scope e attrezzature;
all’improvviso sentii degli applausi raggiungermi e
avvicinarsi: intorno a me, il buio calava su ogni cosa, portandosi
dietro il silenzio ovattato della neve. Mi sollevai dalla cassetta del
Quidditch, avevo impiegato troppi minuti a mettere a freno uno dei
bolidi, perciò i miei compagni ormai dovevano aver lasciato
gli spogliatoi. Eppure non ero solo. Al centro del campo innevato, di
fronte a me, si stagliava scura la forma di un uomo, alto e distinto,
stretto in un abito dal taglio babbano simile a quelli che a volte
portava in pubblico anche mio padre. Nonostante la scarsa luce non ci
misi molto a capire. L’uomo fece altri passi, portandosi
ancora più vicino a me.
“Salazar!”
Alla mia esclamazione, Rodney Stenton si mise a ridere e
coprì rapido la poca distanza che ormai ci separava: aveva
qualche anno più di mio padre, era nativo del Suffolk e
aveva giocato a lungo nel Puddlemere e nella nazionale nel ruolo di
Cacciatore. Alla morte del suo vecchio aveva ereditato una vera fortuna
e aveva investito tutto quello che possedeva nella squadra che
l’aveva reso famoso in tutto il mondo magico e ora, da almeno
un lustro, era il padrone dell’United.
“Quanto tempo, Mirzam Sherton!
Ti sei fatto un uomo! Un uomo portato per il Quidditch, per
giunta… Devo ammetterlo, valeva la pena arrampicarsi fin qui
per ammirarti…”
“Signore…
io… Grazie…”
Ero completamente imbarazzato: ricevere i complimenti di Rodney Stenton
era uno dei sogni gloriosi che m’inseguivano da quando ero
bambino, da quando fingevo di volare nel soggiorno di Essex Street, su
una scopa giocattolo, reggendo un boccino che mi aveva regalato mio
padre.
“Devi sapere che il nostro
caro Slughorn mi tiene informato sulle prodezze dei suoi ragazzi,
così, quando ho saputo come sta procedendo il campionato
scolastico quest’anno, ho chiesto a Dumbledore di poter
assistere a qualche allenamento, in incognito, per rendermi conto di
persona di come sei, al naturale…”
“Al naturale?”
“Se avessi chiesto a tuo padre
di portarti a fare un provino da me, l’emozione poteva
esaltarti o intimidirti, falsando la tua prestazione, qui invece ho
potuto vedere come sei di solito…”
“Merlino, vuol dire che
è venuto altre volte a vedermi?”
Annuì. Di sicuro ero sbiancato, perché la sua
stretta sulla mia spalla si fece più forte e il suo sorriso
più ampio.
“Proprio
così… Ma questo è il passato, ora,
come puoi immaginare, se sono qui, è per farti una certa
proposta… e tuo padre dovrebbe averti detto che non accetto
NO come risposta…”
Deglutii, il senso di gelo che avevo nello stomaco divenne
improvvisamente fuoco, il sangue, freddo per la paura che stavo
provando, iniziò a palpitare furioso dentro di me, mi
sentivo sul punto di esplodere…
“Ma… Io ho sedici
anni e devo prendere i MAGO e…”
“Lo so… Sei un
ragazzo con la testa sulle spalle, ma in questo momento non devi
rispondermi come faresti con tuo padre, lui non è
qui… io voglio sapere se vorresti entrare nel Puddlemere
United…”
“Salazar! Certo che
sì! Lo sogno da quando ho ricordi…”
Si mise a ridere, doveva essere la risposta che gli davano tutti i
ragazzi cui faceva quella domanda.
“Perfetto! Allora posso
chiedere a tuo padre di farti passare le prossime due estati con i
nostri giovani a Inverness… Voglio seguirti personalmente,
così da avere in squadra, di qui a tre anni, il
più forte cercatore di Quidditch dai tempi di Alshain
Sherton…”
Lo guardai stupito: non potevo credere che nel giro di tre anni avrei
fatto parte della più gloriosa squadra di Quidditch delle
isole britanniche…
“Tuo padre ha iniziato prima,
lo so, a diciotto, ma doveva preoccuparsi di te e di tua madre, tu non
hai pensieri, puoi fare le cose con calma… in questo modo
potrò renderti anche più forte di
lui…”
“Mi sta dicendo che
sarà lei ad allenarmi? Salazar! Questa è la
realizzazione del mio sogno più grande!”
Sorrise, una punta d’imbarazzo mal celata fece capolino anche
sulla sua faccia.
“Definirò i
dettagli economici con tuo padre, finché non sarai
maggiorenne, poi, se lo preferirai, tratterò direttamente
con te: una casa a Inverness e un giusto compenso mensile dovrebbero
essere sufficienti come inizio…”
“Ma Signore, se non
giocherò per i prossimi tre anni, perché
dovrebbe…”
“Questo è il
Puddlemere, ragazzo mio… non posso certo rischiare di
vederti finire in pasto a qualche avversario!”
“Non esiste altra squadra al
mondo in cui vorrei giocare, Signore…”
Stenton si mise a ridere e mi abbracciò, continuammo a
parlare di Quidditch, del nostro comune passato, dell’attuale
classifica che vedeva il Puddlemere dietro solo ai Tornados, per tutto
il percorso, fino al castello, dove il mago aveva un appuntamento con
Slughorn, ma non sembrava avere poi tanta fretta di lasciarmi andare.
Io non vedevo l’ora di essere nei sotterranei per scrivere a
mio padre quello che era successo, già immaginavo la sua
faccia compiaciuta… e la felicità di mia madre e
di mia sorella… e la gelosia di mio fratello… E
naturalmente volevo dirlo a Sile… Arrossii,
benché ormai fossi rimasto da solo, dopo essermi dato
appuntamento con Stenton a Inverness per giugno: ero sempre
più convinto che fossero le ore passate insieme a Sile,
ridendo e chiacchierando, a darmi la serenità necessaria a
conquistare la felicità che stavo vivendo.
***
Mirzam
Sherton
Hogsmeade, Highlands - 18 marzo 1967
“Spero ti ricorderai del tuo
vecchio amico e farai a metà con me, quando orde di
ragazzine urlanti si stracceranno le vesti di fronte
all’affascinante Cercatore del Puddlemere
United…”
“Sei sempre il solito vecchio
porco, Lestrange…”
“Anche tu, il solito
poppante… mi chiedo quand’è che
inizierai ad apprezzare i veri piaceri della vita…”
Rodolphus si godeva di fronte a me il suo pregiato whisky incendiario,
seduti entrambi a uno dei tavoli migliori di Madama Hockbilden, in un
sonnacchioso pomeriggio a Hogsmeade: aveva finito la scuola, aveva
evitato per il rotto della cuffia un matrimonio devastante, si dedicava
con profitto agli interessi di suo padre –e immaginavo, a
infastidire suo fratello- e ora sembrava più grande,
più rilassato e più gaudente del solito.
“Dopo voglio portarti alla
Testa di Porco…”
“Sei già abbastanza
su di giri, Rodolphus, non c’è bisogno di andare
in altri locali… Soprattutto non in quel
locale…”
“Che palle, Sherton, sembri
una vecchia zitella acida…”
“Ah sì?
Com’è finito il tuo “Magico Tour dei
Locali più Malfamati della Britannia”? Ti hanno
ritrovato in un vicolo babbano, dopo tre giorni, sbronzo e senza
più un soldo, o sbaglio?”
“D’accordo, ma ora
basta con quella storia! E’ stato solo uno stupido incidente
di percorso…”
“Beh, io nei tuoi incidenti
non voglio entrarci…”
“Questa storia con
l’alcool e le femmine non c’entra niente, Sherton,
rilassati… voglio solo farti conoscere un amico, un amico di
mio padre per l’esattezza, è un grande mago, e ha
delle idee… Ti piacerà di sicuro quello che pensa
della feccia… Scommetto che piacerebbe anche a tuo
padre…”
“Beh, non ne dubito,
soprattutto se è amico del tuo!”
Ridemmo, anche se la risata di Lestrange in quel momento mi fece gelare
il sangue, tanto poco mi sembrava sincera. Cercai di non pensarci, mi
concentrai sul suo abito: era un pavone. Si era vestito in maniera
ancora più disgustosamente elegante e appariscente del
solito, sembrava un faro che riluceva nella notte per richiamare su di
sé l’attenzione di tutti. Sapevo che lo
faceva sempre ed esclusivamente per lei, la ragazza bruna che sedeva
con le due sorelle al tavolo al centro della sala, vedevo come
saettavano i suoi occhi azzurri a cercare di intercettare quella figura
nervosa, bella e terribile come una notte all’inferno.
“Non ti è ancora
passata la fissa per le sottane di Bellatrix Black o stai solo
valutando come mettere le mani sui loro soldi? Ancora mi gira la testa
per quel discorso che mi hai fatto il mese scorso, sulla loro ricchezza
incommensurabile!”
“Ragazzo mio, mi credi davvero
così meschino? Come puoi pensare che punti a Black per le
ricchezze che nasconde alla Gringott? A me interessano le ricchezze che
nasconde in posti più… a portata di
mano…”
Ghignò. Io lo mandai al diavolo in gaelico, sapendo che solo
guardandomi in faccia, avrebbe intuito cosa pensassi di lui.
“Io non ti capisco…
Hai detto tu stesso che si è divertita con mezza Hogwarts e
che si ostina a rifuggirti come la peste, non ti senti
umiliato?”
“Non è uscita con
tutti! Per esempio non l’ha fatto con te, mi pare…
e comunque, a parte che è ricca da far schifo… Ce
li hai gli occhi, no? La vedi com’è fatta? Non ti
suggerisce niente questo? In nessuna parte del corpo?”
“Sei proprio una bestia,
Lestrange…”
Rodolphus rise di nuovo del mio imbarazzo e tracannò
d’un fiato il suo whisky senza staccare mai i suoi occhi
famelici da Bellatrix: aveva scelto apposta quel tavolo, proprio di
fronte a lei, e con la scusa di doversi rivolgere a me, non si era
fatto sfuggire nemmeno una sua mossa. A volte pensavo che quei due
fossero davvero fatti l’uno per l’altra,
così immorali, esibizionisti e totalmente preda degli
istinti. Mi vergognavo solo al pensiero che parte delle sue
bestialità potesse arrivare a quel tavolo, nonostante
fossimo abbastanza lontani: ormai di lei non m’interessava
più nulla, però continuavo a voler bene a Meda e
a Cissa, eravamo cresciuti insieme e la separazione forzata a causa di
Bellatrix iniziava a pesarmi.
“Ragazzo mio, devi imparare a
fregartene dei dettagli, anche perché per quante dicerie
circolino, lei resta pur sempre una Black, e i pivelli di sedici anni
son noti per ingigantire i racconti… l’unico
pensiero che devi avere è puntare in alto; devi sempre
puntare in alto, anche perché con un sangue come il nostro,
è il minimo…”
“Ammesso che tu abbia ragione,
e temo tu non ce l’abbia stavolta… Lei
preferirebbe morire piuttosto che sposarsi, perciò mi chiedo
che senso abbia… non sarebbe il caso che cambiassi
obiettivo?”
“Sei proprio un ingenuo,
ragazzo mio… Credi che per Cygnus Black la
volontà di una figlia conti qualcosa? Tu pagagli il giusto e
in cambio te la recapita bella e infiocchettata con scritto
“Divertiti”! Dammi tre anni, il tempo di togliermi
qualche sfizio, e me la porto a casa, Sherton, fidati…
Nessuna è e sarà mai come lei… per
me…”
“La vita è tua,
Rod, rovinala come preferisci! Ora, se permetti, io avrei un
appuntamento…”
“Con Sile Kelly?
Ahahahah… Dì un pò… Hai
già sperimentato le sue grazie? Com'è? Sempre
fredda e distaccata o sotto sotto nasconde un’anima di
fuoco?”
“Ma dico, sei impazzito?
E’ solo un’amica…”
“Se lo dici tu… Ma
per il tuo bene, ascoltami: quella ragazza non è adatta a
te… Tu devi fare esperienza con le tipe giuste, Mirzam, non
devi perdere tempo con quella lì… o non ti godrai
mai la vita…”
“Solo perché lei
non è una delle solite con cui te la fai, non vuol
dire…”
“Ne sei sicuro? Ci sono uscito
l’anno scorso, ricordi?”
“Appunto… Ancora ti
rode il due di picche che hai rimediato da lei…”
Ormai rideva fino alle lacrime, annuendo divertito del suo insuccesso,
io non ne potevo più di lui, anche perché non
volevo far tardi e costringere Sile a venirmi a cercare lì,
non volevo sottoporla all’analisi minuziosa di Rodolphus o di
Bellatrix. Sapevo che mezza Hogwarts guardava con curiosità
al nostro strano rapporto, a quel nostro progressivo isolarci, a quella
nostra casta intimità che a volte mi spingeva a darle un
timido bacio sulla guancia o su una mano. Sapevo che la perfetta
sintonia nata tra noi rischiava di essere calpestata dalla
malignità degli altri, troppo materialisti per comprendere.
“E’ stata davvero
abile, lo ammetto… Lo sai che ti voleva dal primo giorno, da
prima ancora di conoscerti? E chissà, magari
smetterà i panni della santa, non appena avrai preso accordi
con suo padre…”
“Ti lascio ai tuoi deliri,
Lestrange, ho di meglio da fare che ascoltare le tue
buffonate… Addio…”
“Aspetta… Dai
aspetta… se non vuoi venire alla Testa di Porco, almeno
prendi questo… Mi raccomando, apri la pergamena quando sarai
al sicuro nel tuo baldacchino, l’incantesimo è
quello solito delle nostre missive segrete. Quando hai letto, brucialo
o potresti finire nei guai… Poi tra una settimana mi trovi
qui e mi dici che cosa ne pensi…”
“Nelle prossime settimane non
potrò venire a Hogsmeade, lo sai…”
“Non importa, intanto
leggilo… e impara…”
Presi controvoglia il suo involto, sembrava una normalissima pergamena
nuova, pulita, pronta per un bel tema di Pozioni, ma sapevo che
conteneva un trucco: molto spesso Lestrange, in quegli anni, mi aveva
passato compiti e notizie in quella maniera, senza che nessuno si
accorgesse mai di niente.
“Vedi di farti trovare
più sobrio la prossima volta… o dovrò
mozzarti la lingua per non sentire le tue cazzate…”
“Contaci!”
Mi salutò con un’altra terribile risata,
immaginava che avrei gettato la pergamena senza nemmeno aprirla, appena
fossi stato fuori. Mi alzai e, per uscire dal locale, dovetti passare
vicino al tavolo al quale conversavano le sorelle Black: non degnai
nessuna di loro nemmeno di uno sguardo, anche se sentivo i loro occhi
su di me. Mi dispiaceva per Meda, avevo nostalgia di lei e della nostra
amicizia, ma Bella non si staccava quasi mai dalle sorelle, e io non
volevo affrontarla, credevo lo sapesse e lo facesse
apposta. Ma, in fondo, riflettendo, tutto aveva un prezzo e la
serenità che stavo vivendo e che un anno prima non avrei mai
immaginato di poter provare, meritava da parte mia qualsiasi sacrificio.
***
Mirzam
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - 20 maggio 1967
Anche l’ultima partita, Corvonero vs Serpeverde, era finita
con la nostra vittoria, ma era stata molto più sofferta
delle precedenti: benché fosse ormai quasi la fine di
maggio, una pioggia persistente aveva contribuito a rendere infernale
l’incontro, durato per oltre due ore. In realtà
avevo adocchiato il boccino già da un pezzo ma, privi
com’eravamo di un Battitore e di un Cercatore, eravamo
rimasti sotto di un numero impressionante di punti e dovetti attendere
che Sile, da sola, ci facesse rimontare, prima di poter mettere fine
all’incontro. Quando finalmente scesi con la sferetta dorata,
la parte di stadio occupata dalle Serpi ruggì un canto di
festa e vittoria: la Coppa era nostra e il punteggio si era mantenuto
pieno, tre vittorie in tre incontri. Con lo sguardo avevo studiato da
lontano la tribuna degli ospiti, accanto a mio padre e mio fratello,
c’erano Slughorn, più in vena di pettegolezzi del
solito, lo “zio” Malfoy, rimasto impassibile anche
davanti all’incidente del figlio, e Rodney Stenton,
l’ospite d’onore della giornata, assediato da
adulti e ragazzi che gli chiedevano autografi. Una volta negli
spogliatoi, lasciai da parte i miei compagni che volevano festeggiare
per ripulirmi velocemente e correre subito in infermeria, a sincerarmi
delle condizioni di Lucius: quel ragazzino si era battuto
come una tigre per tutto il campionato, dimostrando che Rookwood aveva
avuto occhio nello sceglierlo, benché fisicamente sembrasse
delicato e più giovane della sua età. Poi quel
giorno, durante l’incontro, impegnato a difendere la fluffa,
non si era accorto di un bolide impazzito, che l’aveva
disarcionato e fatto cadere da vari metri da terra:
l’incontro era stato interrotto per prestargli le prime cure,
anche se non sembrava essersi ferito gravemente, doveva provare
abbastanza dolore, eppure si lamentava soltanto di non poter
più dare il suo contributo alla nostra vittoria. La squadra,
un po’ per l’inferiorità numerica, un
po’ per le pessime condizioni di gioco, iniziò a
essere nervosa e scorretta, sbagliammo vari assaggi e finimmo in
svantaggio, Rook perse la pazienza e si fece espellere, costringendoci
a portare avanti, in cinque, non più una partita ma un
supplizio.
Arrivato il infermeria, Madame Pomfrey, la nostra infermiera, mi aveva
rassicurato che Lucius aveva preso solo un colpo alla gamba
all’impatto con il bolide ma non si era ferito nella caduta,
avrebbe zoppicato per alcuni giorni ma si sarebbe rimesso bene e
velocemente. In quel momento stava riposando, perciò mi
limitai a lasciargli il boccino sul comodino, di fianco al letto: era
il mio modo di renderlo partecipe della vittoria, un po’ come
faceva mio padre con me, da piccolo, quando stavo male e non potevo
andare a vedere le sue partite. Steso nel baldacchino, Malfoy era
talmente pallido da sembrare più fragile del solito, eppure
in quei mesi avevo imparato che era bene non lasciarsi ingannare dalle
apparenze: come giocatore aveva stoffa, di carattere era forte,
determinato, probabilmente sarebbe diventato un perfetto lord Malfoy,
degno di succedere ad Abraxas, uomo duro ed energico, e falso e
pericoloso come pochi.
“Vorrei essere informato sulle
sue condizioni, Madame… come suo capitano, mi sento
responsabile…”
“Stia tranquillo, signor
Sherton: il signor Malfoy sta bene ed entro due giorni sarà
di nuovo nei sotterranei, come nuovo…”
“Lo so che è in
ottime mani, Madame: lei mi ha ricucito meravigliosamente non so quante
volte in questi anni, e non l’ho mai ringraziata
abbastanza…”
“Non perda tempo con me,
Mirzam, vada a festeggiare con i suoi compagni. Anche se sono sempre
legata alla mia casa, a Tassorosso, non posso che complimentarmi con
lei: erano anni che non vedevo niente del genere…”
Le diedi la mano, mi guardò con attenzione, sapevo che mai
come in quel momento, la donna vedeva riflessa in me
l’immagine di mio padre: per la prima volta dopo tanto tempo,
non me ne sentivo infastidito o imbarazzato, ma davvero orgoglioso.
Uscii, deciso a festeggiare finalmente la vittoria e il mio compleanno
con Sile, gli amici e i compagni di squadra, avrei passato un
po’ di tempo anche con mio padre e con Rigel, e naturalmente
avrei parlato con Stenton. All’uscita
dall’infermeria, però, incontrai l’unica
persona che non mi aspettavo di vedere: Andromeda era in piedi davanti
alle ampie bifore, lo sguardo perso sui profili delle montagne, mentre
il sole, dopo una giornata grigia e piovosa, andava a nascondersi
rapidamente dietro ai boschi che cingevano il Lago Oscuro, tingendo di
un rosa infuocato ogni cosa. La ammirai, osservando il suo profilo, per
un attimo ebbi uno strano senso di sgomento. Mi vide riflesso sulla
vetrata e si voltò verso di me, sorridendo con la consueta
gentilezza e dolcezza: mi ritrovai col cuore stranamente accelerato e
col cervello che diceva “Non
è Bella, non è Bella…”
E una parte di me, una parte che non conoscevo, sottolineava, felice,
che appunto fosse Andromeda, una ragazzina che riuniva la bellezza di
Bellatrix, ma ci aggiungeva anche un cuore generoso. Strinsi appena i
pugni e mi concentrai sul profilo delle colline
all’orizzonte, non volevo si accorgesse di quanto fossi
rimasto attonito per quelle sensazioni contrastanti che provavo e non
comprendevo.
“Va tutto bene,
Andromeda?”
“Sì, grazie,
io… io sono qui in missione, vorrei sapere come sta Lucius
Malfoy…”
La guardai incuriosito, mi chiesi con un’ansia immotivata se
ci fosse qualcosa tra lei e Malfoy, ma ricordando l’inverno
appena trascorso, rividi Lucius che sembrava un tappetino adorante al
cospetto di Bellatrix, come quasi tutti i maschi che vivevano nel
castello, mentre Meda sembrava interessata solo allo studio e a
prendersi cura della piccola Cissa. Inoltre, se ci fosse stato anche
solo un accordo tra famiglie, l’avrei già saputo,
perché noi Sherton saremmo stati i primi a festeggiare la
notizia come una liberazione.
“Perché
vedi… mia sorella… Narcissa… non ha
mai visto nessuno cadere il quel modo da una scopa da Quidditch e si
è spaventata molto, e sai
com’è… lei non ha il coraggio di
chiedertelo direttamente… e Bella…”
Annuii, immaginavo l’espressione di Bella all’idea
di dovermi parlare in faccia e non alle spalle, e sapevo che Cissa, per
qualche strano motivo, da sempre aveva paura di me, forse
perché ero uno dei pochi che non si prostravano a farle
complimenti su complimenti, ma la trattavo con un certo distacco, come
facevo con qualsiasi altra ragazzina.
“Sì, me lo
immagino, però dille di non preoccuparsi, Malfoy sta bene,
uscirà quasi sicuramente dopodomani, e anche se potrebbe
zoppicare un po’ per alcuni giorni, non è nulla di
permanente, ci siamo passati tutti… Se vuoi, più
tardi potete andare a vederlo, ora sta riposando, credo ne sarebbe
contento…”
Stavo già per salutare e allontanarmi, quando
posò la mano sul mio braccio, per trattenermi: ricordai una
scena simile e mi resi conto che il respiro stava stranamente facendosi
più rapido. E sapevo bene che il pensiero di Bellatrix non
c’entrava niente.
“Mi dispiace tanto per questi
mesi, Mirzam, per…”
“Dispiace anche a
me… mi spiace aver messo da parte anche la nostra amicizia,
Andromeda… è l’unico rimpianto che ho,
ma… dovevo farlo e forse… è stato
meglio così…”
“Io non ho mai smesso di
considerati mio amico, Mirzam, so che quello che Bella dice di te, che
ti sei comportato male con lei, sono solo bugie, gliel’ho
detto in faccia che è una bugiarda, tu non sei come dice mia
sorella…”
“Ti ringrazio della tua
fiducia e del tuo sostegno, Meda, ma per favore, non litigare con lei
per colpa mia, d’accordo? E se vuoi, quando hai bisogno di
qualcosa, anche solo di fare due chiacchiere, ricordati che puoi
contare ancora su di me… Sempre…”
Le diedi un bacio sulla mano come facevo da quando eravamo bambini, e
andai a festeggiare la mia maggiore età, la vittoria, la
notizia ufficiale che sarei entrato nel Puddlemere. Eppure di tanti
doni, pensieri gentili e sorrisi che ricevetti quel giorno, quello che
mi aveva fatto davvero battere il cuore era stato scoprire che
Andromeda Black mi considerava ancora un amico. Questo per me era stato
il regalo più gradito e inaspettato.
***
Mirzam
Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - 16 giugno 1967
Mi stropicciai la cravatta per l’ennesima volta, anche se
sapevo che il mio abito da cerimonia mi stava perfettamente. Avevo la
gola secca e un leggero tremore alle mani. Merlino, perché
le avevo chiesto di venire alla festa con me? In fondo avremmo comunque
passato la serata insieme, anche senza un invito ufficiale, e non avrei
avuto gli occhi di tutti addosso e nemmeno lei… Ma il
pensiero che un altro avrebbe potuto invitarla al posto mio, mi
faceva ribollire il sangue nelle vene. Cercai di recuperare
un minimo di contegno, rivolevo indietro il coraggio con cui un anno
prima pensavo di affrontare una belva come Bellatrix Black: con Sile,
infondo, non mi poteva succedere niente di male, a parte rimanere
istupidito come sotto “Petrificus”, facendomi
ridere dietro da tutti… Ripensai al giorno
dell’invito. Avevo aspettato che la lezione di Slughorn
finisse e che la maggior parte della classe si stesse dirigendo alla
lezione successiva, quando feci capire a Sile che avevo bisogno di
parlarle; poi, mentre le suggerivo un paio di mosse per non farsi
placcare dall’avversario nel successivo campionato, avevo
buttato lì, quasi per caso, il discorso del ballo,
chiedendole se le andava di farmi compagnia, o se aveva già
ricevuto inviti, o magari preferiva non farsi vedere con un pessimo
soggetto come me: nelle ultime settimane, dopo che Bella aveva saputo
della mia chiacchierata con Meda, le sue maldicenze erano diventate
ancora più pesanti del solito e tremavo all’idea
che anche Sile potesse essere coinvolta. Lei si era messa a ridere
dicendo che sapeva come sistemare i pessimi soggetti, poi con
un’occhiata sbarazzina mi aveva lasciato in mezzo al
corridoio e, solo arrivata in aula, mi aveva urlato contro un divertito
“OK”.
Con il cuore in gola percorsi le scale che dai dormitori conducevano in
Sala Comune, speravo che fosse già lì, o avrei
perso quel minimo di coraggio che al momento mi sentivo addosso. Trovai
Selwyn che mi parlò per una buona mezzora di non so quale
problema di Erbologia di cui non m’interessava niente. Mi
versai una burrobirra, sperando di scacciare la paura che mi
attanagliava le viscere, quando all’improvviso apparve la
creatura più bella che avessi mai visto… Sile
uscì dal dormitorio femminile suscitando sguardi carichi di
ammirazione e sorpresa pressoché in tutti: aveva un
bell’abito chiaro, lungo, che la fasciava esaltando la sua
figura, era retto da sottili spalline che le lasciavano le braccia e
parte della schiena nude, i capelli erano sciolti, e scendevano in
delicati riccioli a incorniciarle il viso, i suoi occhi chiari
rilucevano più del solito, forse perché vi
leggevo tutto l’interesse che anche lei provava per me. Mi
avvicinai e le offrii una rosa dai petali appena sfumati, di cui, a mia
volta, portavo una gemella sul mio abito. Lei pose la mano sul mio
braccio e ci avviammo emozionati e silenziosi verso la Sala Grande:
sembrava spaventata e stupita anche lei e questo mi faceva piacere, in
quei mesi ci eravamo scoperti buoni amici, ci eravamo regalati
passeggiate in riva al lago e letture amene in qualche angolo isolato
del castello, al riparo dalla pioggia che rigava le antiche
vetrate…
Eravamo simili, nei gusti e negli interessi e nei progetti. Era persino
riuscita a riavvicinarmi alle antiche letture babbane che
già conoscevo grazie a mio padre e mi aveva iniziato ai
misteri della musica babbana contemporanea: anche a Doire, le frange
più riformiste dei maghi del Nord, di cui suo padre era un
fervente esponente, praticavano strani rapporti col mondo babbano, in
virtù del concetto che il potere deriva non dalla forza ma
dalla conoscenza. Riuscii a comprendere le intenzioni di mio padre
più attraverso quelle chiacchierate con Sile che in tanti
anni di scontri col mio augusto genitore: nelle lettere, in cui gli
raccontavo tutto questo, mio padre rispondeva che non dovevo stupirmi
della potenza di una delle magie più grandi, la
capacità persuasiva di una donna. Quando le avevo chiesto di
andare al ballo con me avevo cercato di mantenere un contegno
distaccato ma era ormai chiaro che la nostra amicizia era a un punto di
svolta: mi chiedevo se sarei riuscito a dirle quello che pensavo senza
fare una figura da idiota. E soprattutto, nonostante le pessime ironie
di Rodolphus, iniziavo a temere la risposta di Sile a quanto le avrei
detto… Sospirai…
A cena quasi non toccai cibo e non riuscii a calarmi nelle chiacchiere
divertite dei nostri compagni, Sile era al mio fianco e
cercò di comportarsi come al solito con i ragazzi della
squadra e gli altri nostri amici Serpeverde, ma percepivo il suo
nervosismo. Speravo che il ballo iniziasse il prima possibile: grazie
alle lezioni di mia madre, ballare era l’unica cosa che non
mi terrorizzasse di quella sera. La sala era magnifica, quel vecchio
pazzo di Dumbledore aveva molti difetti ma con le feste non sbagliava
un colpo: tutta la sala era addobbata come un inno alla primavera che
ci lasciava per far posto all’estate, era piena di fiori che
scendevano dal soffitto e restavano a galleggiare a
mezz’aria, sopra di noi. C’erano fatine di luce a
forma di farfalle, che diffondevano musica e luce; persino le fiamme
nei caminetti sembravano lingue candide che mutavano nei colori
pastello e danzavano alla musica di sottofondo. Sorrisi e presi per
mano Sile, conducendola al centro della sala, rassicurato dal fatto che
eravamo due tra tanti e dalla luce che piano piano si faceva sempre
più tenue e intima, lasciandoci immersi in un chiarore
soffuso che scendeva dal soffitto, rilucente di stelle e costellazioni.
“Salazar… sono
troppo emozionata, Mirzam… ho paura di
sbagliare…”
“Non temere… prova
a seguire i miei passi... "
Le sorrisi, ero deliziato da quel rossore che rendevano ancora
più azzurri i suoi occhi, mi davano quasi il coraggio di
baciarla lì, davanti a tutti. Con lei tra le braccia persi
la cognizione del tempo, contava solo poterla guardare negli occhi e
poterla avere così vicina da sentire il suo calore; a mano a
mano che la musica si faceva più lenta e il buio
s’impossessava della sala, io ardivo a stringerla un
po’ di più a me: quando arrivai a percepire il
battito del suo cuore, attraverso le stoffe, desiderai fissare
quell’istante per tutta l’eternità.
All’improvviso si staccò delicatamente da me,
pensai di aver esagerato e, costernato, cercai di scusarmi, ma con un
sorriso mi disse che aveva solo bisogno di un po’
d’aria fresca. La presi per mano e l’aiutai a venir
via dalla calca, uscimmo dalla sala, ci lasciammo alle spalle il
vestibolo, e ci dirigemmo verso il portico d’ingresso: quel
misto di paura ed esaltazione che mi circolavano nel sangue avevano
attutito i miei sensi, non sentivo neppure l’aria frizzantina
della sera, mi tolsi la giacca e gliela appoggiai sulle spalle,
ottenendo un sorriso divertito e compiaciuto per la mia galanteria.
Riparammo dietro un paio di colonne e ci fermammo ad ammirare il cielo
stellato che faceva capolino tra le antiche pietre e le montagne
all’orizzonte, le presi entrambe le mani tra le mie
e iniziai ad ammirare in silenzio il suo naso, la piega morbida delle
sue labbra, la linea perfetta del suo collo: in un impeto di coraggio e
desiderio, mi chinai verso la sua runa, e lei si ritrasse, ancora
più rossa in viso. Stavolta avevo esagerato, sapevo fin
troppo bene cosa significasse per noi un gesto come quello.
“Sile…”
La mia voce era irriconoscibile, simile a una supplica. Mi
scrutò negli occhi, voleva capire se l’avevo
invitata solo per portarla lì, lontano da tutti, per farle
chissà cosa, ma le bastò osservarmi per pochi
istanti per capire che ero sempre io, il ragazzo che aveva aperto solo
a lei il mondo confuso che celava dentro di sé. Mi mise un
dito sulle labbra ed io baciai quel dito, senza staccare gli occhi dai
suoi. Tremava, sentivo in lei la stessa tensione che divorava me,
allora la circondai nel mio abbraccio, pensando che si sarebbe
sottratta di nuovo, ma stavolta si abbandonò fiduciosa ai
miei gesti. Le sollevai il viso, perdendomi per un tempo che poteva
essere una vita intera nei suoi occhi, e mi chinai di nuovo su di lei,
respirai il suo respiro e la baciai. Inesperienza e paure non contavano
più niente: c’era solo lei, il suo calore, il suo
cuore che batteva a tempo col mio. Restammo sospesi così,
fuori dal mondo, staccandoci solo per respirare. Poi continuai a
tenerla stretta tra le mie braccia, lei appoggiò il capo sul
mio petto ed io m’inebriai del profumo dei suoi capelli, le
accarezzai il viso e mi soffermai a giocare con un ricciolo ribelle che
le solleticava la guancia.
“Vorrei che questo istante
durasse per tutta la mia vita, che la mia amica più cara
restasse per sempre tra le mie braccia e diventasse la mia donna, il
mio sangue, la mia vita, il mio destino, fino alla fine dei miei
giorni…”
Sile si staccò appena da me, tornando a guardarmi negli
occhi: l’avevo sorpresa e avevo sorpreso me stesso, non era
proprio la formula canonica con cui da secoli i maghi del Nord facevano
proposte di matrimonio, ma ci andava molto vicino. All’inizio
sorrise impacciata, poi si mise a piangere e a me crollò il
mondo: mi avrebbe detto di no, lo sapevo. Quando però
già mi trattenevo a stento dal fuggire, Sile
annuì, gli occhi pieni di lacrime di felicità, si
strinse a me e a sua volta mi baciò con passione. A quel
punto era tutto perfetto, in quello che era l’inizio, il vero
inizio, della mia vita.
***
Mirzam
Sherton
Nocturne Alley, Londra - 19 agosto 1967
“Benvenuto signor
Sherton… In che cosa posso servirla?”
Borgin si era avvicinato con le solite movenze inquietanti, io lo
squadrai con la mia migliore occhiataccia, volevo che fosse subito
chiaro che non ero lì, da solo, per farmi truffare da lui.
“Devo fare una commissione per
i miei genitori e venderle qualcosa… e avrei anche un
po’ di fretta…”
Consegnai la lista degli acquisti e Borgin, annuendo, se ne
andò nel magazzino, seguito dal mio fido Doimòs,
promettendo che sarebbe ritornato subito e invitandomi intanto a dare
un’occhiata in giro. Io non vedevo l’ora di
liberarmi dell’ultimo ricordo delle mie passate follie e del
debito che avevo con mio padre e soprattutto di uscire da
lì, andare alla Gringott e cambiare del denaro magico con
del denaro babbano: volevo fare una sorpresa a Sile per i suoi
diciassette anni, anche se erano ormai passate alcune settimane dal suo
compleanno. Purtroppo, tra i miei allenamenti con Stenton e i suoi
impegni con la famiglia, non eravamo più riusciti a vederci
dalla fine della scuola, ci eravamo scritti tutti i giorni, ma non era
la stessa cosa: a Inverness, mi ero divertito a giocare a Quidditch e a
conoscere gli altri ragazzi della squadra, ma quando pensavo a lei, e
lo facevo spesso, il tempo non passava mai, mi ritrovavo a contare
apatico i giorni che ci separavano. Avevo bisogno di tenerla tra le
braccia e dal tono delle sue lettere, anche lei aveva nostalgia di me.
E ora, ormai privi entrambi della Traccia e liberi di muoverci
rapidamente e senza problemi, avevo in mente qualcosa di davvero
stravagante da fare con lei. Mio padre, intuendo che stavo
architettando qualcosa, mi aveva detto che non mi avrebbe accompagnato
l’indomani a Londra e, stranamente imbarazzato, mi aveva
consegnato le chiavi di Essex Street, nel caso avessi fatto troppo
tardi: era il suo modo per dirmi che, qualsiasi cosa stessi combinando,
avevo recuperato la fiducia che avevo perso un anno prima e che non si
sarebbe impicciato, da parte mia dovevo solo evitare di metterlo in
imbarazzo e ricordarmi che la casa, babbana, richiedeva un
comportamento particolarmente discreto. Mi sentii un po’ a
disagio e sperai che non avesse capito che l’appuntamento era
con Sile, avevo paura che potesse equivocare e restarci male: non avevo
progettato nulla che potesse metterlo in difficoltà con
Donovan Kelly. Alla fine avevo preso la chiave, l’avevo
ringraziato e mi ero smaterializzato con la Magia del Nord,
raggiungendo Londra in metà del tempo.
“L’Essenza di Corno
di Alcalas è terminato, mi spiace, dovrei averlo per la fine
della settimana prossima…”
“Non si preoccupi, Borgin,
passerà mio padre per quello… Doimòs
porta tutto a Essex Street, poi aspettami davanti alla
Gringott…”
L’elfo di mio padre fece un inchino e si affrettò
a smaterializzarsi con gli acquisti, Borgin mi fece strada, invitandomi
nel suo studiolo nel retrobottega.
“Vorrei rivenderle un certo
anello, signor Borgin …”
“L’anello dei
McMillan? Lei capirà, sono articoli difficili da trattare,
soprattutto in negozi come il mio, è un anello senza
particolari poteri, io non vorrei che ci
rimettesse…”
“Questa è la cifra
minima che intendo ricavarne, signor Borgin, se l’affare le
interessa, bene, altrimenti … la mia lista di gioiellieri e
antiquari è molto lunga ed io ho molto
tempo…”
“La cifra che richiede
è considerevole…”
“Sa bene che è
molto meno di quanto ci ha già guadagnato, Borgin: non
intendo rimetterci che i miei soldi, quelli che gli son stati pagati da
mio padre li rivoglio tutti…”
“E se le proponessi uno
scambio? Se viene di là con me, troveremo di certo qualcosa
che le aggrada…”
“No, m’interessano
solo i soldi.”
“D’accordo, ma
proprio per l’antica amicizia che mi lega a suo
padre… altrimenti non potrei accollarmi un oggetto
così impegnativo… Abbia la bontà di
aspettarmi, vado a recuperare i galeoni…”
Lo seguii di nuovo nel negozio, sbuffando, mancava meno di
un’ora all’appuntamento con Sile davanti al
Ghirigoro e dovevo ancora affrontare quei dannati folletti della
Gringott. Mi guardai intorno, c’erano i più
viscidi oggetti di origine oscura che avessi mai visto:
all’ennesima testa di elfo impagliata, girai i tacchi e
sollevai la tenda che immetteva nel “sancta
sanctorum” di Borgin, là dove un anno prima avevo
trovato l’anello di cui volevo liberarmi. Mi chiesi se anche
il mio anello avesse qualche potere malefico che non avevo scoperto,
forse non me ne dovevo liberare troppo in fretta. Mentre riflettevo su
quale fosse la scelta migliore, e se non fosse il caso di chiedere un
parere a mio padre, notai una strana bacheca, contenente un sacchetto
di pelle chiuso con una pesante catena dorata: non c’era
scritto niente, a parte un numero, 666, secondo la numerologia
satanica, il numero della “Bestia”. Sorrisi, al
pensiero di quanto fossero stupidi i babbani. Presi il sacchetto,
andando contro tutti gli ammonimenti di mio padre, per capire cosa
contenesse: Borgin mi raggiunse proprio mentre stavo armeggiando per
sciogliere la catena.
“Che cosa nasconde qua dentro,
Borgin?”
Il vegliardo s’incupì, l’espressione
furtiva lasciò il posto a un misto di paura e
pietà.
“Nulla che meriti
l’attenzione di un uomo come lei, Sherton: mi vergogno
profondamente di tenerle…”
“Lei che si vergogna di
qualcosa, Borgin? Suvvia… Questa sì che sarebbe
una novità…”
Finii di allentare la catena e rovesciai il contenuto sul morbido
cuscino porpora nascosto nella bacheca: monete.
“Qui ci sarà un
migliaio di galeoni d’oro Borgin: perché si
vergogna?”
“Non sono galeoni,
signore…”
Mi si era avvicinato, aveva gettato un panno nero sulle monete e
rapidamente le aveva raccolte e rimesse nel sacchetto senza toccarle
direttamente con le mani: nel farlo, una moneta era caduta e sembrava
indeciso se piegarsi a prenderla oppure no. Lo feci io al suo posto e
mi fermai a rimirarla: non era un galeone, ma una moneta falsa, che
riluceva di uno strano colore dorato, venato da orride screziature
rosso sangue.
“Non so se ne ha sentito
parlare, Signore, queste sono le monete
dell’Iscariota…”
“Quelle non erano
più di trenta, Borgin, qui ce n'è un
migliaio!”
“666 per
l’esattezza: me le ha portate un mago straniero, qualche sera
fa, dice di averle trovate in Albania… io non le volevo, ma
poi… mi sono ritrovato convinto… ne conosce il
potere, no?”
“Io non ho idea di cosa stia
parlando Borgin...”
“Già, ora non se ne
può parlare più… Lo sa, Sherton,
perché certi maghi odiano i Mezzosangue e i Sanguesporco?
Perché temono la meschinità nascosta nel loro
sangue impuro? Secoli fa, durante la Caccia alle Streghe, questi
“Maghi a metà”, mossi da ignoranza,
paura, o solo avidità, sono andati a denunciare gli altri
maghi e le altre streghe alle autorità babbane, per quattro
soldi… Per queste monete, signor Sherton: monete false,
patacche, che avevano in sé il seme
dell’odio… 666 streghe e maghi hanno perso la vita
dietro la denuncia di quegli infami… Ma non è
finita qui: quando gli impuri traditori prendevano queste monete, non
si accorgevano che erano monete segnate, monete fatte proprio con la
magia, monete capaci di rivelare ai babbani l’ubicazione
delle nostre comunità, indirizzando la caccia nei
“punti giusti”… Non più
“una moneta per una vita: ogni moneta, alla fine,
è costata al mondo magico la vita di decine e decine di
maghi, streghe e persino bambini, morti nei roghi dei villaggi e in
altri modi brutali e inumani... ”
“Salazar! È una
storia orrenda, Borgin! Chi diavolo vorrebbe conservare in casa una
cosa del genere, oggi? Perché ha speso tanti galeoni per
quest’orrore? Dovrebbe gettarli nella prima fogna che
incontra... ”
“Si fanno comprare, signor
Sherton, a distanza di secoli, hanno ancora intatto il loro malefico
potere… in realtà non costano che pochi galeoni,
e hanno ormai un valore puramente storico, avviserò il
ministero e loro le conserveranno in qualche museo della magia:
finiranno di far danni… inoltre fanno parte della nostra
storia, una storia che alcuni proprio al Ministero vorrebbero che
dimenticassimo… dal mio punto di vista queste monete
andrebbero regalate ai babbanofili, invece, perché non
dimentichino e si pentano…”
Guardai per l’ultima volta quel gruzzolo osceno poi completai
la vendita dell’anello destinato a Bellatrix Black, senza
altri ripensamenti: ebbi giusto il tempo di correre alla Gringott a
cambiare un po’ di denaro ed entrare nella più
bella gioielleria di Diagon Alley per ordinare l’anello che
avevo deciso di far realizzare apposta per Sile dal mastro folletto
presso cui si servivano da secoli gli Sherton, una lega di oro e
platino, su cui s’incastonavano delle acquemarine con gli
stessi riflessi dei suoi occhi. Non vedevo l’ora di
riabbracciarla, quell’orrenda storia raccontata da Borgin
stava facendo riemergere in me ricordi dolorosi e pensieri che cercavo
da sempre di far tacere in me: Sile era l’unica capace di
placare i miei demoni, l’unica capace di salvarmi.
*
Mirzam
Sherton
74, Essex Street, Londra - 19 agosto 1967
“Insomma, mia piccola strega,
li hai istigati a dovere, colpendoli nelle loro
debolezze…”
“Che Serpeverde sarei se non
lo facessi?”
“Sei
meravigliosa…”
Eravamo di ritorno dal nostro giorno di
“libertà”, culminato in una cena in un
bel ristorante italiano di cui a volte avevo sentito parlare mio padre
con notevole entusiasmo: sebbene i sapori fossero per me inconsueti,
non potei che trovarmi d’accordo con lui. O forse i miei
sensi erano talmente rapiti dalla donna che stava dividendo con me
quell’esperienza strana e straordinaria, da non essere in
grado di esprimere giudizi sensati. E ora eravamo di fronte alla mia
casa babbana, al 74 di Essex Street: avevo il cuore che mi batteva
forte in gola, la guardai chiedendole se era davvero sicura, ricevetti
una tacita conferma. Mi chinai per scoccarle un bacio sulle labbra,
erano a dir poco irresistibili: mi vergognavo ad ammetterlo, ma quando
avevo ricevuto la spilla da Caposcuola, avevo subito iniziato a
fantasticare su quanto ci sarebbe stata utile quella stanza per passare
del tempo in pace da soli, ore e ore a baciare ogni singolo centimetro
della sua pelle, a giocare con i suoi capelli, a inseguire le linee del
suo corpo, a perdermi in lei. Sile intuì, come sempre, i
miei pensieri si fece rossa in viso e si staccò da me, la
solita aria insolente sulla faccia: entrammo, mentre attivavo gli
incantesimi dissimulanti e trasfiguravo i nostri vestiti babbani in
abiti magici, lei si guardò intorno, la vidi interessata al
quadro di mia nonna, ai fregi corvonero che dominavano tutta la casa,
l’antica casa dei Meyer. La feci accomodare in salotto,
completamente arredato, per volontà dei miei genitori, alla
maniera babbana, mentre il resto della casa, le camere e la sala da
pranzo avevano i tratti caratteristici di una dimora magica. Sile si
sedette sul divano, io accesi e ravvivai il fuoco, andai al mobile in
cui mio padre nascondeva un mangiadischi babbano e l’accesi:
per la stanza si librò la musica di Mick Jagger, ennesimo
tributo all’amore che provavo per lei.
“Salazar, Mirzam, anche il
disco!! Non mi sarei mai immaginata che saresti arrivato a tanto per
me… mi hai regalato un compleanno bellissimo!”
“In ritardo, mi
spiace… però Londra, hai ragione, è
bellissima, una volta imparato a tollerare la puzza dei
babbani!”
“Non fare lo schizzinoso! Non
solo hai imparato che esistono i Rolling Stones, ma sei addirittura
riuscito a procurarti dei biglietti e mi hai portato a un vero concerto
babbano: non so se sei più folle o più
meraviglioso…”
“D’accordo, lo
ammetto… Piacciono anche a me… e quella canzone,
Yesterday, è favolosa... ”
“Ahahahah… Mirzam,
ma Yesterday è dei Beatles: dobbiamo ripassare gli attuali
gruppi rock inglesi, mi sa…”
“Affare fatto: il primo
settembre battezzeremo la stanza del Caposcuola con i tuoi dischi,
Sile…”
“Ma sei pazzo? Gli altri ci
appenderebbero per i piedi, se lo scoprissero, Mirzam!”
“Mmm… Solo tu,
sarebbe evidente che la colpa è solo tua: Sile Ailis Kelly,
colei che traviò l’erede di Hifrig
Sherton!”
Scoppiammo a ridere e l’abbracciai e la baciai con passione,
fino toglierle il respiro. Nel tentativo di prendere aria, si
staccò appena da me, lasciando scoperto il collo: mi ci
fiondai, le tracciai una scia di baci sulla pelle, ridisegnando con le
labbra tutti i dettagli della sua runa e strappandole un gemito che mi
fece perdere del tutto la ragione. La fissai negli occhi, per capire
cosa volesse davvero, anche se con difficoltà, avrei trovato
la forza di lasciarla andare: ma non fu un NO quello che lessi nel suo
sguardo. La sua mano si chiuse intorno alla mia, le dita andarono a
disegnare rapide e bramose la mia pelle, sorrisi al suo sorriso
malizioso: era un sollievo avere a che fare con una ragazza con le
rune, c’erano gesti, sconosciuti ai più, che
costituivano un linguaggio segreto, e permettevano di trasmettere
pensieri, emozioni e desideri anche se non si aveva ancora il coraggio
di esprimerli a parole. Le mie mani scivolarono sulla sua schiena,
sganciando e allentando i numerosi nastri che tenevano il suo corpo
stretto in un magnifico abito slytherin: volevo farlo senza magia,
assaporando ogni centimetro di pelle conquistata, mentre i suoi baci mi
tempestavano le tempie, il viso, il collo e scendevano sul petto
facendomi perdere quel poco di senno che a fatica avevo ritrovato. La
presi in braccio e salimmo fino al secondo piano, nella mia stanza, tra
sussurri e risate ebbre che cercavano invano di mascherare
l’emozione mista a terrore puro che entrambi provavamo in
quel momento. E alla fine chiusi la porta alle mie spalle: la luna
filtrava dalla finestra, illuminando d’argento la sua pelle
ormai completamente nuda, i capelli sparsi sulle lenzuola come una
danza di gabbiani. Catturai la sua estasi nei miei baci e mi persi nel
calore della prima e unica donna della mia vita.
***
Mirzam
Sherton
74, Essex Street, Londra - 20 agosto 1967
Non avevo dormito per tutta la notte, perso nella contemplazione della
mia Sile che dormiva aggrappata a me, i capelli che le velavano appena
il viso, il naso e le lentiggini che amavo tanto. Speravo di
non svegliarla, ma non potevo fare a meno di baciare tutto
ciò di lei che era a portata di labbra: alla fine non
riuscì più a fingere di dormire, scoppiando in
una risata contagiosa.
“Ti amo…”
Lei seguì con la punta delle dita il contorno dei miei
occhi, il naso, le labbra, le morsi giocoso le dita, poi mi rituffai
sulle sue labbra.
“Ti ho messo nei guai con tuo
padre, vero? Dovevo rispedirti a casa prima di mezzanotte…
come Cenerentola…”
“Gli ho detto che avrei
passato la notte a casa di un’amica fidata, non è
la prima volta che sto da lei… anche se è la
prima volta, che è una bugia…”
“Non lo dici solo per non
farmi preoccupare, vero? Ti assicuro che io sono pronto a parlargli
anche adesso, Sile, lo sai… voglio urlarlo al mondo che
stiamo insieme… ”
“Solo per poterti prendere
più spesso certe libertà, non è
così?”
Mi guardò maliziosa, mentre le sue mani giocavano e
scendevano lungo il mio corpo, io le rubai un altro bacio sul naso, ma
era il momento di essere seri.
“Io non mi accontento delle
“libertà”, ti voglio tutta…
sempre…”
“Ma cosa cambia se viviamo un
altro anno, sereni, come l’anno scorso? Senza la pressione di
tutti, solo tu ed io, e i nostri pensieri e… ”
“D’accordo, ma
sarebbe meglio non nasconderci, soprattutto dopo stanotte, anche
perché non credo che le nostre famiglie abbiano motivi per
opporsi…”
“Tu un anno fa eri convinto di
volere Bellatrix Black…”
“Non è un
po’ tardi per questi dubbi su di me, Sile? Un anno fa ero un
ragazzino che viveva nei sogni e non si accorgeva di desiderare
qualcosa d’inesistente, ora sono un po’
più grande, ti ho detto ciò che provo e ho
scoperto che coincide con quello che provi tu: queste non sono
più favole, questa è realtà ed io sono
pronto a viverla… Ora studieremo per i MAGO, ci diplomeremo,
sistemerò la mia casetta a Inverness e se lo vorrai anche
tu, andremo a vivere insieme, chiaro e lineare, senza nessun dubbio,
almeno non per me…”
“Magari tuo padre vorrebbe
qualcuna più nobile per te…”
“Magari tu cerchi solo una
scusa, Sile: mio padre già ti vuol bene come se fossi
un’altra sua figlia, forse perché sei di Doire
come mia madre, o perché ami il Quidditch o
perché mi hai prestato certi libri…”
Le porsi il Canzoniere di Petrarca e un libro di poesie moderne
inglesi, Sile arrossì.
“Tutti dicono che è
tanto…. temibile… invece tu lo descrivi come uno
che muore d’amore per sua moglie e per
voi…”
“Mettimi alla prova, Sile, e
ti dimostrerò di non essere da meno… e non avere
paura di lui, non ce n’è motivo… Puoi
conoscerlo quando vuoi, anche adesso…”
Le presi la mano e la baciai.
“Guarda Mir…
c’è un gufo…”
“Forse è di mio
padre, se ha capito che sei sparita e che sei con me vorrà
frustarmi!”
Ridendo, mi cinsi un lenzuolo ai fianchi e andai alla finestra: capii
subito che non era un gufo di famiglia, incuriosito, sciolsi il
messaggio dalla zampina e aprii il messaggio. Mi si annebbiò
la vista di colpo, mi sbiancai, Sile, al mio fianco si fece avanti per
sapere che cosa stava accadendo.
“Ci sono problemi? Chi sono
quegli uomini, Mirzam?”
“Nulla Sile, per favore,
vestiti che ti riaccompagno a casa o dove vuoi…”
“Mirzam…”
“ Ho bisogno di parlare con
Rodolphus, forse lui sa che cosa vuol dire questo
messaggio…”
“Rodolphus? Che cosa
c’entra? Questa è la foto di due
babbani…”
“Il messaggio…
credo sia di un amico di Rodolphus: è da un po’
che vorrebbe parlarmi, ma io avevo altro da fare, evidentemente ho
sottovalutato l’argomento…”
“Mirzam… fammi un
favore: non andare… soprattutto se è coinvolto
Rodolphus, tu non andare… lui muore d’invidia per
te, si finge tuo amico, ma non lo è… ti prego,
fidati di me, non andare…”
“Starò attento,
Sile, non temere… ma questi due uomini… li cerco
da una vita, Sile… voglio sapere da quell’uomo
come trovarli…”
“Perché?”
“Perché voglio
mettere una pietra sul mio passato ed essere finalmente libero di
vivere con te una vita nuova…”
“Allora vai da tuo padre e
confidati con lui… Fatti aiutare da
lui…”
“Non questa volta, Sile, quel
giorno era compito mio difendere mia madre…”
*continua*
NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, aggiunto a preferiti/seguiti,
recensito ecc ecc.
Valeria
Scheda
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