Il piccolo Conrad e il cucciolo di cocker
Una manciata di DVD giaceva disordinata sopra il divano-letto,
sulla sagoma di tre paia di gambe delineate dal piumone invernale. I bambini
che lo occupavano non avevano alcuna intenzione di dormire, ed ecco perché i
loro occhi scrutavano le copertine in cerca di ispirazione su cosa guardare
quella sera. Nella penombra del seminterrato si intravedevano classici Disney,
ma anche lavori più recenti, eppure niente sembrava suscitare il loro
interesse.
Un paio di gambe si mossero sotto al piumone, e i DVD posati sopra
franarono inevitabilmente su quelli posti poco più accanto.
«Em, sei un disastro!», esclamò John.
«Quanto la fai lunga», ribatté lei. «E poi tanto nessuno vuole
guardare i cartoni.»
«Questo lascialo decidere a Lucy», le rispose lui. «In fondo è il
suo compleanno e il suo pigiama party.»
Emily sospirò e alzò le spalle. «Sei proprio un fratello
rompiscatole.»
A Lucy scappò una risatina. «A me va bene se facciamo altro»,
disse la festeggiata. «Avete qualche idea?»
I tre si lanciarono qualche occhiata, poi Emily sorrise. «Potremmo
mettere un po’ di musica.»
«Meglio di no», rifletté Lucy, «non vorrei disturbare i miei.»
Emily arricciò le labbra come a volerci pensare un attimo, e bastò
un istante perché sul viso le spuntasse un sorriso sornione.
«Hai una torcia?», domandò. Gli altri due le rivolsero uno sguardo
interrogativo, ma la bambina non volle saziare la loro curiosità.
Lucy alzò le spalle. «Penso di sì. Vado a vedere tra le cose di
papà.»
La bambina uscì dal piumone, si infilò le ciabatte e a piccoli
passi sparì in una stanza adiacente. Subito dopo si udirono rumori metallici e
cassetti che si aprivano e chiudevano.
Emily si divertì a muovere i piedi e a osservare la sagoma del
piumone cambiare sotto l’effetto dei suoi movimenti.
«Che hai in mente?», le domandò John.
«Vedrai tra poco», gli rispose, senza togliersi quel sorriso dalla
faccia. Si sentiva soddisfatta nell’intravedere, sul volto di suo fratello, una
leggera quanto impercettibile traccia di inquietudine. Lui la fissò ancora, e
lei sentì nascere nel petto una sensazione di rivalsa e soddisfazione.
Dopo poco, Lucy spuntò dalla soglia dell’altra stanza con
un’espressione soddisfatta sul viso e un braccio ben alzato, che culminava con
una torcia stretta tra le dita.
Emily batté le mani, eccitata. «Evviva! Dai, torna qui. E spegni
la luce!»
«Perché?», domandò la bambina.
«Fidati di me», le rispose soltanto. Alla sua destra sentì lo
sbuffo del fratello sulla pelle del collo.
«Io non lo farei», suggerì lui. Emily si voltò verso John e gli
fece una smorfia con la bocca.
Lucy però fece come le era stato detto, così, quando fu abbastanza
vicina al letto, si allungò verso l’interruttore e spense la luce, lasciando il
trio nel buio pesto. Accese quindi la torcia e la puntò al soffitto, poi la
diresse sul piumone, dopodiché si infilò sotto le coperte. Non appena fu
dentro, Emily le sfilò la torcia di mano e se la mise sotto al mento,
provocando un sussulto negli altri due per quel gioco di luci e ombre. La bambina
allora liberò i capelli da dietro le orecchie e li lasciò ricadere ai lati del
viso, incorniciando ancora di più la sagoma contrastata del suo volto.
«Bene, allora», cominciò, modulando il timbro della voce in modo
da farlo apparire più gracchiante, «vi racconterò una storia vera.»
«È una storia paurosa?», domandò John con un pizzico di
esitazione, e sua sorella alzò gli occhi al cielo. Nonostante la penombra, era
impossibile non notare i suoi occhi intimoriti, così Lucy si spostò per
mettersi più vicina a lui e tenergli la mano.
«C’era una volta», iniziò Emily, «un bambino di nome Conrad che
viveva con suo padre. Sua madre era morta l’anno prima e lui si sentiva solo,
così avevano preso un cane per avere un po’ di compagnia.»
Emily fece una pausa, come a voler assaporare le facce dei
presenti, illuminate appena dal bagliore della torcia. Le sembrò di notare che
il volto di John diventava sempre più contrito.
«Che cane era?», domandò lui.
«Un cucciolo di cocker», rispose. «Tutto marrone, dal pelo lungo,
un gran giocherellone. Dormiva sempre ai piedi del letto di Conrad, che lo
adorava.»
«Ok…», sussurrò Lucy, e strinse un po’ di più la mano di John.
«Comunque», continuò Emily, «il papà era spesso fuori per lavoro,
ma Conrad non aveva paura di notte. Se voleva essere rassicurato, sapeva che
gli bastava mettere una mano fuori dal letto perché il suo cucciolo gliela
leccasse.»
«Bleah», commentò John.
Il sorriso sul volto di Emily si smorzò per un attimo, durante il
quale alzò gli occhi al cielo e sbuffò, quindi si schiarì la voce per ritrovare
quel timbro gracchiante che stava avendo l’effetto sperato.
«A ogni modo», proseguì, «una notte si ritrovò solo perché suo
padre era di nuovo fuori città. Fuori c’era un vento pazzesco che faceva
tremare i vetri delle finestre e che sibilava tra gli spifferi…»
John e Lucy si strinsero ancora di più l’uno nell’altra, entrambi
con le labbra serrate e il volto teso.
«Conrad era spaventato, così mise la mano fuori dal letto e si
sentì meglio quando il cucciolo gli leccò la mano. Ma il vento cominciò a far
scricchiolare i muri, e soffiava sempre più forte, e Conrad aveva davvero tanta
paura.»
La vibrazione improvvisa di un vetro li fece sobbalzare tutti e
tre. John si lasciò scappare un gemito. Trattennero il respiro e lentamente
ruotarono il capo fino a che la piccola finestra del seminterrato non fu nel
loro campo visivo.
Non c’era niente. Emily cercò di deglutire senza fare rumore. I
tre tornarono a guardarsi.
«Hai detto che era una storia vera?», balbettò John.
«Sì», rispose la sorella, dissimulando una tranquillità che non le
apparteneva, «ma non ho ancora finito.»
«Manca molto?», domandò la festeggiata.
Emily rimise la torcia in posizione e le sembrò di percepire il
terrore intorno a sé. «No. Non molto.»
I due bambini annuirono e si lanciarono un’occhiata spaventata.
«A un certo punto», riprese, «nel cuore della notte si cominciò a
udire uno strano rumore. Plik, plik, plik. C’era qualcosa che
gocciolava. Conrad provò a ignorare quel suono, ma era sempre più intenso. Plik,
plik, plik. Si fece leccare la mano ancora una volta per farsi coraggio,
poi si alzò per andare a vedere.»
«Ho paura», sussurrò John e si accorse che la voce gli tremava.
«Camminò fino al bagno. Arrivato davanti alla porta, abbassò la
maniglia ed entrò. Quello che vide era così spaventoso che si mise a urlare.»
«E…», provò a domandare Lucy, prima che le parole le morissero in
gola. «E cosa aveva visto?»
Emily spalancò gli occhi e avvicinò ancora di più la torcia al
mento, in modo che il suo volto diventasse più mostruoso e spettrale. Guardò
prima suo fratello, poi spostò lo sguardo sulla festeggiata. Strizzò allora gli
occhi, come se lo spettacolo raccapricciante della sua storia fosse stato
proprio lì davanti a lei, dopodiché fece un sospiro profondo.
«Dalla vasca da bagno scorreva sangue», e a quella parola i
presenti inorridirono, «e non appena Conrad spostò la tenda vide il povero
cocker completamente squartato.»
Suo fratello piagnucolava. Lucy provava a mantenere un contegno,
ma il tremolio con cui stringeva le mani del cugino diceva tutt’altro.
«E soprattutto», continuò Emily, scandendo le parole, «sullo
specchio c’era una frase scritta col sangue.»
Studiò le loro espressioni terrorizzate, e assaporò il momento che
stava per seguire.
«“Non solo i cani leccano le dita.”»
I due bambini di fronte a lei sbarrarono gli occhi. Le loro mani
smisero di tremare, forse perché si stringevano così forte a vicenda da non
riuscire a muoversi. Emily li guardò ancora una volta, uno per uno, lasciando
che i suoi occhi accarezzassero le espressioni di paura che vedeva stampate sui
loro volti. Alla fine riemerse lo stesso sorriso sornione che le era comparso
poco prima, quando aveva cominciato a gustare quello scenario. E in quel
momento se lo stava proprio gustando. Oh, sì.
La piccola finestra del seminterrato vibrò di nuovo, stavolta più
forte. Lucy urlò. Urlò così tanto che John le lasciò le mani per lo spavento,
così tanto che la bambina si liberò del piumone e uscì dal letto alla velocità
della luce, e sempre urlando corse fino alle scale, e risalì i gradini a due a
due, incespicando, poi inciampando, e terrorizzata corse per tutto il piano di
sopra, finché non bussò con tutta la forza che poteva sulla porta della camera
dei suoi.
«Aiuto! Aiuto!», la sentirono urlare i due bambini rimasti giù,
così anche John uscì dal letto e volò al piano di sopra, salendo uno scalino
per volta, aiutandosi col corrimano.
Emily rimase sola con la torcia in mano, ora accesa, ora spenta,
ora accesa, ora spenta. Sospirò. Aveva fatto un casino, se lo sentiva. Ora
accesa, ora spenta, ora accesa, ora spenta. Sentì delle voci al piano di sopra,
voci concitate che cercavano di calmare Lucy, ed Emily ebbe la sensazione di
averle rovinato la festa. In mezzo a quelle voci sentì anche il suo nome.
Qualcuno stava raccontando cos’era successo.
Poco dopo, nel seminterrato scesero Lucy e suo padre, seguiti da
John. Qualcuno accese di nuovo la luce e quella stanza, che fino a poco prima
le era sembrata teatro di eventi nefasti, tornò a essere un semplice
seminterrato.
«Forza, bimbi, tornate a letto. Non ci sono cani qui, visto?», e
il papà indicò i piedi del letto. «E nemmeno cani morti in bagno.»
«È tutta colpa di Em», piagnucolò John.
«Sei tu che sei un cacasotto», ribatté lei.
«Ehi, signorina», la riprese il papà di Lucy, «piano con le
parole.»
Emily sbuffò e lasciò cadere la torcia sul letto. Alzò lo sguardo
verso la cugina e notò che il suo viso era ancora un po’ teso, così le si
avvicinò e l’abbracciò, cogliendo l’altra di sorpresa. Si sentiva in colpa per
ciò che era successo, per averla spaventata così tanto. Dopo un primo momento
di smarrimento, però, la bambina ricambiò, sancendo così la fine delle
ostilità tra le due, se mai ce ne fossero state.
Sentì una mano scompigliarle i capelli, così sciolse l’abbraccio e
si accorse che il papà di Lucy si era seduto sul letto, vicino a lei.
«Stai bene?», le domandò. Emily guardò gli altri due, e sentì una
fitta al cuore nel vedere come si prendevano cura l’uno dell’altra, una premura
che nessuno aveva avuto nei suoi confronti. Nessuno tranne lui.
«Sì, grazie. E scusa per questo casino. Non volevo spaventarli.
Cioè», e sospirò, «forse un pochino sì. Ma solo un pochino.»
L’uomo rise di gusto. «Sei una piccola peste», le rispose sorridendo,
poi le diede un buffetto sul naso che la fece ridere a sua volta. «Domani la
racconti anche a me questa storia, ormai sono curioso.»
«Va bene», disse soltanto, col sorriso sulle labbra.
L’uomo rimboccò il piumone matrimoniale alla bell’e meglio, dopodiché
augurò a tutti e tre una buona notte. E lo sarebbe stata davvero, Emily ne era
certa.