Challenge: “To a
better place” - organizzata dal gruppo Facebook “Hurt/Comfort Italia - Fanart e
Fanficiton”
Prompt: 17. X scopre il
segreto di Y e 54. Amici di un tempo di Valentina Baschetti
44. Metabolismo di Paola Marino
Genere: drammatico
Tipo: one shot
Personaggi: Wakatoshi Ushijima, Tooru
Oikawa
Rating: PG-17, arancione
Avvertimenti: death-fic,
angst, slice of life, tematiche delicate (malattia terminale)
PoV: terza persona
Spoiler: sì, post time skip
Disclaimers: i personaggi non sono
miei, ma di Haruichi Furudate.
I personaggi e gli eventi in questo racconto sono utilizzati senza scopo di lucro.
Questa
storia è candidata agli Oscar della Penna 2024 indetti sul forum “Ferisce la
penna”
Rimpianti
I corridoi di quella struttura avevano quel
indefinito colore verde e bianco, l’odore di disinfettante e ammoniaca pervadeva
l’aria, detestava quel genere di luoghi, li odiava con tutto sé stesso e mai
avrebbe pensato di recarsi in un posto del genere di propria iniziativa, eppure
eccolo lì a seguire quella donna magra e austera che lo accompagnava per il
dedalo di corridoi della clinica.
Lunga degenza.
La scritta campeggiava in rosso sopra la
porta vetri che oltrepassarono.
“Dove l’ho già vista lei?” domandò la donna
riportandolo alla realtà, l’uomo si sistemò gli occhiali sul naso, sorridendo
affabile.
“Forse in televisione, tanto tempo fa…”
mormorò e la sua voce calda e profonda riecheggiava nel lungo corridoio.
L’infermiera si fermò davanti alla porta con
un sospiro scuotendo il capo.
“Non viene mai nessuno a trovarlo. Lei è il
primo amico dopo tanto tempo” gli confidò e la sua voce si addolcì.
“Non siamo amici…” sussurrò più a sé stesso
che a beneficio dell’infermiera, un altro rimpianto che si andava a sommare
alla sua lunga lista.
“Rimanga pure tutto il tempo che desidera, a
lui, purtroppo, non ne rimane ancora molto…”
L’uomo fece un respiro profondo ed entrò
nella stanza, restando per un lungo momento in silenzio guardandosi intorno: la
stanza era triste e spoglia, non un fiore, non una immagine, solo un pallone da
pallavolo mezzo sgonfio in un angolo.
Posò il capotto sulla sedia di ferro e si avvicinò
al letto, le sue scarpe producevano un suono stridente sul linoleum chiaro e
macchiato.
Aveva perso le sue tracce dieci anni prima,
quanto inaspettatamente all’apice della sua sfolgorante carriera di pallavolo
si era ritirato.
Wakatoshi Ushijima, cannone del Giappone, aveva
abbandonato la pallavolo all’improvviso, lo aveva annunciato con un breve
comunicato stampa: motivi personali, non era trapelato altro e poi era come
scomparso nel nulla.
Ma quello che giaceva in quel letto non era l’uomo
che conosceva un tempo, consumato e logorato da una malattia spietata e senza
scampo.
Stentò a riconoscere Wakatoshi in quel corpo
scheletrico avvolto dalle lenzuola bianche, le sue guance scavate, la pelle
pallida e sudata testimoniavano la sua lotta contro una malattia terminale, i
capelli radi e ingrigiti.
La sua figura, una volta imponente e piena di
vigore, era ora fragile e debilitata. Le sue mani, un tempo forti e capaci di imprimere
al pallone una potenza incredibile, ora giacevano immobili sulle coperte, prive
di energia, con le vene pronunciate che spiccano sulla pelle macchiata.
“Ushijima…” lo chiamò con voce strozzata, gli
occhi dell’uomo impiegarono una eternità ad aprirsi e metterlo a fuoco. Quello
sguardo, una volta vibrante e vivo, era opaco e sfocato, incapace di riflettere
la vitalità di cui un tempo era dotato.
“Tooru…” bisbigliò riconoscendolo incredulo,
nonostante la malattia che lo attanaglia, l'uomo emanava una forza silenziosa e
struggente.
“Tooru…” ripeté, lo aveva chiamato per nome
solo un’altra volta, tanto tempo fa; Oikawa sentì gli occhi riempirsi di lacrime,
si sedette sul bordo del letto incapace di stare ancora in piedi.
Da quando Wakatoshi era scomparso dalle
competizioni, per Oikawa era diventato una ossessione, aveva chiesto a chiunque
cosa gli fosse accaduto, perché il numero di telefono che possedeva risultava inesistente,
perché si fosse ritirato dal mondo oltre che dallo sport che amava tanto.
Nessuno sapeva dargli una risposta, nessuno.
Non Iwaizumi, non il coach Hibarida, nemmeno Tendo, ma lui aveva continuato a
cercarlo spinto da qualcosa che non comprendeva fino in fondo.
Fino a quando per puro caso aveva scoperto il
suo segreto e ne era rimasto distrutto.
“UshiWaka-chan…” sussurrò dolcemente asciugandosi
le guance, prendendogli la mano nella propria era fredda e sudata, gli sembrava
così fragile.
Il respiro di Wakatoshi era un sottile sospiro,
un rantolo doloroso, uno sforzo continuo per restare aggrappato alla vita, perché
nonostante la malattia che minava il suo corpo, Wakatoshi era un uomo tenace
che avrebbe lottato fino all’ultimo fiato.
“Perché non me lo hai detto?” sussurrò l’alzatore
con una nota di rimprovero nella sua voce e un pallido sorriso stirò le labbra
secche dell’altro uomo.
“Non volevo che mi vedessi in queste misere
condizioni” sussurrò con immensa fatica stringendo appena la mano nella sua.
“Perché sei qui da solo…” chiese guardandosi
intorno, fuori tirava un vento gelido, forse avrebbe nevicato “Dove sono i tuoi
amici di un tempo?”
Wakatoshi chiuse gli occhi, il suo petto di
alzava e si abbassava molto lentamente, riaprì gli occhi senza rispondere.
“Siamo soli…” mormorò tristemente per lui Tooru,
comprendendo. Lui e Wakatoshi erano amaramente simili, avevano sacrificato tutto
per la pallavolo, per la loro carriera e ora restava solo cenere. Tutti si erano
allontanati da loro non comprendendo la loro passione - ossessione - per quello
sport.
Ushijima fece un lieve cenno di assenso.
“Tua moglie?”
Tooru fu preso alla sprovvista a quella
domanda, si scostò i capelli dalla fronte con un gesto stizzito e un sorriso
amaro gli piegò le labbra.
“Ho divorziato tre anni fa, credo che ora sia
alle Maldive con il suo nuovo compagno che ha dieci anni meno di me…” confessò
a denti stretti.
“Tua figlia…”
Gli occhi di Oikawa si fecero tristi e lontani
“Siamo sempre stati due estranei e mi assomiglia troppo testarda e orgogliosa. Si
sposa il mese prossimo… non mi ha invitato…”
La stretta sulla sua mano si fece un po’ più
forte.
***
Oikawa tornò ogni giorno, non sapeva quanto
tempo rimaneva a Wakatoshi, ma voleva passare tutto quello che poteva con lui:
passava ore in quella stanza. Un giorno aveva portato con sé un album con
vecchie foto, si era sistemato accanto all’altro uomo e sfogliava le pagine
ricordando i tempi passati. Ushijima parlava poco, affaticato dalla malattia e
dai farmaci, che gli avevano incasinato per bene il metabolismo, ma ascoltava
la voce calda di Tooru che raccontava o che leggeva per lui.
Con estrema fatica, Ushijima batté un dito su
una foto dove Oikawa aveva un broncio lunghissimo.
“Avevamo perso contro di voi, in prima media”
spiegò con un sorriso “Mio padre l’ha stampata per ricordarmi che non si può
sempre vincere che è dalle sconfitte che si cresce” illustrò con tanta
nostalgia nella voce “Io ero solo arrabbiatissimo con te…” sussurrò restando
poi in silenzio per un lungo momento.
“A volte ci penso sai…” iniziò Tooru, dopo un
po’, chiudendo l’album fissando il soffitto, giunti a quel punto tanto voleva
essere sincero “Forse se fossi venuto allo Shiratorizawa tutto sarebbe stato
diverso…”
Fuori nevicava violentemente e nella stanza c’era
un profondo silenzio rotto solo dai loro respiri.
“Hai avuto una vita piena di successo, Tooru…”
“E piena di rimpianti…” mormorò alzandosi,
posando l’album sul comodino “Piano piano senza rendermene conto ho allontanato
tutti, amici, parenti… mia moglie… mia figlia… conclusa la carriera mi sono
trovato da solo…” mormorò battendo la mano sulla copertina di pelle “Quando
eravamo giovani mi credevo invincibile… che nulla mi avrebbe fermato, che avrei
avuto il mondo ai miei piedi… che chiunque… mi avrebbe… aspettato…” la sua voce
si spezzò, deglutì un paio di volte.
“Tooru…” lo chiamò Wakatoshi facendolo
voltare “Smetti di venire a trovarmi… recupera il rapporto con tua figlia… tu
hai ancora tempo… non buttarlo via” consigliò ma l’altro uomo scosse la testa.
“Verrò anche domani e dopodomani… nessun uomo
merita di moire da solo” sussurrò con un sorriso stanco passandosi le mani sul
viso “Spero solo che quando accadrà a me, ci sia qualcuno a farmi la stessa
cortesia” bisbigliò indossando il cappotto.
“Iwaizumi?”
Una risata secca e amara priva di allegria
riempì la piccola stanza “Iwa-chan ed io non ci parliamo più da anni… credo viva
in America adesso…” spiego “Ma non voglio tediarti con la mia miserabile vita,
Wakatoshi… ci vediamo domani…”
L’inverno passò e cedette il posto alla
primavera. Dalla stanza di Ushijima si potevano vedere i ciliegi in fiore.
“È una bellissima giornata di sole vuoi che
ti accompagno un po’ fuori? L’aria fresca ti farà stare sicuramente meglio”
chiese continuando a guardare il cielo terso e limpido, Ushijima non rispose,
Oikawa si volse con il cuore in gola avvicinandosi al letto. Il medico che aveva
in cura Ushijima gli aveva detto che era questione di giorni, che da quando aveva
iniziato ad andare a trovarlo, Wakatoshi si era aggrappato alla vita con una
caparbietà nuova, ma il suo corpo era logorato e stanco.
“Toshi…” chiamò incerto e tirò un sospiro di
sollievo quando l’uomo aprì gli occhi e tese la mano e la posò sulla sua
guancia tiepida.
“Tu credi nella reincarnazione, Tooru?”
“Io credo negli alieni, Toshi…” sorrise, ma
nonostante Ushijima avesse gli occhi aperti i suoi occhi non lo vedevano.
“Sì, ci credo” rispose posando la mano sul
quella di Wakatoshi ancora sulla sua guancia.
“Non hai mai alzato per me…” sussurrò con
immensa fatica.
“È tristemente vero…” ammise mentre i suoi
occhi si riempivano di lacrime e la sua gola si stringeva in una morsa dolorosa.
“Se mai ci reincarneremo… vorrei che le cose,
tra noi, fossero diverse…”
“Lo saranno…” promise stringendo la sua mano
e portandosela alle labbra.
“Di tutti i miei rimpianti quello più grande
se tu, Tooru…”
“Toshi…” singhiozzò Oikawa sentendo la mano
che stringeva farsi più pesante e scivolare sul materasso priva di vita.
“Toshi…” lo chiamò piano, ma sapeva che non
ci sarebbe stata risposta “Toshi…” tentò ancora, ma rispose solo il silenzio.
Oikawa rimase accanto al corpo dell’uomo, piangendo
lacrime silenziose: ora era davvero solo.