Dio quanto odiava Mycroft Holmes.
Lo
considerava un arrogante, un saccente, un bastardo.
Eppure lo
amava. Più lo odiava più lo amava, era un rapporto direttamente proporzionale.
Doveva
essere un vero masochista per nutrire sentimenti d'amore verso un Holmes.
Soprattutto per Mycroft.
L'uomo di
ghiaccio. Il senza cuore. O meglio cuore di pietra come amava dire lui.
"Dovrei
avere un cuore da qualche parte, anche se la sua unica utilità è pompare
sangue" gli aveva detto una volta.
Si
conoscevano da più di dieci anni ormai, nel mentre lui si era sposato e aveva
anche divorziato e a Mycroft era bastato semplicemente guardarlo per capire e
sapere tutto senza bisogno che parlasse. E a differenza di Sherlock non sputava
fuori commenti fuoriluogo o crudeli, stava semplicemente in silenzio.
Una vera
liberazione non dover spiegare un accidente.
Mycroft era
il classico gentleman inglese ben vestito, portamento elegante e dritto, modi
per certi versi affettati e spesso il tipico ghigno sarcastico di chi sa tutto
e ritiene gli altri degli idioti.
Beh dovette
ammettere che poteva permetterselo, era il più intelligente di tutti, anche di
Sherlock.
Ma a
differenza del minore era meno preparato a gestire le emozioni.
Certo, pure
Sherlock non era l'esperto in quel campo, anzi, ma era il primo ad ammettere
quando aveva una debolezza e a riconoscerlo e chiedere assistenza, di solito di
John.
Invece
Mycroft faceva il duro per poi crollare miseramente in pezzi quando era solo.
Ricordava
ancora bene la sua faccia mentre guardava dal vetro del corridoio il volto
pallido di Sherlock coricato in un letto d'ospedale dopo essere quasi morto per
overdose. Impassibile all'apparenza ma gli occhi pieni di demoni e paure, la
mano stretta talmente forte all'ombrello da avere le nocche bianche.
Era stato
dopo la faccenda di Eurus che aveva avuto la conferma che quella che Mycroft
mostrava agli altri era una facciata.
Aveva
trovato il maggiore degli Holmes chiuso nella cella della sorella in preda
all'agitazione, gli occhi leggermente fuori dalle orbite, le mani che si
torturavano e la fronte imperlata di sudore.
E la prima
cosa che gli aveva chiesto non era stata "tirami fuori da qui" ma
"mio fratello?" a riprova che un cuore ce lo aveva eccome.
"Sta
bene, mi ha chiamato lui chiedendomi di trovarti. Tua sorella è di nuovo sotto
custodia".
A quelle
parole lo aveva visto come sgonfiarsi, il sollievo sulla faccia.
Teneva alla
sua famiglia in modo quasi viscerale e invece faceva sempre lo stronzo.
Lo aveva
portato alla sua villa e come gli aveva chiesto Sherlock lo aveva tenuto
d'occhio.
Quella notte
era stata crisi totale.
Mycroft non
era andato a letto, era rimasto seduto sulla poltrona di pelle con gli occhi
lucidi senza riuscire a versare una lacrima. Accanto aveva un bicchiere di
brandy che gli aveva versato lui stesso sedendosi sulla poltrona davanti ed
osservandolo tutto il tempo.
C'erano
volute tre ore e ventitrè minuti prima che una lacrima sfuggisse da quegli
occhi e rigasse la guancia su cui stava iniziando a vedersi la ricrescita della
barba.
A quel punto
Mycroft aveva sospirato prima di bersi un sorso di brandy, chiudere gli occhi e
poi portarsi davanti alla bocca le mani congiunte.
Lui era
semplicemente rimasto immobile ed in silenzio avendo come l'impressione di
trovarsi davanti ad un avvenimento più unico che raro.
"Puoi
andare a casa" aveva mormorato poi Mycroft con voce un poco roca.
"Non ti
lascio in queste condizioni" aveva detto convinto.
Mycroft
aveva riaperto gli occhi fissandolo. "Che condizioni?"
Aveva
sbuffato. "Non sarò intelligente come te ma ti conosco abbastanza da
capire che non stai affatto bene. Sei decisamente sotto shock per tutto quello
che ti è capitato, è normale".
"Non
per me".
Dio, quanto
era idiota Mycroft Holmes. Doveva aver capito il suo pensiero vista la sua
espressione infastidita.
Beh cavoli
suoi, era l'ultimo dei suoi problemi.
"È
normale" aveva ripetuto serio. "Per quanto tu cerchi di fare il robot
sei umano come tutti noi".
Mycroft era
rimasto immobile senza cambiare espressione.
"Hai
visto morire delle persone, hai rischiato di morire... non è stata una
passeggiata di salute e lo sai".
"Certo
che lo so" aveva replicato con ovvietà.
"Ecco,
visto che lo sai piantala di cercare di fare l'uomo di ghiaccio, quello che
niente può scalfirlo. Anche perchè stai fallendo" gli aveva sbattuto in
faccia vuotando il suo bicchiere di brandy.
Mycroft non
aveva versato altre lacrime, erano semplicemente rimasti per le due ore
seguenti a fissarsi alla ricerca di chissà cosa.
Poi ne aveva
semplicemente avuto abbastanza e lo aveva spedito a letto a calci dopo aver
versato del sonnifero nel secondo bicchiere di brandy.
Era stato
dalla finta morte di Sherlock che erano passati dal lei al tu e lui si era
sentito quasi autorizzato a trattarlo come una persona qualunque, senza più la
soggezione di prima.
Non che gli
fosse stato difficile, aveva avuto a che fare con Sherlock, era addestrato al
carattere difficile degli Holmes.
Era forse
uno dei pochi che non aveva proprio problemi a sbattere in faccia a Mycroft
quanto fosse stronzo o stupido.
Perché sul
campo relazioni sociali e sentimenti Holmes era proprio ottuso. Persino peggio
di Sherlock che era un sociopatico iperattivo.
Mycroft lo
chiamava quando aveva qualcosa da fargli fare, di solito inerente a Sherlock e
a controllare che non si ficcasse nei guai, anche se da quando John era tornato
a lavorare a tempo pieno col consulente investigativo al 221B era tutto
decisamente sotto controllo.
Aveva
sentito un paio di volte Sherlock dire a Mycroft a bassa voce "è
ridicolo" oppure "sul serio fratello?" senza capire a cosa si
stesse riferendo.
Forse al
fatto che non aveva bisogno che gli facesse da babysitter. Beh la pensava come
lui.
Gli era
perfettamente chiaro che il suo fosse un sentimento a senso unico, non si era
mai raccontato favolette o ipotizzato che forse, magari... no, ne era stato
consapevole fin da subito, da quando aveva realizzato cosa per lui fosse
Mycroft.
In pratica
era stato fregato ma non aveva potuto farci proprio niente.
Era successa
una cosa strana quando il padre di Mycroft era stato ricoverato per un infarto.
Mycroft in
ospedale aveva mostrato la sua maschera di freddezza mentre Sherlock non aveva
fatto altro che battere il piede a terra per il nervosismo, lo sguardo perso
nel vuoto, forse nel suo palazzo mentale.
Era arrivato
e gli era bastato guardare Mycroft in faccia per un paio di secondi. No, non
stava bene per niente. Era terrorizzato, glielo leggeva negli occhi azzurri.
Gli era
bastato un cenno col capo e Mycroft lo aveva seguito svoltando a destra in modo
che nessuno li vedesse.
"Fallo"
gli aveva detto.
"Cosa?"
Aveva
guardato fisso in quegli occhi azzurri. "Quello che vuoi. Ma non ti
permetterò di cadere a pezzi".
"Io
non..."
"Mycroft"
lo aveva bloccato serio.
Incredibile,
era riuscito a zittire Holmes. Era quasi sicuro di essere uno dei pochi ad
esserci riuscito, forse si contavano sulle dita di una mano.
Mycroft lo
aveva guardato per diversi secondi immobile, fino a quando non aveva fatto un
passo verso di lui. Era stato allora che Holmes gli aveva messo le mani sulle
spalle senza interrompere il contatto visivo.
Non erano
mai stati così vicini, a dirla tutta non si erano mai nemmeno toccati.
Aveva
trattenuto il fiato quando una mano di Mycroft era risalita lentamente
arrivando a posarsi sulla sua guancia.
La sentiva
tremare leggermente contro la sua pelle ed era calda.
Il suo cuore
stava battendo ad un ritmo spropositato ma non si era mosso.
Almeno fino
a quando non aveva visto il labbro inferiore di Mycroft tremare leggermente
prima che uscisse un tremolante "Gregory".
Si era
lanciato verso di lui e lo aveva abbracciato stretto. Con sua enorme sorpresa
Mycroft si era abbandonato totalmente contro di lui, affondando il viso
nell'incavo del suo collo ma non aveva pianto. Si era semplicemente fatto
sorreggere, esattamente come suo fratello faceva da anni con John.
Non lo aveva
lasciato andare fino a quando non era stato lo stesso Mycroft a tirarsi su
dalla sua spalla e a guardarlo in faccia con un'espressione che non gli aveva
mai visto. Imbarazzo forse?
Erano
davvero vicini, lo aveva realizzato quando John era venuto a chiamare Mycroft
dicendo che Holmes senior stava bene e lo stavano portando in camera.
Una volta
usciti dall'ospedale per lasciare tra loro gli Holmes John gli aveva fatto una
semplice domanda non essendo sicuro di aver dedotto in maniera corretta.
"Tu e
Mycroft...?"
Aveva scosso
il capo. "No, aveva solo bisogno del supporto di un amico".
John aveva
annuito anche se non molto convinto. "Certo. Certo".
Ed ora stava
andando a velocità folle verso l'ufficio di Mycroft, era più vicino rispetto a
Sherlock.
Sherlock che
aveva scoperto di un doppiogiochista tra i collaboratori di Mycroft e che molto
probabilmente voleva farlo fuori per non essere scoperto.
Plin.
Guardò la
foto di Edward Hill che il minore degli Holmes gli aveva inviato e fermò la
macchina davanti allo stabile fregandosene della sosta vietata.
Entrò dentro
di corsa, la mano sulla pistola e gli occhi che scrutavano ovunque vigili e
attenti.
Doveva
trovare Mycroft e portarlo al sicuro.
Si diresse
verso il suo ufficio ma lo intercettò vicino agli ascensori, era appena uscito.
La sua
attenzione fu catturata da un rumore famigliare, quello di una pistola a cui
veniva tolta la sicura.
Non ragionò
molto a quel punto, prese a correre più veloce verso Mycroft che stava parlando
con una donna e si girò ad un certo punto verso di lui, lo sguardo sorpreso e
confuso che si assottigliò. Probabilmente aveva dedotto qualcosa dalla sua
faccia, ma non ebbe il tempo di pensarci.
Spinse a
terra Mycroft nell'esatto istante in cui si sentì il rumore di uno sparo.
Chiuse gli
occhi con una smorfia di dolore.
Che venisse
colpito lo aveva messo in conto e non era neanche la prima volta, solo che a
differenza delle altre volte non aveva perso subito conoscenza.
Si tirò su
leggermente con una smorfia notando Mycroft a terra dietro di lui che lo
guardava con la bocca leggermente aperta prima di puntare lo sguardo su
qualcosa dietro di lui.
Capì tutto
dai suoi occhi. Si girò e sparò subito.
Edward Hill
cadde a terra con la pistola ancora in mano e un foro sulla fronte.
Solo a quel
punto registrò che c'era qualcuno che stava urlando e che non riusciva a
muovere il braccio sinistro, il dolore lancinante che partiva dalla spalla.
"Chiamate
un'ambulanza!"
Era Mycroft
che stava urlando inferocito.
Era coricato
a terra e sentiva freddo.
Nella sua
visuale comparve il volto di Holmes apparentemente calmo come al solito ma con
la tempesta negli occhi.
"Non
azzardarti a morire".
Sollevò un
angolo della bocca. "Cos'è un ordine?"
"Certo".
Non rise
solo perchè faceva un male del diavolo. Registrò anche le mani di Mycroft che
premevano sulla ferita.
"Secondo...
secondo le tue conoscenze... credi che..." riuscì a dire a fatica.
Credi che
morirò?
"Non ci
provare, ispettore" Mycroft era serio.
"Greg,
ti avevo detto di aspettarci!" John Watson era arrivato.
E con lui ci
doveva essere anche Sherlock.
Sherlock che
appariva pallido e quasi furioso. Sapeva che la situazione gli stava ricordando
un'altra morte, quella di Mary Watson.
"Se
avesse aspettato sarei morto" disse Mycroft senza togliere gli occhi da
lui.
Occhi che
gli stavano dicendo "ti prego Gregory, ti prego..."
Quella fu
l'ultima cosa che vide prima di perdere i sensi.
*
Sentiva un
rumore costante e capì con diverso ritardo che era il battito del suo cuore.
Quindi era
vivo.
Sentiva
anche in lontananza la voce di una donna che gli stava parlando.
"Ispettore
le stiamo togliendo il respiratore, non si agiti, così non avrà la gola
irritata".
Era riuscito
a socchiudere leggermente gli occhi vedendo figure sfocate, doveva essere sotto
effetto di morfina. Molta morfina, perchè non sentiva nessun tipo di dolore.
Provò
effettivamente una sensazione di fastidio e quasi vomito quando fu estratto il
tubo che aveva nella trachea e che lo aveva aiutato a respirare.
Sentì per un
momento come se gli mancasse l'aria e gli uscì un suono rauco dalla gola.
Qualcuno gli sollevò leggermente la testa mettendogli delle canule nel naso che
lo aiutarono a respirare meglio.
"Come
si sente? Ha rischiato grosso, l'abbiamo presa per i capelli..."
Da quanto
tempo era in ospedale?
"È
stato in coma farmacologico per un paio di giorni per valutare eventuali danni
cerebrali, non ha respirato per alcuni minuti in ambulanza".
Wow, non
pensava che il colpo fosse stato così grave, non era nemmeno svenuto subito.
"Riesce
a muovere le dita delle mani e le gambe?"
Aprì un po'
di più gli occhi sbattendo le palpebre e mise a fuoco finalmente la stanza e la
dottoressa, una donna di 50 anni, coi capelli corti e neri.
Mosse senza
problemi sia le mani che i piedi e la vide sorridere e segnare qualcosa su una
cartella.
Poi fece la
domanda che gli frullava nel cervello da quando era stato svegliato.
"Mycroft?"
La
dottoressa allargò il sorriso. "Ottimo, non ha problemi a parlare".
Si trattenne
dal rivolgerle un'occhiataccia.
"Il
signor Holmes è qui, la sta osservando dietro il vetro".
Deglutì.
Girò la testa verso sinistra.
Mycroft era
in piedi, perfetto nel suo completo blu scuro, le mani con ogni probabilità
appoggiate al manico dell'ombrello che non poteva vedere. E lo stava fissando
attentamente, troppo preoccupato per gioire del fatto che fosse sveglio.
Sapeva che
stava valutando se avesse subito danni permanenti. Ma a parte l'intontimento
della morfina che era ancora su di lui stava bene.
Ricordava ogni
cosa fino a quando era svenuto sotto gli occhi azzurri di Mycroft che lo
guardavano implorandolo di non morire.
"Lo
faccia entrare" disse serio con voce gracchiante.
"Vuole
dell'acqua?"
Annuì
sentendo la gola secca ed il corpo chiedergli con urgenza di bere.
Vuotò due
bicchieri e poi osservò di nuovo la dottoressa, l'effetto della morfina e
dell'anestesia stava scemando.
"Lo
faccia entrare" ripeté convinto.
"Il
signor Holmes? È sicuro?"
Annuì con
una smorfia di dolore, il movimento gli aveva fatto sentire il foro che aveva
sulla spalla, poco sopra al cuore.
"Va
bene. Ma niente sforzi" ordinò la dottoressa.
Dal
cartellino apprese che si chiamava H. Grant.
"Dove
vuole che vada?" replicò con uno sbuffo.
Non era
sicuro nemmeno che sarebbe stato in grado di stare in piedi, figurarsi andare
da qualche parte.
Non era
pazzo come Sherlock da andare a zonzo pochi giorni dopo essere stato colpito da
un proiettile fuggendo dalla finestra dell'ospedale.
Alzò col
telecomando lo schienale del letto per mettersi seduto e poi chiuse gli occhi
con un respiro profondo sentendo la dottoressa parlare in lontananza.
"Non lo
affatichi, chiaro?"
Sentì la
dottoressa tirare le tende per chiudere la finestra che dava sul corridoio.
Aprì gli
occhi solo quando sentì il rumore della porta chiudersi.
Mycroft lo
stava guardando scrupolosamente e se non fosse stato in un letto d'ospedale e
leggermente sofferente forse sarebbe arrossito.
"Stai
bene?"
Mycroft
puntò gli occhi nei suoi quasi sorpreso che fosse vivo.
"Dovrei
chiedertelo io".
Sbuffò.
"Hai già visto che a parte il dolore alla spalla e che sono intontito un
po' dagli antidolorifici sto bene".
Mycroft non
replicò e lo trovò strano.
"Mi
spieghi cos'è successo dopo?" chiese allora.
Holmes
strinse più forte il manico dell'ombrello. "Sei stato caricato in
ambulanza e John era con te. Sei andato in arresto cardiaco. Per tre
minuti".
"Lo so,
la dottoressa mi ha detto che non ho respirato".
"Sei
stato morto per tre minuti" disse Mycroft con un tono di voce che non gli
aveva mai sentito.
Era quasi...
arrabbiato? Non riusciva a catalogarlo.
"Rischio
del mestiere" replicò spostandosi in una posizione più comoda e facendo
una smorfia per il dolore.
"Non
avresti dovuto farlo".
A quelle
parole alzò un sopracciglio. "Cosa? Salvarti?"
Mycroft rimase
perfettamente immobile.
"Lo
rifarei" disse sicuro.
Notò il
labbro inferiore di Mycroft tremare leggermente.
"Hai
dato alla mia vita un valore che non ha".
"Per me
ce l'ha. E non solo per me. Come credi sarebbe stato Sherlock se tu fossi
morto? E i tuoi genitori? E io?" ribatté quasi arrabbiato.
Possibile
che non capisse di essere importante?
"Tu?"
Mycroft era quasi sorpreso.
"Mi
sarei sentito in colpa di non essere riuscito a salvarti. Non sarei
probabilmente più riuscito a guardare in faccia Sherlock, avrei visto solo il
mio fallimento" confessò. "Oltre al fatto che semplicemente non puoi
abbandonarci tutti".
Non puoi
abbandonare me.
Mycroft
aveva la bocca leggermente aperta, doveva averlo lasciato ammutolito di nuovo.
"Nonostante
tu e Sherlock non siate dei normali fratelli lo sai che lui ti vuole bene.
Sarebbe stato devastato, Mycroft. E lo sai come sarebbe andata a finire".
Gli bastò
un'occhiata per capire che stavano pensando la stessa cosa.
Dolore.
Droga. Overdose. Morte.
"Avrei
perso entrambi" mormorò con un sospiro greve guardandosi le mani
appoggiate alle lenzuola.
"So già
cosa significa perdere Sherlock, l'ho vissuto cinque anni fa" aggiunse.
"Perdere anche te... no grazie".
Notò che
Mycroft si era avvicinato al letto solo perché gli arrivò al naso l'odore della
sua costosa acqua di colonia.
"E se
tu fossi morto? O peggio avessi riportato dei danni celebrali permanenti?"
Sollevò lo
sguardo ed osservò Mycroft.
Stringeva
l'ombrello in modo spasmodico, era chiaramente in preda ad un'emozione che non stava
riuscendo a gestire.
"Siediti"
ordinò battendo una mano sul bordo del letto.
E Mycroft
guardò quel pezzo di materasso per diversi secondi prima di sospirare e sedersi
davvero.
Non credeva
che lo avrebbe fatto, del resto Mycroft non aveva mai seguito gli ordini di
nessuno, era lui che li dava.
"Proteggere
le persone è il mio lavoro" disse serio. "Perdere te... è
semplicemente inaccettabile".
Mycroft
puntò gli occhi nei suoi e gli mancò il respiro per un attimo.
Registrò
vagamente dal rumore della macchina a cui era collegato che il suo cuore aveva
saltato un battito prima di riprendere a battere leggermente più accelerato
rispetto a prima.
Ma Mycroft
lo aveva notato eccome, lo stava scrutando a fondo alla ricerca di chissà che
cosa. Forse una spiegazione scientifica.
Ma come si
potevano spiegare razionalmente i sentimenti?
Se ne fregò
del dolore e sollevò il braccio sano appoggiando la mano sulla guancia
perfettamente rasata di Mycroft che era rimasto immobile. Ma i suoi occhi erano
un vero cielo in tempesta.
Lo vide
sollevare la mano e posarla sulla sua. Pensò che l'avrebbe presa e tolta dalla
sua faccia, invece strinse la sua mano con forza ma allo stesso tempo
delicatezza.
Smise
semplicemente di pensare, aiutato forse anche dagli antidolorifici. Con l'altro
braccio prese il bordo della giacca di Mycroft e se lo tirò contro,
ritrovandosi fronte contro fronte, le punte dei nasi che si scontrarono per poi
affiancarsi.
I due
centimetri che separavano le loro labbra inaspettatamente fu Mycroft a
cancellarli.
Le labbra di
Mycroft erano sottili ma morbide. Ed il suo profumo di sandalo lo stava
ipnotizzando facendolo rilassare contro di lui e registrare che il rumore
impazzito in sottofondo altro non era che il suo cuore.
Aveva sempre
sognato quel momento ma la realtà era senza dubbio meglio.
Mosse le
labbra e Mycroft inclinò leggermente il viso per baciarlo meglio, affondando
con la lingua nella sua bocca facendolo sospirare.
Decisamente
meglio di come si era immaginato.
Mycroft si
staccò guardandolo con attenzione, studiando le sue reazioni, come se il
battito del suo cuore che si sentiva in tutta la stanza non fosse sufficiente.
Aveva ancora
la mano sulla sua guancia, la fece scivolare dietro, tra i capelli di Mycroft e
riattaccò le loro labbra.
Non aveva
idea se quella fosse una pazzia momentanea di entrambi, un episodio isolato che
poi entrambi avrebbero ignorato o il preludio per altro, in ogni caso aveva
intenzione di goderselo fino in fondo, fino a quando non fosse stato Mycroft ad
alzarsi ed andarsene. Anche perché lui era bloccato a letto.
Ma Mycroft
continuò a baciarlo portando una mano a toccargli il collo, il pollice che gli
sfiorava la mandibola.
Furono due
colpi alla porta a farli staccare di colpo risvegliandoli dalla loro bolla e
facendo realizzare loro quello che era successo.
Guardò
Mycroft ancora frastornato mentre lui aveva la bocca leggermente aperta, la
sorpresa totale sulla faccia e la giacca stropicciata nel punto in cui la sua
mano l'aveva stretta tirandolo a lui.
"Cosa..."
farfugliò Mycroft in completa confusione alzandosi in piedi ed allontanandosi
dal letto proprio mentre la porta si apriva facendo entrare prima Sherlock e
poi John.
Il
consulente investigativo lo guardò un secondo prima di puntare lo sguardo sul
fratello che sembrava una statua di sale.
Era sicuro
che Sherlock avesse capito cosa era successo.
John invece
guardò lui con felicità.
"Sono
contento che tu stia bene, Greg. Ho parlato con la dottoressa Grant, cinque
giorni e potrai uscire".
Al momento
non gliene fregava niente delle sue condizioni.
Lanciò
un'occhiata preoccupata a Mycroft. Mycroft che fissava un punto indefinito
davanti a lui, con ogni probabilità era nel suo palazzo mentale a cercare di
decifrare quello che era successo.
Per lui era
molto chiaro. Si erano baciati e lo avevano voluto entrambi. E sarebbero andati
avanti se non fossero arrivati John e Sherlock.
A lui non
era necessario un palazzo mentale per analizzare, amava Mycroft. Ma lui invece
che provava?
Di sicuro
confusione, ecco perché era chiuso nella sua mente.
Sherlock
osservava Mycroft con curiosità e poi puntò lo sguardo su di lui con interesse
e pregò che non facesse commenti inopportuni.
Già era teso
per Mycroft, ci mancava solo preoccuparsi anche di Sherlock.
Dovette
capire perché si limitò solo a chiedergli come stava.
"È
buona la morfina?" commentò con un sorriso.
John
ridacchiò e lui stesso si ritrovò a rilassare la postura.
"Utile"
rispose.
"Concordo"
replicò il minore dei fratelli Holmes.
"Io
devo andare" esordì Mycroft riemergendo dalle sue elucubrazioni mentali.
"Ho molte cose da fare".
Lo guardò
attentamente per un paio di secondi prima di uscire, il cellulare in una mano e
l'ombrello nell'altra.
Ho molte
cose da fare... che voleva dire?
"Lasciagli
tempo" disse Sherlock intuendo i suoi pensieri cupi. "Per lui è
difficile ammetterlo".
Ammettere di
avere dei sentimenti.
Gli era
chiaro quello che intendeva Sherlock. Aveva aspettato anni, un altro po' poteva
sopportarlo.
*
Erano due
settimane che non aveva notizie da Mycroft. Era totalmente sparito.
E per quanto
la cosa lo facesse infuriare ogni giorno di più era risoluto nel non
contattarlo.
Non spettava
a lui fare alcunché. Non stavolta.
Era tornato
a lavoro da cinque giorni, la spalla gli dava ancora fastidio a volte.
Ogni volta
che si faceva la doccia e poi si portava davanti allo specchio osservava la
cicatrice viola scuro lasciata da quel proiettile destinato a Mycroft e gli si
stringeva lo stomaco.
Lo avrebbe
rifatto senza esitazione anche se lo odiava.
Prese un
caffè d'asporto prima di andare in ufficio e la notò con la coda dell'occhio.
Un'auto nera tirata a lucido.
Era la terza
volta che la vedeva. Uno era un caso, due una coincidenza, tre una certezza.
Mycroft
Holmes era un vero cazzone altro che genio.
Infuriato
uscì col caffè in mano e bussò sul vetro che si abbassò.
Si trovò
davanti l'assistente di quell'idiota, si chiamava Anthea se la memoria non lo
ingannava.
"Dica a
quell'idiota del suo capo che non ho bisogno di essere seguito" sbottò.
"Riferirò,
ispettore Lestrade".
Il sorriso
di quella tizia lo innervosì ancora di più. Si allontanò prendendo un sorso del
caffè prima di gettarlo nel cestino.
Quella
giornata era iniziata decisamente male.
Poi dopo una
pila di documenti compilati in ufficio fu John a chiamarlo.
"Sherlock
è sparito".
"Che
vuoi dire? Da quanto tempo?" chiese salendo in auto.
"Da
ieri sera" rispose John preoccupato.
"Mycroft?
Lo sa?" si morse il labbro.
"No,
volevo evitare di coinvolgerlo".
"Chiamalo"
disse serio. "Tanto lo saprà in ogni caso".
"Giusto"
John riattaccò.
Quanto a lui
si limitò ad accedere all'applicazione per rintracciare il cellulare di
Sherlock. Aveva fatto installare un GPS collegato al suo telefono dopo il
casino con Eurus e a quanto sembrava aveva fatto bene.
Sollevò le
sopracciglia. Sherlock era a casa sua.
Che
diavolo...?
Guidò fino
al suo appartamento e non si stupì affatto di trovare Sherlock seduto
placidamente sul suo divano.
"Lo sai
che John ti sta cercando?"
"Certo,
gli ho detto io di chiamarti verso le sei del pomeriggio" rispose Sherlock
con ovvietà. "Credevi davvero che non avrei notato il GPS?"
Non era
proprio dell'umore per i giochetti quel giorno.
Plin.
Prese il
telefono e notò che era Mycroft.
Lo hai
trovato? M.
"Sherlock...?"
buttò fuori irritato.
"Ti
conviene rispondere a mio fratello o..."
Sherlock fu
interrotto da un altro plin.
Rispondimi.
M.
"Infatti,
non è molto paziente" aggiunse Sherlock con un ghigno.
"Vuoi
spiegarmi?"
Plin.
Sherlock
è da te? M.
Mycroft
sapeva che lui era rientrato a casa, lo stava ancora facendo seguire.
"Fuori"
disse serio a Sherlock.
Lui lo
guardò con interesse senza il minimo accenno ad alzarsi.
"Fuori,
sono stato chiaro?!" esplose.
"Non
vuoi sapere perché sono qui?"
"È uno
dei vostri stupidi giochetti".
"Vostri?"
ripeté Sherlock.
"Tuo e
di tuo fratello" specificò. "Ma io non sono come John, quindi fuori.
Sono armato e molto arrabbiato, non provocarmi".
Sherlock si
alzò e lo guardò negli occhi. "Mio fratello è innamorato di te ma non lo
ammetterà mai".
Rimase in
silenzio alcuni secondi per assimilare quelle parole prima di rispondere.
"Non mi ama abbastanza in questo caso".
Sherlock
scosse il capo. "Tutto il contrario invece. Fossi stato un qualcosa di
poco conto ti avrebbe già archiviato. Invece è da quando sei uscito
dall'ospedale che ti segue. Lui fa così, lo sai".
Mycroft
faceva così con le persone a cui teneva. Tipo Sherlock.
"Non mi
basta questo" mormorò.
Sherlock
addolcì l'espressione. "Lo so. Ma Mycroft non è mai stato innamorato, non
gli è mai interessato davvero qualcuno. Ha avuto solo un paio di storie in cui
c'era sempre sotto un motivo di convenienza. Questo è un campo nuovo per
lui".
"Non
sono un esperimento".
"No,
non lo sei. Ma non sei un uomo che ha paura, l'hai dimostrato. Vai da lui e
affrontalo. Oppure lascia la situazione com'è ma non aspettarti altro"
consigliò Sherlock dandogli una pacca sulla spalla prima di andare.
Rimase
immobile per un paio di minuti fino al nuovo plin del telefono.
Era di nuovo
Mycroft.
Sherlock
è uscito da casa tua. Che succede? M.
Sbuffò
irritato prima di rispondere.
Sto venendo
da te. G.
Uscì e salì
di nuovo in auto prima di poterci ripensare.
Guidò come
aveva fatto molte altre volte verso la villa di Mycroft e come le altre volte
il cancello si aprì non appena si fermò davanti in attesa, senza bisogno di
annunciarsi al campanello.
Posteggiò
davanti alla porta d'ingresso e prese un grosso respiro prima di scendere.
Osservò per
qualche secondo l'enorme porta con la certezza che Mycroft lo stesse fissando
da una delle finestre del primo piano. Sentiva i suoi occhi addosso, era un
formicolio sulla pelle.
Alzò lo
sguardo ed infatti individuò la sua sagoma dietro il vetro. Si allontanò subito
ma non abbastanza da non farsi scoprire.
Dio, che
ridicolo. Anzi, tutta quella situazione era ridicola.
Il
maggiordomo di Mycroft, Peter e qualcosa, gli venne ad aprire come sempre.
"Ispettore
Lestrade, che piacere..."
Annuì, ne
aveva abbastanza dei convenevoli.
"È al
piano di sopra il suo capo, vero?"
Peter
sorrise quasi divertito.
"Esattamente".
Aveva da
sempre avuto l'impressione di stare particolarmente simpatico a quell'uomo.
"Fa
senza accompagnarmi, conosco la strada" disse serio facendo un paio di
passi prima di fermarsi. "Ah, se sente delle urla...non salga, non è
necessario".
Peter si
allontanò sghignazzando divertito.
Invece lui
salì le scale chiedendosi come avrebbe potuto iniziare il discorso.
Si guardò
intorno aspettandosi di trovare Mycroft in piedi, invece notò che era seduto
sulla poltrona.
Guardò
quella davanti vuota che stava aspettando proprio lui.
Si tolse la
giacca e la appoggiò sullo schienale della poltrona notando che Mycroft aveva
già un bicchiere di brandy sul tavolino accanto.
Beh era
della sua stessa opinione, aveva bisogno di qualcosa di forte.
Andò verso
il carrello dei liquori e si versò un bicchiere di scotch prima di andare alla
poltrona e sedersi. Solo allora guardò Mycroft che invece lo aveva osservato
tutto il tempo senza perdere una sua mossa.
Era in
giacca e cravatta come al solito. Perfetto ma aveva le occhiaie sotto gli
occhi, stava dormendo poco.
Rimasero in
silenzio per un paio di minuti fino al plin del suo telefono.
Lo prese e
guardò il messaggio.
Mio
fratello è un idiota. Ricordatelo. S.
Sbuffò e poi
decise di spegnere il telefono per evitare interruzioni.
"È
Sherlock?" chiese Mycroft.
"Come
se tu non lo avessi già capito dalla mia faccia" replicò.
Mycroft non
disse nulla come a confermare le sue parole.
"Appunto"
buttò fuori. "Ti dà dell'idiota e sono d'accordo con lui".
Mycroft non
cambiò espressione, era una maschera di sale. Ma lui lo conosceva abbastanza da
notare le labbra assottigliarsi leggermente, segno che le sue parole non gli
erano piaciute affatto e che era nervoso.
"Cos'è
questa cosa che mi stai facendo seguire?"
"Non
sei ancora pienamente ristabilito. Hai il braccio sinistro ancora un po' rigido,
avresti dovuto stare a casa altri giorni" rispose Mycroft serio.
"A casa
mi annoiavo. E poi sto bene" ribatté. "Sono stato molto peggio di
così".
Vide
un'ombra negli occhi azzurri di Mycroft, le sue parole dovevano averlo turbato.
Bevve un
sorso di scotch, odiava vederlo preoccupato, gli venivano due rughe tra le
sopracciglia che ogni volta aveva la tentazione di distendere con le dita.
"Comunque
non è necessario che mi fai seguire da una scorta. Non sono il tipo di
poliziotto che si mette nei guai come un idiota" aggiunse.
"Altrimenti sarei morto da un pezzo".
"Non ti
reputo un idiota" ribatté Mycroft.
"Questa
sì che è una novità. Per te sono tutti degli idioti, persino Sherlock"
replicò. "Mai venuto il sospetto che forse l'unico idiota sia tu? Immagino
di no".
Notò una
mano di Mycroft stringersi a pugno. Si stava arrabbiando. Doveva ammettere che
non aveva mai visto Mycroft perdere le staffe, aveva sempre mantenuto il suo
aplomb in pubblico.
Ma ora erano
loro due da soli a casa sua, quindi forse si sarebbe lasciato andare del tutto.
E lo sperava
davvero perché altrimenti non sarebbero andati da nessuna parte.
"Mi
chiedo cosa tu abbia intenzione di fare, farmi seguire per sempre e guardarmi
da lontano? Davvero ridicolo" disse serio finendo il suo bicchiere di
scotch e appoggiandolo al tavolino.
"Sono
preoccupato per te. Mi sento responsabile" ribattè Mycroft piccato.
"È il
mio lavoro" replicò. "Non è stata colpa tua, ho scelto io di prendere
quella pallottola".
"Non
avresti dovuto".
"Oh per
l'amor del cielo!" esclamò incazzato alzandosi. "Non puoi controllare
le decisioni degli altri, Mycroft. È sempre stato questo il tuo problema, il
voler controllare ogni cosa, credere di poter prevedere le scelte delle persone
che hai attorno. Ma non sempre funziona, vero? Perché ci sono di mezzo i
sentimenti e su quello proprio non ne sai niente".
Mycroft si
era irrigidito, le labbra talmente assottigliate per la rabbia che sembrava un
serpente pronto ad attaccare.
"Ti
sembra davvero così incredibile che io abbia voluto proteggerti?"
"Sì"
rispose Mycroft senza esitazioni.
Quella sua
certezza sgonfiò la sua rabbia facendola sostituire dalla tristezza.
"Oddio,
non mi guardare così, non lo sopporto" sbottò Mycroft.
"È
davvero triste la poca considerazione che hai di te" ribatté. "Devi
solo abituarti".
"A
cosa?" chiese Mycroft.
Percepiva la
sua rabbia ma la ignorò totalmente.
Si avvicinò
alla sua poltrona fermandosi pochi centimetri prima di toccare le sue
ginocchia.
"Sei
sempre stato tu a proteggere, a vegliare sulle persone a cui tieni. Ma adesso
anche tu hai persone disposte a proteggerti".
Lo sguardo
di Mycroft si fece più intenso.
"Tu non
puoi..."
Si chinò
appoggiando le mani ai braccioli della poltrona.
"Io ti
proteggerò sempre. Esattamente come tu vuoi proteggere me facendomi seguire.
Per quanto per te sia difficile ammetterlo provi quello che provo io"
disse serio affondando nei suoi occhi azzurri.
A quella
distanza sentiva il suo profumo e come al solito il suo cuore aveva accelerato.
"Io
non..." proruppe Mycroft.
Gli prese
una mano e la appoggiò al petto.
"Lo
senti? Batte forte e veloce come il mio".
Spostò la
mano stavolta sopra il suo cuore.
"Non
devi avere paura di me o di questo. Mai, Mycroft" disse serio.
"Ho
paura di me. Io non so se..." mormorò Mycroft incerto.
"Quello
lascialo decidere a me per una volta" lo bloccò.
Poi gli
sorrise e sentì la mano di Mycroft sopra il suo cuore stringere la camicia e
tirarlo verso di lui.
Lo baciò e
gli sembrò di tornare a respirare davvero.
*
Si svegliò
sentendo il famigliare formicolio che provocavano gli occhi di Mycroft su di
lui.
Aprì gli
occhi constatando che infatti Holmes lo stava guardando.
Avevano
fatto sesso ed era stato fantastico. Nonostante quello che potesse pensare
Mycroft non era la prima volta che lo faceva con un uomo, aveva capito di
essere bisessuale fin dall'adolescenza.
Ma forse
Mycroft lo aveva saputo lo stesso senza bisogno che parlasse, come sempre.
Allungò la
mano verso di lui appoggiandola sulla guancia.
Mycroft si
appoggiò ad essa prima di prenderla e baciarne il dorso.
"Stai
bene?" chiese.
Holmes
sorrise apparendo imbarazzato. "Sì, tu?"
Dio, quanto
diavolo era insicuro Mycroft Holmes? Era davvero stupito da questa cosa.
"Benissimo"
rispose. "Che ore sono?"
Mycroft si
girò per guardare la sveglia. "Le tre e diciotto".
"Ok"
rotolò e scese dal letto recuperando i boxer ed infilandoli.
"Dove
vai?" Mycroft lo osservava confuso.
"A fare
il caffè. Il tuo maggiordomo?"
Non voleva
rischiare di trovarsi davanti Peter in mutande.
"Siamo
soli" rispose Mycroft.
"Tu
resta qui, torno subito".
Aprì la
porta della stanza.
"Gregory?"
Si voltò
curioso.
"Un
cucchiaio di zucchero".
Sorrise.
"Lo so".
Mycroft era
l'unico a chiamarlo col suo nome completo senza abbreviare a Greg. Sherlock gli
aveva detto che odiava i nomignoli e quando i loro genitori lo chiamavano Myc.
Non ebbe
difficoltà a trovare il barattolo del caffè e quando prese due grosse tazze si
mise a ridacchiare. Avevano la stampa della Regina, proprio da Mycroft.
Le riempì
mettendo in quella di Mycroft un cucchiaio di zucchero e nel suo mezzo.
Poi tornò di
sopra giusto in tempo per sentire Mycroft parlare al telefono.
"Sherlock
falla finita".
Appoggiò le
tazze al comò e prese il telefono dalla mano di Mycroft.
"Sherlock
vattene a letto o ti mando la pattuglia antidroga".
"Perfido.
Stare con mio fratello ti fa male" replicò Sherlock con tono divertito.
"Lo sai
che ore sono?"
"Io sì.
E tu che ci fai ancora da mio fratello?" chiese Sherlock allusivo.
"Usa
l'immaginazione. Buonanotte" rispose.
"Buonanotte,
cognato" Sherlock attaccò prima che potesse mandarlo al diavolo.
"Tuo
fratello è diventato un gossipparo per colpa della signora Hudson"
commentò lanciando a Mycroft il telefono.
"Ti
danno fastidio i commenti che farà?"
"Che
faccia quello che vuole" rispose passandogli la tazza di caffè. "Fino
a quando si limita a quello..."
"Già"
concordò Mycroft capendo al volo.
Prese un
sorso di caffè e si sedette sul letto. "Com'era Sherlock da piccolo?"
Mycroft
abbozzò un sorriso nostalgico. "Il più normale tra noi, immagino".
Lo osservò
bere un sorso di caffè prima di riprendere il discorso.
"Era
ossessionato coi pirati. Aveva un cappello da pirata e una spada di legno finta
e mi correva intorno tutto il giorno".
Sorrise.
Mycroft poteva raccontarsi tutte le balle che voleva, che non aveva un cuore
ecc. ma l'espressione del viso quando parlava di Sherlock era chiara, avrebbe
fatto qualsiasi cosa per proteggerlo.
"E tu?
Com'eri?" chiese curioso.
Mycroft
sbuffò. "Mi piaceva leggere, soprattutto i classici. E a differenza di
Sherlock avevo capito subito di essere diverso, più intelligente degli altri.
Avere il mio quoziente intellettivo porta spesso ad annoiarsi. E se Sherlock
per combattere la noia assumeva droga o nel migliore dei casi si diletteva con
esperimenti chimici io mangiavo".
Ecco
spiegati i commenti che Sherlock a volte faceva a Mycroft sulla dieta.
"C'è
stato un periodo in cui ero davvero ossessionato dal peso".
"È da
lì che derivano le tue insicurezze" disse sorpreso.
Mycroft lo
guardò. "In parte. E in parte ho da sempre il terrore di fallire".
"Mai
andato da un terapista?" chiese curioso.
Dall'occhiata
di Mycroft capì. "Sono tutti troppo stupidi e non avrebbero capito".
"Chiedi
al dottor Watson, la sua era terribile. Una vera incompetente".
Si
ritrovarono a ridacchiare.
Parlarono
per le due ore seguenti prima che finissero per baciarsi e poi a fare sesso di
nuovo.
*
Avevano
installato una routine lui e Mycroft.
Per almeno
quattro sere a settimana lui andava a villa Holmes e passavano la notte
insieme, in caso di imprevisti si chiamavano. E in ogni caso se non erano
insieme la sera si telefonavano e adorava sfidare Mycroft a capire com'era
stata la sua giornata solo dal tono della sua voce al telefono prima di
raccontargliela.
Una notte fu
svegliato da un suono strano. Aprì gli occhi confuso accendendo la lampada sul
comodino prima di focalizzare accanto a sè Mycroft e che quel suono era stato
prodotto da lui. Lui che muoveva la testa di scatto da una parte all'altra, la
fronte imperlata di sudore.
"Mycroft"
prese a scuoterlo con decisione fino a quando non spalancò gli occhi.
Occhi in cui
lesse la paura.
"Va
tutto bene, hai avuto un incubo" spiegò accarezzandogli le guance.
"Scusa
se ti ho svegliato".
"Non
dire idiozie, non è da te" replicò.
Mycroft
abbozzò un sorriso prima di prendergli una mano e baciarne il dorso.
Avevano
dormito fronte contro fronte tenendosi stretti e solo settimane dopo Mycroft
gli aveva confessato di aver sognato Sherlock che si puntava al mento la
pistola facendo il conto alla rovescia terminato con il rumore di uno sparo e
lui a terra morto in una pozza di sangue.
Era un
incubo ricorrente, a volte al momento dello sparo Sherlock spariva e compariva
lui morto davanti a Mycroft.
Immaginava
fosse normale, a distanza di anni John a volte sognava ancora Sherlock buttarsi
dal tetto del Bart's.
Una sera era
tornato a casa dopo un inseguimento ed era a pezzi.
Mycroft era
seduto a letto al telefono e parlava di roba di lavoro. Si era tolto i vestiti
restando in boxer e si era infilato sotto alle coperte. Mycroft non sembrava
nemmeno essersi accorto della sua presenza.
Sospirò e
scivolò verso di lui fino a mettersi prono ed abbracciarlo appoggiando la testa
sulla sua spalla e chiudendo gli occhi. Adorava l'odore di Mycroft e la
sensazione della seta della maglia del pigiama sotto la guancia.
Mycroft
spostò il telefono nell'altra mano e con quella libera gli accarezzò i capelli
massaggiandogli il cuoio capelluto per rilassarlo. Col cavolo che non si era
accorto di lui, era troppo intelligente per non riuscire a fare due cose
insieme.
Girò la
testa verso l'alto dandogli un bacio sul collo prima di ritornare alla
posizione di prima e addormentarsi con nelle orecchie il rumore del cuore del
suo compagno.
Non si era
nemmeno reso conto di vivere ormai da Mycroft fino a quando una mattina non
aveva visto una parte dei suoi vestiti nell'armadio. Rimase immobile davanti a
quell'immagine fino a quando Mycroft non si posizionò dietro di lui dandogli un
bacio sulla guancia.
"Stavo
aspettando che lo capissi anche tu".
Sentì le sue
braccia avvolgerlo e si appoggiò a lui automaticamente.
"Per te
va bene?"
L'insicurezza
nella voce di Mycroft lo portò ad abbozzare un sorriso e a girare la testa
verso di lui.
"Non
fare domande ovvie".
Mycroft
sorrise e lui si sporse per baciare quel sorriso meraviglioso.
Sherlock in
sua presenza non aveva mai fatto commenti sulla relazione col fratello, ma era
certo che invece lo facesse con Mycroft ogni tanto. Tra fratelli era normale.
Peccato che
Sherlock non si rendesse conto di esagerare a volte. Di solito era John a
fermarlo.
Quella volta
salì le scale del 221B con l'intenzione di portare Sherlock sulla scena di un
omicidio parecchio strano quando aveva sentito la voce di Mycroft.
"La
mamma era preoccupata, mi ha detto che non la richiami da giorni".
"Sono
stato impegnato".
"A fare
cosa esattamente? Sparare al muro?" replicò Mycroft secco.
"No, a
fare sesso".
Sollevò
entrambe le sopracciglia sorpreso.
"Come
anche tu, no?"
Sbuffò.
"Irene
Adler, avrei dovuto immaginarlo" disse Mycroft.
Che a
Sherlock piacesse quella tizia non lo sorprese. Si ricordava benissimo quanto
fosse rimasto affascinato da lei anni fa. Tuttavia credeva che fosse morta, a
quanto sembrava invece era vivissima.
"Ci
mandiamo dei messaggi e a volte ci vediamo. Come vedi sì, sono stato
impegnato" replicò Sherlock.
"Anche
io ho una relazione Sherlock, ma lo trovo il tempo per chiamare i nostri
genitori".
"Tu ci
vivi con Lestrade, ovvio che lo trovi il tempo" ribatté Sherlock piccato.
"Beh
meglio saperti a fare sesso che a drogarti".
Si trovò
d'accordo con Mycroft.
"Mi sto
ancora chiedendo cosa ci trovi in Lestrade" Sherlock iniziò a strimpellare
le corde del violino.
"E tu
in Irene Adler?" rilanciò Mycroft.
"Ammiro
Lestrade".
"Sul
serio?"
"Mi
chiedo molto di più cosa ci trovi lui in te. Davvero inspiegabile. Ci vuole
parecchio coraggio e molta pazienza per stare con te" rispose Sherlock.
"Non sei una persona facile".
"Senti
chi parla" disse entrando nella stanza.
Guardò
Sherlock infastidito notando appena la sorpresa sulla faccia di Mycroft.
"Touché
ispettore" riconobbe Sherlock con un piccolo ghigno.
"Chiedi
scusa" disse serio come non mai.
Sherlock
strabuzzò gli occhi. "Cosa?"
"Per
tutte le volte che hai fatto commenti sgradevoli a Mycroft" continuò.
"Chiedi scusa, Sherlock".
Sherlock lo
osservò prima di rispondere. "Wow. Sei davvero innamorato".
"Sherlock,
fallo o non ti dò più casi interessanti da seguire" replicò ignorandolo
totalmente.
Sherlock
sorrise. "Ok, scusa fratello caro. Sono insensibile a volte, so che puoi
comprendere meglio di chiunque altro".
"Certo,
Sherlock" Mycroft faticava a nascondere un sorriso soddisfatto.
"Ora
muoviti, ho un omicidio che credo ti piacerà" disse con tono autoritario.
Sherlock
mollò il violino e si avviò verso la sua stanza per prendere il cappotto.
Mycroft si
alzò raggiungendolo prendendogli il viso e baciandolo intensamente.
"Mi
piace quando usi il tono autoritario" commentò Holmes a bassa voce.
"Potrei
usarlo anche stasera" gli diede un bacio veloce proprio cinque secondi
prima che Sherlock ritornasse in salotto.
"Bene
fratello ora puoi andare. Ci pensa Greg a farmi da babysitter oggi".
Mycroft li
precedette lungo le scale mentre lui parlava a Sherlock della scena del
crimine.
Amava
Mycroft ma non poteva negare che c'erano momenti in cui voleva strozzarlo.
Ecco, in
quel momento, seduto sulla poltrona che ormai era diventata la sua decisamente
aveva voglia di picchiare qualcuno.
"Scusa
se ti faccio male" gli disse John appoggiando un batuffolo di cotone
pregno di alcol sul taglio che aveva sullo zigomo.
Fece una
smorfia per il bruciore mentre si ostinava a non guardare Mycroft neanche per
sbaglio.
Sherlock era
ancora al telefono con Donovan che parlavano dell'arresto dei Porter, mentre
Mycroft era in piedi in silenzio che lo guardava in ansia.
Beh poteva
pensarci prima.
Quei due
fenomeni dei fratelli Holmes avevano scoperto che lui era il target di Finn
Porter, un ex agente dell'M.I.6 che ce l'aveva con Mycroft.
E invece di
parlarne con lui avevano deciso di attuare un piano tra loro in cui Mycroft
avrebbe fatto da esca per salvare lui.
Peccato che
non avevano tenuto conto che anche se non aveva il loro super cervello era un
ispettore di Scotland Yard e conosceva bene entrambi da aver notato delle cose
strane.
Così si era
ritrovato come un imbecille a spiare Mycroft preoccupato che stesse male, lo
aveva visto troppo nervoso e agitato nell'ultima settimana, ed aveva finito per
avere davanti la scena che non avrebbe mai voluto vedere in tutta la sua vita.
Mycroft e un
uomo a lui sconosciuto che lo stava minacciando con un coltello.
"Quando
ho ricevuto il tuo biglietto Holmes credevo che fossi impazzito. Incontrarmi da
solo sapendo con ogni probabilità che ti avrei ucciso".
"Che
sorpresa per te, vero?" rispose Mycroft inespressivo.
Erano in un
parcheggio sotterraneo di un centro commerciale in disuso ed era nascosto
dietro una colonna di cemento. In mano aveva la pistola aspettando il momento
giusto per agire, il cuore che batteva furioso.
"Decisamente.
Anzi, pensavo che ti avrei fatto un favore nell'eliminare quell'ispettore. Hai
sempre detto che l'amore era uno svantaggio" rispose il criminale.
"Già,
infatti guarda dove sono".
Tutto quello
che gli era entrato nel cervello era che Mycroft lo aveva fatto per
proteggerlo. Dio che idiota.
"Non
sono uno stupido Holmes da credere che tu sia venuto qui da solo. So che tuo
fratello è qui fuori. O forse dovrei dire era".
Mycroft
sgranò leggermente gli occhi.
"Anche
io ho un fratello disposto ad aiutarmi. Per quello che ne so eravamo rimasti
d'accordo che gli avrebbe rifilato una dose di eroina da farlo andare in
overdose".
Sospirò.
Grazie a dio che si era portato dietro John e che quando aveva visto Sherlock
lo aveva lasciato con lui. Con tutta probabilità avevano già bloccato quel
tizio.
"E il
mio socio che sta controllando che tutto vada come deve andare".
Sentì in
quel momento la canna di una pistola alla nuca.
"A
terra la pistola, ispettore".
Trattenne
un'imprecazione e buttò a terra l'arma mentre quel tizio lo prese per la giacca
conducendolo allo scoperto.
Mycroft lo
guardò orripilato ed in chiaro panico, con una pistola puntata alla testa.
Lui era solo
incazzato per quella situazione di merda che poteva essere gestita diversamente
se solo quei due idioti Holmes gli avessero detto la verità.
"Già,
abbiamo notato che il tuo fidanzato ti stava tenendo d'occhio. Davvero un bel
colpo per noi" disse il nemico di Mycroft divertito. "Sono felice che
si sia unito a noi, ispettore".
"Con
chi ho il piacere di parlare?" chiese.
"Finn
Porter, ex agente dell'M.I.6. E quello che ti sta puntando la pistola alla
testa è Dimitri Uliya".
Fantastico.
Dimitri Uliya era un omicida evaso circa sei mesi prima e altamente pericoloso.
"Questa
non te l'aspettavi, vero Holmes?"
Mycroft lo
guardava immobile ma vedeva nei suoi occhi il terrore che gli succedesse
qualcosa.
"Che
pensi di fare, Finn? La polizia sarà qui tra poco" disse cercando di
trovare una soluzione.
Non aveva
idea di dove fossero Sherlock e John ma sapeva che quest'ultimo avrebbe di
sicuro chiamato la polizia.
"Beh il
mio obiettivo non era Mycroft ma tu fin dall'inizio, ispettore Lestrade"
rispose Porter rivolgendogli un ghigno sadico.
Strano, non
sentiva niente, nessuna emozione. Pensava avrebbe avuto paura, invece era
lucido e stava valutando ogni mossa da fare.
"Ah ho
capito. Vuoi uccidermi davanti a Mycroft per farlo soffrire, giusto?"
disse inespressivo.
Non guardava
Mycroft, se solo lo avesse fatto in quel momento avrebbe perso la lucidità e
doveva rimanere concentrato.
"Bravo
ispettore. Holmes ti sottovaluta, non sei così stupido".
"Tu sì
invece" disse la voce di Sherlock.
E fu come il
segnale che stava aspettando.
Pestò il
piede di Uliya sorprendendolo e gli prese la mano con la pistola
abbassandogliela con un colpo facendogli perdere l'arma e al contempo
rompendogli il polso.
Quello gli
tirò un pugno con l'altra mano facendogli perdere per un attimo l'equilibrio e
si trovò a terra con Uliya sopra di lui, le mani sul collo.
Lo colpì con
un pugno al collo abbastanza forte da stordire il suo avversario che mollò la
presa e ne approfittò per ribaltare la situazione e spingerlo a terra.
"Fermo
dove sei" Mycroft aveva in mano una piccola pistola uscita fuori dal
manico del suo ombrello.
E la stava
puntando addosso a Uliya che si immobilizzò sotto di lui.
Notò John e
Sherlock che avevano bloccato Porter senza troppa difficoltà.
E si
sentirono le sirene della polizia in lontananza.
"Sua
l'idea di chiamare la polizia" disse Sherlock indicando John.
"L'altro
Porter?" chiese non volendo altre sorprese.
"Fuori,
ammanettato ad un cancello" rassicurò John.
Poi erano
arrivati i suoi colleghi che avevano portato via i Porter e Uliya e in tutto
quel tempo non aveva rivolto parola a Mycroft.
Erano saliti
tutti e quattro sulla sua auto ed aveva guidato fino a casa, i due Holmes
seduti dietro, il maggiore che lo guardava preoccupato dallo specchietto
retrovisore e il minore perso nel suo palazzo mentale.
Dio com'era
furioso. Aveva rischiato di morire pur di chiedere il suo aiuto e dirgli la
verità.
"I
segni sul collo spariranno in un paio di giorni" disse John esaminandolo.
Sbuffò. Al
momento non gliene fregava niente, quello era il minore dei suoi problemi.
Anche John
era parecchio arrabbiato con Sherlock per essere stato tenuto all'oscuro della
situazione, ma forse essendo solo amici e non essendo la prima volta ci stava
passando sopra molto meglio di lui.
"Stai
bene?" si arrischiò a chiedere Mycroft esitante.
Notò
Sherlock sogghignare, doveva essere la prima volta che vedeva Mycroft così in
difficoltà.
Incredibile,
Mycroft Holmes terrorizzato da lui.
"Fuori,
Sherlock. John grazie ma io e Mycroft vogliamo stare da soli" disse serio.
John aveva
capito benissimo l'antifona e indossò veloce la giacca. Sherlock invece rimase
immobile osservando ad intermittenza lui ed il fratello.
"Stanno
per litigare, vero John?"
Si alzò in
piedi. "Esatto Sherlock. E non mi piacciono gli spettatori, per
cui..."
Indicò la
porta.
John prese
Sherlock per il braccio e lo condusse fuori chiudendo la porta.
Solo allora
guardò Mycroft che lo fissava rigido e nervoso.
"Ho
sempre creduto che fossi l'uomo più intelligente che avessi mai incontrato, ma
questa sera ne ho dubitato" iniziò stringendo una mano a pugno.
"Gregory..."
Assottigliò
gli occhi e Mycroft si zittì all'istante.
"Che
diavolo volevi fare?! È una settimana che non dormo chiedendomi che cavolo
stessi combinando..."
"Tu ti
sei accorto..." Mycroft era sorpreso.
"Certo!
Sei un uomo abbastanza abitudinario fuori dal lavoro. E io sono un poliziotto e
ti conosco, ovvio che ho visto che eri strano" ribatté arrabbiato. "E
invece di parlare con me no, facciamo un piano suicida con Sherlock".
"Gregory..."
"Siete
due idioti!" urlò furioso.
"Donovan
sapeva tutto, era in contatto radio con Sherlock" lo informò Mycroft.
"Non avevo intenzione di mettermi in pericolo, la situazione era
monitorata".
"Certo,
e il mio arrivo ha sconvolto i tuoi piani" disse tagliente.
"Non
pensavo ti fosso accorto che..."
"Cosa?
Che eri nervoso e ansioso più del solito e che dormivi poco? O che per diverse
ore al giorno non eri rintracciabile? Tu che sei non disponibile vuol dire solo
che mi stai facendo seguire e significa che sta succedendo qualcosa".
Mycroft era
sorpreso.
"Non
pensavi che fossi così sveglio, vero?"
Andò verso
il carrello dei liquori e si versò uno scotch doppio.
"La
cosa che più mi ferisce è stata la tua mancanza di fiducia in me. Perchè
diavolo non me l'hai detto? Le coppie parlano, Mycroft. E so che non ci sei
abituato ma il bersaglio qua ero io. Era me che volevano uccidere".
"Per
colpire me! Non volevo agitarti, volevo proteggerti!" Mycroft sembrava
volesse fargli capire qualcosa che gli sfuggiva.
"Dannazione,
sono un poliziotto non una damigella in pericolo, Myc!"
Sapeva
quanto lo infastidisse essere chiamato con quel diminutivo, ma se ne fregò, era
troppo furioso.
Buttò giù il
bicchiere di scotch sbattendolo rumorosamente sul tavolo.
Mycroft
sussultò leggermente a quel rumore. "Non volevo rischiassi ancora la tua
vita per me. Ho già vissuto cosa significa stare in un corridoio d'ospedale in
attesa di sapere se sei vivo o morto. E allora non era neanche come
adesso".
Lo guardò
con attenzione, era agitato e stava cercando di fargli capire qualcosa di
importante. E lui lo capì dai suoi occhi azzurri.
"Allora
non mi amavi ancora come oggi" completò per lui.
Mycroft fece
un piccolo cenno di assenso prima di abbassare lo sguardo.
"Dentro
di me lo sapevo che sarebbe arrivato questo giorno".
Corrugò le
sopracciglia. Di che diavolo stava parlando?
"Sono
una persona difficile e poco incline a mostrare i suoi sentimenti"
continuò Mycroft. "L'uomo di ghiaccio".
Mycroft fece
una risata bassa e secca che lo irritò portandolo a desiderare un altro
bicchiere di scotch. Ma rimase fermo perché aveva la sensazione che quello
sarebbe stato un momento di svolta per loro.
"Ho
sempre saputo che sarei stato solo nella vita. È per questo che non mi sono mai
lasciato andare a sentimenti come l'amore. Per non soffrire. Sono sempre stato
un codardo".
Mycroft lo
guardò e si sentì legato a lui come non mai. "Ma tu sei riuscito dove
tutti avevano fallito. Hai rotto il ghiaccio. E adesso che sta per succedere
non ti fermerò".
Pensava che
se ne sarebbe andato. Che lo avrebbe lasciato. Strano, in tutta la sua rabbia
quella era stata l'unica cosa che non aveva mai pensato.
Camminò
verso Mycroft fermandosi davanti a lui, senza togliere gli occhi dai suoi
azzurri.
"Pensavo
lo avessi capito".
"Cosa?"
proruppe Mycroft in un sussurro agitato.
"Puoi
essere un idiota colossale come stasera ma io non me ne andrò mai via da
te" rispose serio prendendogli le guance con le mani. "Io ti amo
Mycroft Holmes".
Notò Mycroft
trattenere il respiro.
"Posso
vivere senza di te, ci riuscirei. Ma semplicemente non voglio".
Mycroft si
tuffò sulle sue labbra baciandolo disperatamente e lui lo accolse stringendolo
a sè con forza.
Fecero
l'amore tutta la notte senza lasciarsi un attimo, con la consapevolezza ancora
più forte del sentimento che li legava.
Era il primo
Natale ed erano nel salotto della casa dei genitori di Mycroft e Sherlock.
Inutile dire
che Violet e August Holmes lo adoravano, in particolare August.
"Vi ho
osservati... non hai idea di quanto Myc abbia bisogno di te, Greg. Sono molto
più tranquillo ora".
Mycroft
odiava il Natale ma lo stava gestendo bene.
Erano seduti
sul divano mentre invece Sherlock era sulla poltrona.
"Sono
delle persone davvero carine i vostri genitori" commentò.
"Terribilmente
normali" convenne Sherlock con un sorriso.
Quel
pomeriggio erano stati da Eurus a Sherrinford. Lui non era andato, era rimasto
lì con John e Rosie.
"Anche
io e Greg siamo normali" commentò John entrando in salotto e annuendo all'occhiata
di Sherlock. "Rosie dorme".
Ormai aveva
quasi tre anni ed era una bambina parecchio sveglia. Secondo Sherlock aveva un
QI più alto del normale.
Mycroft gli
passò un bicchiere di brandy e notò che anche Sherlock e John ne avevano in
mano uno.
"Tornato
tra noi?" chiese Mycroft con un sorriso dolce.
"Scusa,
a volte anche io vado nel mio palazzo mentale" replicò divertito.
John
ridacchiò.
"Davvero
difficile spegnere il cervello" concordò Sherlock. "Per noi
specialmente. Nemmeno quando sono quasi morto ha smesso di funzionare".
"A me
succede" ribatté Mycroft sorprendendolo.
"Sul
serio?" Sherlock sembrava scioccato.
"Sì".
Mycroft lo
guardò e lui capì trovandosi a sorridere come un idiota.
John
ridacchiò consapevole mentre Sherlock li guardava tutti confuso.
"Mentre
facciamo l'amore, Sherlock" disse soddisfatto bevendo un sorso di brandy.
Sherlock
corrugò le sopracciglia. "Ma a me non succede".
"Lo fai
con la persona sbagliata allora" replicò.
John annuì
concorde. "Non ti fidi totalmente. È un lasciarsi andare reciproco".
"Nemmeno
io mi fiderei di Irene Adler" commentò.
"Già"
Mycroft bevve un sorso del suo brandy.
"Non ci
sentiamo da un po'. Vedersi ancora peggio" confessò Sherlock.
"Ti sei
annoiato" disse John.
"O
forse vuoi inconsciamente di più. Ma sai che lei non è quel tipo di persona da
relazione stabile e tutto il resto" buttò lì appoggiandosi con la testa
alla spalla di Mycroft.
"Tutto
il resto? Intendi matrimonio e figli?"
"Precisamente
Sherlock".
"E voi
due allora?"
Alzò un
sopracciglio. Figurarsi se Sherlock li lasciava tranquilli.
"Io
sono già stato sposato. E per quanto riguarda i figli non li ho voluti nemmeno
con Angela" rispose.
"Io e i
bambini non andiamo d'accordo" aggiunse Mycroft.
La domanda
di Sherlock non li aveva colti impreparati. Avevano parlato di figli una sera
ma entrambi stavano bene così, oltre al fatto che Mycroft aveva 48 anni e lui
45. Decisamente troppi a loro modo di vedere per occuparsi di un bebè.
"Tocca
a te portare avanti il cognome" disse Mycroft al fratello.
"Meglio
non con Irene Adler" aggiunse lui convinto.
"Su
quello sono d'accordo" John annuì.
"Ovvio
non con Irene" disse Sherlock spiazzando tutti.
Corrugò le
sopracciglia. Non sentiva e vedeva Irene da tempo...
"Chi
è?" chiese solamente.
"Sherlock
sul serio?" John pareva quasi offeso di non essere stato informato.
Mycroft girò
il viso per guardarlo come per avere una conferma del suo pensiero. Annuì
brevemente.
"Ci
sono tutti i segnali" sbottò Sherlock quasi arrabbiato.
"Che
segnali?" chiese John perplesso.
"Gli
stessi che aveva anche Mycroft quando gli piaceva Greg ma non voleva
ammetterlo" rispose Sherlock contrariato.
"Sherlock,
ti sei innamorato?" chiese con un sorriso.
Sherlock
sbuffò. "Non lo so che cos'è. Ma la penso decisamente troppo e questo non
va bene per il lavoro".
"Hai
usato le stesse mie parole dell'altra volta" gli fece notare Mycroft.
"E ti
avevo dato dell'idiota" aggiunse Sherlock con uno sbuffo.
"È
Molly, vero?" disse collegando tutti i puntini.
Sherlock
sgranò gli occhi sorpreso. "Come diavolo...?"
"Davvero,
Sherlock?" John trattenne una risata.
Mycroft lo
guardò con un sorriso soddisfatto.
"Stare
con mio fratello ti ha reso più intelligente" commentò Sherlock
compiaciuto.
"Ti
distrae sul lavoro. E la devi vedere per forza... ovvio che fosse lei"
disse scrollando le spalle. "Oltre al fatto che lo speravo per te. È una
brava ragazza e ti ama da anni".
"E ti
rivedi un po' in lei" aggiunse Sherlock.
"Sì"
ammise. "Voi Holmes siete decisamente lenti nel capire qual è il meglio
per voi".
John e
Mycroft risero.
"Scusa"
mormorò Mycroft dandogli un bacio sulla fronte.
"Beh,
che vuoi fare?"chiese John.
"Aspettare"
rispose Sherlock portandosi le mani congiunte alle labbra.
"Che
idiozia" replicò. "I tuoi sentimenti non cambieranno col tempo. Anzi
sarà sempre peggio".
John annuì.
"E
provare a dimenticarla uscendo con altre persone non funzionerà" aggiunse
serio. "Te lo dice uno che ci ha provato a dimenticare tuo fratello, e non
mi pare che ho avuto successo".
"Meno
male" commentò Mycroft mettendo la mano sopra alla sua appoggiata al
divano.
"Quindi
che dovrei fare?" domandò Sherlock incerto.
"Dille
quello che senti" rispose John convinto.
"Io ho
fatto così con Mycroft" raccontò. "L'ho bloccato sulla poltrona
impedendogli di scappare e gli ho detto quello che era per me".
"Con
mia enorme sorpresa" aggiunse Mycroft stringendo la sua mano.
"La
stessa che avrà Molly immagino" mormorò Sherlock ansioso.
"Beh,
tu lo sai che ti ama, te lo ha detto..." lo rassicuró John.
"Quasi
due anni fa. E da allora è un po' distante" replicò il consulente
investigativo. "E la cosa mi infastidisce".
"Si è
tutelata, Sherlock" disse Mycroft con ovvietà.
"Non
puoi pretendere che cancelli quello che è successo. Non funziona così"
aggiunse. "Molly sa che le vuoi bene e non ti ha cancellato dalla sua vita
per quello. Oltre al fatto che è da masochisti vederti lo stesso, ma la
capisco, più masochista di me..."
"Non
voglio che mi cancelli!" Sherlock era contrariato.
"È la
prima reazione spontanea di fronte ad un problema. Cancellarlo o ignorarlo
nella speranza che vada via" replicò. "Molly ha provato a cancellare
i suoi sentimenti per te e tu li stai ignorando, aspettando per vedere se se ne
vanno via".
Sherlock
assottigliò gli occhi. "Mi stai dando dell'idiota".
Mycroft
sorrise.
"In
modo indiretto" John annuì. "E decisamente tocca a te fare
qualcosa".
"Sono
d'accordo" Mycroft aveva iniziato ad accarezzargli la mano col pollice.
"Ti
basterebbe semplicemente parlarle in modo diretto e normale. Molly ti ha sempre
capito benissimo e sa come sei fatto" aggiunse girando la mano per
intrecciarla con quella di Mycroft.
Sherlock
aveva lo sguardo puntato su di lui. "Ho sempre trovato assurdo che
qualcuno potesse amarmi in quel modo anche se sono un sociopatico... ma poi guardo
te con Mycroft e vedo come lo guardi e quello che ti lega a lui... e a volte
sono sorpreso".
Mycroft
sorrise comprensivo. "Lo ero anche io all' inizio. Userò una frase che una
volta mi ha detto Gregory: posso vivere senza di te, ci riuscirei, semplicemente non voglio".
Strinse più
forte la sua mano come a volerlo ribadire di nuovo.
"E per
te è lo stesso" disse John.
"In
verità no" lo contraddisse Mycroft. "Io non riesco più a vivere senza
di lui".
Girò il viso
toccando con la punta del naso la pelle del collo di Mycroft e respirando il
suo odore. Mycroft Holmes non gli aveva mai detto chiaramente ti amo ma quelle
parole erano per lui la stessa cosa.
Quella notte
nel letto della vecchia stanza di Mycroft lo aveva coccolato un bel po'.
"Ci
sono i miei genitori dall'altra parte del corridoio" mormorò Mycroft a
bassa voce rispondendo però al suo bacio.
Rise sulla
sua bocca. "Quello che hai appena detto fa molto sedici anni".
"E la
cosa ti eccita" dedusse Mycroft con un ghigno.
"Molto"
confermò. "Faremo piano".
Mycroft lo
baciò annuendo e ribaltando le posizioni, bloccandolo sotto.
"A casa
mia conduco io".
Ridacchiò.
"Agli ordini, capo".
Mycroft lo
baciò in modo irruento e con foga e lui si lasciò trascinare dalla sua
passione.
Il Natale
poi era passato per la felicità di Mycroft ed il ritorno a Londra era stato
tranquillo fino ad una sera di fine gennaio in cui aveva ricevuto un messaggio
da Sherlock.
221B.
Vieni subito. Da solo.
Era appena
uscito da lavoro e guardò lo schermo del telefono abbastanza perplesso.
Guardò l'orologio.
Che diavolo poteva volere Sherlock da lui alle 8.35 di sera?
Sospirò e
mandò un messaggio a Mycroft.
Sherlock
vuole vedermi. Ti scrivo quando sto tornando a casa.
Ormai non
gli faceva più strano come le prime volte definire quel villone come casa sua.
Salì in auto
e proprio quando accese il motore sentì il plin di risposta.
Ok.
Tienimi aggiornato in caso... lo sai.
In caso
Sherlock fosse strafatto. Lo sapeva eccome.
Guidò verso
Baker Street e riuscì incredibilmente a trovare parcheggio abbastanza vicino.
Quando
arrivò ad aprirgli fu la signora Hudson che appariva perplessa come lui.
"L'ha
chiamata Sherlock, vero? L'ho visto ed è strano..."
"Droga?"
chiese solo.
"Oh no,
assolutamente no. Era calmo ma quasi assente, troppo preso a pensare"
rispose la signora Hudson certa. "Vada di sopra e scopra che cos'ha".
Salì le
scale chiedendosi che cosa potesse essere successo a Sherlock e perché volesse
vedere lui e non John.
Entrò nel
salotto e trovò Sherlock seduto a gambe incrociate sulla poltrona, le mani giunte
davanti alle labbra e gli occhi che fissavano un punto del tappeto.
"Sherlock?"
lo chiamò esitante.
Holmes alzò
lo sguardo verso di lui e lo trovò smarrito e terribilmente confuso. Ed erano
state pochissime le volte che aveva visto Sherlock così confuso.
"Avevi
ragione".
Sgranò gli
occhi sorpreso. Era la prima volta che si sentiva dire da lui una cosa simile
in circa dodici anni di conoscenza.
"A che
proposito?"
"Molly"
disse Sherlock con un sospiro.
Ok, decise
di sedersi sulla poltrona di John.
"Che è
successo?"
"Io...
non ho idea di come sia successo" iniziò Sherlock. "Ero al
microscopio e lei mi stava parlando delle condizioni del corpo di Fink ed io ad
un certo punto l'ho sentita vicina a me, il suo profumo... ho smesso di
ascoltare e mi sono ritrovato a baciarla".
Aveva la
sensazione che non fosse finita qui.
"E
quando ho capito cosa stavo facendo ero talmente sconvolto che me ne sono
andato".
"Molly
che cosa ha detto?" chiese curioso.
Sherlock
inclinò leggermente la testa. "Niente in verità, era immobile.
Probabilmente era scioccata come me. L'ho sentita solo pronunciare il mio nome
quando stavo già uscendo dal laboratorio".
Decise di
fare LA domanda. "Perché sei andato via?"
Sherlock
sospirò. "In quel momento con Molly... il mio cervello era totalmente
spento".
Annuì
soddisfatto. "Ed è stato un male? Hai avuto paura?"
"Non mi
era mai successo. Mai, capisci? Ed io... credo di aver avuto bisogno di
metabolizzare che..."
"Che
sei davvero innamorato, Sherlock" venne in suo aiuto.
Sherlock non
rispose ma era chiaro dalla sua espressione che era arrivato alla stessa
identica conclusione.
Il
campanello suonò e non aveva il minimo dubbio sull'identità della persona alla
porta.
Si alzò in
piedi. "Me ne vado, credo che Molly voglia parlarti da solo".
Sentirono
due voci femminili al piano di sotto a confermare le sue parole.
"Mycroft
è diverso da quando sta con te" disse Sherlock con un accenno di sorriso.
"Meno impostato e più il fratello bambino che ricordo".
Era la prima
volta che Sherlock parlava da solo con lui del fratello in modo serio e non
scherzoso.
"È
sereno. Ha sempre pensato che non ci fosse nessuno in questo mondo in grado di
capirlo, che fosse solo... fino a quando sei arrivato tu. Il suo pesce
rosso".
"Pesce
rosso?" ripeté perplesso.
"Mycroft
capirà" disse Sherlock con un sorrisino furbo che si cristallizzò quando
entrò Molly, talmente nervosa da tormentare la sciarpa con le mani.
"Ciao
Greg".
"Ciao,
io me ne stavo andando" disse andando verso la porta.
"Grazie
dell'aiuto, Greg" lo salutò Sherlock anche se i suoi occhi chiari erano
puntati su Molly.
Uscì con
Sherlock ancora seduto a gambe incrociate sulla poltrona mentre Molly si
toglieva la sciarpa.
"Che ti
succede, Sherlock?"
Dio mio, non
era nemmeno arrabbiata ma preoccupata.
Sherlock era
davvero fortunato ad aver trovato una donna come Molly.
Scese le
scale non sentendo urla, il che per lui era un buon segno ed una volta fuori
dal 221B scrisse a Mycroft.
Va tutto
bene. Tuo fratello ha solo capito di essere davvero innamorato. E fregato.
Mycroft gli
rispose due minuti dopo.
Prima o
poi doveva capitare anche a lui.
Si ritrovò a
sorridere come un idiota prima di salire in auto.
Un paio di
settimane dopo aveva notato Mycroft particolarmente nervoso e soggetto ad
incubi notturni, era per quello che si trovavano nell'enorme vasca da bagno che
usavano raramente, piena di acqua calda e schiuma e lui era avvinghiato a
Mycroft appoggiato al suo petto e lo stava coccolando con baci sul collo e
passando la spugna sulle braccia e il torace.
"Ti
stai rilassando?"
Mycroft con
gli occhi chiusi mugugnò un assenso.
Fosse stato
per lui sarebbero potuti restare così per ore.
"È
stato un anno fa domani" disse Mycroft dopo un paio di minuti di silenzio.
"Cosa?"
"Che ti
hanno sparato".
Ah. Se ne
era completamente scordato, ecco perché Mycroft era suscettibile da giorni.
In tutta
risposta lo strinse di più a sé.
"Stiamo
insieme da quasi un anno" gli fece notare.
"Non mi
sembra vero" rispose Mycroft abbozzando un sorriso.
"Ti
amo" mormorò al suo orecchio.
Mycroft si
girò verso di lui, gli baciò la cicatrice del proiettile sulla spalla e poi lo
guardò.
"Anche
io".
Lo baciò
piano, godendosi quel momento.
Col suo
lavoro aveva imparato a godersi ogni momento bello.
Quando aveva
affrontato il discorso con John davanti ad una birra si erano capiti alla
perfezione.
"In
Afghanistan potevo morire ogni giorno".
Ed in
effetti pure John era quasi morto.
Tanto per
cambiare stavano indagando su un pazzo che uccideva apparentemente a caso e
Sherlock era nervoso come non lo vedeva dai tempi di Moriarty.
Pure Mycroft
era in ansia ma sapeva nasconderlo decisamente meglio.
"Ora ho
qualcosa da perdere" gli aveva detto Sherlock preoccupato.
Sapeva che
parlava di Molly. Stavano insieme finalmente e il minore dei fratelli Holmes
non gli era mai sembrato così tranquillo, casi a parte.
Sherlock e
John erano riusciti a scoprire l'identità del pazzo grazie anche a Mycroft e
gli avevano mandato foto e nome.
Albert Hunt,
42 anni, rinnegato a suo dire dalla società perché bipolare e schizofrenico.
Sally cercò
nel database e trovò la sua cartella e un presunto indirizzo.
"Andiamo
a controllare" disse infilando la giacca.
Uscì e
rallentò il passo perché gli suonò il telefono.
"Mycroft".
Sally si
adeguò alla sua andatura.
"Gregory,
Sherlock e John dicono che Hunt ha in mente qualcosa".
"Sto
andando con Sally al suo domicilio" disse uscendo dalle porte di vetro
dell'ingresso.
Il suo
sguardo fu catturato da un'auto argento parcheggiata davanti al piazzale della
stazione di polizia. Ed era strano, dalle ultime norme di sicurezza era vietato
parcheggiare lì, oltretutto non era nemmeno una delle loro auto.
Prese Sally
per il polso.
"Ma
quell'auto?"
Lei lo
guardò e pensarono entrambi alla stessa cosa un secondo prima dell'inferno.
L'ultima
cosa che sentì prima dello scoppio fu Mycroft dire il suo nome.
Quando aprì
gli occhi si trovò a terra, l'odore di bruciato gli entrava nelle narici.
Sentiva
rumori di allarmi e sirene che spezzavano il silenzio altrimenti assordante.
Aveva un
forte mal di testa. Si guardò intorno e capì di essere stato sbalzato di alcuni
metri verso le porte di vetro antiproiettile e di averci sbattuto addosso senza
romperle, ma crepandole prima di rotolare a terra.
Sally era
stesa accanto a lui e pure lei si stava svegliando.
"Capo..."
"Sei
tutta intera?" chiese sentendo il sangue scendere da un taglio che aveva
sulla fronte e macchiargli la guancia sporca di fuliggine e briciole di
cemento.
"Credo
di sì" Sally si mise seduta.
Trovò il suo
telefono con lo schermo in pezzi ed inutilizzabile.
Poi al rumore
delle sirene e degli allarmi si aggiunsero anche le urla di panico.
Si alzò
traballando ed appoggiandosi al muro per non cadere.
E alle urla
di panico registrò anche rumore di spari.
Fu
automatico prendere la pistola e strizzare gli occhi per vedere oltre il fumo.
E cazzo, vide quel pazzo di Hunt sparare ai poliziotti feriti a terra e farsi
strada verso la centrale, verso di lui e Sally che era ancora a terra.
Hunt si girò
verso di lui e si guardarono mezzo secondo prima che lui premesse il grilletto.
E prima che cadesse di nuovo a terra, del tutto instabile sulle gambe.
Ma anche
Hunt era caduto a terra, colpito al collo dal proiettile ed in una pozza di
sangue.
"Capo,
ti ha colpito di striscio alla testa" disse Sally trascinandosi verso di
lui.
Sentiva
vagamente un leggero bruciore alla tempia, vicino all'attaccatura dei capelli e
altro sangue caldo scendergli sulla faccia.
"È
morto, ispettore" disse un poliziotto avvicinandosi a lui con un medico.
"Ha ucciso quel pazzo che voleva farci fuori tutti".
"Lestrade!"
Intravide la
figura alta e slanciata di Sherlock raggiungerlo di corsa seguito da John che
si chinò subito su di lui.
"Va
portato in ospedale. Subito!" disse John con urgenza dopo avergli guardato
gli occhi. "Potrebbe avere un'emorragia interna. Anche Sally".
A confermare
quasi le sue parole vide Donovan vomitare sangue.
"Chiama
Mycroft! Digli che sto bene, io... chiama Mycroft, chiamalo Sherlock...
chiamalo..." farfugliò agitato prima di perdere i sensi sorretto dalle
braccia di John.
Quando si svegliò
la prima cosa che sentì oltre al dolore alla schiena era una mano stretta
saldamente alla sua.
E anche se
aveva gli occhi ancora chiusi sapeva che era Mycroft. Sentì il suo profumo
nelle narici, doveva aver capito che si stava svegliando.
"Gregory?"
Sollevò le
palpebre e lo trovò chino su di lui, lo sguardo azzurro preoccupato che si
fermò nei suoi occhi.
"Sei in
ospedale, hai un trauma cranico, una contusione alla schiena, un polso slogato
e due tagli sulla fronte" gli elencò. "Però stai bene".
"Che è
successo? Sally?" chiese con voce rauca.
"L'hanno
operata, aveva un'emorragia interna. Ma ora sta bene" rispose Mycroft con
un accenno di sorriso.
Sollievo. E
poi di nuovo ansia.
"Quanti
sono morti?"
"Con
l'esplosione due poliziotti e un civile. Con i proiettili quattro
poliziotti" rispose Mycroft.
Lo
ricordava, aveva visto Hunt camminare verso lui e Sally, guardarlo in faccia
con la pistola puntata... si toccò il cerotto che aveva sulla tempia.
Se l'era
cavata per una manciata di centimetri, probabilmente perchè aveva perso
l'equilibrio per il trauma cranico ed era caduto a terra.
Solo fortuna
in pratica. Come era stata fortuna che nelle sue condizioni lo avesse colpito
ed ucciso.
Poi realizzò
un'altra cosa.
"Mi hai
salvato".
Mycroft lo
guardò leggermente confuso. "Io non ero lì".
Sorrise.
"Sì invece. La tua chiamata".
"In che
modo?"
"Ho
rallentato il passo quando ero al telefono con te, lo faccio sempre"
rispose. "Se non mi avessi chiamato sarei morto nell'esplosione".
Mycroft lo
guardò con una nuova consapevolezza, notò la sua mano tremare e gliela strinse
più forte.
"Lo
faccio senza rendermene conto. Quando mi mandi un messaggio o mi chiami io
rallento e spesso mi fermo anche, perché vieni prima di tutto il resto".
Mycroft gli
prese il viso con le mani e lo baciò piano guardandolo poi negli occhi a
distanza ravvicinata, con le punte dei nasi una di fianco all'altra.
"Sarei
perso senza di te, lo sai vero?" mormorò Mycroft a voce bassa.
"Completamente annientato".
"Non
credere nemmeno per un attimo che per me non sarebbe lo stesso" rispose
serio.
Mycroft lo
baciò di nuovo e a suo parere era meglio quello della morfina.
Non aveva
potuto lamentarsi di Mycroft. Si era preso cura di lui nelle tre settimane
seguenti di convalescenza ma in questo era sempre stato bravo, si era allenato
per anni a prendersi cura di Sherlock e di tutti senza farsi vedere.
Adorava
quando Mycroft si infilava sotto le coperte e si avvicinava abbracciandolo da
dietro, lui automaticamente si rilassava appoggiandosi al suo petto.
Sentire il
suo respiro sulla nuca era meglio di qualsiasi ninna nanna.
Una sera
mentre stavano cenando notò Mycroft più silenzioso del solito che gli lanciava
lunghe occhiate di sottecchi.
Al momento
del dolce decise che ne aveva abbastanza.
"Mi
dici che hai?"
Mycroft
sembrò quasi sorpreso.
"Parla.
Ho capito che c'è qualcosa che ti tormenta" disse serio mollando il
cucchiaino del dolce. "Devo tirarti fuori le parole con le tenaglie?"
Mycroft alzò
un angolo della bocca. "A volte mi stupisco ancora di come tu mi conosca
così bene..."
Una volta
capito per lui Mycroft Holmes era facile da decifrare. Era un uomo
straordinario sotto molteplici aspetti ma anche tremendamente abitudinario.
Sherlock era decisamente più complicato a suo modo di vedere.
"Ci ho
pensato e lo so che tu sei già stato sposato, ma..."
"Sì"
rispose di getto.
Il suo cuore
aveva accelerato di colpo e sentiva un calore avvolgerlo che lo faceva sentire
bene e felice.
"Ma non
ti ho ancora chiesto per bene..." protestò Mycroft.
"Sì,
Mycroft" lo interruppe di nuovo.
Mycroft
sbuffò contrariato ma sorridendo al contempo.
"Vuoi
sposarmi?"
Si alzò e si
chinò accanto alla sedia di Mycroft, guardandolo dal basso.
"Sì. Sì
e ancora sì. Ti basta come risposta?"
Mycroft gli
regalò un sorriso luminoso prima di abbassarsi e baciarlo.
Era stata
una cerimonia veloce in comune con i signori Holmes, Sherlock, Molly, John e
Rosie.
Gli capitava
spesso da quel giorno di guardare la fede d'oro che aveva al dito, girarla col
pollice e sorridere come un idiota.
E Sherlock e
Molly avevano seguito il loro esempio pochi mesi dopo annunciando anche nel
mentre che sarebbero diventati presto genitori.
Lui aveva
riso felice per loro, come anche John mentre Mycroft era rimasto sorpreso prima
di sorridere. Invece Violet Holmes era scoppiata in lacrime all'idea di
diventare finalmente nonna e August aveva dato una pacca sulla spalla di
Sherlock.
"Zio
Mycroft, suona bene, non trovi?" commentò infilandosi sotto le coperte.
"Non
credevo sarebbe mai successo" ammise Mycroft appoggiandosi a lui, la testa
sulla sua spalla. "Sono davvero felice per Sherlock".
"Lo so
che hai sempre avuto il terrore di trovarlo morto in qualche vicolo per
overdose".
"Già"
confermò Mycroft. "Tu come ci vedi fra dieci anni?"
Non esitò a
rispondere. "Come adesso. Solo coi capelli più grigi e più rughe".
Mycroft
rise. "Non mi dispiace come scenario".
"Nemmeno
a me" gli diede un bacio sulla guancia. "Sherlock tempo fa mi ha
definito il tuo pesce rosso. Ha detto che tu avresti capito".
Mycroft
sorrise. "Mi costa ammetterlo ma su quel discorso Sherlock è stato più
intelligente di me".
"Davvero?"
"Non
avevo capito quanto fossi solo fino a quando tu non sei riuscito ad avvicinarti
abbastanza per farmi comprendere che ti volevo vicino" rispose Mycroft.
"Beh
ora la solitudine scordatela. Fino alla fine io ci sarò" replicò
accarezzandogli i capelli.
"Anche
io".
Entrambi
guardarono le loro mani intrecciate, le fedi che brillavano l'una accanto
all'altra.
Sempre.
Nikki Potter