Dilaniati
Storia
Partecipante alla Challenge To
Be Writing 2022 indetta
da Bellaluna sul forum Ferisce
più la penna.
Prompt
novembre: fix-it.
«Non
ti aspettavamo, altezza».
«Mi
pare evidente» commenta Rhaenyra, ironica, dopo essersi tolta i
guanti e guardandosi intorno nella sala cupa e vuota di Pietra di
Runa. «Dov’è?» chiede spiccia, ignorando la mancata accoglienza
che le sarebbe aspettata per rango.
Il
maestro la fissa smarrito, sbattendo le ciglia.
«Chi?»
domanda rauco, le iridi velate dalla confusione.
«Mia
cugina» risponde lei, rapida, storcendo il viso in una smorfia
eloquente. «Esiste o il corvo inviato al re era una menzogna?»
indaga con un pizzico di sarcasmo.
«Esiste»
si affretta ad assicurare l’anziano, allarmato, prima di torturarsi
con nervosismo le mani. «Se vuoi seguirmi, puoi rinfrescarti prima
di vedere lord-»
«Non
sono venuta qui a trovare i Royce» lo fredda Rhaenyra, insofferente
verso quei modi che, complice l’impazienza della gioventù, proprio
non riesce a capire. «Voglio vedere la bambina, ora»
ordina
perentoria.
L’uomo
esita, prima di annuire e farle strada.
Lo
segue per una serie di corridoi dove ci sono una serie di arazzi di
un colore più simile all’oro che al bronzo, ricevendo gli inchini
e gli omaggi dei servi e dei lord al suo passaggio, finché non
giungono in una stanza ovale, dove le ampie finestre si aprono
sul mare.
Indifferente
a un simile paesaggio, si avvicina curiosa a quel fagotto che una
balia, dopo essersi inchinata, stringe a sé.
Scosta
appena la coperta scura, così da poter vedere il viso paffuto e
addormentato di una neonata.
Sorride
di riflesso, un moto di calore che le scalda il petto, prima di far
cenno all’altra di cedergliela. Nel stringerla tra le sue braccia,
non può fare a meno di provare una strana sensazione di dolcezza e
di calore.
Chissà
se anche sua madre sentiva lo stesso quando la cullava.
«Purtroppo
lady Rhea non è sopravvissuta al parto» riprende il maestro, alle
sue spalle, schiarendosi la voce per renderla meno spezzata e al
contempo attirare la sua attenzione. «Ma lady Rella sembra godere di
buona salut-»
«Rella?»
lo interrompe Rhaenyra, brusca, voltandosi all'indietro e inarcando
le sopracciglia. «Chi ha scelto il nome?» domanda insolente,
socchiudendo appena le palpebre.
Lo
vede agitarsi, in panico, gettando alla balia un’occhiata di
supplica e aiuto.
«I
lord della Valle» dichiara spaurito.
Lei
arriccia le labbra, in un sorriso che è una minaccia.
«Ma
non suo padre» ribatte con veemenza, alzando il mento. E, per un
folle momento, maledice Daemon e la sua ostinazione a non essere mai
al posto giusto. Se almeno si fosse degnato di essere presente alla
nascita della figlia, si sarebbe potuto risparmiare il malcontento
che inevitabilmente affiorerà tra la corona e Casa Royce. «È il
sangue del Conquistatore, non solo di qualche lord di Pietra di Runa»
sottolinea impietosa. «E avrà un nome Targaryen» termina
inflessibile, prima di incamminarsi verso la porta. Solo quando sta
per passare accanto all’uomo, rallenta il passo così da prolungare
il contatto visivo e scoccargli un’occhiata di ammonimento. «Il re
vuole sua nipote ad Approdo del Re. Dite a lord Gerlod che siamo
dolenti per la morte di sua cugina e che sarà sempre il benvenuto
nella capitale» si congeda educata, riprendendo la sua marcia verso
l’uscita del castello, dove Syrax l’aspetta per tornare a casa.
Dilaniati
«La
terza moglie di Maegor I fu…».
«Tyanna»
afferma lei, saputa, facendolo sobbalzare per averlo colto di
sorpresa. Avanza per il balcone, fino a raggiungere il tavolo dove il
cugino, sfruttando la bella giornata di sole, ha preso posto per
studiare. «Non si sa molto delle sue origini ma solo della sua
colpa. Confessò di aver ucciso le altre mogli del sovrano e fu
condannata a morte» dichiara leggera, lasciandosi cadere sull’unica
sedia libera. «Si dice che lui le abbia strappato il cuore dal
petto» dichiara sovrappensiero, giocherellando distratta con un
ricciolo argenteo.
Aemond
le rivolge un sorriso lieve.
«Un
po’ troppo melodrammatico» commenta distratto, arricciando il
naso.
«Non
è di famiglia?» ribatte lei, spensierata, scrollando il capo. Poi
aggrotta la fronte, confusa. «Credevo fossi con Aegon» butta lì,
perplessa, socchiudendo appena le palpebre.
Lo
vede incupirsi, prima di tornare a prestare attenzione a quel tomo di
storia.
«Ha
detto che non mi voleva tra i piedi mentre volava con Sunfyre» svela
contrariato, la voce bassa e gli occhi cocciutamente fissi su quella
pagina. Poi sbatte le ciglia mentre un pensiero gli affiora alla
mente. «Tu non dovresti essere con la septa?» indaga accorto,
storcendo
il volto in una smorfia meditabonda.
Visenya
gli rivolge un sorriso birichino.
«Non
credo che sentirà la mia mancanza» sostiene noncurante.
Aemond
ridacchia piano.
«Hai
davvero saltato la lezione?» si informa interessato, il viso a metà
tra lo sbigottimento e il divertimento.
«Tanto
mamma è occupata a parlare con le levatrici» fa notare scaltra,
sicura che sfuggirà per qualche ora all’inevitabile rimprovero.
Almeno finché ogni cosa non verrà predisposta per il parto reale
che avverrà a breve. «E dubito che a qualcuno importi davvero se io
sia presente o meno. Sono troppo in basso nella linea di successione
perché si noti la mia assenza» considera in un sussurro, concreta e
amareggiata.
«Io
la noto» dichiara lui, sincero, allungando una mano per afferrare
quella che ha appoggiato sul tavolo.
Perché
ci sentiamo entrambi soli,
sono
le parole che le si piantano nella mente e che le stringono la gola
fin quasi a farla soffocare. Ed
è facile volersi bene tra simili.
«Ad
ogni modo» riprende lei, impacciata, cercando di scrollarsi di dosso
quella sensazione soffocante che durante la notte non le lascia
tregua. Si sa che, con l’oscurità, le paure diventano quasi
invincibili. Però non interrompe quel contatto, perché quel calore
umano è confortante. «Vuoi passare tutta la giornata qui o andiamo
in giardino?» propone allegra, facendo capire quanto smani all’idea
di giocare.
Aemond
torna a fissare il suo libro, indeciso.
«Dovrei
ripassare Aegon il Conquistatore» osserva combattuto, tentato di
chiudere tutto e abbandonare quel tavolo.
Visenya
sbuffa, contrariata.
«Che
cos’è che non sai?» domanda esasperata, alzando spazientita gli
occhi al cielo. «Conquistò i Sette Regni, fondò questa città e
amò Rhaenys» sintetizza spiccia.
«Amò
anche l’altra sorella» ribatte lui, di riflesso, corrugando la
fronte in un cipiglio stranito.
«Non
come lei» sostiene testarda, alzandosi dalla sedia. «Il
re trascorreva dieci notti con Rhaenys per ogni notte con Visenya»
recita a memoria, senza nascondere l’acredine, rievocando quella
frase che hanno letto in qualche libro.
Aemond
la fissa in silenzio, con quelle iridi chiare che appaiono appannate
dallo sforzo per cercare di capirla.
«Era
comunque la regina di Aegon» tenta interdetto, inclinando il capo.
Lei
scrolla le spalle, indifferente.
«E
immagino che molti lo riterrebbero un motivo sufficiente per
accontentarsi» ironizza spietata, roteando gli occhi e lasciandosi
sfuggire un sorriso per nulla divertito. Però quando torna a
guardarlo, diventa più caldo e vero. «Allora, andiamo?» lo invita
dolce.
«Visenya
sa essere imprevedibile» constata Rhaenyra
preoccupata,
osservando la sua figlioccia e il suo fratellastro giocare a
rincorrersi nel cortile della Fortezza Rossa.
Lo
sente ridere alle sue spalle ma non si volta.
«È
il sangue di Daemon» sottolinea Harwin, ironico, avvicinandosi e
circondandole il ventre gonfio con le braccia. Si permette di fare
quel gesto solo perché sono da soli nelle sue stanze, lontani da
occhi indiscreti, o non oserebbe mai. «Ti preoccupi troppo. Quel
legame potrebbe essere un vantaggio» le fa notare accorto,
scoccandole un bacio sulla nuca, sui capelli argentei.
Lei
si gira, così da incrociare gli occhi scuri dell’altro.
«Forse
dovrei impedirle di frequentarlo» riflette ad alta voce, indecisa su
come agire.
«Pessima
idea» ribatte lui, all’istante, piegando le labbra in un sorriso
davanti alla sua palese confusione. «Sai come funziona con i
Targaryen: negagli qualcosa e gliela farai bramare ancor di più»
ironizza sagace, accarezzandole il grembo e quella vita che verrà
presto al mondo. Poi sospira, incupendo il viso in un'espressione
seria. «Lascia alla regina il compito di fare la cattiva della
situazione. Le piace quel legame ancora meno di te» le fa notare
saggio.
Rhaenyra
inarca le sopracciglia scettica.
«E
io cosa dovrei fare?» domanda contrariata, detestando l’idea di
rimanere semplicemente in attesa. «Rimanere ferma?» indaga con una
punta di asprezza, storcendo il naso.
Harwin
sospira, scrollando il capo.
«Preoccuparti
meno» suggerisce delicato, allungando il viso così da depositarle
un bacio leggero sulle labbra, prima di sciogliere quell’abbraccio
e allontanarsi, per evitare di essere colti in flagrante nel caso
qualche servitore entrasse all’improvviso nelle sue stanze. «Ci
penserà il tempo a bruciarlo» assicura convinto.
Lei
si lascia sfuggire uno sbuffo inquieto, tornando a guardare fuori
dalla finestra, in basso, dove i bambini giocano all’oscuro di
essere osservati.
«Lo
ha fatto con molti» sostiene amareggiata, pensando di riflesso ad
Alicent, a quello che erano un tempo e a quello che sono finite per
diventare.
«Hai
saputo cos'è successo in cortile?» domanda Aemond, eccitato,
entrando nelle sue stanze senza farsi annunciare.
Visenya
non alza lo sguardo dal tomo che sta consultando, seduta sullo
sgabello al tavolo di fronte al camino.
«C'è
qualcuno che ne è all'oscuro, in questa Fortezza?» replica
distratta, afferrando l’ampolla contenente la sostanza a cui sta
lavorando da qualche giorno.
Persino
rintanarsi in quell’angolo non le ha impedito di sentire i bisbigli
che si stanno già diffondendo tra i corridoi della Fortezza Rossa.
«Sarà
impossibile ignorare la verità, ora» continua suo cugino,
compiaciuto, avvicinandosi e prendendo posto sullo sgabello al suo
fianco.
Lei
gli scocca un’occhiata obliqua.
«Invece
continueranno a farlo» ribatte brusca, affatto toccata da quel
buonumore. Corruga appena la fronte quando nota che l’altro non
indossa l’armatura né la divisa che è solito sfoggiare quando si
allena con le armi insieme al fratello e a ser Criston. «Conta solo
quello che dice il re. E lo zio non si metterà mai contro mia madre»
termina apatica, inarcando le sopracciglia in un cenno
significativo.
«Ma
se lo facesse…» insinua lui, cocciuto, serrando appena gli occhi
azzurri intrigato da quella prospettiva. «Aegon diventerebbe
l'erede».
«E
tu lo vorresti sul trono?» replica Visenya, scettica.
«Mia
madre» precisa Aemond, onesto, scrollando le spalle con noncuranza.
«E io sarei il secondo in linea di successione. E quello che è mio,
diventerebbe anche tuo» aggiunge convinto, sorridendo davanti a una
simile prospettiva. Poi aggrotta la fronte quando si rende conto che
il suo viso non esprime il medesimo entusiasmo. «Sono arrivate
notizie da tuo padre?» indaga a bruciapelo.
Lei
allarga le palpebre e schiude le labbra con una punta di smarrimento.
«Perché
lo pensi?» domanda perplessa.
«Perché
hai sempre quella faccia quando si parla di Daemon» risponde lui,
con semplicità, alludendo alla sua espressione cupa.
Distoglie
lo sguardo, tornando a puntarlo sulla pagina del tomo che parla di
veleni e antidoti.
«A
quanto pare il suo terzo figlio nascerà a breve» rivela dopo un
momento di silenzio, apatica, sentendo la gola serrarsi per il
fastidio.
«Quarto»
corregge suo cugino, automaticamente. «Tu sei la prima» fa notare
logico.
«Ricordaglielo»
ironizza Visenya, tagliente, tra i denti. Prende un respiro profondo,
sperando così che l'ira e il tremore abbandonino le sue membra,
prima di incrociare gli occhi dell'altro. «Jace avrà il trono, Luke
Driftmark,
Joffrey probabilmente Roccia del Drago. Le figlie di mio padre
otterranno qualcosa grazie alla parentela con i Velaryon» continua
amara, la voce che rischia di spezzarsi.
«Potrei
dire lo stesso» sostiene Aemond, pratico, il viso serio. «Noi siamo
uguali» aggiunge sicuro.
«Ti
sbagli» replica lei, con veemenza, voltando il viso per guardarlo
dritto in faccia. «Sei il figlio del re, conterai sempre qualcosa»
ribadisce sicura, lasciando trapelare tutta la sua amarezza. «Mentre
io sono solo la figlia di un principe e di una lady della Valle. Mia
madre aveva Pietra di Runa, che ora è in mano a qualche Royce»
sostiene implacabile, analizzando la situazione con una freddezza che
rasenta la brutalità. «Non ho niente. Non avrò mai niente»
termina abbattuta
«Hai
me» ribatte lui, subito. «Non ti basta?» indaga preoccupato.
«Non
basterà a te» replica certa, sentendo la paura stringere la gola.
Suo
cugino rimane in silenzio, corrucciando la fronte in una smorfia
pensierosa.
«Siamo
Targaryen» sottolinea, infine, asciutto, come se quella semplice
frase dicesse tutto. «Quando ad Aegon non bastò cavalcare Balerion,
volò fino ai Sette Regni e li sottomise tutti» spiega spiccio,
sostenendo senza alcuna difficoltà il suo sguardo indagatore. «Se
vogliamo qualcosa, noi ce la prendiamo» termina risoluto,
appoggiando una mano su quella che lei ha lasciato sopra il tavolo.
Visenya
si inumidisce le labbra, deglutendo inquietudine.
«Anche
senza i draghi?» chiede bassa, incerta.
«Non
sei tu che mi ripeti sempre che non si uccide solo con le lame?»
ribatte lui, ironico, alludendo al libro dei veleni.
Lei
sorride radiosa.
«Dovresti
sederti tu sul trono» afferma convinta, le iridi azzurre
completamente libere dalle ombre. «E dovresti avere un drago.
Vhagar, ad esempio» sostiene meditabonda.
Aemond
corruga le sopracciglia, confuso.
«Dovrebbe
essere tuo» obietta ragionevole, forse perché un tempo è
appartenuto a un’altra Visenya.
«L’hai
detto tu, no?» ribatte leggera, scrollando le spalle. «Quello che è
mio sarebbe anche tuo».
Visenya
gli sfiora con delicatezza, quasi senza toccarla, quella ferita
gonfia e pulsante. Appare calda sotto il suo polpastrello, oltre ad
essere di un rosso violento laddove i punti stringono per suturare la
carne dilaniata.
«Li
voglio morti» sibila lui, il viso stravolto in una smorfia di rabbia
mentre l’unico occhio che gli è rimasto fissa il vuoto. E lì,
accentuati dal silenzio della camera dove si sono ritrovati dopo la
sentenza del re, l’odio e il risentimento sgorgano feroci, affamati
di agonia e dolore. «Tutti quanti» precisa inesorabile, puntandole
contro l’iride azzurra.
Lei,
in piedi davanti alla sedia dove l’altro è seduto, rimane
impassibile.
«Avrai
la tua vendetta» assicura monocorde. «Sangue chiama sangue»
commenta macabra, con uno strana sfumatura inquietante nello sguardo.
Aemond
serra appena la palpebre, fermo.
«E
staresti dalla mia parte?» domanda cauto.
Visenya
rimane per una manciata di secondi in silenzio, prima di sorridere.
Gli accarezza la guancia destra – quella che è rimasta intatta,
non toccata dalla lama di Luke –, prima di inclinare il capo.
«Non
lo sono sempre?» replica morbida, in un sussurro accattivante.
«Lo
so che sei stata tu».
«A
fare cosa?».
«Visenya,
non prendermi in giro!».
Lei,
notando il viso severo e accigliato dell’altra dal riflesso dello
specchio appeso alla parete, sopra il tavolino rettangolare, appoggia
sul legno scuro la spazzola con la quale si stava districando i nodi
ai capelli. Si alza in piedi, voltandosi per fronteggiarla.
«Quando
si formula un’accusa» inizia laconica, sistemandosi meglio la
vestaglia che indossa sopra la camicia da notte. «Sarebbe buona cosa
specificare l’accusa» puntualizza sarcastica.
Rhaenyra
prende un profondo respiro, fissandola con biasimo.
«Quattro
morti nelle prigioni» illustra spiccia, ferma dall’altra parte
della stanza, a diversi passi di distanza. «Non hai nulla da dire?»
la esorta, infastidita dalla sua calma.
«Che
le condizioni delle segrete lasciano parecchie a desiderare?»
replica quieta, alzando le spalle con indifferenza. «E come
sarebbero morti?» domanda per educazione.
La
vede fremere per la rabbia, prima di inumidirsi le labbra per
controllarsi.
«Il
maestro non lo sa» è costretta ad ammettere, contrariata. Tuttavia,
non abbassa gli occhi e glieli punta addosso con chiaro disappunto.
«Sospetta sia veleno ma non riesce a individuare il tipo» continua
scontenta.
«Forse
sarebbe il caso di trovarne un altro» consiglia Visenya,
spassionata, avvicinandosi al tavolino dove è stato depositato,
cinque minuti prima, un vassoio con una teiera e tazzina. «Questo
non sembra molto competente» riflette distratta, sorseggiando la
camomilla mentre le rivolge un’occhiata pericolosamente divertita.
«Non
puoi fare così».
«Così
come?»
«Sono
persone, non cavie» sbotta Rhaenyra, snervata, marciando verso di
lei con un viso che sottolinea tutta la sua contrarietà. «Non puoi
usarle per studiare gli effetti dei tuoi veleni» continua
perentoria.
Lei
scrolla le spalle, noncurante, appoggiando di nuovo la chicchera sul
vassoio.
«Dubito
che i maestri della Cittadella si comportino in maniera diversa»
ribatte disimpegnata, inarcando le sopracciglia con eloquenza.
«Quindi perché preoccuparsene?» indaga calma.
«Perché
non siamo dei mostri» risponde sua madre, perentoria, fissandola
dritta in faccia con decisione. «Non uccidiamo con leggerezza»
sentenzia irremovibile.
Visenya
socchiude le palpebre, prima di storcere il viso in un’espressione
incredula.
«Non
discendiamo forse dal Conquistatore?» replica pratica, sottolineando
una realtà che le pare palese. «Aegon ha trasformato i Sette Regni
in un bagno di sangue pur di riunirli sotto il suo comando, Maegor
era soprannominato il Crudele e mio padre ha partecipato alla guerra
che ha fatto diventare rosse le acque delle Stepstones» illustra con
veemenza. «Perché io dovrei diversa?» domanda retorica.
«Perché
noi sappiamo la differenza tra quello che è giusto e sbagliato»
stabilisce l’altra, ferma, fronteggiando senza alcuna esitazione la
sua furia. Le prende le mani tra le sue, stringendogliele in una
morsa decisa. «E, quando sarò regina, non ho alcuna intenzione di
essere un’altra Maegor. Non puoi prendere delle decisioni credendo
che non ci siano conseguenze» sostiene risoluta, scrutandole il
volto con attenzione, intenta a trovare qualsiasi indizio di
ribellione. «Non avremo sempre i draghi a proteggerci, Visenya» le
fa notare eloquente, facendole chiaramente capire che la protezione
che le concede il suo rango non la mette al riparo dai pettegolezzi.
E
i pettegolezzi, se distorti, possono essere molto pericoli.
Rimane
immobile mentre il significato implicito delle parole che ha appena
udito, quasi fosse una minaccia per il futuro, continua ad aleggiare
tra loro. Non abbassa le iridi, tenendole incatenate a quelle
dell’altra.
«Ma
finché abbiamo i draghi, possiamo fare qualsiasi cosa» replica
spassionata, liberandosi da quella presa. Sta per voltarsi, torcendo
il busto verso il letto quando un pensiero le affiora nella mente.
Poi sorride crudele, tornando a rivolgere il volto verso sua madre.
«Ah, quasi dimenticavo» sospira vaga, storcendo le labbra in una
smorfia noncurante. «Fossi il carceriere, riconterei i prigionieri.
Quattro morti mi pare una previsione troppo ottimistica» constata
amabile, compiaciuta di quel lampo di panico che vede scintillare per
qualche istante negli occhi chiari di Rhaenyra.
«Il
potere comporta la crudeltà» riflette Visenya ad alta voce,
distratta, osservando il cielo terso sopra le loro teste. «Altrimenti
si rischia non conservare per molto il trono» continua in un
mormorio debole.
Aemond,
al suo fianco, volta il viso nella sua direzione così da guardarla
in faccia.
Sono
entrambi sdraiati sopra l’erba verde, in uno dei tanti cortili
della Fortezza, intenti a riprendersi dalla corsa a perdifiato con
cui si sono dilettati per qualche tempo.
«Non
la vedo così» obietta ragionevole, il respiro regolare e
controllato, attirandosi la sua occhiata e la sua attenzione. «Il
potere comporta il dovere» decreta severo, forte di un’educazione
che ha ricevuto appena ha imparato a parlare.
Lei
inarca le sopracciglia, scettica.
«Che
tipo di dovere?» indaga interessata.
«Far
in modo che la famiglia sopravviva» risponde lui, spiccio, come se
fosse qualcosa di scontato.
Visenya
aggrotta la fronte, meditabonda.
«Per
farlo, è necessario sterminare i nostri nemici» borbotta pratica,
rimuginandoci sopra.
«A
volte sei spaventosamente sanguinaria» osserva suo cugino, ironico,
accennando anche un sorriso divertito, interrompendo di colpo quelle
riflessioni fosche.
Lei
ricambia, piegando a sua volta le labbra.
«E
questo ti spaventa?» chiede placida.
«No»
assicura Aemond, schietto, scrollando appena le spalle. «Lo trovo
rassicurante» concede, invece, le iridi chiare quasi rapite da
quelle parole.
Ci
sono pericoli dal quale il sangue non può proteggerci,
commenta
lei, laconica, nella sua testa. Anche
se in questo caso, il problema è proprio il sangue.
È
ferma, nella Sala del Trono, con il volto indecifrabile e le braccia
distese lungo i fianchi, mentre Vaemond Velaryon pretende di occupare
lo scranno del fratello e sua madre è ben decisa a combattere
affinché il diritto di Lucerys non venga usurpato.
I
pettegolezzi sanno essere molto pericolosi, specie quando dicono la
verità.
Un
po’ le viene da sorridere amareggiata nel constatare che una
menzogna, per quanto accettata da gran parte dei lord per paura del
re, non può rimanere in piedi per molto.
E
quando Daemon mette fine alla diatriba, recidendo qualsiasi
disobbedienza e punendo gli insulti, quel sorriso affiora con
naturalezza sulle labbra nel momento in cui gli occhi contemplano
cosa succede a chi osa
troppo.
Tuttavia,
le muore nel momento in cui incrocia un volto, distante da lei, di un
uomo che è in piedi accanto ai gradini che conducono al trono.
Il
gelo se lo aspettava, così come il rancore. Quello che non voleva
scoprire – che sperava
non
esistesse – è l’accusa di tradimento che divampa in quell’unica
iride azzurra.
«Sei
soddisfatto?»
«Nel
vederti precipitare nelle mie stanze?» replica Aemond, beffardo,
inarcando per un momento le sopracciglia con eloquenza, seduto su una
sedia accanto al fuoco, prima di portarsi la coppa di vino alle
labbra. «Credo che tu le abbia scambiate per quelle di mio fratello.
Le sue sono due porte più in là» afferma piano, indicandole con un
cenno del mento.
Visenya,
in piedi di fronte a lui, freme per la collera.
«Evita
il sarcasmo, non sono dell’umore» lo fredda inferocita.
«Ma
a quanto pare lo sei per i rimproveri» osserva lui, piano,
continuando a fissare le fiamme che ardono nel camino.
«Risparmiateli: ho già una madre» l’avvisa fermo, scoccandole
un’occhiata significativa.
«E
non mi pare che sia riuscita a contenerti» insinua caustica, ancora
più irritata perché si sente scuotere da una furia incandescente
che è alimentata dal modo in cui l'altro cerca di ignorarla.
«Potrei
dire lo stesso della tua» commenta Aemond, scocciato, corrucciando
le labbra in una smorfia di disappunto. «Altrimenti non saresti qui»
rilancia circospetto, solo apparentemente distratto da quelle lingue
di fuoco.
«Sono
qui per dirti che sei un idiota» puntualizza lei, con veemenza,
senza nemmeno cercare di domare la collera. Stringe i pugni lungo i
fianchi, conficcandosi con forza le unghie nei palmi delle mani, così
da resistere alla tentazione di schiaffeggiarlo. «Hai rovinato
tutto!» stride adirata.
«Che
cosa?» scatta Aemond, tagliente, voltando di colpo la testa nella
sua direzione e inchiodandola con un’occhiata gelida. «La farsa
della famiglia felice?» indaga truce, mantenendo però un tono
basso. «Perdonami se non apprezzo le menzogne, e a quella tavola mi
sembrava di assistere al trionfo dell’ipocrisia» confessa
sprezzante, scuotendo appena il capo. «Anche per merito tuo»
insinua spietato.
Visenya
spalanca gli occhi, sconcertata.
«Che
avrei fatto io?» domanda in un soffio, interdetta, prima di
recuperare la solita veemenza.
«Recitato
il ruolo della figlia devota e accomodante» risponde lui, secco,
guardandola con quella superiorità che le fa venire voglia di
picchiarlo. E non sarebbe un bene perché finirebbe per avere,
inevitabilmente, la peggio. «Tu lo odi almeno quanto Viserys lo ama»
afferma sagace.
«Chi?»
domanda confusa.
«Tuo
padre» risponde Aemond, brutale, puntandole addosso quell'unica
iride. E stranamente non c'è scherno in quel azzurro. «Ti ha
lasciata qui per fuggire a Pentos e rifarsi una famiglia» le ricorda
spietato. «Sai da sola che cos’è il risentimento, non c’è
bisogno che te lo spieghi io. Quindi evita di pretendere di sembrare
migliore, perché non lo sei» consiglia spassionato, prima di
tornare ad assaporare il vino.
Lei
rimane immobile, congelata sul posto. Vorrebbe poter dire che quelle
parole non l'hanno colpita con la forza di decine di pugnalate ma
sarebbe un bugia.
È
quasi umiliante ammettere che esistono persone che, per quanto non
facciano più parte della sua vita, sono ancora in grado di ferirla.
Cercando
di scacciare via il nodo che sente alla gola, inspira silenziosamente
ossigeno così da calmarsi e scacciare il tremore che le sta
tormentando le mani.
Quando
sente di aver recuperato il controllo, eil suo viso esprime solo
rancore
– non dolore, quello mai –, si azzarda ad aprire di nuovo bocca.
«Se
ti fossi soffermato un momento a pensare» riprende affilata, il
risentimento che le sgorga dalla voce. «Avresti capito che, a volte,
è necessario essere pazienti e dare al nemico l’illusione di
poterti controllare» illustra altera.
«E
devo crederci?» replica lui, impassibile, dopo un momento di
spaesamento. «Quando è molto più probabile che qualcun altro ti
abbia mandato qui» deduce acuto.
«Immagino
che dovrei sentirmi offesa» ribatte lei, serena, scostandogli con
naturalezza il braccio dal bracciolo dello scranno, così da
sedercisi sopra. Poi gli sfila la coppa dalla mano, bevendone un
sorso. «Ammettilo: sono un’ottima bugiarda. Avresti dovuto vedere
la tua faccia mentre ti rimproveravo» ironizza divertita, la bocca
nascosta oltre il bordo di metallo.
Aemond
la fissa stranito, le sopracciglia inarcate come se avesse accanto
qualcuno che è completamente uscito di testa.
«Era
questo il tuo piano?» indaga perplesso, la schiena appoggiata allo
schienale di legno. «Provocarmi mentre mi riempivo di alcol?»
continua snervato, come se considerasse quel piano insensato e
stupido.
«Avventato» commenta sprezzante, scegliendo una parola molto più
gentile di quella che si aspettava.
«L’apatia
non mi piace» confessa lei, leggera, alzando le spalle per nulla
turbata. Poi si fa seria, irrigidendo i lineamenti del volto. «Non
ti fidi» realizza sicura, senza riuscire a trattenere una punta di
delusione che le colora la voce.
Aemond
storce le labbra in una smorfia spazientita.
«Tu
ti fideresti di qualcuno che ha vissuto con anni con il tuo nemico?»
ritorce asciutto, inarcando le sopracciglia con eloquenza. «Questi
modi potranno affascinare lord Stark ma non me» giudica implacabile.
Visenya
annuisce, perdendo di colpo il buon umore. Torna a bere, sperando che
il vino le renda più facile smettere di pensare.
«Già»
smozzica a stento, prima di sospirare, scuotere il capo e alzarsi da
lì. Compie un paio di passi verso il tavolo, così da appoggiare
sopra la coppa vuota. «Penso che dovrei iniziare a preoccuparmi del
mio futuro» ragiona contrariata, serrando le labbra con fastidio.
Sente la collera montare, le mani che si stringono a pugno sopra la
superficie del legno. Chiude un momento le palpebre, cercando di
aspirare più ossigeno possibile per calmarsi. «Beh, suppongo che
esista una soluzione per tutto» stabilisce enigmatica, con un tono
che assume una sfumatura inquietante, una volta ripreso il controllo,
volandosi con un viso che non esprime la benché minima
preoccupazione. «Mi sono trattenuta fin troppo. È meglio che vada,
domani ritornerò a Roccia del Drago» comunica piatta, informandolo
della decisione che Rhaenyra ha preso in seguito al modo in cui si è
conclusa quella cena.
«Allora
buon viaggio».
Stavolta
la
sua
maschera di indifferenza
non
si incrina, anche se quelle parole premono contro la sua pelle per
insinuarsi dentro, nel sangue, avvelenandolo di un dolore sordo e
bruciante.
Finisce
davvero così?
Ingoiando
la mortificazione e tutto quello che comporta – vergogna, rabbia
per
essersi mostrata così debole e, sì, un pizzico di risentimento,
perché avrebbe tollerato di essere respinta da tutti da ma non da
lui –, si inumidisce la bocca, anche se il sapore della sconfitta è
un boccone amaro da digerire, prima di voltarsi e incamminarsi verso
la porta.
È
assurdo che questo faccia più male dell’idea di essere venduta per
sancire un’alleanza.
«Fu
Visenya a istituire la Guardia reale» riprende suo cugino,
all’improvviso, distaccato, quando ha fatto pochi passi,
costringendola a fermarsi e girarsi indietro. Lo vede fare forza sui
braccioli per alzarsi in piedi. «Convinse suo fratello che erano
necessari dei cavalieri che li proteggessero a costo della loro vita,
spogliandosi di titoli e legami di parentela» spiega con lo stesso
tono, avvicinandosi, il volto impassibile. «Forse Aegon ha amato più
Rhaenys ma è stata Visenya che si è ritrovata a raccogliere i pezzi
del re dopo la morte della sorella» sottolinea ponderato, fermandosi
quando le è di fronte. «E sospetto che dieci notti rispetto a una,
non siano da vedere come una sconfitta. Dipende da quanto vale
quell’unica volta» evidenzia allusivo, guardandola in un modo che
le fa attorcigliare le viscere.
Nel
silenzio della stanza, dove l’unico suono proviene dallo
scoppiettare dei ciocchi di legno che vengono divorati dalle fiamme,
le pare quasi di sentire l’aria crepitare.
Visenya
rimane immobile, sostenendo quell’occhiata, anche se avverte uno
strano brivido sulla pelle. Brivido che si insinua poi nel sangue,
fino a diventare una sensazione bollente e trepidante.
«Una
visione molto romantica» commenta ironica con un filo di voce, per
smorzare quell’atmosfera tesa che è calata tra loro e per prendere
le distanze da quello che prova.
«Tu
ne hai un'altra?» mormora Aemond, suadente, colmando la distanza che
li separa e fermandosi a un soffio di distanza.
«Voleva
solo sentirsi meno solo» risponde lei, turbata, sorridendo con
malinconia. «Soprattutto dopo che Rhaenys se n’era andata. Perché
tutti sono spaventati dalla solitudine, anche i re» azzarda
concreta, abbassando lo sguardo verso il pavimento.
Nel
silenzio che segue, sente che quell’insieme di sentimenti che ha
sempre cercato di rinchiudere in un angolo nella sua mente,
scacciandolo ai confini della coscienza, tornare con prepotenza a
invaderla.
E
non è facile fare i conti con il risentimento, la paura
dell’abbandono e il sentirsi abbastanza tutti insieme.
Solleva
le iridi di riflesso, così da incrociare quella dell’altro. Non sa
per quale motivo ma sperava di trovarci del conforto, come un tempo.
Ora
non sa che cosa ci vede.
Lui
la guarda, ma il suo viso non esprime la benché minima traccia di
calore. Anzi, i suoi lineamenti sono rilassati in maniera tale da non
esprimere nulla.
Forse
è proprio questo che la incatena lì, togliendole qualsiasi voglia
di ritirarsi.
«La
crudeltà ti dona» commenta in un sussurro lieve, facendo scivolare
la mano sinistra sull’impugnatura della daga che l’altro porta
allacciata al fianco destro. «Alla fine hai avuto davvero Vhagar»
considera sovrappensiero.
«Te
l’ho già detto» ribadisce Aemond, perentorio, alludendo a parole
pronunciate quasi una vita prima. «Se voglio qualcosa, me la prendo»
rincara secco.
«Anch’io»
assicura Visenya, fioca, prima di alzarsi sulla punta dei piedi per
raggiungergli le labbra con le sue.
Le
lambisce anche con la punta della lingua, estasiata –
perché
è da una vita che le desidera – e desiderosa di andare oltre,
quando si accorge che lui è rigido e per nulla partecipe.
Si
discosta quindi con le iridi azzurre velate dalla confusione,
cercando una motivazione sul perché.
«No»
è l'unica cosa che mormora suo cugino, fermo, con una voce che la fa
rabbrividire.
«Perché?»
indaga cocciuta e scontenta. «Ci prendiamo quello che vogliamo,
ignorando le conseguenze. Lo abbiamo sempre fatto» ricorda
implacabile, come se fosse qualcosa di scontato.
Aemond
inarca le sopracciglia.
«E
pensi che io ti voglia?» domanda con scherno.
«Dimmi
che non è così» lo sfida Visenya, svagata, spostando quella mano
che è sempre rimasta ferma su quella daga. Inclina il capo,
scrutandolo con una strana sfumatura maliziosa nello sguardo. «E io
me ne andrò» assicura piano, carezzevole.
Lui
tentenna, distogliendo l’iridi e puntandola a sinistra. Sembra
ragionare su quanto ha appena udito, congelato nella sua immobilità.
Sorride,
anche se con un pizzico di delusione, prima di voltarsi. Si sente
afferrare per il gomito, una presa salda che la costringe a bloccarsi
di colpo.
Punta
gli occhi nella direzione dell’altro, appannati da un velo di
confusione e un briciolo di aspettativa.
Aemond
la guarda smanioso, prima di tirarsela contro fino ad impossessarsi
delle sue labbra. La bacia come se volesse divorarla, prendendosi
quello che desidera, saziando come meglio crede quella brama che gli
brucia nel sangue.
Lei
ricambia con la medesima foga e le mani corrono a slacciare quella
cintura a cui è incastrato il fodero della daga, slacciandogliela e
facendola cadere al pavimento. Il rumore del metallo che si scontra
con la pietra, la fa rabbrividire ma non la ferma. Passa, poi, a
sbottonargli il farsetto, rivelando la pelle pallida sottostante.
Visenya
si discosta quanto basta per appoggiare la bocca su quel torace,
lambendoglielo con la punta della lingua fino a sentirlo sospirare.
Solo allora alza che le palpebre che aveva abbassato per puntare le
iridi verso il viso dell’altro.
E
vederlo così rilassato, con i lineamenti distesi, riporta indietro
il tempo a diversi anni prima.
Lo
contempla solo per qualche istante, con un sorriso intrigato, poi
Aemond torna a impossessarsi delle sue labbra. Si libera del farsetto
e la libera della vestaglia scura, abbandonandoli per terra, mentre
la spinge verso il letto.
Si
separano quando lei alza le braccia per permettergli di toglierle la
camicia da notte candida. Non è imbarazzata nell’essere seminuda,
né per lo sguardo affamato che le esplora la pelle che, alla debole
luce delle fiaccole alle pareti, appare mezza celata dall’oscurità.
Anzi, quasi se ne sente lusingata.
Si
liberano delle calzature e di quasi tutti gli indumenti, lasciandoli
dove capitano.
«Lo
hai già fatto» deduce Aemond, basso, nel momento in cui inizia a
districare i lacci che gli chiudono i pantaloni scuri.
«E
questo ti disturba?» domanda sommessa, inclinando il viso senza
celare il divertimento, lasciando che quel pezzo di stoffa raggiunga
il pavimento.
Lui
la fissa truce, prima di aventarsi di nuovo contro la sua bocca. La
costringe a sdrairasi sul letto, senza troppa gentilezza,
sovrastandola. Visenya lo asseconda dolcemente, permettendogli di
baciarla con foga, sfiorandogli la lingua con la sua, solo per
approfittare del momento in cui abbassa la guardia per capovolgere la
posizione.
Raddrizza
la schiena, allontanando il viso così da poterlo guardare. E vederlo
sotto di sé, con i capelli argenti sparpagliati sul lenzuolo bianco,
quelle labbra gonfie umide, le provoca una vampata di eccitazione che
la fa fremere.
Allunga
una mano verso quella benda scura e, quando stringe le dita contro
quel laccio, sente quelle di lui stringersi intorno al suo polso,
bloccandola. Si osservano per qualche istante, in silenzio, prima che
quella stretta si allenti e le permetta di mostrare quello zaffiro
incastonato nell’orbita sinistra.
Visenya
rimane a contemplarlo così quella cicatrice che dalla fronte scende
fino alla guancia. L’accarezza con il polpastrello, esattamente
come aveva fatto una volta.
Aemond
dischiude la bocca, il corpo in tensione e una certa inquietudine
nello sguardo.
Sorride
d'istinto, prima di abbassare il capo per riprendere a baciarlo.
«L’ho
visto» sostiene suo padre, sottile, la bocca piegata in un sorriso
compiaciuto. «Il modo in cui ti ha guardata» precisa lieve.
Visenya
rimane impassibile, il volto di pietra. Si limita solo a inarcare le
sopracciglia, così da sottolineare la sua confusione.
«E
questo ti rende felice, perché?» replica piatta, per nulla
imbarazzata dalla presenza dell’altro e per il fatto di essere
impresentabile, con addosso la camicia da notte celata solo dalla
vestaglia.
Daemon
avanza nella stanza, le mani congiunte davanti al farsetto, con passi
lenti e studiati apposta per innervosire l’interlocutore.
Peccato
che lei, nonostante dentro stia tremando per l’agitazione, non
abbia alcuna intenzione di dargli quella soddisfazione.
«Perché
mi piace avere un vantaggio sul mio nemico» confida sommesso,
fermandosi proprio a un passo di distanza. «In guerra sono sempre
utili» stabilisce sovrappensiero, gli occhi persi per un momento a
contemplare il vuoto. «Sono certo che conosci un modo per superare
la sua diffidenza e ottenere la sua fiducia» riprende allusivo,
sempre con quel sorriso accennato sulle labbra. «D’altra parte»
osserva quasi distratto, allungando una mano per scostarle una ciocca
di capelli mossi dalla spalla. «Sai cosa succede a chi mi delude»
termina piano, scrutandole il viso in modo significativo.
«Vorrei
poter dire che questo panorama mi è mancato, ma non è così»
confida Visenya, leggera, le mani appoggiate sul parapetto in pietra
del balcone mentre contempla l’alba illuminare Approdo del Re.
L’aria fredda la fa rabbrividire, visto la semplice camicia da
notte che indossa. «Quello a Roccia del Drago è migliore» sostiene
inclemente.
Aemond
le si affianca, in silenzio. Con la coda dell’occhio constata che
indossa un paio di pantaloni scuri ma, solo quando volta il capo a
sinistra, si rende conto che il viso è disteso.
«Tornerai
lì?» indaga pacato, posando le braccia sulla balustra, piegando
leggermente il busto in avanti.
«Ho
scelta?» replica lei, risoluta. Sospira mentre lo vede adombrarsi,
lo zaffiro che sembra quasi nero alla luce del mattino. «Non si
aspetteranno di avere un nemico proprio dentro le loro mura»
considera sovrappensiero.
Lui
storce le labbra in una smorfia scontenta, prima di rivolgere le
iridi verso la città.
«Sapranno
che sei stata qui, questa notte» riflette meditabondo. «Sempre che
non lo sappiano già» commenta inclemente.
Visenya
scrolla le spalle, per nulla preoccupata.
«Che
lo sappiano» consiglia placida. piegando le labbra in un sorriso
divertito. «Gli farò credere che l’ho fatto per loro»
butta lì, quasi con casualità. «Non sarà tanto difficile.
Piuttosto» riprende seria, indurendo i lineamenti del viso. «Quando
vuoi farlo?» domanda trepidante.
«Sembra
quasi che tu non veda l’ora» commenta Aemond, beffardo, tornando a
guardarla.
«Siamo
nati con le mani macchiate di sangue» dichiara lei, leggera, prima
di storcere il naso in una smorfia scherzosa. «Perché interrompere
la tradizione?» chiede sarcastica.
Vi
ringrazio per essere giunti fin qui.
Mi
spiace che sia questa la prima storia in cui mostro Visenya, perché
non mi piace affatto.
La
storia, non lei. Lei è fuori come un balcone ma va bene così.
Speravo di presentarvela con una os migliore ma, purtroppo, sono un po’
in crisi con la scrittura e, lei con Aemond, è un mix micidiale.
In
realtà è tutto colpa di lui, perché quando si tratta di
immaginarlo fare roba, mi va in panico e mi rovina tutti i piani.
Vorrei
ringraziare le persone che hanno avuto il buon cuore di leggere in
anteprima questo scempio e anche per tutti i consigli che mi hanno
dato. Non le nomino semplicemente perché non meritano di essere
associate a ‘sta roba.
Piccola
precisazione: alle cena, nella 1x08, Aemond non ha le armi con sé,
mentre io ho detto che le aveva subito dopo, quando è in camera. Non
è una svista, semplicemente credo che, essendo un paranoico del
cavolo, se ne separi solo se costretto.
Un
abbraccio e scusatemi,
Blue
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