The Mirrors of Sin
Nota iniziale: questa one-shot è nata per la challenge
multifandom "Il
ritratto di Dorian Gray & Wilde" indetta da Frøzen
e con immensa gioia posso dire che vi partecipa. Alla creatrice di
questa bellissima iniziativa va un enorme ringraziamento,
perché la fanfic non è pienamente in regola e se
è stata accettata è solo per la sua gentilezza.
Comunque sia, la ringrazio
tantissimo per la concessione e per la meravigliosa recensione che mi
ha lasciato. Ulteriori ingraziamenti, disclaimer e credits alla fine.
Buona lettura a tutti!
A
Ceci, perché senza
di lei questa storia probabilmente non esisterebbe.
A Ely, la mia cara
compagna di penna, che mi ha sostenuto e mi sostiene in un modo
impareggiabile.
Questa è per
voi, e alla salute del 26 Agosto 2009.
“
...
e che riposi in pace. Amen”.
Lord
Henry lasciò scorrere la folla di espressioni contrite,
curiosi dai sogghigni malevoli e nobili dame in lacrime. Quasi tutti
erano
avvolti da lunghi abiti neri riccamente arabescati e profumati, vanesi
persino nel lutto. Gli sconosciuti se ne andavano parlottando o
ridacchiando in una lunga, silenziosa sfilata. Centinaia di destini
annodati a
un unico filo dorato, spezzatosi pochi giorni prima.
Si
ritrovò da solo a contemplare una lapide nuova di zecca. Nel
totale silenzio del cimitero, il
fievole frastuono di Londra era come la nota di basso di un organo
lontano, sottile
ma costante, che vibrava nell'aria ad acuire il suo profondo senso di
solitudine.
I
caratteri neri, simili a fantasiosi arabeschi, spezzavano la perfetta
uniformità del marmo latteo, formando le parole scelte per
Dorian da lui stesso.
Dorian
Gray
Visse.
Come
sempre la compagnia di lord Henry si era interrogata a lungo su
quell'unica parola. Alcuni non davano tanto peso alla decisione del
dandy, ritenendola una delle sue solite stravaganze, altri
consideravano blasfemia riassumere in quel modo estremamente
riduttivo un'esistenza misteriosa e interessante quanto il suicidio
che l'aveva interrotta. Ma Henry aveva i suoi motivi: quel semplice
verbo aveva legato lui e Dorian in modo indissolubile, fino alla fine
ed oltre.
La
servitù di casa si era rifiutata di mostrare il cadavere a
chicchessia, persino a lui stesso, giustificandosi con vaghi
riferimenti a un “terribile mistero”destinato a
rimanere tale e a
morire con loro. Il pensiero di non poter più contemplare
quei
tratti d'avorio l'aveva riempito di dolore e rassegnazione e aveva
insistito per comporre almeno l'epitaffio di un amico così
caro.
La verità, però, era che per lui Dorian era stato
molto più di un amico. Era stato, come
per il povero Basil, un incarnato di tutto ciò in cui aveva
sempre creduto, come lo era ora la parola incisa sulla lapide bianca.
Nel
preciso istante in cui, per la prima volta, gli aveva parlato e aveva
visto il rossore fiorirgli sulle guance, lord Henry aveva scelto di
modellare il destino di quel giovane in modo da renderlo
assolutamente perfetto. Ovvero, riprodurre il suo risparmiando a
Dorian gli errori commessi per raggiungere la vera Saggezza.
Alla
sua età, aveva pensato, era esattamente come lui. Un tipico
giovane nobile, ricco ed avvenente, con il mondo in mano.
Tra
le mille opportunità offerte dalla sua giovinezza e da una
bellezza fuori dal comune, lord Henry si sentiva smarrito e ancora
troppo immaturo per scegliere la sua strada in quel groviglio di
sentieri diretti verso l'avvenire. La sua scelta, se scelta si poteva
chiamare, era stata di tentarle tutte e nel fiore degli anni aveva
già sperimentato ogni vizio o follia che un uomo possa
incontrare lungo il proprio cammino. Così, nella lunga e
vana
ricerca di un modus vivendi soddisfacente,
le notti si consumavano l'una dietro l'altra e lord Henry si
ritrovava sempre più di frequente a rigirarsi nel letto alle
sei di mattina, dopo la consueta lunga serie di dissolutezze, roso
dalla vergogna di se stesso e delle sue azioni.
Era
stata una di quelle albe senza notte a portare con sé
l'illuminazione, una brillante idea la quale definì la sua
intera esistenza di lì in avanti. In effetti l'unica fonte
di
quel vuoto eterno
erano i suoi pensieri e i suoi rimorsi: la coscienza,
divinità
che dalla più tenera età ci è imposta,
ci segue
come l'ombra e, come l'ombra, non riusciamo ad ingannare, lo
torturava e guastava quell'effimero piacere vissuto poco prima.
Una
volta libero dalla coscienza avrebbe certo potuto vedere al di
là
del semplice concetto di peccato e trovare nelle lunghe ore delle
tenebre una luce nuova, un motivo e un metodo a cui dedicare il resto
dei suoi giorni. Avrebbe potuto ubriacarsi del succo della Vita
stessa senza più conoscere lo stravizio.
Così
aveva lasciato che i pensieri e i sensi di colpa svolazzassero nei
portacenere e si frantumassero tra i tacchi dei ballerini nei saloni
ricchi e scintillanti di persone quasi sconosciute, finché,
ritrovatosi libero da tutti e da tutto, anche da se stesso, comprese
di aver trovato per primo la vera strada verso l'immortalità.
Non
essere schiavo di nulla e nessuno e sarai tu il padrone del mondo.
Non
si era sbagliato: in breve tempo tutti avevano cominciato ad amarlo.
Senza alcuna nube ad oscurare la sua mente, lord Henry aveva
sviluppato uno spirito di osservazione e un'intelligenza squisiti; in
ogni situazione, con un'indifferenza quasi sardonica, sfoderava
commenti così acuti da lasciare chiunque, persino chi fosse
oggetto delle sue beffe, stizzosamente incantato.
Una
volta trovata la sua strada – anzi, l'unica, divina strada
per
sfuggire allo scorrere del tempo - Henry aveva raffinato le proprie
scelte e idee su ogni cosa. Osservava tutto senza pregiudizi e
ne traeva una sua opinione, costantemente esposta senza alcun riserbo
davanti a chiunque la volesse conoscere. Le persone meno sicure lo
ammiravano come un'entità superiore, quasi una
divinità
dell'ego, perché era l'unico a non avere il minimo dubbio su
qualunque questione gli venisse posta.
Era
imprevedibile: nessuno sapeva chi fosse davvero, eccetto lui che
sapeva di non essere nessuno in particolare, tanto svincolato dagli
stereotipi e dalle volgari classificazioni della gente da potersi
concedere, di tanto in tanto, la sublime illusione di credersi senza
tempo.
Questa
era la Vita, e non vedeva più altro modo possibile di
trascorrerla, anzi, di compierla. Perché la Vita, secondo
lord
Henry, era un'Arte da portare a termine – e cosa poteva
esistere di
davvero affascinante e terribile, nel fuggevole tempo a disposizione di
un uomo,
se non scoprire i segreti raggiunti, fino a quel momento, solo da
lui?
Quel
pomeriggio da Basil aveva incontrato un ragazzo nel pieno incanto
della giovinezza e della Bellezza, le due entità
più
affascinanti che lord Henry avesse mai incontrato lungo il sentiero
dell'Arte. I lineamenti fini e delicati di quel viso parevano
modellati dalle benevole mani della Grazia stessa, e la sua anima...
oh, la sua anima! Aveva il candore di un giglio appena sbocciato.
Dorian era il suo riflesso perduto nello specchio della Vita.
Ammaliato,
Henry aveva deciso immediatamente di donargli il suo segreto,
perché
la fragile alchimia di quel volto finemente cesellato non svanisse
mai. Avrebbe fatto suo quello spirito incantevole per preservarlo dai
fardelli della saggezza comune, che deriva solo dalla volgare
esperienza, ed aprirlo alla sublime conoscenza della Vita in tutte le
sue forme più pure.
Aveva
sussurrato nelle sue orecchie tutte le risposte affinché non
dovesse soffrire per trovarle a sua volta. Lo aveva reso una creatura
di Paradiso, molto più di quanto non fosse già. E
ora
il suo angelo si era gettato da solo verso la terra dei mortali,
uscendo distrutto da quella caduta.
Un
pensiero gli sfiorò la mente con perfidia. Forse Dorian non
era stato un'anima eletta. Forse, dopo aver preso il volo fino a
intravedere la Vita, aveva avuto paura e il fulgore dei suoi
incantesimi gli aveva bruciato le ali e gli occhi.
Scacciò
con fastidio questa riflessione che certo, si disse, non avrebbe
persuaso nessuno, meno di tutti Dorian stesso. Non ci poteva credere.
Tutto
il pomeriggio rimase davanti a quel blocco di marmo gelido,
desiderando ardentemente di rivedere i lineamenti divini del giovane.
Volle
avere il ritratto a tutti i costi e non se ne separò per il
resto dei suoi giorni. Tuttavia, nel contemplare di nuovo i fini
tratti di Basil per la prima volta dopo tanti anni, si rese conto che
quel prodotto dell'Arte, per quanto stupefacente, sarebbe rimasto
solo uno spettro dell'assoluta, irripetibile Bellezza modellata sul
corpo del giovane. Non capì mai perché egli
stesso avesse scelto di mettervi fine.
Quella fu l'eredità di Dorian. Un ritratto, un gran vuoto e
l'unica cosa inesplicabile che lord Henry avrebbe incontrato nella sua
vita.
Quando
il tramonto iniziò ad incendiare il cielo, l'uomo
lasciò
la lapide e si incamminò verso casa. Quell'anima perduta,
dopotutto, gli aveva insegnato qualcosa.
Vivere
è la cosa più rara al mondo. La maggior parte
della
gente esiste, ecco tutto.
Questo lo sapeva bene, ma lui solo: c'erano ancora così
tanti
giovani, un esercito di candidi spiriti in cerca della retta via. Era
la sua via e in essa lord Henry camminava da solo, ne era
certo. Avrebbe per sempre cercato
una creatura eletta che riuscisse a comprendere i profondi segreti di
questo atto così naturale e arduo a un tempo. Già
varcando i cancelli del camposanto, però, una parte di lui
si
sciolse dall'illusione. Un altro Dorian Gray non sarebbe tornato.
La tomba di
marmo bianco non ebbe
mai più visite.
***
Insomma... posso solo dire un grazie sincero a chiunque sia arrivato
alla fine.
Per me questa fanfiction è stata una vera sfida. Un'Opera
come
questo libro è veramente difficile da capire per una
ragazzina
della mia età; non parliamo di scrivere una storia ispirata
ad
esso - sul personaggio più complesso e affascinante, lord
Henry,
che abbia mai incontrato nelle mie letture.
Le descrizioni usate per il contest
sono in neretto. La descrizione del luogo (città, che ho
deliberatamente ignorato XD ecco il mio errore)
è presa da Il ritratto di Dorian Gray
e la citazione finale da L'anima
dell'uomo sotto il socialismo. Tutto questo e l'opera a
cui la mia storia è ispirata non appartengono a me,
ma a un grande scrittore e un grande uomo.
Il titolo
è preso da una canzone dei Nightwish, Beauty and
the
Beast (i
fan di questo gruppo potranno cogliere altri piccoli riferimenti alle
loro canzoni nella storia). Per me, riferito a
questa fanfic, ha un fascino particolare: il
peccato visto da un'altra angolazione. Comunque, dategli il significato
che volete: è a libera interpretazione.
"Avrebbe
fatto suo quello spirito incantevole" è una minuscola
citazione dal libro. Questa frase mi ha ammaliata sin dalla prima
lettura.
Quanto al banner,
in cui
potete vedere Colin Firth e Ben Barnes, l'ho creato usando una
bellissima screenshot tratta dal prossimo film ispirato al
Capolavoro.
Mando un bacio alle mie prime recensitrici, Fede_Wanderer e ovviamente
Frøzen stessa, per i salti
di gioia che mi hanno fatto fare. La mia gratitudine è forever yours e
di chiunque se la senta di lasciarmi un commento.
La dedica è per le mie amate lettrici in anteprima. Grazie,
amiche Wishmasters.
Lascio a voi il
giudizio su questo lavoro che mi ha coinvolta profondamente nell' intelletto e
nell'anima... grazie ancora. Elisa
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