Les mots que nous ne nous disons pas

di Zomi
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Le avrebbe strappato le corde vocali dalla gola volentieri.
Quando la sua voce urlava ordini a destra e a manca, sbraitando di ammainare questo o di fissare meglio quello, Zoro avrebbe voluto volentieri prendere la lingua di Nami e farci un bel nodo.
Erano volte in cui il tono della cartografa diventava duro, grezzo, maleducato e irritante per ogni udito.
Le note acute, gli ordini strillati e perentori, l’autorità di cui auto si eleggeva unica depositaria e che calzava in ogni parola echeggiata su chiunque arbitrariamente.
La voce di Nami era insopportabile.
Lo era davvero.
Alcune volte.
Alcune volte Zoro odiava la voce di Nami.
Altre di più.
Quando miagolava per ingraziarsi il cuoco, cinguettando al suo orecchio per un piatto speciale o un favore particolare.
In quelle occasioni avrebbe preferito di gran lunga che fosse muta.
Ma poi se ne pentiva.
Perché, come esisteva la voce imperiosa e melliflua, esisteva anche la voce di Nami.
La sua Nami.
Dolce, gentile, come miele per l’udito.
Composta da vocali delicate, suoni ovattati e dal timbro leggero.
Da gatta vogliosa di fusa, da ladra di sospiri.
La voce del mattino, che lo cullava verso il risveglio.
La voce della notte, che cullava nel sonno più calmo.
La voce di Nami, che senza suonare, lo raggiungeva in ogni allenamento, con la risata che rotolava come un mandairno fino ai suoi pesi.
La voce di Nami che non lo chiamava per il pasto quotidiano, ma glielo portava, con un sospiro, un rimprovero delicato e una carezza.
Detta, non data.
Dolce, come miele.
Gentile, come fusa.
Piacevole come solo lei poteva essere.
Milozvučan come la sua Nami.

 

Milozvučan, avere una voce dolce e gentile,
particolarmente piacevole per l’orecchio. (Serbo)





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