promessa
Una
promessa da mantenere
Sei anni prima...
Se ne sarebbero andati tre giorni dopo.
Erano stati i Dowling a comunicare alla tata, con due mesi di
anticipo, che adesso che il bambino aveva sei anni era diventato un
giovanotto a cui non serviva più la bambinaia: la priorità ora
erano l'istruzione scolastica e la cultura. Crowley aveva annuito con
fare comprensivo e la sera stessa aveva riferito ad Aziraphale i
piani dei genitori del giovane Warlock.
«E come faremo adesso?» aveva
esclamato l'angelo, in preda al panico, già figurandosi l'immagine
terrificante dei mari in subbuglio per l'Apocalisse che non erano
riusciti a sventare.
«Facile: ti dimetti anche tu e
diventiamo noi i suoi maestri,» l'aveva rassicurato il demone con
semplicità: ci aveva pensato tutto il giorno e questa era stata
l'unica soluzione a cui il suo cervello fosse giunto. L'angelo aveva
accettato di buon grado, poi aveva proposto un brindisi alla
genialità e aveva cominciato subito con i miracoli per indurre i
Dowling a contattare tali Mr. Harrison e Mr. Cortese dalle
straordinarie referenze.
Era stato tutto stabilito nei dettagli
e i due avrebbero continuato a seguire l'Anticristo nella crescita,
solo con una divisa diversa dal solito. Non c'era motivo perché
qualcosa potesse andare storto.
Ma Crowley si era ben presto reso conto
dell'esistenza di un unico, madornale, imprevedibile fattore,
tutto inglobato nel corpicino di bimbo di Warlock. I genitori avevano
dato a tata Ashtoreth l'ingrato compito di comunicargli la decisione
di sostituirla con un insegnante, e che quello fosse un compito
ingrato lei l'aveva capito con un attimo di ritardo, subito dopo aver
pronunciato le fatidiche parole al ragazzo: Warlock era scoppiato in
lacrime e le si era attaccato a una gamba, come se avesse temuto di
vederla sparire all'istante.
«Su su, caro,» era riuscita a
mormorare con un improvviso groppo alla gola. «Non è la fine del
mondo.»
Warlock aveva stretto più forte la
gamba della donna. «Non te ne andare, tata Ashtoreth!»
«Devo,» aveva replicato, appoggiando
una mano sulla testa del bambino. «Stai crescendo, mio caro, non hai
più bisogno di me.»
«Non te ne andare!» aveva ripetuto il
piccolo tra i singhiozzi.
La scena si era ripetuta per tutto il
primo mese di preavviso del licenziamento, quando la tata lo
sollecitava ad andare a dormire. L'unico modo per farlo smettere di
piangere era stato quello di cantargli la ninna nanna ogni maledetto
giorno: Warlock andava a dormire con gli occhi gonfi di lacrime e
Crowley se ne andava con la testa pesante di dubbi.
Al secondo mese il bambino aveva ormai
capito di non poter fare nulla contro l'inevitabile necessità di
salutare la sua tata. Questo non gli aveva impedito di chiederle di
tanto in tanto se fosse stata proprio sicura di quello che le
avevano riferito i genitori e di rattristarsi quando Crowley, suo
malgrado, si era ritrovata a dover confermare.
«Ti divertirai con il nuovo maestro,»
gli aveva assicurato.
«Io non voglio un nuovo maestro.» La
tata non era riuscita a indorare la pillola neanche un po'. Se non
altro, i capricci erano una cosa estremamente negativa e, a modo suo,
quella situazione avrebbe contribuito ad alimentare i successi del
piano.
La vera sfida per Crowley, tuttavia, si
era rivelata l'ultima settimana di permanenza in casa Dowling:
ambasciatore e signora, impegnati in un viaggio di lavoro, le avevano
lasciato la piena responsabilità del bambino in quei sette giorni e
l'avevano costretta a rimanere anche per la notte per accudirlo e
controllarlo. Aveva accettato solo per evitare di essere rimpiazzata
improvvisamente da qualcuno o troppo buono o troppo cattivo in grado
di vanificare tutti gli sforzi combinati di tata e giardiniere; se
quel problema non fosse esistito, Crowley non avrebbe esitato a
declinare l'offerta: affrontare Warlock ventiquattro ore su
ventiquattro era una prospettiva che non l'allettava per niente, non
in quello stato. Vederlo piangere la faceva stare male, peggio di
quanto fosse disposta ad ammettere, e sapeva che quei giorni
sarebbero stati davvero difficili per il bambino. Si era ben presto
resa conto di aver indovinato: Warlock era triste e le stava sempre
addosso, tanto che vedere Aziraphale per scambiarsi pareri
sull'educazione del bambino era diventata una vera impresa. L'angelo
si era dimostrato alquanto comprensivo e fin troppo empatico: non
mancava mai di guardare con estrema dolcezza il piccolo Warlock e
trovava adorabile il fatto che si fosse affezionato alla tata così
tanto da essere disperato a tal punto ora che doveva salutarla.
«Dovresti chiederti se non sia un brutto segno, idiota,» l'aveva
rimbeccato Crowley quando Aziraphale era riuscito a riferirglielo al
telefono a tarda notte. Non sopportava che l'angelo potesse pensare
che lei fosse una tenerona con Warlock. Gli aveva raccontato tutte le
fiabe originali dei Grimm e quelle di Andersen senza edulcorarle
nemmeno un po'; gli aveva parlato di sangue, di violenza e di
malvagità. Che diamine, non era una rammollita! «Warlock è
traumatizzato, non affezionato, fidati,» aveva chiuso il discorso
così, ma Aziraphale dall'altra parte della cornetta aveva
semplicemente riso.
Tre giorni.
Solo tre giorni e tutta quella tragedia
sarebbe finita.
–
«Buonanotte, caro» mormorò la tata
quella sera prima di spegnere la lampada a forma di dinosauro e di
dileguarsi per raggiungere la stanza che le era stata concessa dalla
famiglia. Una volta dentro per prima cosa si liberò degli stivaletti
e schioccò le dita: lo smartphone si attivò componendo
automaticamente il numero della libreria di Aziraphale.
«Cara, buonasera,» rispose l'angelo
con prontezza.
«Dorme,» comunicò senza smancerie
togliendosi gli occhiali e cominciando a slacciare il fiocco intorno
al collo. «Niente piagnistei oggi.»
«Crowley.»
La donna guardò truce lo schermo
luminoso: conosceva il tono dell'angelo e quello voleva dirle che non
era necessario mentire, che a lui poteva dire di essere in
difficoltà. Lanciò con foga il nastro rosso sul pavimento: essere
rimproverata da Aziraphale, anche se bonariamente, era l'ultima cosa
di cui aveva bisogno.
«Com'è andata a te?» cambiò
discorso.
«È stato dolcissimo, oggi. Abbiamo
parlato di–»
«Zitto,»
sibilò la tata, improvvisamente all'erta. «Ho sentito qualcosa.»
Aveva avuto l'impressione di aver udito dei passi fuori dalla porta e
ne ebbe piena conferma quando qualcuno bussò.
«Devo chiudere, angelo: ho visite,»
bisbigliò.
«Oh, che carino!» esclamò sottovoce
l'altro con fare stranamente zuccheroso, che Crowley non comprese.
«Ci vediamo domani.»
La donna riattaccò perplessa e si
affrettò ad alzare la voce. «Chi è?»
«Io.»
Bastardo di un angelo, pensò,
inforcando gli occhiali e guardando di nuovo male il telefono: lui
aveva indovinato prima di lei.
«Qualcosa non va, Warlock?» domandò
aprendo la porta. Il ragazzino se ne stava lì, ritto in tutti i suoi
sei anni, con il pigiamino di Spider-Man indosso e l'espressione
colpevole di chi ha combinato un disastro e spera che qualcuno gli
copra le spalle.
«Posso stare con te, tata Ashtoreth?»
chiese alla fine, il luccichio negli occhi che presagiva il pianto.
«Per favore.»
Crowley fu estremamente felice di aver
chiuso la chiamata con Aziraphale giusto in tempo per non avere
testimoni. Frugò velocemente nel suo cervello alla ricerca di una
buona motivazione – una sola – per far passare il suo
consenso come un'azione demoniaca di primo livello, ma la sua testa
era completamente incentrata sull'odio che provava per sé stessa
mentre si spostava e faceva accomodare Warlock sotto le coperte.
«Solo per stanotte, mio caro,»
precisò quando lo ebbe raggiunto, e il bambino annuì sorridente
prima di strizzarla in un abbraccio e rimanere in quella posizione.
Crowley si scoprì con orrore a muovere
il braccio per cingerlo e accarezzargli i capelli in gesti delicati e
continui. Una cosa era certa: avrebbe negato l'accaduto con
Aziraphale fino alla morte, se fosse stato necessario, e sarebbero
stati guai anche per Warlock se solo avesse osato spifferare al
giardiniere anche una sola parola sulla questione.
«Devi proprio andartene, vero?»
domandò il bimbo prima che lei potesse esplicitare le minacce. Tanto
bastò per farla desistere.
«Ne abbiamo già parlato,» gli
ricordò più gentilmente che poté.
Warlock annuì contro la sua spalla.
«Va via anche Fratello Francis, non è vero?» chiese affranto.
Questo la colpì. Nessuno sapeva che
anche Aziraphale avrebbe lasciato la casa: il piano era rassegnare le
dimissioni dopo il suo turno il giorno stesso della dipartita della
tata, ma solo loro due ne erano al corrente.
Crowley chinò il capo per guardare
Warlock negli occhi. «Come ti viene in mente una cosa del genere?»
Poi ricordò: erano ormai due anni che
il ragazzino sospettava che la tata e il giardiniere si
intrattenessero in una tresca amorosa e che addirittura si sarebbero
sposati, un giorno, con figli. Aziraphale non aveva più accennato a
questo discorso da quando era saltato fuori circa un anno prima e
piano piano Crowley aveva smesso di stuzzicarlo sull'argomento:
d'altronde era facile trovare modi di far arrossire l'angelo e avere
l'ultima parola, non era necessario per lei giocare con quella
faccenda.
«Siete così innamorati,» fornì
candidamente il ragazzino. «Non potete vivere separati: se vai via
tu, deve andarsene anche lui.»
Crowley forzò una risata per
dissimulare il miscuglio di sensazioni che la colpì. «Di cosa stai
parlando, Warlock? Francis ed io non–»
«Non devi nasconderti, tata,» la
rassicurò il bambino. «So mantenere i segreti.»
Nel dire quelle cose Warlock le parve
un piccolo ometto tutto fiero di avere una responsabilità e sicuro
di potersi fare onore. Fu per quello che Crowley non ebbe il cuore di
negare: probabilmente la via giusta per il Male avrebbe dovuto farle
dire di diffondere la voce, di non tenere la bocca chiusa e di
infrangere subito quella promessa che aveva appena fatto, ma per il
suo bene rinunciò a seminare zizzania tra i pensieri del bambino.
Si chiese con rabbia come avesse fatto
un ragazzino di sei anni a coltivare una tale fantasia tanto a lungo
e si domandò dove avesse sbagliato: come era stato possibile dare a
Warlock un'impressione così sbagliata del loro rapporto? Che
cosa era andato storto nel processo di comunicazione tra loro e il
birbante che la guardava con così tanta ovvietà?
La tata sospirò e decise di non avere
la voglia né il tempo di indagare ulteriormente: Warlock la pensava
così e gli ultimi due giorni di lavoro non avrebbero dipanato la
nebbia intorno al palese equivoco.
«Ti trovi molto bene con lui, caro?»
domandò invece, sondando il terreno.
Il piccolo annuì, triste. «Siete i
miei migliori amici.»
Crowley lo strinse di più a sé,
incredula e toccata allo stesso tempo. Non si era mai resa conto
davvero di quanto fosse solo quel ragazzino e di come la presenza di
una tata e un giardiniere gli avesse dato una speranza, quella di
avere degli amici. Con due genitori assenti come i suoi e
l'educazione privata a cui era e sarebbe stato sottoposto in futuro,
Warlock aveva visto in loro due pazzi confidenti, due amici da cui
trarre il massimo vantaggio affettivo. Forse era a causa della
famiglia poco presente che si era impegnato a proiettare su di loro
l'amore che non gli veniva trasmesso a casa: in tata Ashtoreth e in
Fratello Francis aveva visto tutto quello che non aveva avuto per
natura e ora doveva fare i conti con lo strappo che l'avrebbe
riportato alla realtà.
Crowley, non vista, digrignò i denti
in preda alla collera: se non fosse stato per quella stupida
Apocalisse da quattro soldi, avrebbe potuto garantire a Warlock che
non l'avrebbe persa, che non avrebbe lasciato nemmeno Francis e che
li avrebbe ritrovati una settimana più tardi in abiti maschili,
tutti impomatati, a insegnargli la storia, la letteratura e la
matematica. Ma questo non poteva farlo: il bambino era l'Anticristo,
lei e Aziraphale avevano il dovere di fermarlo e non potevano
permettersi di cedere ai sentimentalismi, nemmeno per le lacrime di
un bambino tanto viziato quanto solo e addolorato.
L'unica cosa che la tata poteva fare
era prepararlo al meglio alla partenza di tutti e due.
«Hai ragione, tesoro,» si sentì dire
dolcemente. «Anche lui andrà via. Ma non dirgli che te l'ho detto.»
Warlock annuì e tirò su con il naso.
«Non mi volete più bene?»
Quello era troppo.
«Non dirlo mai più,» ordinò, più
dura di quanto avesse voluto. «Non pensarlo nemmeno. Noi ti vogliamo
e ti vorremo sempre bene, mi capisci?»
Il ragazzino la abbracciò più forte.
«I tuoi hanno deciso che hai bisogno
di un insegnante,» disse la tata, atona. «Non ce ne andiamo per
nostra volontà.»
Sentì Warlock grugnire il suo
disappunto. «Mi verrete a trovare?»
Crowley si sforzò di sbuffare una
risata: era una domanda troppo ridicola alle sue orecchie. «Prima di
quanto immagini, caro.»
Il bambino sollevò la testa per
sorriderle radioso.
«Ora dormi, carissimo,» mormorò per
poi prendere a cullarlo continuando ad accarezzargli i capelli.
–
Quando era arrivato il momento di
andare, Crowley avrebbe preferito discorporarsi. Warlock aveva pianto
e le era saltato al collo con disperazione, ma non le aveva più
chiesto di restare: aveva capito di non avere potere in merito.
La tata gli aveva dato un bacio sulla
guancia paffuta, lasciandogli stampato sulla pelle il segno delle sue
labbra pitturate di viola.
«Buona giornata, Warlock, e ricorda
sempre, fallo per me: tutte le creature della Terra meritano il tuo
più spietato disprezzo.»
Sei anni dopo, al tempo
presente...
Le immagini di Warlock avvolto intorno
al busto di tata Ashtoreth svanirono poco a poco nella sua mente, ma
la sensazione di avere dei capelli a solleticargli la faccia e un
corpo incollato al suo non se ne andò allo stesso modo.
Crowley aprì gli occhi con una certa
difficoltà per incontrare le iridi chiare di Aziraphale che gli
sorridevano. Non ricordava di essersi addormentato così vicino
all'angelo, né che anche l'altro avesse deciso di dormire la notte
precedente, ma la situazione tutto sommato non gli dispiacque. Pensò
di poter fare una battuta sarcastica, ma tutto quello che uscì dalla
sua bocca fu un sussurro soffuso.
«Angelo.»
«Buondì,» rispose Aziraphale con le
guance appena arrossate.
Il demone prese qualche secondo per
inquadrare fugacemente la stanza e la luce tenue che filtrava dalla
finestra.
«Tu ieri stavi leggendo quando mi sono
addormentato,» rilevò Crowley, rendendosi conto solo dopo di star
massaggiando i riccioli dell'angelo. Si bloccò per un momento, ma
visto che all'altro non sembrava dare fastidio, perseverò
nell'attività.
«Ho finito il libro.»
«Mm-hm.»
Quello, però, non spiegava il gomitolo
di braccia e gambe in cui erano incastrati.
«Non guardarmi come se fosse colpa
mia, caro,» lo rimproverò Aziraphale con serietà. «Ti sei
rotolato fino a qui e mi hai abbracciato.»
«Ma per favore!» sbottò il demone.
«Giuro,» confermò piccato l'angelo.
«Io mi sono solo sdraiato.»
Crowely si issò appena su un gomito
per controllare la sua posizione nel letto: si trovava effettivamente
nella metà di Aziraphale. Si costrinse ad ammettere che avesse
senso, e non solo quello: era stato probabilmente quell'abbraccio
involontario a suggerirgli di sognare una delle ultime notti in casa
Dowling nei panni della tata di Warlock.
«Se per te è un problema, ecco...»
bofonchiò Aziraphale senza guardarlo negli occhi. «Ecco, non voglio
metterti a–»
«Chiudi la bocca, angelo,» Crowley
troncò la sciocca protesta dell'altro con un'occhiataccia. Si
risistemò meglio nella stretta e ricominciò ad accarezzare i
capelli dell'angelo. «Ho chiesto per capire, non per lamentarmi.»
«Oh.»
Quando finalmente si sciolsero
dall'abbraccio, era ormai primo pomeriggio, il momento giusto per aprire la libreria.
–
Rimasto solo, Crowley si scoprì a
tornare con la mente a Warlock e al sogno che aveva fatto. Non aveva
lavorato di fantasia, aveva solo rivissuto nella mente il momento più
basso della sua carriera di tata demoniaca, ma questo era stato
sufficiente a ricordargli della promessa. L'aveva completamente
dimenticata: il secondo travestimento per tenere sotto controllo
l'Anticristo aveva contribuito a non fargli sentire la mancanza del
ragazzino, anche se con Mr. Harrison Warlock non aveva sviluppato
alcun rilevante legame affettivo. L'aveva rispettato come insegnante,
questo sì, ma non gli aveva mai nascosto di non essere uno studente
particolarmente appassionato: nessuno dei due tutori lo aveva davvero
conquistato e il rapporto era diventato più professionale che
emotivo da parte di tutti e tre.
Con ogni probabilità anche il ragazzo
aveva dimenticato la promessa di tata Ashtoreth: adesso aveva i suoi
amici, i suoi hobby; la sua mente da ragazzino aveva di sicuro
eliminato quell'informazione infantile.
Ma il sogno aveva turbato Crowley: e se
Warlock fosse stato ancora in attesa del ritorno della sua vecchia
tata? Non l'aveva più nominata durante le lezioni di Harrison, e
nemmeno in quelle di Cortese. Nei cinque anni successivi alla
dipartita di tata Ashtoreth e di Fratello Francis era stato come se
quelle due figure non fossero mai esistite nella vita di Warlock...
«Non mi volete più bene?»
Le parole del piccolo gli rimbombarono
nella mente e gli fecero abbandonare la testa contro la spalliera del
letto in un gesto disperato mentre un'idea si formava nel suo
cervello.
Sospirò, perché non aveva alcuna
scusa malvagia per fare quello che gli era venuto in mente. Attese
qualche minuto per sforzarsi più a fondo, ma la situazione non
cambiò.
Per amor di Qualcuno.
Si alzò con un grugnito, schioccò le
dita per far apparire un bigliettino per Aziraphale – “Sono
uscito, angelo. A dopo. C.” – e ripeté il gesto in bagno per
cambiarsi d'abito. Lanciò uno sguardo allo specchio e ghignò.
–
Doveva ammettere che quando era uscita
di casa si era sentita molto più sicura di sé. Mano a mano che la
villa dei Dowling si era avvicinata, però, Crowley aveva avvertito
tutta la sua spavalderia sfumare via.
Quella era probabilmente la cosa più
stupida che avesse mai fatto in più di seimila anni di vita. Persino
amare Aziraphale le sembrò improvvisamente più accettabile
dell'idea di andare da Warlock nei panni della sua vecchia tata. Che
cosa le era saltato in mente? Come avrebbe giustificato la sua
presenza lì dopo quasi sei anni? E se Warlock l'avesse davvero
dimenticata? Non aveva onestamente idea di come avrebbe reagito se
quella prospettiva si fosse avverata sul serio. Avrebbe retto il
colpo? Sarebbe stata in grado di ignorare il tutto?
Arrivata all'alto cancello della casa
pensò di fare dietrofront e tornare nel suo appartamento e fare
finta che non fosse successo niente; cominciò anche a mettere in
pratica il proposito, ma una voce la bloccò sul posto e la costrinse
a voltarsi nuovamente.
«Tata Ashtoreth?»
Crowley guardò gli occhi chiari del
giovanotto oltre l'inferriata e sorrise.
«Warlock.»
Il ragazzo quasi non fece in tempo ad
aprire il cancello quel tanto che bastava perché vi passasse
attraverso che già le sue braccia si erano avvinghiate al busto
della tata in un abbraccio scomposto e sbilanciato che Crowley fece
del suo meglio per riuscire a ricambiare.
«Sei tornata! Sei tornata davvero a
salutarmi!»
Non l'aveva dimenticata.
«Ma certo.»
Warlock la prese per mano e fece per
guidarla all'interno del parco di casa Dowling. Subito Crowley
avvertì un brivido di disagio risalirle lungo la schiena, sempre più
convinta che comunque quella non fosse stata un'idea brillante.
«Sei sicuro che vada bene? I tuoi non
si aspettano di–»
«I miei non ci sono.»
Ovviamente.
Si sedettero sull'erba profumata –
troppo profumata, troppo curata perché, in qualche modo, non
ci fosse ancora lo zampino di Aziraphale – e Warlock
cominciò a parlare senza freni, raccontando aneddoti di vita,
progressi scolastici, ricordi del passato, ricordi che riguardavano
sia la tata e il giardiniere che i suoi due maestri. Ricordi che
Crowley si scoprì felice a condividere di nuovo da un altro punto di
vista, quello del bambino che lei e l'angelo avevano cresciuto
insieme, contro ogni più rosea aspettativa. Trovò curioso
approcciare alle stesse esperienze con occhi, significati e basi così
diverse. A Warlock non era mai sfuggito niente, era sempre stato un
bambino sveglio e attento, e adesso le stava dando prova della sua
memoria, della sua creatività e di tutto l'affetto che un bambino di
undici anni fosse capace di provare per un momento ben preciso della
sua breve vita. Crowley riusciva a distinguere un velo costante di
nostalgia nel tono del ragazzino, ma anche una altrettanto perpetua
gioia scaturita dalla ricondivisione di episodi vissuti insieme a lei
o a Francis, o dal racconto delle marachelle fatte a scuola o in
presenza dei suoi insegnanti privati di cui non aveva mai scoperto la
vera identità. La confidenza e la serenità con cui Warlock le
parlava e con cui ripercorreva il passato davano a Crowley
l'impressione che non fosse passato nemmeno un giorno dall'ultima
volta in cui si erano incontrati in quelle vesti e questo le scaldò
il cuore più di quanto sarebbe stata disposta ad ammettere a
chiunque, persino a sé stessa.
Tuttavia, tutta la simpatia che Crowley
sentiva nei confronti del bambino non fu sufficiente a risparmiarle
un certo tipo di imbarazzo che credeva che non avrebbe mai più provato in
vita sua, perché niente poté evitare che Warlock si tuffasse a
bomba direttamente nella sua vita privata. E un po', in effetti, la
donna avrebbe dovuto aspettarselo.
«Tu e Fratello Francis siete ancora
innamorati?» le chiese, infatti, di punto in bianco, con così tanta
naturalezza da prenderla del tutto in contropiede.
A quella domanda la testa di Crowley si
svuotò completamente. La facilità con cui quel ragazzino, a suo tempo,
aveva già capito tutto era tuttora capace di spiazzarla, ma la
domanda diretta, con quell'ancora pronunciato così
casualmente, la fece vacillare ancora di più. Forse l'interrogativo
giusto da porsi era se mai ci fosse stato un tempo in cui non
l'avesse amato, almeno da parte sua, ma Warlock questo non poteva
immaginarlo nemmeno lontanamente.
Deglutì a fatica, incespicò nelle
parole e nei gorgoglii gutturali, deglutì un'altra volta e poi
rispose: «Be', s-sì.»
«Come avete fatto?»
«Cosa?»
Warlock allargò le braccia
platealmente. «Tutti questi anni insieme! Come ci siete
riusciti?»
Crowley prese un grosso sospiro prima
di dire: «Non ne ho la minima idea, caro.» Non era solo una formula
con cui evitare domande sul fallimento del matrimonio dei genitori
del bambino: era la pura e semplice verità. Era anche abbastanza
sicura che se Warlock avesse posto la stessa domanda ad Aziraphale,
nemmeno lui avrebbe saputo dare una risposta diversa. O forse...
forse sì. Pensandoci bene, l'angelo si sarebbe lanciato in una
ispirata e lunghissima spiegazione sull'amore e i buoni sentimenti.
Spiegazione da cui Crowley sarebbe uscita rabbrividendo e fumando di
viscerale, tremenda, umanissima vergogna. E sapeva anche che
non sarebbe stata in grado di fermarlo, che sarebbe stata costretta a
sorbirsela tutta. Quello sì che l'avrebbe fatta discorporare, in
barba all'acqua santa.
D'improvviso la risata del bambino le
si insinuò nei pensieri e le immagini catastrofiche si dissolsero in
un battito di ciglia così come erano state generate.
«Che c'è?»
«Ti sei incantata, ti sei incantata,
ti sei incantata!» cantilenò Warlock, puntandole contro un dito e
coprendosi la bocca con l'altra mano.
«Io non–»
Il ragazzino allungò le labbra in
avanti in un finto bacio e si abbracciò stretto il busto,
ondeggiando a destra e a sinistra tra un mugolio e l'altro. Rise da
solo, compiaciuto di sé stesso, prima di sentenziare: «Che schifo!»
Crowley rimase di sasso per un momento
prima di spalancare la bocca: «Io non ti ho spiegato queste cose.
Noi non ti abbiamo spiegato queste cose.»
«Le sanno tutti.»
Crowley gli rifece il verso prima di
scuotere la testa senza speranza: urgeva un cambio d'argomento, e in
fretta, anche.
«Comunque, come va con i tuoi amici?»
optò per la prima cosa che le venne in mente per reindirizzare
l'attenzione su di lui. «Ne hai tanti?»
Crowley ricordava la festa di
compleanno del ragazzo, piena dei suoi compagni di scuola, ma il modo
in cui Warlock, del tutto abbandonata l'ilarità di poco prima, si
strinse nelle spalle in risposta la mise in allarme: quella sorta di
ferita indifferenza le risultava suo malgrado completamente nuova:
nei panni del suo insegnante privato non aveva mai avuto modo di
approfondire il lato più emotivo del ragazzino, quello che con la
tata non aveva mai faticato ad uscire allo scoperto. Negli ultimi sei
anni aveva assistito solo alle piccole ribellioni dovute al troppo
studio, al desiderio di giocare, alla voglia di uscire all'aria
aperta. Ribellioni che, in nome della buona riuscita del piano, aveva
sempre accolto e sostenuto con fervore, ma che raramente si erano
risolte in una sana chiacchierata o in confidenze. Il più delle
volte, come premio per le proteste gli aveva concesso di passare
tutto il pomeriggio incollato ai videogiochi, con le scarpe sul
divano e le mani unte di patatine fritte, tutte cose che poi facevano
infuriare sua madre. Utili, sì, ma forse Crowley aveva smesso di
conoscerlo a fondo e ora quella reticenza a parlare della sua piccola
vita sociale le faceva avvertire uno strano senso di angoscia, come
se si fosse dimenticata di vederlo davvero al di là delle ore
passate sui libri, come se non fosse stato altro che uno strumento necessario a fermare la fine del mondo. Il pensiero le torse lo stomaco.
«Warlock?» incalzò, la testa
leggermente inclinata.
«Sì, tutto bene... Siamo in tanti.»
Dietro le lenti scure, gli occhi di
Crowley si ridussero a fessure.
«Caro, ti ho insegnato io a
mentire,» rilevò, calma ma tagliente. «Forse è il caso di essere
sinceri, che ne dici?»
Warlock roteò gli occhi al cielo
sbuffando. Anche questo glielo aveva insegnato lei. «Non è facile
fare amicizia,» fu l'ammissione spontanea, seguita da un fugace
sguardo contrariato alla casa. Crowley fece rapida due più due:
poteva solo immaginare quanti ragazzini si avvicinassero a Warlock
esclusivamente per potersi vantare di aver giocato con il figlio
dell'ambasciatore americano, o per poter far visita a quell'immensa
villa, troppo grande per un bambino piccolo come lui. Non dubitava
nemmeno dell'insistenza delle famiglie alle spalle dei suoi compagni
di classe, con ogni probabilità desiderose di ricevere favori o
anche solo un briciolo di notorietà dalla frequentazione di un
funzionario estero.
La donna strinse il manico
dell'ombrello tra le dita guantate e per un lungo momento nessuno dei
due disse niente. Scoprì che le faceva più male del previsto
realizzare quell'aspetto lì: la solitudine di un bambino, la
consapevolezza di aver trascurato il lato emotivo della sua crescita
in nome del piano, l'orribile, pregnante sensazione di non
esserci stata abbastanza per lui quando ne aveva avuto più
bisogno... Ma come avrebbe potuto fargli ancora da balia nei panni
del suo insegnante di matematica?! Come avrebbe potuto insinuarsi
nella sua vita privata senza essere inopportuno, senza spingersi
troppo oltre e senza rischiare di compromettere la riuscita della
strategia condivisa da angelo e demone?
Crowley scosse la testa e distolse lo
sguardo per un momento.
Quelle erano tutte scuse. Convincenti,
sì, ma ugualmente scuse.
Lei conosceva la verità, ed era anche
molto semplice: avrebbe dovuto fare di più. E adesso che
aveva tutto il tempo dell'universo, che la fine del mondo era stata
sventata e che finalmente c'era un po' di pace nella sua vita,
Crowley sentiva di non essere più in grado di aiutarlo: i rapporti
angelici erano complicati, ma quelli umani erano la cosa più
sconclusionata che avesse mai visto. Se in tutti quegli anni era
riuscita a venire a capo di alcune dinamiche tra adulti, i
rapporti tra i bambini le erano pressoché del tutto estranei. Se li
avesse vissuti al fianco di Warlock nei panni della sua tata,
sicuramente li avrebbe capiti di più, li avrebbe visti crescere
insieme ai mocciosi, ma così... Come avrebbe potuto aiutarlo a farsi
nuovi amici? Lei conosceva solo...
Oh.
E se...?
«Sai,» iniziò, guardando di lato per
assicurarsi che Warlock la stesse ascoltando, «prima di tornare qui
ho conosciuto un ragazzino della tua età.» Silenzio. «Un gruppo,
in realtà. Tr– No, quattro,
come i...» come i Cavalieri dell'Apocalisse, ma certo,
diciamolo al bambino. Crowley
roteò gli occhi: quei mesi di pausa dai suoi doveri infernali le
avevano fatto perdere abitudini più che consolidate in tutti quei
millenni. «Come i Queen.
Comunque, un bel gruppo. Adam e... gli altri.»
Crowley non credeva
che Warlock potesse apparire più disinteressato all'argomento, con
le palpebre cadenti e la bocca floscia, eppure la sorprese chiedendo:
«Dove? Non conosco nessuno con quel nome qui.»
«Tadfield.»
«Ma non è
lontano?»
«Non molto. Ha un
cane.»
«Non ho mai avuto
un cane.»
«Penso che
andreste d'accordo. Sono molto–»
«Perché me lo
dici?»
Crowley sbatté le
palpebre un paio di volte prima di essere definitivamente certa di
non sapere quale fosse il significato nascosto dietro quella domanda.
Anche come suo insegnante non era stato sempre semplice leggere tra
le righe degli scatti e degli sbalzi umorali di un bambino in
crescita, soprattutto nel suo ultimo periodo di attività, ma Crowley
era sicura di star riscontrando più difficoltà del solito e che
questo in parte fosse dovuto alla familiarità con cui Warlock si
rivolgeva alla sua tata e che mai aveva riservato all'istitutore.
«Be',
perché penso che tu non abbia incontrato le persone giuste, caro,»
disse, paziente, anche se sentiva
di star camminando sul filo del rasoio. «Adam è un bravo ragazzo,
i suoi amici–»
«Sì,
ma perché?»
«Non
lo so, sono buoni e basta!»
Warlock
sbuffò come se avesse davanti un'idiota. «Io sono qui!
Non a Tadfield. I miei non mi faranno mai andare, è inutile.»
In nome di Qualcuno, una tragedia
per un problema logistico?!
«Perché no?»
disse Crowley, allargando le braccia. «Se fai i capricci, ti
manderanno con l'autista, come sempre.»
Ma la faccia di
Warlock, se possibile, si rabbuiò ancora di più. «Non funzionano
più, i capricci.»
«Ma se eri così
bravo!»
«Sono ancora
bravo,» la rimbeccò lui, l'orgoglio ferito palpabile nella voce. «È
che dicono che adesso devo smetterla, che sono cresciuto.»
«Stronzate.»
Warlock la guardò con gli occhi spalancati, ma Crowley non si
preoccupò di ritrattare. «Senti, a te piacerebbe conoscere questi
ragazzi?» Il bambino si strinse nelle spalle, come a dire Se
proprio devo, ma stavolta
l'altra non ebbe dubbi: Warlock moriva
dalla voglia di conoscere altre persone, soprattutto gente che la sua
tata gli aveva presentato come persone giuste per lui, dei possibili
amici, un gruppo di
amici, ma era così abituato ad essere solo da non osare nemmeno
concedersi il lusso di sperare di riuscirci. «Sì?» concluse dunque
da sé la donna, senza dargli l'opportunità di pronunciare anche
solo una sillaba che potesse andare contro quel desiderio. «Okay.
Allora io ti prometto che stavolta i tuoi capricci funzioneranno e i
tuoi ti permetteranno di andare a Tadfield tutte le volte che
vorrai.»
Warlock
sbuffò una risata di scherno. «Non succederà mai.»
«Fidati. Ti ho mai
deluso, piccolo mio?»
Il
bambino scosse la testa. «Ma per questo servirebbe un miracolo,
tata. Tu non puoi far accadere le cose solo...» Warlock si perse nel
tentativo di far schioccare le dita, ma Crowley lo precedette con un
pop forte e chiaro che
fece sorridere entrambi.
«Aspetta e vedrai,
tesoro.» gli disse, lasciando scivolare gli occhiali sul naso per
lanciargli un occhiolino. «Dovrai solo chiederglielo.»
Il ragazzino
sembrava ancora palesemente scettico, ma annuì comunque e Crowley
seppe che l'avrebbe fatto, che avrebbe chiesto ai suoi genitori il
permesso di andare a Tadfield e loro, senza alcuna rimostranza,
gliel'avrebbero accordato. Non sarebbe intervenuta su nient'altro,
però: sarebbe toccato ai ragazzi il compito di scoprirsi e di far
funzionare l'ipotesi che le era saltata in testa, perché faceva
parte della loro libertà, ma soprattutto perché lei non avrebbe
saputo neanche da dove cominciare.
Warlock fece per
dire qualcosa, ma il rumore di ruote sull'acciottolato del vialetto
lo fece voltare immediatamente nella direzione in cui si trovava
l'ingresso della villa. Dal punto in cui erano, gli alberi coprivano
la visuale, ma a nessuno dei due serviva vedere le automobili lucide
per essere certi del rientro dei Dowling.
«È meglio che
vada, caro,» suggerì Crowley. Warlock non protestò, ma le spalle
gli si afflosciarono di riflesso. La donna sapeva che se fosse stato
un pochino più piccolo, l'avrebbe pregata di restare ancora un po',
ma su un punto i suoi genitori avevano ragione: Warlock era cresciuto
e cominciava davvero a capire che ci fossero un tempo e un luogo per
ogni cosa, e tata Ashtoreth non era più parte di quella casa, non
per il resto della sua famiglia, almeno.
«Tornerai a
trovarmi, un giorno?» le chiese.
Erano passati sei
anni, ma quella domanda era rimasta ferma nel tempo. Crowley sorrise.
«Ma certo.»
«Porterai anche
Francis?»
«Sì.» Sì.
Ad Aziraphale avrebbe fatto piacere.
Sulle labbra di
Warlock tornò il sorriso, ma Crowley lo vide per un secondo appena:
il bambino le si gettò al collo e la strinse forte. Era un abbraccio
diverso da quello che lei ricordava: stavolta c'era la certezza che
la tata sarebbe tornata da lui, che l'avrebbe fatto contento e che
non l'avrebbe mai davvero lasciato del tutto. Era stata di parola una
volta, non c'era ragione di credere che non lo sarebbe stata ancora e
ancora e ancora.
«Arrivederci,
tata.»
Crowley lo
abbracciò stretto a sua volta.
«Arrivederci,
piccolo mio.»
–
La donna si lasciò cadere sulla solita
panchina di St. James con l'animo più leggero. Quello che aveva
fatto era stato relativamente semplice, almeno a parole, ma la fatica
che le era costato le faceva quasi pensare di aver compiuto
un'impresa tra le più grandiose, una di quelle per cui un wahoo
all'Inferno sarebbe stato solo il preludio di un festeggiamento
pazzesco, da ricordarsi nei secoli a venire, un'impresa che avrebbe
fatto scuola ai demoni e che sarebbe stata vista dall'Alto come una
minaccia tanto spaventosa quanto irripetibile. Un'impresa che avrebbe
reso Crowley un esempio da seguire e un monito da cui tenersi alla
larga.
Fu con questo spirito che sospirò e si
tolse il cappello.
Fu con tutt'altro spirito che
affrontò il resto.
«Ti dispiace se mi unisco a te, cara?»
Crowley non si preoccupò neanche di
mascherare la sonora imprecazione che le sfuggì di bocca.
«Che diamine ci fai qui?!» chiese
mentre Aziraphale prendeva posto accanto a lei.
«Come sta Warlock?»
Crowley boccheggiò come un pesce rosso
nel tentativo di mettere le parole nel loro ordine corretto. Quando
ci riuscì, il risultato fu comunque un balbettio imbarazzato:
«C-C-Come lo sai?»
Aziraphale le riservò uno sguardo
penetrante. «Davvero? Mia cara, devi essere più sottile la prossima
volta se non vuoi farmi sapere dove vai. Ti ha tradita il profumo da
donna, credo.»
Crowley alzò gli occhi al cielo e
annuì, sconfitta e improvvisamente colpevole. «Non è che non
volessi fartelo sapere,» borbottò con una smorfia. «È che... Oh,
che ne so. Te l'avrei detto più tardi, giuro.»
L'angelo sorrise con tenerezza. «Non
serve, Crowley.»
«Glielo avevo promesso.»
La donna evitò accuratamente di
incrociare lo sguardo dell'altro, ma questo non fu sufficiente a
tapparle le orecchie contro i versi deliziati emessi dall'angelo, a
metà tra lo squittio di un topo e il fischio di un bollitore.
«Oh, smettila, è imbarazzante,»
tentò, ma Aziraphale alla voce aggiunse una mano posata sulla sua,
gesto che placò qualunque ulteriore protesta da parte sua.
«Vedi che ho ragione, Crowley?»
continuò l'angelo, felice.
«Su cosa?»
«In fondo, tu sei davvero...»
«Oh no, zitto.»
«... una persona splendida.»
Crowley sospirò pesantemente. «Ora
sei contento, immagino. Se non lo dici almeno due volte a settimana
non va bene, no?»
Aziraphale rise. «Tieni il conto, per
caso? Adorabile.»
Sì, certo che teneva il conto.
Non che fosse difficile: a Crowley bastava tenere a mente quante
volte in una settimana si fosse imposto di non urlare in preda a una
crisi isterica e il gioco era praticamente fatto. «No, è solo una
battuta,» mentì.
«Come dici tu.» Aziraphale rafforzò
la stretta sulla mano e Crowley si decise finalmente a ricambiarla:
era una battaglia persa ogni volta e sapeva che prima o poi avrebbe
smesso anche di iniziare qualsiasi forma di ostruzionismo nei suoi
confronti.
Non oggi.
«Sta bene, comunque, e in matematica è
sempre bravissimo,» fornì dopo un attimo di silenzio. «Ti saluta.
Cioè, saluta Francis. La prossima volta vuole anche te.»
«Che caro ragazzo,» commentò
l'angelo. Poi aggrottò la fronte. «Avete parlato di me?»
«Non ha dimenticato me, figurati il
giardiniere con i favoriti fuori moda da almeno cent'anni.»
Aziraphale assottigliò le palpebre, ma
non accolse la provocazione. «È stato gentile. Ha evocato bei
ricordi legati a me, spero... Non è vero?»
Crowley annuì. «Stranamente ricorda
con piacere entrambi. Gli abbiamo dato la peggiore educazione al
mondo, ma ci ricorda con affetto.»
L'angelo rise. «Abbiamo lasciato il
segno, evidentemente.»
«Più d'uno, direi. Mi ha anche
chiesto se stiamo insieme.» Ancora. Se stiamo ancora insieme,
ma questo non le parve il caso di precisarlo, soprattutto sentendo
l'angelo trattenere distintamente il fiato. Lo guardò in viso. «Gli
ho detto di sì.»
«Oh.» disse Aziraphale. «Be', è...
è vero.»
Crowley annuì. «Certo. Ma dirlo a un
bambino di undici anni e mezzo è stato... strano.»
«Non è l'unico a saperlo... Anathema
e Newton... Credo che anche la signora al piano di sotto lo sappia
già. Mi saluta sempre.»
«Questo è quello che dirai ai
giornalisti quando verranno ad arrestarla per omicidio?»
«Che intendi dire? È un'assassina?!»
«No, non lo so... È un modo di dire,
lascia stare. E comunque è stato strano.» Fece una piccola pausa
prima di precisare: «Strano buono.»
Crowley non stava guardando nella
direzione di Aziraphale, ma in qualche modo era certa che l'angelo
stesse sorridendo.
«È quello che è,» lo sentì dire.
È quello che è, ripeté lei
nella sua testa, stringendo la mano dell'altro appena più forte. È
quello che è sempre stato.
Aziraphale rafforzò la presa a sua
volta e Crowley seppe di essere stata ascoltata.
Dietro le lenti i suoi occhi sorrisero.
Angolino di Menade Danzante.
Salve!
Anche questo mese
per la ToBeWritingChallenge2023
di
BellaLuna
sono in
assoluto anticipo, ovvio. Stavolta il prompt è “Domestic fluff”,
che non so se ho rispettato oppure no! Questa OS era partita corta
corta, poi mi è sfuggita di mano, ma ho
deciso in perfetta autonomia che la
semantica di “Domestic” può essere molto ampia e alla fine
eccomi qua (se stai leggendo, Bellaluna, e non ritieni che ciò sia
possibile, ti chiedo scusa ed eliminiamo la storia dall'elenco:
tracotante sì, ma fino a un certo punto, ahah!).
Io non ho ancora visto la
stagione 2. Questo sviluppo fa sempre parte della mia serie, non del
canone attuale. Non ho idea di quanto le cose stiano andando
diversamente (al di là del trailer, io ho evitato qualunque
spoiler), lo scoprirò, però io a questo mio personalissimo sequel
tengo tanto e, tempo e ispirazione permettendo, continuerò a
tornarci su.
Io vi ringrazio immensamente per essere
arrivat* fin qui. Vi abbraccio forte!
Alla prossima,
Menade Danzante
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