Quinto
CANZONE I
Lassare il velo o per
sole o per ombra,
donna, non vi vid’io
poi che in me
conosceste il gran desio
ch’ogni altra voglia
d’entr’al cor mi sgombra.
Mentr’io portava i
be’ pensier’ celati,
ch’ànno la mente
desïando morta,
vidivi di pietate
ornare il volto;
ma poi ch’Amor di me
vi fece accorta,
fuor i biondi capelli
allor velati,
et l’amoroso sguardo
in sé raccolto.
Quel ch’i’ piú
desïava in voi m’è tolto:
sí mi governa il velo
che per mia morte, et
al caldo et al gielo,
de’ be’ vostr’occhi
il dolce lume adombra.
Francesco Petrarca
Quinto
Nel buio appena sporcato dagli aloni grevi dei lampioni
a olio che scorrevano, via via distanziati e persi nella nebbia
crescente della notte, i passi avanzavano un poco cauti, in ascolto dei
suoni tutt’intorno, foglie morte di pioggia pesante, gatti randagi in
zuffe d’amore, colpi di porte sbattute, ossequi irriverenti da bocche
bagasce.
Avanzavano adagio, i passi, come in cerca d’un appiglio per fermarsi e
tornare indietro, nella speranza d’un qualsivoglia ostacolo che avesse
impedito d’imboccare il sentiero immaginato, inducendo a ricomporre la
via di casa, e i pensieri erranti a rinchiudersi di nuovo entro i
solidi mattoni della spoglia camera, a nascondere al mondo l’orrendo
destino, la stigma fissa, astuto tarlo a distorcere l’equilibrio e a
minare l’intelletto.
Nel buio, ascoltava quasi il cuore uscire dal petto, che pure esso
batteva piano, dopo furiosa battaglia, come acquietato dalla decisione,
come se, una volta raggiunto l’accordo con se stesso, l’uomo avesse
ammesso d’essere turpe e diabolico e, come a non poterci far nulla,
accettava di cedere l’anima alla proprio distruttiva natura, abdicava
alla ragione, immolava se stesso al destino che gli era toccato in
sorte, sgravando da sé il peso, attribuendo al vincolo d’un amore
impossibile, l’idea che liberarsi da esso sarebbe stata la soluzione
migliore, non l’unica, ma di certo la migliore.
Nel buio, gli scorreva sotto le dita quella stretta acuta,
quell’abbraccio insulso ove era esploso unicamente il possesso,
legaccio di lana infeltrita, di nessun altro effetto se non stringere
la sua gola e i suoi polsi e rivelarle l’idiota e ridicolo Amore, che
non era Amore, gridato alla vita dell’altra, appena sfiorata, quasi
distrutta, lei viva ma di fatto morta.
Dio perdonami…
Lo schiocco d’un ceppo corroso dal fuoco, l’aria pregna di fumo misto a
sentore di pane e carne arrostita…
S’era a Fabourg Saint Antoine.
Povero quartiere di spietata vivezza.
La gente lagnosa scansata da quelli che pestavano il suolo zozzo solo
per scovare coloro che arrotavano coltelli e pugnali.
Per una vendetta o una Rivoluzione.
La gente sontuosa accolta bene, ma solo nelle male ore della notte, per
scomparire entro voltoni che sapevano di piscio e rantoli tisici.
Ci aveva messo un po’ per trovare l’appiglio, la mente sospinta e
sbattuta tra l’insulsa follia, rifiutata di giorno, e l’insana e
inevitabile ammissione, accolta di notte, per colpa delle insane e
inevitabili ore del giorno.
Idea assurda e infernale che aveva preso a fargli visita, via via
sempre più spesso, come una puttana che dapprima si rifiuta sdegnati,
perché ci si crede capaci di farne a meno - d’esser devoti all’amore
più alto - ma poi, quando se ne assaggia il bieco stordimento, d’un
amplesso che squarcia il cervello, senza toccare né anima, né coscienza
– che dunque ne escono lucide e indenni - allora s’ammette che forse
potrebbe aver senso morirci davvero tra le cosce di quella puttana,
infernale calibro capace di scacciare la malinconica resa alla vita mai
vissuta.
Dunque non stava più a Versailles da qualche tempo, dopo che lei se
n’era andata, per finire a comandare una risma di avanzi di galera, a
Parigi, in Rue de la Chaussèe d’Antin, dove alloggiava la Compagnia B
dei Soldati della Guardia Metropolitana, e dove alla fine s’era
ritrovato anche lui, vuoi perché il padre di lei gliel’aveva chiesto,
d’esser sua ombra e dunque continuare a vegliare su di lei – perché…Dio…perché
non avrebbe dovuto farlo? Quale ragione l’avrebbe mai indotto a
separarsi da lei, se non la ragione stessa per cui lui, ora, era lì,
nella pozza più nera della sciagurata Parigi, in cerca dell’appiglio
appunto che avesse avuto pregio di unire per sempre le loro esistenze,
che mai sarebbero vissute unite? – e vuoi perché appunto non
c’era stato verso di dimenticarla, d’immaginarsi in balia di se stesso
e di lei, ma senza più averla accanto.
Lei era pungolo feroce.
Chiodo che arrugginiva nella testa e induceva pazzia.
Marciva tutto di sé.
Così alla fine s’era arruolato, anche lui, nella stessa compagnia di
avanzi di galera.
Uno più, uno meno…
Non era servito a nulla, nulla sarebbe stato più come prima.
Né lei, né lui stesso.
Vuoi perché indietro non si torna, vuoi perché s’era scontrato con la
visione che lei non era suo proprio e solo pungolo feroce, esclusivo e
beffardo.
Lo era anche d’altri.
Di un altro, in effetti.
S’affacciava dunque un nuovo sfacelo, che finché lei fosse rimasta
libera, finché fosse stata comandata d’essere un soldato, lui l’avrebbe
pensata tale, non sua, che lei non lo sarebbe mai stata, ma nemmeno di
altri.
Che poi, quando mai lei sarebbe stata
di qualcuno?
Era stato proprio in una di quelle ronde, di sera, poco tempo prima,
che s’era imbattuto in quella strana vicenda, il capannello di gente
disperso a forza e quel bellimbusto discretamente ben vestito, pizzo
sobrio e impolverato, come avesse lottato contro un innominato Cerbero,
ritrovato seduto a terra, appoggiato alla parete scrostata d’una
vecchia casa ammuffita, il corpo come morto, che però quello era morto
davvero.
Una vendetta, una via di fuga, l’unico modo per porre fine alla propria
sofferenza?!
Essere ammazzati o ammazzarsi.
Il disgraziato era stato fatto sparire in silenzio, forse l’abito
deponeva per un nobile caduto in disgrazia, qualcuno che nessuno
avrebbe pianto, qualcuno ch’era stato bene dimenticare in fretta.
Lui no, lui non voleva essere dimenticato.
Ma soprattutto…
Non riusciva a dimenticare.
Sulle prime s’era detto che non aveva senso, che non ne sarebbe valsa
la pena.
Sulle prime era inorridito, non appena il pertugio sconnesso s’era
aperto, lo squarcio nella testa dilatato come voragine, come se un
demonio qualunque avesse forzato la porta e fosse riuscito a entrare,
facendosi strada entro la coscienza pulita.
Sulle prime era ammutolito.
Poi quel pensiero, quel demonio aveva inspiegabilmente lusingato e
dettato una sorta di pace, una resa al destino.
Quel tarlo dunque gli era finito nella testa e l’appiglio s’era fatto
strada, pungolo feroce e fisso, come lo era lei, quasi lei stessa fosse
stata veleno e antidoto alla stessa sofferenza.
In caserma aveva detto che quella sera sarebbe rientrato a casa.
A sua nonna aveva detto che sarebbe rimasto in caserma.
Escamotage inutile, oramai lui era libero, e nella libertà risiede la
sottile schiavitù dell’essere tutto e dell’essere niente.
Insisteva addosso la smania di non sapere che fare e al tempo stesso
l’acuta risolutezza della scelta.
Lo sguardo scorse al portone.
Non v’erano numeri o insegne che lo marcassero, ma il segno convenuto,
ch’era quello il luogo cercato, era proprio un mazzetto d’erbe di campo
rinsecchite, appeso fuori, corroso dal tempo e dalle intemperie.
Così gli era stato detto, che da quando quel tarlo gli era finito nella
testa, da quando aveva veduto quel giovane che ormai aveva varcato i
cancelli del regno dell’Ade, ci aveva provato e riprovato a cavarlo –
quel tarlo - col vino, con le ronde che sfinivano, con quel che da
sempre gli era valso a colmare l’attesa, quel tempo che scorreva da
quando l’aveva veduta l’ultima volta fino a quando - chissà quando –
l’avrebbe rivista.
Accadeva sempre più di rado, sempre più di sfuggita e le poche parole
tra loro scorrevano come ordini generici, senza inflessione o alcuna
nota nella voce che gli rammentassero l’antico distaccato affetto.
Adesso non sarebbe più accaduto, adesso sarebbe stato anche peggio.
La perdeva dunque, per sempre.
Non sarebbe stata più sua, anche se non lo era mai stata.
Bussò una volta…
Dall’alto dell’edificio si schiuse una persiana.
Bussò una seconda volta, il freddo pungeva il respiro, lo sguardo
dell’altra continuava a scorrere diabolico di fronte a sé, e poi bello
e incantevole, a tratti feroce, dell’inaudita ferocia dettata dalla
paura e dal disprezzo, ficcato lì a battere nella mente sempre più
distratta dal buio che incombeva, agonizzate, che presto quello sguardo
non l’avrebbe veduto mai più.
Si chiudeva la luce e lei se ne sarebbe andata, che lei era luce.
Dunque doveva marchiare quel viso nella testa, e proprio per quello
l’anima si dannava, che lui l’avrebbe voluta dimenticare.
Si diede del pazzo.
Se tutto fosse rimasto com’era, se lei fosse rimasta sua, anche
distante, anche lontana…
No, nanny, quand’era venuta a trovarlo in caserma, gli aveva spiegato
che s’era fatta avanti una persona.
Gliel’aveva detto, casomai fosse tornato a casa e si fosse ritrovato
davanti qualcun altro, perché il Maggiore Victor Girodel – quello era
l’altro - aveva iniziato a frequentare la casa, l’uomo aveva
ufficialmente chiesto la mano di Oscar François de Jarjayes, al
Generale Jarjayes.
Idiota…
Non l’avevi previsto quel passo, da parte del damerino bellimbusto!
Idiota…
O forse sì, forse l’avevi veduto ogni tanto, il dannato bellimbusto,
quando eri a Versailles, assieme a lei, scorgerlo da lontano a
osservarla, ma avevi pensato che fosse come per te.
Tu la osservavi e potevi fare solo quello, e così avevi pensato che
anche l’altro facesse altrettanto.
Idiota…
Eri geloso, ma lei era libera, e la sua libertà era la miglior difesa
contro chiunque avesse tentato d’avvicinarla.
Idiota…
Lui è nobile, tu no.
Lui la sua libertà poteva prendersela in ogni istante, mentre tu no, tu
non potevi.
Dunque la sua libertà era tale solo per te, perché davvero solo per te
per te la sua libertà sarebbe stata unico sacro vincolo, suggello
capace di tenervi legati per sempre.
Il portone scricchiolò polveroso, un gemito di ruggine antica disturbò
la caduta entro la violenta percussione del destino.
Il portone fece per aprirsi, d’un tratto un’ombra avanzò radendo il
muro.
Non v’era luce sufficiente, era da un pezzo che lui aveva preso a
faticare a distinguere le facce…
Due gli si presentarono innanzi.
La prima faceva capolino dal portone, guardinga e rugosa.
L’altra l’aveva raggiunto, più in fretta, come per anticipare il senso
stesso della visita, giungendo ad appoggiargli la mano sul braccio.
La prima si stringeva uno scialle addosso, lo scrutava muta, in attesa,
che l’uomo era giunto lì per lei, la seconda aveva lasciato scivolare
la stoffa un poco giù, scoprendo le spalle nude, che la camiciola era
abbassata, sin a metà del busto.
La figuretta infreddolita fu lesta a parlare, per prima.
L’uomo non era giunto lì per lei, dunque doveva afferrare l’occasione,
carpire l’attenzione..
Una domanda…
“Amore…” – chiese infantile – “O Morte?”
La figura che s’era affacciata dal portone rimase muta, né stizza o
risentimento, per via che la fugace e debole comparsa aveva rubato la
scena.
Poco male, già sapeva - ch’era già accaduto - che prima o poi, colui
s’era avventurato sin lì, avrebbe fatto la sua scelta.
Forse l’aveva già fatta, ma si doleva del fatto di non aver sufficiente
forza per scansare da sé l’idea dell’Amore, che sarebbe bastato dar
retta alla Morte e la gloriosa conclusione sarebbe giunta da sé.
La tranciante domanda s’incise nella testa, entro il vago olezzo di
commistione tra le due realtà.
André Grandier si ritrovò sospeso nell’indecisione, seppur ammettendo
che in fondo, anche se nette e agli antipodi, le due realtà erano
mescolate da sempre, perché non tanto diverse tra loro.
Forse erano come l’olio che cade nell’acqua bollente. Ne resta diviso,
all’inizio, poi via via le gocce prendono ad aggregarsi, si cercano, si
rincorrono, per divenire un’unica massa e poi scomparire, inghiottite e
trascinate via dall’acqueo vapore.
Prima o poi lui e l’altra avrebbero fatto lo stesso, ingoiandosi
reciprocamente e scomparendo assieme.
André Grandier si mosse, avvinto dal fascino della Morte che
l’avvolgeva, ove voleva perdersi per tentare di distogliersi dal folle
proposito.
La giovane puttana esultò stancamente, se l’uomo era giunto sin lì,
sino alla porta di quella vecchia rugosa che s’era affacciata e che
aveva fama d’essere una sorta di strega che curava i mali e annientava
gli avversari in amore, doveva ben godere di denaro sufficiente, da
spendere per una notte d’amore piuttosto che per un veleno capace
d’annientarlo.
Che però il veleno o tarlo o pungolo era lì, insinuato nella testa.
Era Amore ed era Morte al tempo stesso.
Ubriaco d’un sorso di malevolo vino, l’uomo ammise che sì, erano lo
stesso, Amore e Morte, fatti della stessa tiepida carezza sublimemente
racchiusa nelle tenere mani della giovane donna, sconosciuta eppure
esperta, che lo sottraeva, chissà per quanto, all’intento blasfemo.
Sarebbe stato semplice recidere il folle disegno, alzarsi e andarsene,
che però il cuore sarebbe finito sconfitto dall’inedia, dall’inerzia
dei sensi che oramai non temevano più alcun disprezzo.
E quando un uomo non prova più neppure disprezzo di sé, allora forse è
il tempo ove giunge il sordo richiamo d’una Storia che finisce per
sempre.
André Grandier pensò al volto dell’altra, solo per un esiguo istante,
permettendosi d’averla con sé nel becero affondo della carne, come se
lei gli fosse davanti, come se lei l’osservasse, e lui si prendesse
l’amara rivincita di sbatterle in faccia chi era lui, davvero, e quel
che lei perdeva, e poi la propria dannata libertà, e lui stesso, che
lei aveva rifiutato.
Disgraziato ego…
Gettato così, tra le braccia d’una sconosciuta puttana.
Nell’esiguo istante osò disprezzarla, lei che non era lì, per giungere
in fondo a disprezzare se stesso, che perdeva la sua battaglia, tra le
braccia d’una donna qualunque, senza nome, il volto presto dimenticato
nella nebbia che l’avrebbe avvolto appena uscito da lì, perduto nello
squarcio azzurro degli occhi di colei che non era lì e che mai sarebbe
riuscito a dimenticare, e che sarebbero tornati prepotenti a scrutarlo,
così come quel nauseante senso di colpa, a stringere e soffocare ogni
respiro, annientare ogni residua stima di sé.
Nell’esiguo istante si ritrovò a disprezzare la vita, la propria, solo
la propria, che la propria senza di lei sarebbe stata niente.
Così mentre perdeva il lume della ragione, mentre si perdeva,
desiderando perdersi, piano dapprima, e poi entro passi rozzi, blasfemi
e idioti, della pochezza idiota della resa, che Amore era sconfitto e
distrutto, lui – André Grandier – ammise che della propria vita non
sapeva e non avrebbe saputo che farsene.
Lo sguardo chiuso, il brivido lungo la schiena.
Era freddo di fuori, era inverno, seppure non era ancora nevicato.
André Grandier rammentò le altre volte in cui era accaduto ancora,
qualche anno prima, quando s’era attardato a Parigi, dalle parti di
Palace Royale, sotto il porticato dove erano soliti rifugiarsi quelli
ch’erano in cerca di calore, e allora le si trovava lì, giovani puttane
che offrivano quello, così che il pensiero era tolto, la merce
contrattata in fretta, ci si poteva ripensare e andarsene oppure no,
magari attardarsi, tanto sarebbe bastato pagare quel ch’era dovuto.
Una via semplice, utile in fondo a colmare la solitudine, acquietare la
smania, col vago senso di disprezzo che aleggiava nell’aria, quando si
rivestiva, l’odore dell’orgasmo addosso, il senso d’abbandono, il vuoto
nero avanti a sé per averla uccisa.
Che ogni volta che abbandonava il suo volto, in fondo, era come
ucciderla.
Quinto…
Lei non lo amava…
Dunque…
Si rivestì lentamente.
La giovane con cui s’era scaldato era lì, lo sguardo aperto, un poco
persa e sprezzante dell’altro che le aveva riservato poche carezze e
l’aveva presa in fretta, che ci aveva pensato allora che quello fosse
giunto sin lì davvero per ottenere altro, altro che fosse Amore
appunto, che invero solo la Morte avrebbe avuto pregio d’acquietare la
sofferenza.
Nessuna parola.
Le monete caddero sul lenzuolo ruvido.
Molte più del prezzo d’una banale scopata.
La giovane non fece rimostranze. Sarebbe stato scortese rifiutare il
compenso, che forse ricompensava per altro da quel ch’era occorso.
André Grandier si alzò.
L’altra si mise seduta – “Monsieur…se v’aggrada…io sarò qui…”.
“Sì…” – respirò piano l’altro, la mente un poco assonnata del sonno
bieco della resa – “Lo so”.
Col denaro si compra quasi tutto…
Il tempo di riguadagnare il sentiero che riconduceva alla prima
destinazione.
André Grandier bussò di nuovo al portone, era notte fonda.
Il corpo un poco intirizzito, le membra sgualcite dalla stupida foga,
il disprezzo di sé che sorgeva finalmente e di nuovo a colmare il
vuoto, quel nulla capace di disgregare l’esistenza.
Come l’avesse atteso, la vecchia megera spuntò dalla fessura della
porta dischiusa.
La Morte non era bastata dunque.
Amore aveva vinto la sua battaglia.
***
L’alone delle candele a mala pena rischiarava l’esiguo
lembo di coscienza, tutta quanta nera e marcia di rancido rancore.
Si scompigliò i capelli, così che la turpe cicatrice che minava
l’occhio sinistro scomparisse, almeno per il tempo necessario a
scorgere l’effige allo specchio, pulita e libera dal peso greve del
buio, la poca luce ricamata sugl’intarsi d’oro, di seta e d’argento che
spiccavano sulla giacca di buona fattura, broccato nobile, seppur
recuperato da antichi scampoli d’una vita altrui.
Da sotto giungeva la eco dei richiami di sua nonna che dettava ordini e
richieste.
C’erano da sbrigare diverse faccende, che si doveva ripulire e
preparare la sala degli ospiti in onore del nuovo pretendente.
Nessuna delle altre figlie del generale aveva ricevuto tali onori,
mescolati a tali grezze e stucchevoli maniere, che Victor Girodel aveva
preferito prima chiedere la mano della figlia al padre e solo dopo, la
figlia era stata messa al corrente, ma quella non aveva accettato, non
subito insomma, e allora s’era deciso di accogliere il pretendente e
trattarlo con il rispetto dettato dal suo egregio rango.
Dunque lei, Oscar François de Jarjayes, forse non riusciva a decidersi,
ed era stato lì, in quella che però non era dato sapere s’era una mera
strategia di corteggiamento o una vera e netta avversione all’idea di
ritrovarsi sposata e dunque sottomessa al volere d’un marito - e che
non era dato sapere se sarebbe stato migliore o peggiore di quello d’un
padre - lì, dunque, nella muta indecisione dell’altra, che s’era
annidato il tarlo della scelta, che sfuggente e diabolico sarebbe
servito a porre fine alla sofferenza.
Di chi?
Sulle prime s’era illuso, s’era detto, che sarebbe stato necessario
farlo per lei.
Doppiamente idiota…
Lei sarebbe stata capace di orientare le proprie scelte, lo aveva
sempre fatto.
E semmai fosse stata costretta ad accettare la proposta di matrimonio
del Maggiore Girodel…
No…
Dio, perdonami!
André osservò i due bicchieri sul tavolo, già colmi di vino.
Quella mattina era rientrato tardi, anche se non era ancora l’alba.
S’era spogliato e così, con l’odore addosso d’una notte di solitario
disprezzo di sé, di mistico abbandono, di nuovo s’era ritrovato i
pensieri aggrovigliati e neri, tranciati dal solo filo di lana del
barlume d’una candela.
Dio perdonami…abbi pietà di me…io che
sto per fare una scelta che non mi permetterà di legarmi al mio amore,
né sulla terra, né tanto meno in cielo.*
L’amo e l’amerò fino alla fine. E
allora…Dio perdonami…abbi pietà di me, che mi preparo a commettere
questo crimine atroce.
Quinto…
Questo è un Amore che non può
realizzarsi nemmeno dopo la Morte ma…
Lo sguardo si sollevò al vuoto nero, di fronte a sé.
Perché allora sono vissuto fino ad
ora? Per quale motivo ho continuato a vivere?
Dio…mi hai lasciato questo unico
occhio per farmi assistere a questa beffa straziante?
Per vederla andar via tra le braccia
di un altro uomo?
La domanda posta a lei, a se stesso.
Amore via via agonizzava entro l’abbraccio del risentimento cullato
dalla Morte.
Ho vissuto con te da quando eravamo
bambini, senza che ci separassimo nemmeno per un attimo!
Amore e Morte erano lo stesso.
Vuoi morire con me e per me? Mi
perdonerai?
Le domande poste a Dio, a lei, e persino quelle a se stesso, non ebbero
risposta.
Chiedo perdono a te e a Dio…
Non ti farò soffrire. Ti terrò sempre
stretta, fino all’attimo in cui si spegne la Vita. La mia e la tua.
Ti convincerò che possiamo morire di
un Amore infinito…
Perdonami…
Oscar perdonami…Dio perdonami…Padre
Nostro mandami all’Inferno e accogli in Paradiso la persona che io amo.
In Vita non potremo mai restare
assieme e così nella Morte. Solo nell’istante in cui morirai e io
morirò potremo essere vicini.
Amore e Morte erano lo stesso.
***
Bussò piano, come avesse timore d’entrare, come avesse
timore d’avvicinarsi troppo alla fine, fiamma capace di bruciare la sua
anima, ma anche quella dell’altra.
L’abito sontuoso, diverso dalla solita giacca, l’infastidiva ora.
Perché mai l’aveva indossato?
Per fingersi un altro, per somigliare a un nobile cicisbeo che giungeva
all’assassinio pur di non perdere ciò che riteneva suo?
O forse per onorarla quella Morte, come uomo diverso da colui che era
stato?
La osservò, Oscar leggeva, l’aveva udito entrare ma non aveva sollevato
gli occhi dal testo.
La voce sorse piano, mentre le dita andavano a carezzare la carta, come
leggesse a se stessa e a lui, proprio il repentino passaggio.
“Mi sono illusa a lungo. Quell’illusione mi fu salutare; dilegua nel
momento in cui non ne ho più bisogno. Mi avete creduta guarita, anch’io
ho creduto di esserlo.
Ringraziamo colui che fece durare quest’errore fin che è stato utile.
Sì, ho avuto un bel voler soffocare il primo sentimento che mi ha fatto
vivere: è concentrato nel mio cuore. Ecco che si risveglia nel momento
in cui non è più pericoloso; mi sostiene ora che le forze mi
abbandonano; mi rianima mentre muoio.
Amico mio, lo confesso senza vergogna; questo sentimento rimasto in me
mio malgrado non ha toccato la mia innocenza; tutto ciò che dipende
dalla mia volontà fu consacrato al mio dovere.
Se il cuore, che non ne dipende, fu consacrato a voi, quello fu il mio
tormento, non la mia colpa.
Ho fatto ciò che dovevo; la mia virtù rimane intatta, l’amore m’è
rimasto senza rimorso.
Addio, addio dolce mio amico…
Ahimè! Termino la vita come l’ho cominciata. Forse dico troppo, in
questo momento in cui il cuore non dissimula più nulla…
Ah, perché dovrei temere di esprimere ciò che provo? Non sono più io
che ti parlo; sono già tra le braccia della morte.
Quando vedrai questa lettera, i vermi roderanno il volto della tua
amante, e il suo cuore dove tu non sarai più. Ma la mia anima
esisterebbe forse senza di te? Senza di te che felicità potrei gustare?
No, non ti lascio, vado ad aspettarti.
La virtù che ci ha separati sulla terra ci unirà nell’eterno soggiorno.
Muoio in questa dolce speranza. Troppo contenta di acquistare a prezzo
della mia vita il diritto di sempre amarti senza colpa, e dirtelo una
volta ancora”.
La voce si spense.
Addio mio dolce amico…
André andò ad appoggiare il vassoio sul tavolo, lo stesso ove ora
riposava il libro chiuso che l’altra aveva abbandonato, gli occhi
parimenti chiusi, forse a trattenere la eco delle parole appena
pronunciate, forse a contenere lacrime nuove, per via d’una storia già
conosciuta, che però d’improvviso, o forse per via di chissà quale
accidente, non era più estranea, forse perché lei stessa non era più
estranea alla storia e all’Amore, come lo era stata un tempo, quando
l’Amore non era, perché non era vissuto.
André scorse con fatica al titolo del racconto.
La Nouvelle Eloisa…
La conosceva, quella storia, anche lui aveva provato a scorrere al
testo, con sempre più fatica, anche a lui erano sorte lacrime di
rabbia, per via che il destino non ha pietà e ancor peggio, perché in
fondo è l’essere umano a non avere pietà di se stesso, incapace di
ribellarsi al primo, contraddicendo la regola, fuggendo dalla storia
imposta da altri.
Inutile incolpare il destino…
Sorprendeva intuirla così arresa, non nascondere le lacrime, neppure
innanzi a lui.
“Non riesco a…smettere…” – la voce interrotta dalle lacrime ingoiate in
fretta – “L’altra volta non mi aveva lasciato questa impressione.
Allora perché…da quando ho ripreso a leggere queste lettere, non riesco
a smettere di piangere…sento una stretta al petto…”.
Perché?
Che cosa temi di più Oscar? Cos’è che
stringe il tuo petto? L’Amore o la Morte?
Perché non ti ribelli?
Accetterai di sposare un uomo dopo
che per tutta la via sei stata un soldato?
Accetterai di sposare un uomo senza
nemmeno sapere se davvero lo ami?
Saprai amarlo ugualmente?
“Ti ho portato del vino…”.
“Grazie”.
E io?
Accetterò di vederti andare via dopo
che per tutta la vita ti sono rimasto accanto?
Oscar non ti fa paura questo?
Non temi nulla per noi due?
Chi siamo noi due?
Nel fremito del silenzio crescente, André faticò a scacciare il pungolo
della notte appena trascorsa, il freddo della nebbia, il calore della
giovane donna, il bacio asciutto, le dita strette ai capelli.
Tutto inutile.
Era inutile prendersela col destino, con gli dei e con lei…
Il volto bello era sorto come lama di luce che perfora il buio e la
Morte…
“Posso bere con te?” – s’annientava…
Oscar si voltò finalmente - “Che cosa ti è preso?” – sorrise debole,
asciugandosi le lacrime, la mano passata sulla faccia, gli occhi
riaperti a scrutare l’altro che distoglieva lo sguardo – “Come mai
proprio oggi?”.
Gli era dinnanzi, non aveva timore di mostrarsi commossa.
Intuiva dunque il misterioso legame con le lettere di Julie.
Nessuna risposta, nessun ripensamento.
André non concesse spiegazioni alla propria richiesta, in fondo quello
era un giorno come un altro, uguale a tutti gli altri eppure…
Quella sera lei non sarebbe stata
più.
Anche se…
Ora era viva…
“Oscar, hai già recitato le preghiere della sera?”.
Un’altra domanda un poco sorprendente…
“Si” – ammise lei, il cuore batteva lento, come acquietata sulla debole
risorsa d’una preghiera.
“Meglio così” – netto…
Dio perdonami…
Nessuna preghiera potrà mai redimere il mio gesto, ma lei almeno sarà
salva, la sua bocca ha pronunciato il Tuo nome, così lei è perdonata
dell’unica colpa d’essere amata da codesto demone stolto.
Una colpa che giunge da me e di cui lei è innocente…
André afferrò il calice, lo porse all’altra che lo guardò e poi lo
sguardo lucido d’inconsapevole compassione, non ne comprendeva il
motivo, lambì il liquido vermiglio, quasi nero, come sangue addensato,
del colore di quello del giovane uomo ritrovato morto, qualche giorno
prima, in una notte d’inverno, fredda e senza speranza.
Anche lei lo aveva osservato, mentre i soldati lo issavano s’un
carretto, un lenzuolo a coprire il corpo, portato via in fretta, che le
ragioni della Morte non avessero imposto d’indugiare troppo
sull’inutile essenza della vita.
Attinse forza dal profumo esotico, quasi caldo del vino, il timbro
della terra e il sentore del vento disciolti ad abbracciarla.
Come fosse grata del pensiero, sorrise debole, lo sguardo tornò verso
André.
D’un tratto, come fosse incisa nella testa, seppure era passato del
tempo, scorse nella mente, fugace e diabolica, la stretta dell’altro,
acuta, i polsi chiusi, ove era esploso il possesso, unica traccia
tangibile ed evidente del sentimento, come legaccio di lana infeltrita,
che per qualche istante aveva impietrito la voce, chiuso la bocca e
strappato il silenzio, come la veste strappata, come a zittire,
pietrificare ogni reazione, ogni ribellione, in forza d’un male
peggiore, assoluto e senza scampo.
Che quella stretta spense il sorriso.
Il calice si sollevò, lo sguardo si fece cupo, di nuovo.
André perse il respiro, pensò che lei avesse compreso, che avesse
intuito che il vino era veleno, era Morte, la sua Morte, sarebbe
bastato avvicinare le labbra, baciandola piano, quella Morte,
inghiottendola in un lieve e repentino sorso.
Avrebbe voluto esser lui allora a baciarle, le sue labbra, come lui
stesso fosse veleno, e così lei avrebbe bevuto la Morte dalle sue
stesse labbra, così come lo era stata lei – veleno - per sé, in tutti
gli anni ch’erano trascorsi.
Vino antico mescolato al veleno di primavera.
La mia Oscar…
Non dici niente?
E tu…
Tu cosa le dirai nell’istante in cui
lei comprenderà che sei tu a ucciderla?
Nell’istante in cui l’unico volto che
vedrà dinnanzi a sé, sarà il tuo, quello del suo assassino?
E neppure saprà che anche tu berrai
lo stesso vino, e morirai accanto a lei?
Dio…
Non ci avevi pensato!
Che farai, idiota?
Glielo dirai?
Glielo dirai che la uccidi perché la
ami?
Non è forse Amore questo?
E che anche tu morirai con lei, dopo
di lei, subito dopo?
Che sarai così vile da assistere alla
sua morte?
E ancor più vile che, dicendoglielo,
lei morirà sapendo che anche tu morirai per sua causa?
La ucciderai due volte…
O forse…
Forse ne sarà sollevata?
Però adesso lei l’osservava, era come se lei gli avesse letto nella
testa, e i pensieri oscuri e le domande senza risposta si fossero
rovesciate a terra, come vino avvelenato.
“Si dice che quando il momento della morte si avvicina…” – esordì lei…
Mia Oscar…
No, non parlare della Morte…
André si sentì punto sul vivo, scoperto, scorticato dalle innocenti
parole…
Ti amo…
Non è forse Amore questo?
Disperato e assoluto?
“La memoria ritorna all’infanzia. Allora ripenso a quando eravamo
bambini”.
Dio…
No! Perdonami…
Lei ha davvero udito il suono della
Morte?
Se così non fosse, perché tornare a
quando eravamo bambini, proprio adesso…
Ha davvero compreso che tu e lei
state per morire?
“A quando, pur essendo giovane, cercavo con tutta me stessa di essere
adulta e convincermi che lo ero”.
Le parole incidevano la coscienza e la mente.
André si ritrovò senz’aria, inghiottito dalla insondabile profondità
del peso lieve del tempo passato.
Riemergeva il frammento sepolto, bolla d’aria, promessa del passato, e
come in un processo inverso, tornavano a dividersi l’acqua e la stilla
d’olio, per separarsi e così – separati – distanziarsi e perdersi.
Erano di nuovo divisi e allora, solo divisi, sarebbero esistiti.
“Ricordo quando, non ancora terminata l’Accademia Militare, il re mi
aveva permesso di entrare a far parte della Guardia Reale. Ero felice
d’essere stata scelta per proteggere la Delfina, a costo della mia
stessa vita, colei che un giorno sarebbe divenuta la Regina di Francia,
così come aveva detto mio padre. La Delfina, una giovane
d’incomparabile bellezza…”.
Dio, perdonami…
Oscar fermati! Dove vorresti
arrivare? Che cosa vorresti dirmi?
Per salvare la Delfina, ch’era caduta
da cavallo…
Per salvare il suo servo responsabile
dell’incidente…
“Certo, se ho solo questi ricordi, significa che non mi resta molto da
vivere!” – rise Oscar, perduta nei frammenti che vorticavano come
petali di rosa sospinti dal vento.
Un giorno sacrificherò la mia vita
per te…
Esattamente come oggi tu non hai
esitato a rischiare la tua vita per me.
Per sempre te ne sarò riconoscente e
ti dedicherò tutta la mia esistenza.
Il bicchiere alle labbra…
Lo scatto…
Lo schiaffo alla Morte…
“Non bere!” – scagliato addosso, come avesse voluto prendere a pugni un
avversario immaginato, demone avvelenato, che poi era lui stesso, ora
divenuto nemico di sé – “Non devi berlo!”.
Il bicchiere strappato e scagliato via…
Quando vedrai questa lettera, i vermi
roderanno il volto della tua amante, e il suo cuore dove tu non sarai
più.
Ma la mia anima esisterebbe forse
senza di te? Senza di te che felicità potrei gustare?
No, non ti lascio, vado ad
aspettarti.
Lo schianto piccolo, il cristallo in frantumi e lì, poco distante lo
schianto dei corpi, grande, caduti nella contrapposta foga, come lui
avesse voluto proteggerla dall’avversario immaginato, ch’era lui
stesso, demone avvelenato d’improvviso rinsavito, che non si era
dimenticato della sua promessa, ma davvero aveva pensato ch’essa non
valesse tutta la sofferenza di vederla andare via – lei - con un altro
uomo.
Lui le aveva dedicato la vita e adesso non avrebbe potuto far più
neppure quello.
Come avrebbe mantenuto la sua
promessa?
Era questo che aveva avvelenato il sangue.
No, Oscar, non aspettarmi…
Non v’era nulla da mettere s’una diabolica bilancia.
Non v’era peso, la promessa era lieve come piuma, come la sua anima,
non era nulla, non pesava niente, al confronto del peso di ucciderla lì
e per sua stessa mano.
Ma una promessa, una volta spesa, finisce per appartenere a colui o a
colei a cui è rivolta, dunque la promessa apparteneva a lei, solo lei
avrebbe potuto reciderla.
Quinto…
Lo sguardo sgranato a tentare di comprendere, lei rimase lì, muta,
sospesa, André lì, sopra di lei, vicinissimo ma distante, come fosse
tornato dall’Ade, come l’avesse trascinata con sé, fuori dagli Inferi,
oltre un limitare boscoso e nero di pioggia fitta e buia, ove lei
nemmeno comprendeva d’esser finita.
“Grazie al cielo” – piangeva André, non era mai accaduto di fronte a
lei, nemmeno lei l’aveva mai fatto di fronte all’altro.
Forse anche lui allora, aveva ripensato a loro, quand’erano bambini e
senza neppure saperlo, s’erano giurati di amarsi e proteggere la vita -
la propria e quella dell’altro - anche se quella vita non fosse stata
più dedicata a loro stessi?
Quanto sono stato arrogante! Quanto
sono stato egoista! Che razza di uomo sono? Che diritto ho di prendere
la tua vita?
Domande mute, esibite a Dio, a lei, a se stesso.
Si scansò André, il corpo sovrastava l’altra, l’aveva lì, la stretta
infame galleggiava e straziava l’intento ancora più atroce - “Scusami.
Non avvicinarti, ti potresti ferire”.
Si mise a raccogliere i cocci…
Prendere la sua vita…
Dio perdona quest’uomo immondo...
Scansa dalla sua bocca questo veleno…
Allontanami da lei…
Il vetro scorse beffardo, tagliò la pelle e la carne…
Allontanami da lei…
“André, la tua mano!” – che Oscar fece per avvicinarsi, d’istinto,
forse per distogliere la mano dai cocci, forse per raccogliere il
tremore d’una ferita inutile.
“Non avvicinarti!” – rovesciato addosso, l’avversario era ancora lì,
subdolo e diabolico.
André aveva paura che lei s’intromettesse nella battaglia ch’era solo
sua, contro se stesso, e che lei finisse davvero per scontrarsi con
l’uomo che era, e che lei aveva già conosciuto, in una diabolica
accezione.
Rimase ferma Oscar, il cervello soggiogato dai gesti assurdi
dell’altro, alla ricerca d’una spiegazione.
Oscar, sei viva…sei viva…
Solo adesso mi rendo conto di come
tu, così, sia ancora più bella…
Le parlò senza guardarla, perché ora la vedeva, lei, viva - “Ti porto
subito dell’altro vino”.
Sento il battito del tuo cuore, dove
scorre il tuo sangue vermiglio…
Le tue dita color di rosa…
I capelli biondi…sole dell’Olimpo che
sorge brillante…
Oscar s’avvicinò sul serio questa volta, il tono fermo, la mente
d’incendio e terrore, l’affondo inevitabile - “Non importa, berrò
dall’altro bicchiere”.
André si voltò fulmineo, la mano corse al bicchiere integro, come per
colpirlo, come per schiantarlo contro la parete, che però la mano
cedette alla logica e all’incolpevole intelligenza dell’altra.
Tutta quella rabbia sarebbe stata compresa esattamente per ciò che era.
Solo rabbia…
Così la mano ferita trattenne la foga e s’aprì andando ad afferrare
delicatamente il bicchiere, per sottrarlo all’intento dell’altra.
Le parole di giustificazione incespicarono nelle lacrime…
“Dio, perdonami” – disse piano questa volta, un sussurro, inconsapevole
che lei fosse ancora lì e l’avrebbe udito.
Ti proteggerò sì! Ti proteggerò
finché mi resterà anche un solo respiro di vita…
Oscar s’avvicinò lenta e severa, appoggiando la mano alla mano
dell’altro, sfilando di colpo il bicchiere.
André non fece in tempo a chiudere le dita, che il vetro sgusciò freddo…
“No!”
Un istante, si voltò intuendo l’affondo della mano…
Anche l’altro vetro schizzò fulmineo contro il muro…
Esplose, frantumandosi in mille schegge.
Oscar guardò André scorgendo il demone che invocava Dio…
La mascella serrata, il respiro troncato, gli occhi tornarono alla
pozza profumata di Morte.
“Credo che nanny abbia necessità del tuo aiuto. Ci sono ospiti per la
cena. E’ bene che tu vada” – riprese calma, che però la voce era un
poco tremante – “Io…mia madre è nella sua stanza. Vado da lei”.
Un passo, le spalle voltate, poi no, si volse di nuovo ad ascoltare il
silenzio e a osservarlo.
“Se ti avessi permesso di bere senza di me” - disse piano Oscar, il
volto vicino al volto – “Anch’io avrei dovuto chiedere perdono a Dio”.
Quinto…
Non uccidere.
* Dialoghi tratti dal manga
Versailles no Bara
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