Arrivò una sera d’estate, quando la luce del sole
lasciava spazio all’imbrunire che anticipa la notte.
L’astro di fuoco disegnava rosse figure sulla piatta
superficie del mare che venivano casualmente infrante dal lento moto
delle piccole onde provocate dalla brezza leggera della sera.
Scorsi in lontananza una figura troppo grande e troppo scura per essere
una depressione sotterranea riflessa dall’acqua. Ci impiegai
non poco per capire che erano i relitti di una nave sui quali stava
deposto il corpo di un uomo.
Gridai a squarciagola ed i contadini del mio villaggio che lavoravano e
trovavano riposo nei pressi della spiaggia vennero a vedere il
perché delle mie grida.
“Che succede Noemi?” chiese il primo che mi
raggiunse.
“Guardate all’orizzonte” spiegai
“Ci sono i relitti di una nave e su di essi la figura di un
uomo!”.
Presero una barca e vogarono verso la carcassa
dell’imbarcazione per recuperare il superstite, poi
ritornarono a riva. Nel frattempo avevano convocato sulla spiaggia il
dottore dell’isola affinché visitasse il
sopravvissuto.
Quest’ultimo era un giovano uomo sui trent’anni.
Aveva un corpo robusto martoriato da delle profonde ustioni che lo
rendevano praticamente deforme. Prima dell’incidente che lo
aveva ridotto così doveva essere stato un
bell’uomo.
“Signora nostra dell’Oceano”
esclamò il dottore “Quest’uomo va curato
immediatamente! Portatelo subito nel mio studio! Fate in
fretta!”.
Così con dei mezzi di fortuna tutti si equipaggiarono per
eseguire l’ordine ed il ferito venne infine trasferito alla
meta stabilita.
Per le poche ragazze non ancora donne che erano rimaste al villaggio
c’era poco da fare, quindi nei giorni a venire il mio compito
principale fu quello di badare a lui quando il medico non trafficava
sul suo corpo con bisturi e bende. Era un compito non facile e molto
noioso, soprattutto quando l’impetuosità giovanile
mi spingeva ad uscire per gustare la luce del sole. Ma tentavo di
offuscare queste voglie e di placare la noia rammendando.
Fu proprio quando stavo lavorando su un disegno molto complicato che il
ferito, dopo una settimana di mutismo e di immobilità
assoluta, emise un gemito addolorato.
Quando ciò avvenne andai nel’ufficio del dottore
per informarlo della cosa, ma quando riferii con tutto
l’entusiasmo che avevo in corpo ciò a cui avevo
assistito non parve molto elettrizzato della cosa.
“C’è poco da essere allegri,
Noemi” mi disse “Quell’uomo soffre di una
malattia incurabile”.
“Ma le dico che ha emesso un gemito, e se ha la forza per
lamentarsi del dolore allora non tutto è perduto”
insistetti io.
A quel punto il dottore si alzò dalla propria scrivania ed
andò a chiudere la porta del suo studio che, nella fretta di
entrare per informarlo, avevo lasciato aperta.
“Vedi Noemi” disse mentre spingeva
più in là la propria sedia per sedersi vicino a
me “Quell’uomo ha patito le pene
dell’Inferno. Qualcosa ha bruciato la sua carne fino a
ridurlo allo stremo, e queste condizioni unite ai potenti raggi solari
tipici di questa stagione ed alle infezioni provocate dal sale
dell’acqua marina hanno aggravato non poco la sua drastica
condizione di naufrago.
“Il problema non sta, o meglio, non sta interamente nel suo
corpo. Bensì nel suo cuore, in tutti i sensi possibili ed
in-terpretabili. Quando l’ho aperto per poter osservare le
condizioni degli organi interni tale organo si sottraeva alle mie cure,
respingendo le mie mani ed i miei attrezzi. Una cosa che non avevo mai
visto perché nessuno degli abitanti di quest’isola
felice ne aveva sofferto prima d’ora”.
Ancora non capivo, e fissavo il dottore dubbiosa.
“Noemi… quell’uomo ha perso la voglia di
vivere!”.
Passai da dubbiosa ad incredula in un battibaleno. Allora nella mia
infanzia gioiosa e spensierata una tale affermazione aveva
dell’incredibile.
“Ma com’è possibile una cosa del
genere?”.
“Non sono in grado di risponderti. Riesco a curare gli
acciacchi ed i dolori del corpo, ma quelli della mente non sono proprio
il mio campo. L’unica cosa che al momento andrebbe fatta
è quella di pregar la Dea del mare affinchè lui
trovi la pace e la pianti con questa scelleratezza”.
Tutto questo mi cadde addosso, quasi volessi assumermi il dolo e la
responsabilità dell’intera faccenda. Ma a colpirmi
maggiormente fu la dichiarata e disillusa impotenza del medico innanzi
ad un fatto tanto stravagante ed anomalo. Lui, che sull’isola
insieme al sindaco ed al re era considerata la figura più
importante di tutte, chinava la testa sconfitto su tutti i fronti della
propria amata professione.
“No!” esclamai allora, testarda come ogni ragazzina
“Non voglio arrendermi in questa maniera! Veglierò
su di lui fino alla fine se necessario, ma vedrete che
riuscirò a togliere questo germe malefico dal suo cervello
ed a guarirlo!”.
Il dottore rise debolmente, quasi si fosse sforzato dinanzi alla
palpabile tristezza della vicenda. “Fai pure” mi
disse “Un po’ di compagnia e di comprensione non
potranno che giovargli. Ma temo che la tua sia una battaglia contro il
vento... per quanto ti sforzi non puoi affrontare un nemico che non
puoi né vedere né toccare”.
“Vedremo” dissi, e me ne ritornai dalla stanza da
cui ero venuta.
E fu lì che passai il resto delle mie giornate, eccezion
fatta per quando dovevo nutrirmi o svolgere altre funzioni cor-porali.
Ma il naufrago non replicò più quel cenno che
aveva acceso in me la tenue speranza di un suo miglioramento.
L’unica cosa che cambiava era il colore della mia pelle che
diveniva sempre più pallida ogni giorno che le negavo i
raggi a cui era abituata.
Ma alla fine, dopo settimane di attesa e chilometri di stoffa ricamata,
ecco che dalla sua bocca uscirono nuove parole. Beh, più che
frasi di senso compiuto erano grugniti, ma pur sempre
qualcosa…
Allentai le bende intorno alla bocca in modo da rendergli
più semplice il parlare. Ed alla fine ecco che
riuscì a dire una frase intera.
“… sei ancora qui ragazzina?”.
Non era certo quello che avrei voluto sentire dopo tutto quel tempo
speso pazientemente al suo capezzale. Ma non mi arresi e lo incitai a
parlare ulteriormente.
“Ce la fai a parlare ancora?” gli chiesi
“Hai la forza di formulare un lungo discorso che ci possa
dire qualcosa su come curarti, straniero?”.
“Sì, certo che ce l’ho...”
disse, e mi si illuminò il viso dalla gioia “...
ce l’ho sempre avuta, solo che non volevo farlo con te. Se
ora lo sto facendo è perché la tua presenza sta
diventando opprimente...”.
Il mio entusiasmo calava gradualmente. Quell’uomo era stato
ritrovato solo e sembrava volersi lasciare morire nello stesso stato.
Persino la sua voce, leggermente censurata dalle bende che gli
avvolgevano il corpo e gli premevano la gola, trasmetteva tutto
ciò...
“Il medico dice che ti stai lascando morire” dissi
io, come se volessi ammettere in maniera velata la mia resa.
“Compimenti” fece lui, accennando fra le bende e le
ustioni un grottesco sorriso sarcastico “Deve essere molto
bravo se è riuscito a diagnosticare una cosa tanto
evidente...”.
La sua ironia mi feriva, ma non volevo rendere evidente una tale cosa.
Però, se il tutto fosse continuato su quel piano sarei
presto esplosa e le mie speranze di recuperare quel povero infelice
sarebbero svanite del tutto.
Decisi quindi di risparmiarmi i vari sotterfugi e di schiacciare il
tasto scordato della tastiera.
“Perché vuoi lasciarti morire?”.
Stavolta fu lui ad accusare il colpo inferto dalle mie parole.
Digrignò i denti e sentii una zona sanguigna delle ustioni
scoppiettare per via dell’ingente quantità di
sangue trasportata lì dall’adrenalina che aveva
invaso il corpo del mio interlocutore.
“Bada bene alle domande che porgi ragazzina” disse
lui “Non hai l’età per capire e questi
sono argomenti ben più grandi di te”.
Un sibilo causato dal vento si librò nell’aria. Ma
non era come i suoni che i più tanti erano abituati a
sentire… era vellutato ed argentino come la sinfonia
d’un flauto d’oro. Gli scienziati
dell’isola dicevano che era l’eco del vento che
soffiava fra i monti, dove stavano certi cristalli affilati che ne
tagliavano l’impalpabile sostanza producendo quel suono.
Tutto ciò però parve sconvolgere lo straniero,
che si portò i moncherini che gli rimanevano al posto delle
mani alle orecchie e prese a strillare disperatamente.
“Quel suono!... quel dannato suono... chiudi la finestra, non
voglio sentirlo!”.
“Non preoccuparti straniero” dissi, mentre mi
apprestavo ad assecondare il suo desiderio “È
solamente l’eco del vento che…”.
“Certo che no!” mi interruppe l’uomo non
appena il suono smise di esistere dopo che ebbi serrato le imposte
“I medici e gli scienziati non possono ridurre a delle
semplici formule matematiche un dolore così grande! E come
hanno spiegato il fatto che in questa zona si sente solo da una
settimana?”.
Questo piccolo ma significativo particolare mise il caos nella mia
mente. Un semplice naufrago in fin di vita era riuscito a mettere in
dubbio le certezze inculcatemi dai migliori ricercatori
dell’isola.
“Beh, i nostri scienziati si sono tenuti in contatto con
tramite dei messaggi scambiati con dei falchi con isole più
avanzate della nostra, e questa teoria è il frutto
del’unione dei loro sforzi”.
Stavolta il naufrago prese a ridere. “Tutto ciò mi
consola” disse quando si fu ripreso da
quell’attacco di risa che lo aveva colto
“Ciò vuol dire che non sono l’unico a
soffrire per la masnadiera di cuori delle acque…”.
Quell’ultima frase mi colpì subito. Senza volerlo
aveva ceduto ed aveva ammesso che dietro al propri dolore
c’era una storia. E quella storia riguardava una donna.
“Era così bella che ti ha spinto a tutto
ciò?” chiesi, forte della mia convinzione.
Allora il naufrago si zittì. Leggevo molto terrore nei suoi
occhi, ma anche molta rabbia. Una rabbia trascendentale.
“Non costringermi a diventare cattivo”
sibilò.
“Credi di farmi paura? Ti sbagli!” ribattei
“Sei solo un uomo grande, grosso e capriccioso, che non vuol
affrontare i propri problemi e preferisce farsi compatire dagli
altri!”.
Ed ecco che con uno scatto improvviso alzò il braccio
sinistro e mi afferrò per la gola. Non era una presa salda
dato che era non poco indebolito dal suo passato, ma la
velocità del gesto e l’ira che trasudava quasi
palpabile dal suo sguardo mi stupirono più del dovuto,
compensando ciò che mancava nel resto.
Una vescica sulla sua schiena esplose, costringendolo a mollare la
presa dal dolore, quindi ritornò in una posizione distesa
pur con qualche spasmo causato dal fastidio.
“Visto cosa mi hai fatto fare mocciosa?”
ansimò fra i denti.
Lo spettacolo era veramente pietoso. Il naufrago si lamentava avvolto
in maniera grottesca fra le bende che iniziavano a sfilarsi, mentre
altre vesciche lungo tutto il corpo presero a esplodergli macchiando
letto e fasciature di sangue e pus. Avrei voluto andarmene, trascinarmi
lontana da quella strana storia ma non riuscivo ad alzarmi dalla mia
sedia... se ero rimasta lì fino a quel punto, fino a
riuscire a strappare una confessione seppur labile da quelle labbra
avare, ci sarà stato un motivo…
E comunque sapevo troppo per andarmene.
“Non ci credo” ansimai quasi fra le lacrime
“Non puoi essere sopravvissuto a chissà cosa per
concludere la tua vita così! A che senso sbeffeggiare il
mortale abbraccio della fiamma e dei tuoni di fuoco per lasciarsi
morire? Per di più in maniera così anonima! Ci
sarà pure un qualsivoglia motivo se la sorte ti ha fatto
arrivare fino a qui!”.
Finalmente scoppiai in un pianto disperato dopo il mio breve e
disperato monologo e, fra le rughe e le escoriazioni, riuscii a notare
un’espressine corrucciata nel viso del mio interlocutore.
“Stupida bamboccia...” disse il naufrago, con tono
oramai rassegnato “È proprio vero che voi donne
sapete come convincere gli uomini nel fare qualsiasi cosa voi
vogliate”.
Alzai lo sguardo, lentamente, stupita dell’effetto delle mie
parole.
“Mi hai convinto. Se è per far tacere quella tua
voce petulante ti racconterò cosa mi è successo...
“Mi chiamo Zaffiro Rundell, e sono un cacciatore di stelle.
Fin da piccolo avevo avuto paura dell’acqua ma ero sempre
stato affascinato dalle navi, quindi decisi di diventare il capitano di
una nave volante. Prenderne una insieme a tutti gli schiavi necessari
per mantenerla mi costò tantissimo, impiegai molto tempo che
pagai in fatica e sudore per avere i soldi necessari, ma ogni gemito ed
ogni respiro che impiegai per compiere ciò fu alla fine
ricompensato.
“Mio zio inoltre, essendo uno dei pionieri di quella
professione, mi aveva istruito più volte sui rudimenti della
vita in cielo e tutte le sue lezioni mi avevano reso sicuro di quello
che stavo per fare come solo poche cosa prima avevano saputo fare.
Prima di morire mi aveva regalato addirittura una bandiera da appendere
all’albero maestro, sicuro che ce l’avrei fatta a
coronare il mio sogno… E difatti fu proprio sotto
l’ombra di quello stendardo che levai l’ancora per
la prima volta.
“Rammenterò per sempre quel giorno. La nave, la
mia bellissima nave, si levò dalla terra leggera e sicura.
Un bruciore doloroso ma al contempo piacevole mi attraversò
il corpo per concentrarsi infine nella testa. E con tutta questa
adrenalina in corpo girai il timone verso la mia prima
stella”.
“È difficile catturare le stelle?”.
“Abbastanza se non conosci bene l’arte e qualche
mossa speciale, molte delle quali mi erano state insegnate proprio da
quel sant’ uomo di mio nonno. Devi sapere però che
le stelle crescono in maniera molto lenta ma costante. Quindi quelle
più vecchie - ovvero quelle che hanno un millennio di vita o
poco più - diventano troppo pesanti e non riescono a stare
fisse sulla Volta Celeste, e finiscono per cadere. Ma quando toccano il
suolo si trasformano in semplice roccia, quindi noi cacciatori le
prendiamo prima che tocchino terra e sempre nel cielo le lavoriamo in
maniera speciale rivendendole poi come pietre preziose contenenti pura
luce astrale.
“Basterebbe venderne mezza dozzina per smettere di lavorare
per tutta la vita, quindi renditi conto del loro valore”.
“Allora perché hai continuato?”.
“Per vari motivi... la manutenzione di una nave è
molto dispendiosa, dovevo pagare gli schiavi ed una costosissima
operazione a mio padre. Ma comunque... l’ebbrezza di correre
insieme all’aria ed al vento come un loro pari mi esaltava
troppo! Era la sensazione che nessuna luce astrale avrebbe mai potuto
ripagare!
“In breve tempo la mia fama di cacciatore fece il giro di
terre, mari e cieli, ed i miei servigi vennero richiesti da tutti i
nobili del mondo. Guadagnavo così tanto che persino le paghe
che davo ai miei schiavi erano tanto elevate che in poco tempo tutti
loro poterono comprarsi la libertà. Quando ciò
avvenne attrezzai la ma amata nave in modo che potesse essere guidata
da una sola persona. E così continuai la mia
attività con ancora più entusiasmo di prima.
“Almeno fino a che non successe l’irreparabile...
Stavo dando la caccia ad una stella particolarmente grande che avrebbe
illuminato l’harem di uno sceicco, per la felicità
delle sue duecentosei mogli. Giravo il timone e lanciavo le reti come
un forsennato, ma la stella non voleva saperne di essere catturata.
Così provai, per il gusto del brivido, a compiere una mossa
azzardata... troppo azzardata.
“La stella colpì in pieno la mia nave guastandola
irrimediabilmente. Lentamente presi a cadere, acquistando
velocità mano a mano che il tempo passava, fino a che non
rovinai sulle acque di un non identificato oceano.
“Solo quando la vista cominciò a diventarmi sempre
più debole mi resi conto del mio timore
dell’acqua, e se non fosse stata la marea di sicuro sarebbe
stata la paura ad uccidermi.
“Tutto quello era troppo per la mia mente, che
preferì spegnersi lasciando il mio corpo solo ad affrontare
il tutto. Ma poco prima di entrare nel mondo dell’oblio vidi
l’acqua ritirarsi, prendendo forma solida formando quindi le
sembianze di una persona…”.
“Era la donna a cui avevi accennato?”.
“Sì, proprio lei…”.
“Vuoi dire che ti sei innamorato di una dea del
mare?”.
“Può essere. Io ricordo solo di essermi svegliato
su uno scoglio ed un’immensa e bellissima faccia femminea che
solcava dalla spuma delle onde mi guardava.
“Si chiamava Miraonda ed era la dea del mare
dell’ovest. Si era innamorata di me quando, di notte, mi
aveva visto dare la caccia alle stelle. Diceva che nei miei occhi aveva
visto un’incredibile passione. Una passione che molto si
distanziava dalla devozione che fedeli e sacerdoti del suo culto le
riportavano con le loro egoistiche preghiere di mortali.
“Ella voleva provare cosa significa essere soggetti ad una
passione, come diceva lei, pura e senza fanatismi di sorta. Una
passione puramente umana che le facesse dimenticare la sua odiata
natura divina, serva dei suoi stessi servitori, che la sottomettevano
con richieste e implorazioni sempre crescenti.
“Non potei resistere a questa preghiera. Ella, sì
fiera e maestosa, che con un solo schiocco delle dita poteva inondare
un’isola e decretarne la sorte degli abitanti, si era
prostrata davanti a me scongiurandomi di una cosa che le avrei dato
spontaneamente. La superficie del mare che dominava rifletteva la luce
delle stelle nel cielo, imprigionandola nei suoi occhi. Il suo sguardo
era la stella perfetta che inconsciamente stavo cercando.
“Accettai estasiato la proposta e mi avvolse nel suo
abbraccio divino. L’estasi mi avvolse, gonfiandomi i muscoli
e dilatandomi i polmoni come se fossero stati utilizzati per la prima
volta per il mio primo vagito di neonato. Una rinascita nel pieno della
giovinez-za. Alle mie energie se ne erano sommate di nuove rendendomi
doppiamente entusiasta della mia esistenza.
“Si sfamava della mia carne facendola ricrescere in maniera
sempre più afrodisiaca. Io completavo lei e le completava
me. Avevo trovato qualcosa che miracolosamente era ancora
più emozionante del cacciare le stelle, poiché
avevo raggiunto quella più imprendibile facendola mia,
immergendomi poi nel suo sguardo.
“Ma le cose così belle sono destinate a durare
poco. La nostra relazione venne scoperta dai fedeli di lei che
naturalmente non la videro di buon occhio. Il più fanatico
dei suoi sacerdoti la interpellò più volte
scongiurandola di riservare a lui lo stesso trattamento che era toccato
a me. Ma le rifiutò.
“Quella nuova esperienza con me aveva reso Miraonda
più incline a soddisfare i capricci della sua parte umana, e
rifiutò la richiesta del monaco in maniera sempre
più umana ogniqualvolta che questi la replicava. Dopo i muti
silenzi di diniego degli inizi arrivò a parlare a lui come
se fosse un suo pari, dato che era troppo abituata a fare lo stesso con
me sempre più durante il giorno, ed anche durante la notte.
“Successe dunque l’irreparabile... quel monaco,
dopo l’ennesimo rifiuto della mia amata, fondò un
proprio culto che aveva come scopo il combattere la nostra relazione.
Riuscì a radunare solo pochi uomini deboli di spirito, ma
con essi decise di attaccare il tempio ove risiedevo assieme a Miraonda.
“Fortunatamente durante i miei mille viaggi in cielo avevo
incontrato un marinaio che negli anni passati era stato asassino di
corte per il suo re e da egli avevo appreso delle mosse efficaci con le
quali riuscii a farmi valere per i primi minuti dell’attacco.
Poi intervenne Miraonda che con un secco urlo rese i corpi dei nostri
nemici di sabbia, ed il tutto ebbe fine.
“Dopo quella notte smise di parlare con me. Si adoperava per
esaudire le preghiere dei suoi fedeli, poi la notte ritornava nelle
Schiere Celesti alle quali gli esseri della sua natura sono destinati.
Fino a che un giorno non mi comunicò che a quei luoghi
voleva far ritorno per sempre.
“Secondo il suo divino parere il nostro amore non era fatto
per durare, almeno non quietamente. Quello verificatosi pochi giorni
prima era il primo di una lunga serie di attacchi che avremmo dovuto
affrontare. Inoltre a complicare il tutto c’era la mia
essenza di mortale, che mi avrebbe condotto nel regno delle ombre,
luogo che lei non poteva raggiungere dato che il suo dominio era sul
mare ed era relegata quindi al mondo delle acque.
“La scongiurai in ogni maniera. Le dissi che per lei avrei
raggiunto il luogo al di là del Firmamento dove si diceva
che il tempo trovava riposo, e che l’avrei portata con me,
affinché potessimo vivere il nostro amore per
l’eternità. Ma ciò che ottenni fu un
rifiuto, amaro quanto quelli che il suo passato sacerdote aveva
ottenuto.
“Solo che al cosa più ironica e dolorosa era che
lui non aveva mai avuto la fortunata occasione di sentire il candore e
l’ebbrezza che Miraonda era in grado di dare. A me invece
tale meraviglia veniva tolta, e non avrei più potuto viver
senza di lei ed il suo amore.
“Disperato, passai dei mesi per costruire una barca nuova. E
con le poche monete che mi rimanevano, dato che molte erano state
distrutte o perdute quando la stella aveva colpito la mia imbarcazione,
comprai dei barili colmi di esplosivo. Quindi a lavoro compiuto, con la
mia nuova nave raggiunsi un punto del mare che fosse abbastanza lontano
dalla riva affinché nessun potesse soccorrermi, e
lì mi feci saltare in aria.
“L’ultima cosa che sentii del mondo, insieme al
ruggito delle fiamme ed allo scrosciare dell’acqua, fu il
pianto di Miraonda. Il cui gemito attraversa il mondo da una
settimana”.
A quel puto il naufrago smise di parlare. Intanto il mio corpo aveva
perso sensibilità.
Una lacrima mi scendeva lenta da una guancia, ma non avvertii la sua
presenza. Non percepivo minimamente la pressione che esercitava la
parte inferiore del mio corpo che poggiava sulla sedia. Era come
galleggiare nel nulla delle proprie convinzioni.
“È dunque questa la tua storia
straniero?” chiesi, con voce rotta ma comunque composta.
“Certo. Tutto qui. Né più né
meno”.
“Ma… è una storia
tristissima”.
“Sì, hai ragione. Non auguro a nessuno una sorte
come la mia, ma evidentemente qualcuno non deve aver riservato nei miei
confronti la medesima cortesia. La cosa più buffa
però è che sento le forze mancarmi solo ora che
ho terminato di raccontarti tutto quanto” disse, con un
sorriso appena accennato coma una sottile ombreggiatura aggiunta con
del carboncino “Chissà, forse era proprio de-stino
che tu venissi a conoscenza di tutto questo”.
Pochi minuti dopo uscii dalla stanza alla ricerca del dottore, per
potergli comunicare la morte del naufrago.
Il funerale dello sventurato avvenne quella stessa notte. Purtroppo,
non essendo un abitante dell’isola, dovettero seppellirlo
lontano dal cimitero come voleva la tradizione, in modo che le sue
origini pagane non infettassero i corpi degli altri defunti che ora
trovavano ristoro. La cerimonia fu comunque molto solenne, in onore di
quella povera anima abbandonata dalla buona sorte.
Per rispetto della suo spirito, che nella morte aveva finalmente
trovato la pace, decisi di non raccontare nulla delle sue vicissitudini
e tribolazioni d’amore agli altri abitanti
dell’isola. Quindi il mio rapporto al medico consistette
nell’ammissione di aver vegliato invano al capezzale di un
uomo moribondo, sia nel fisico che nell’animo.
Non ebbi nemmeno il coraggio di partecipare alla veglia in suo onore
tanta era la tristezza nel pensare al racconto della sua vita.
C’era una sola cosa da fare, e quindi la feci.
Mi diressi verso la spiaggia, e non appena sentii la fredda acqua del
mare bagnarmi i piedi la chiamai...
“Miraonda! Miraonda!”.
Ella rispose al mio richiamo emergendo dalla spuma, proprio come
Zaffiro mi aveva detto. Prima una grande onda da cui tutto ebbe inizio
che divenne il naso, circondato in seguito da ammassi d’acqua
consolidatisi in pezzi di guance, occhi, labbra, fino a formare un viso
completo.
E che viso! Le parole di Zaffiro, erano state tanto appropriate da
renderle giustizia. Era come la totale immensità del mare
riassunta in tutta la sua magnificenza in un singolo elemento.
“Allora è vero che ultimamente osi mostrarti
spesso agli umani” le dissi.
Silenzio. La cosa mi snervava parecchio.
“Ed hai anche perso la forza per farti rispettare da loro.
Oppure si tratta solamente del fatto che ti ritieni tanto miserabile da
non pretendere e volere manco il rispetto dei tuoi
sottoposti?”.
“È stato lui a dirti di riferirmi tali
parole?” chiese con una voce profonda e senza emozioni,
fredda come le acque di cui era regina durante l’inverno.
“No!” risposi “Ho sentito la sua storia e
l’ho visto morire. Quello che mi stai sentendo pronunciare
è stato partorito unicamente dalla mia testa, per esprimere
lo sdegno che provo per te! Come hai potuto illudere in quella maniera
un uomo tanto devoto a te senza fare nulla per fermare la sua disperata
scelleratezza mentre la compiva nel tuo elemento?”.
Stavolta mi guardò negli occhi, determinata e quasi furente.
In essi leggevo pura determinazione nel far valere le sue azioni
passate.
“Crudele?” fece, con tono più risoluto e
vivo, più appartenente ad una donna che ad una dea
“Chi è più crudele... io che ho tentato
di porre miseramente rimedio a quella situazione od il destino tanto
beffardo da crearci così diversi? Se anche son una dea il
mio cuore è pur sempre quello di una donna. Potrò
ridurre in cenere le persone, distruggere le città, o far
cadere nel sonno eterno tutte le creature del mare con un solo
sbadiglio... ma chi mai potrà alleviare le mie fatiche, o
farmi provare le gioie del mio sesso e della maternità? I
miei seni divini non sentiranno la mortale sensazione di labbra
infantili che da essi traggono nutrimento.
“Ho solo trovato, nel mio affannoso cercare, la compagnia di
un uomo che mi amava non per la mia natura divina, ma per il fatto che
io ero disposta ad accettare la sua.
“Ma il suo cuore avrebbe retto per sempre alle
avversità che ci volevano separare? Anche quando non sarebbe
stato più lesto e giovane, ma bensì lento e
vecchio? Ed a quel punto, come si sarebbe sentito nel sapere che avrei
continuato il mio regno nel mare dell’ovest, giovane e forte
come sempre, ma senza di lui? Anche nel mondo dell’ombra
sarebbe riuscito a sopportare questa sorte per
l’eternità, sapendo che io non avrei mai potuto
raggiungerlo in quel luogo di mortali?
“Mi sono comportata in quella maniera per spingerlo ad
allontanarsi, e lui ha deciso di farlo nella maniera più
estrema. L’ho trascinato con le mie correnti su
quest’isola affinché si salvasse, ma la sua
volontà ha avuto la meglio alla fine.
“L’unica cosa che ho potuto fare è stato
lanciarmi in un pianto disperato, riconoscibile in quel suono che i
vostri scienziati senza sentimenti hanno ridotto ad un mero suono
provocato dal vento. E piangere a quanto pare è
l’unica maniera in cui le donne, siano esse dee o mortali,
hanno occasione di sfogare la loro rabbia.
“Ora decidi te, ragazza, chi fra me e Zaffiro ha sofferto
maggiormente. Il mio amato, che nonostante i suoi travagli ha trovato
finalmente la pace nei campi elisi... od io, che controvoglia ho dovuto
cacciarlo per il suo bene, e che pagherò per
l’eternità il fardello causato
dall’incomprensione del mio gesto...
“Decidi te ragazzina, e quando saprai cosa abbiamo provato
entrambi, vieni a darmi il responso delle tue riflessioni”.
Detto ciò scomparve. Si voltò, dandomi le spalle,
tramutando il suo fisico di carne in acqua, accompagnando tale azione
con quel sibilo tanto melodioso quanto malinconico e penetrante. Ci
volle molto tempo prima che quel suono scemasse del tutto.
Ed io non ero riuscita a replicare in alcun modo.
Passarono gli anni.
La tristezza per la morte del naufrago scomparve in gran fretta,
soppiantata dal ricordo dell’ultimo bacio rubato o di un
lavoro che non poteva essere rimandato altrimenti.
Perfino le tecnologie evolvevano nelle loro migliorie, ma il mistero
dello strano sibili che si propagava in tutti i mari non trovava
soluzioni, e gli scienziati si affidavano a teorie sempre
più assurde ed improbabili che però sembravano
soddisfare tutti.
Gli uomini intanto avevano dimenticato cosa significava essere tali. E
nei loro occhi non brillava più la voglia di avventure di
Zaffiro. La mera esistenza fine a sé stessa divenne la loro
unica ambizione, consolidandosi come tale mano a mano che il tempo
passava. Erano nati col solo scopo di vivere fino a che non fossero
morti. Insieme a loro si disfaceva anche la loro era.
Il tempo passò anche per me. Crebbi e divenni donna. Ancora
oggi gli uomini decantano le forme del mio corpo, allegandoci molte
proposte. Ed alla fine, come tutte le mie simili, feci la scelta su
colui che era meno peggio degli altri... ma nonostante ciò
non posso fare a meno di chiedermi se sono paragonabile a Miraonda.
Ora, che sono una donna sposata con dei figli. Che passo le mie
giornate a badare alla mia casa in attesa che mio marito ritorni per
portare ciò che è necessario per vivere.
Alla fine pure io sono decaduta insieme ai miei simili.
Anch’io come loro aspetto solo di morire, ed intanto inganno
il tempo, illudendomi di aver adempito ai miei doveri.
Ed ogni notte, speranzosa di aver vissuto abbastanza e di essere
sufficientemente esperta sull’argomento, scendo in spiaggia
per provare a rispondere al quesito che Miraonda mi propose la prima e
l’ultima volta che la vidi. Ma ogni notte torno indietro,
poiché le parole mi si bloccano in gola. Ed ogni volta che
ritorno sui miei passi, sento quel sibilo straziante, e non posso fare
a meno di pensare alla sua storia... quella di un cacciatore di stelle
e della dea del mare dell’ovest. E del loro amore.
L’unica nota positiva che riesco a trovare in tutto questo,
è il fatto che son l’unica a sapere
dell’origine di quel suono. E conscia di ciò, non
posso far altro che camminare e continuare a vivere.
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