Morning Star
Salve a tutti! Sono Miss Trent, già autrice su questo sito, e questo è il mio primo
esperimento di traduzione. Curiosavo nel fandom inglese di Tekken e
mi sono imbattuta in questa one-shot che mi è piaciuta fin da subito, come molte
altre di questa autrice. Così ho deciso di provare a tradurla, anche per i fan italiani di
Tekken^^ spero di aver fatto del mio meglio...ad
ogni modo, l'originale si trova su
questa pagina, e qui c'è la
pagina personale dell'autrice.
Come da regolamento, riporto il testo che autorizza
la traduzione: «First
off, I'm so happy that someone would ever take the time to read any of my fics
so thanks very much for the compliments :). And yes, of course you may
translate my fics. I hope it won't be too difficult. Good luck and thanks again.
Sincerely,
SeungSeiRan»
Detto questo, non
mi resta che augurarvi buona lettura! :)
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È così brutta
che fa buio
quando guarda verso il cielo
Allora la luce si spaventa
Splende sul suo viso dal basso
Così deve nascondersi durante il giorno
Infatti non vuole spaventare la luce
Vive nell’ombra fino a che la luce sparisce
Vede una stella brillare nel crepuscolo e supplica
Dipingi la bellezza sulle mie guance.
- Morgenstern, Rammstein
Secondo lui, una
donna non era mai più attraente o ripugnante di quanto non lo fosse al suo punto
più debole.
Come quella lì,
la rabbia consumata dalla bruciante apatia dell’alcol che le scendeva giù per la
gola, la sua sofferenza celata dagli strati di trucco pensati per svelare e
nascondere cosa c’è dietro l’espressione imbellettata. Il rossetto rosso era
sbavato dalle labbra e le lacrime avevano fatto colare il mascara lasciando
linee di macchie nere a imbrattare le guance pallide e scavate. Una vista
penosa, in verità.
Questo è il
vizio di odiare se stessi.
Richiamò
un’altra volta alla mente i dettagli della scheda dell’ obiettivo. Anna
Williams, 165 cm, 49 kg, gruppo sanguigno A, esperta di Koppo-jutsu e Aikido.
Occupazione corrente come assassina, figlia del noto cecchino, Richard Williams,
e della campionessa di Aikido Rachel Williams. Una sorella, Nina Williams. Luogo
di nascita, Irlanda. Numero di vittime, quindici secondo stima. Ben lontano dai
numeri che il padre e la sorella avevano accumulato tra loro.
Inutili piccoli
dettagli.
Per lo più, lei
rimaneva silenziosa e assopita nel suo torpore ubriaco. A intervalli, si
svegliava e faceva un cenno allo scontroso barman, bisbigliando cose che
apparivano sensate e concise solo alla sua immaginazione. Una creatura patetica,
quell’incarico da completare.
Il Russo si alzò
e marciò dove stava appoggiata la signora in rosso, ignara di ciò che la
circondava. Ogni singolo passo accuratamente ed esattamente calibrato. Passi
piccoli e staccati, pensati per movimenti rapidi ed efficienti. Colse un
riflesso dei propri tratti duri e bianchi come il gesso nel suo bicchiere di
vino, in parte colorato dal rosso liquido.
La testa di lei era abbandonata sopra le braccia incrociate sul freddo bancone
di marmo. Basti dire che era solo vagamente consapevole del pezzo di carta a
pochi centimetri dalle sue dita guantate.
L'orario di
chiusura arrivò e lei fu accompagnata alla sua camera d’albergo da un grosso e
muscoloso buttafuori che l’aveva toccata palpandole il seno prima di
spingerla sgarbatamente nella sua stanza, lanciandole le chiavi e chiudendo la
porta prima che lei lo lasciasse. Il biglietto rimase accartocciato nel suo
pugno, senza che lei lo avesse notato.
Era
imperdonabilmente troppo tardi quando finalmente si era svegliata, nel
pomeriggio. Imprecando per i dolori degli insopportabili postumi di quella
sbornia, spiegò il pezzo di carta e tentò di decifrarne il contenuto, scritto a
chiare lettere maiuscole.
Lo lesse. E lo
lesse di nuovo. Altre due volte fino a che non si convinse della sua
autenticità. Per suo sgomento, era stata osservata. Qualcuno l’aveva spiata
quella sera, mentre si ubriacava. E invece di deriderla, questo qualcuno
aveva detto la verità.
Aveva lasciato
che la sua rabbia repressa e le sue insicurezze prendessero la meglio su di lei
perché si sentiva fragile. Inutile. Incompresa.
Queste tre
parole risuonarono nella sua testa.
Fragile.
Inutile. Incompresa.
Erano le parole
che riassumevano tutto ciò che la gente sapeva di lei. O pensava di sapere di
lei. Desideravano quel corpo sensuale ed esperto affinato da anni di allenamento
e innumerevoli ‘avventure’ di una notte. Disprezzavano l’audacia che si
manifestava nei suoi abiti e negli atteggiamenti, maschera che dissimulava le
molte ferite e sofferenze che era stata costretta a sopportare fin dal giorno in
cui aveva respirato per la prima volta.
A differenza
della sorella due anni prima di lei, Anna era nata pallida e debole, prematura
di due mesi. Suo padre era assolutamente seccato dal fatto che fosse meno forte
e resistente di Nina e aveva subito riposto il suo favore su quest’ultima.
Mentre entrambi si allenavano all’aperto, al sole e all’aria fresca, lei poteva
soltanto rimanere dentro e guardare con invidia, sentendo la mancanza dell’amore
e della compagnia della sola persona da cui le desiderava.
Certo, era
diventata forte con gli anni. Molto forte. Un’ammazzauomini in molti sensi. Ma
non era stato abbastanza per fargliela vedere.
Per loro,
sarebbe stata sempre l’insignificante, inutile Anna.
Per il mondo, era oggetto di desiderio e invidia. Entrambe al peggior livello…
Ma lì, su quel
piccolo pezzo di carta, qualcuno l’aveva capito. Qualcuno l’aveva capita.
Questo la
spaventava.
Lui continuò con
i biglietti. Ci volle del tempo ma alla fine lei iniziò ad abbassare la guardia.
Francamente, questo lo disgustava. Non c’è posto in questo mondo per i deboli.
Come si dice, solo i forti sopravvivono. Uccidere o essere ucciso.
Il bisogno
disperato di questa donna di essere amata lo divertiva. Lei non lo conosceva
neanche. Dopotutto era solo uno sconosciuto che la osservava bene e le mandava
messaggi gentili. Lusinghe elaborate e descrizioni troppo zelanti non erano nel
suo stile ma poteva solo dedurre che lei ne apprezzasse la sincerità. Cos’era
per lei se non un mistero sulla carta? Non doveva mai esporsi ed essere visto o
sentito. Preferiva così. Senza emozioni, senza legami.
Da dove veniva
lui, tutto era gelido. Il clima, il cibo, l’acqua in cui fare il bagno, persino
la gente. Morire era fin troppo facile e suicidarsi era considerato un gesto da
codardi. Per sopravvivere, dovevi essere morto. Un oggetto senza un’anima, che
non poteva sentire nessuna delle emozioni che ostacolavano la razionalità umana.
Come un computer capace di funzionare logicamente senza la paura di danneggiare
l’altro. Per vivere, dovevi morire.
Era morto fin da
quando aveva memoria. Gli andava bene così. Lasciati fuori tutti i ricordi…
Guardò in
completa indifferenza mentre lei cadeva in trappola. Un altro biglietto insieme
ad una sola rosa rossa. L’ espressione di lei da un lato parlava di sospetto e
prudenza. Dall’altro si riempiva di lacrime di commossa gratitudine.
Si, sarebbe
crollata in men che non si dica.
Cosa sentiva in
quel momento era disprezzo, si disse lui. Non pietà, disprezzo.
Aveva scoperto
del suo debole per il vino rosso in un giorno particolare. I raggi morenti del
sole che tramontava era ancora troppo intensa per i suoi gusti e ciò lo
innervosiva. Ad ogni modo, tutte le missioni, per quanto sgradevoli potessero
essere, dovevano essere compiute e completate. Un fallimento dovuto ad una
qualsiasi debolezza da parte sua non era un’opzione. Infastidito, fissava
attraverso il binocolo quella figura vestita di rosso. Una maledetta perdita di
tempo ma…
Lei stava meglio
rispetto a poche sere prima. I capelli perfettamente acconciati, non una macchia
sul qipao cremisi. Generalmente, tale perfezione l’avrebbe irritato ma il
ricordo di lei, vulnerabile ed amareggiata, l’aveva mantenuto calmo per quel
momento. Per un attimo, si era azzardato a chiedersi se lei avesse creduto in
ciò che le aveva scritto.
La stella del
mattino. Più rara e più bella della sua controparte notturna.
Finge ancora di
essere una rosa sapendo di essere un cardo. Brutto e spinoso.
La vile puttana.
Che fugge dalla verità. Il dolore deve essere nato con i denti digrignati e una
volontà di ferro. Ovviamente, lei mancava pesantemente di quest’ultima
caratteristica. Lo divertiva il fatto di come una scusa così patetica per una
femmina potesse passare per un simbolo di desiderio e intrigo. Ma ancora una
volta, non aveva mai avuto molta propensione nei confronti del ‘gentil sesso.’.
Le donne servivano come mezzo di procreazione delle generazioni future e per
nutrire la discendenza. Questo era tutto.
Senza dubbio lei
si prendeva i suoi tempi nel bere. Cominciava a diventare abbastanza noiosa.
Sprecando tempo (anche il suo), mescendo il vino nel bicchiere e contemplandolo
prima di provare a berne un sorso. L’alcol era un vizio per imbecilli. Per
niente al mondo poteva concepire qualcuno che fosse così desideroso di
rinunciare al controllo del proprio corpo in cambio di una notte di confuso
stordimento.
Queste erano le
stranezze della natura umana.
Certo, non era
un’esperta ma una calligrafia chiara e dritta non ammetteva forse di riflettere
una personalità simile? Sia quella che la scienza della grafologia erano
sopravvalutate. Come sua sorella, sopravvalutata.
La bella,
popolare, perfetta Nina Williams. Più affilata di una lama, più fredda del
ghiaccio. Anna non riusciva a capire cosa ci fosse di tanto affascinante in lei.
Era il timore che sua sorella infondeva nel cuore degli uomini che la rendeva
tanto più desiderabile? acqua, acqua…
L’invidia la
stava uccidendo. In ultimo, le stava bucando il fegato con il consumo quasi
quotidiano di vino. Dolce e pungente le piaceva. Sere dopo sere di un
interminabile annegamento nei suoi dispiaceri seguite dagli inevitabili risvegli
pieni di rimorsi. Forse era perché in realtà lei godeva del dolore. Come si
chiamava quello? Masochismo?
Per l’ennesima
volta, si era rimproverata per quella dannata emotività.
Un’assassina
nasce ed è allevata per uccidere a sangue freddo. Mai entrare in familiarità con
il cliente o con la vittima, mai versare una lacrima. Ed eccola lì, andare in
estasi per un maledetto ‘messaggio d’amore’.
Le sue unghie si
conficcarono nel palmo quando serrò il bigliettino nel pugno.
Stava
funzionando.
Pezzo per pezzo,
a poco a poco, si stava sgretolando.
Una graziosa,
delicata farfalla con un’ala spezzata che volava dritta nella tela del ragno.
Era un haiku
nella sua mente quello?
Era bellissimo
in verità. Troppo bello per crederci.
Bugie, bugie,
BUGIE!
Oh cazzo, quella
era paranoia. Come poteva regalare il suo cuore ad uno sconosciuto?
Bugie... dolci,
dolci bugie.
Un po’ di
osservazione funziona a meraviglia. Identifica l’obiettivo, scopri le sue
debolezze, sfruttale come vuoi…
Semplice, in
realtà.
Il conto alla
rovescia era iniziato.
La notte era si
era lentamente tramutata in mattino. Le stelle splendevano intensamente
attraverso il vetro smerigliato. Incapace di resistere, aveva spalancato la
finestra.
Gioia era
sgorgata dal profondo dell’anima quando avvertì la luce che illuminava quella
bellezza che il mondo non poteva vedere. Per qualche istante rise forte, quel
suono che si librava nell’aria come le note di un carillon.
Era troppo tardi
quando si accorse del luccichio di un fucile di precisione in lontananza.
La sua
leggiadria è luce.
Lui premette il
grilletto.
La sua bellezza
è il suo essere grottesca. Si sovrapponevano…
Rosso…
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