Il fetore.
Il fetore resta la firma di Night
City. Non le illusioni promesse dalle luci al neon o il frastuono delle
sparatorie per i vicoli e le strade…
Ma il fetore, vero e violento come
un pugno allo stomaco, che ti perseguita anche quando il vento soffia
dal mare:
smog, morte, cemento e troppe vite. Il luogo che li ha accolti ne è
quanto più
lontano possibile senza uscire dalla città: quella solitaria banchina
che li ha
visti già una volta vincitori di gare clandestine. Il posto perfetto
dove far
sparire il furgone con il quale hanno portato So Mi allo spazioporto e,
a
giudicare almeno dai rottami arrugginiti e mezzo sommersi che già li
circondano,
la loro non è stata un’idea originale. Ma non serve che lo sia: il
posto
migliore dove nascondere un albero, rimane la foresta.
“E ora?”
Non sa se è lei o Johnny a
mettersi in bocca una sigaretta, ma non ha poi importanza: è stata una
lunga
notte. Uno di loro poteva anche permettersi di soddisfare i suoi vizi:
“Ora? Ora diciamo addio… ai tuoi
sogni di vivere una vita lunga e felice.”
Se in fondo Johnny Silverhand avesse
mai imparato come stare zitto, non sarebbe stato il rockerboy di una
generazione:
“Eh… Non ho intenzione di
arrendermi.”
“Cazzo no. Non credo ricordi
nemmeno come si fa.”
“…Dovresti saperlo: sei nella mia
testa.”
Ed era da un po’ di tempo che V
non sentiva il bisogno di dirlo ad alta voce: di parlare con lui come
se fosse
una persona reale, e non un engramma che usava il suo cervello per
esistere.
“Non ricordamelo… ti sei fatta dei
nemici, V. Potenti. Mayers non te la farà passare liscia. Non dopo che
le hai
ammazzato il segugio preferito.”
La mercenaria fece spallucce: se
sei un Solo a Night City, la morte diventa in fretta una deformazione
professionale. La tua inclusa:
“Se scoppiasse un’altra guerra…
Reed sarà stato solo il primo a cadere… saranno così tanti.”
Pupazzi… no, pedine, schierate su
una scacchiera di cui non avrebbero mai visto i confini, e manovrati da
intenti
che non avrebbero compreso mai prima che arrivasse la loro fine.
Ciechi al qui e ora, che
avevano sotto gli occhi ogni momento:
“Reed combatteva la sua guerra
privata, per i suoi principi. Chooms come quelli? Nessuno si ricorda
mai di
loro. Nessuno.” annuì il rockerboy.
E loro non erano poi così diversi.
Cosa poteva succedere però, ad un pedone che arrivato all’ultima fila,
decideva
di continuare ad avanzare?
“Devo… dobbiamo continuare a
muoverci. Se vogliamo trovare una via d’uscita.” gli rispose V,
lanciando il
mozzicone nel mare.
Una delle ultime sigarette di
Parker… una marca strana, che le lasciava sempre un gusto di menta
sulla lingua
e l’inizio di un mal di testa dietro la sua ottica.
Il cyberware non può urlare, ma i
suoi potenziamenti non avevano smesso di parlarle un momento in quelle
ore e la
loro canzone era ormai un coro di sovraccarichi e statiche, col biomon
che le
consigliava di cercare soccorso medico nel medio periodo. E dormire.
Dormire sembrava il paradiso in
quel momento:
“Direi che hai ragione. Incasinare
i piani NUSA, mandare un cyborg mezzo morto in orbita? Mattoni per
quell’edificio chiamato leggenda. Ma l’orologio sta correndo, amica
mia. Stai
morendo, e dobbiamo fare qualcosa.”
Vik… dovevano andare da Vik: alzando
le braccia per ispezionarle, V notò con distacco che aveva pezzi di
truppe
speciali NUSA addosso. L’uscita del monofilo ad esempio, grondava
ancora sangue
e grasso rappreso dalla velocità delle fruste, ormai ossidatosi col
colore
dell’ambra. Per fortuna aveva da tempo adattato la sua tuta da
netrunner perché
quegli impianti avessero un’asola, o quello schifo sarebbe già colato
fino ai
gomiti…
Munizioni? I suoi impianti da
palmo la informarono che aveva solo mezzo caricatore di munizioni HE. 6
colpi…
ma almeno il Pozhar era ancora funzionante: i pregi di un’arma
totalmente
analogica, in un’epoca in cui alcuni imbecilli volevano IA perfino
nelle loro
pistole…
Lo aveva usato per spaccare caschi
quella notte, e i crani sottostanti, prima di aprire il fuoco:
“Vik.” ripeté V rinfoderando lo
shotgun automatico: “…Poi una doccia e munizioni.”
Il primo passo lo compì
appoggiandosi alla ringhiera. Il secondo andò da solo, per quanto
malfermo.
Il resto seguì per abitudine e
disprezzo. Non sarebbero morti lì.
“Ehi, V.”
“…Stai zitto, Johnny.”
L’adattatore cellulare aveva tenuto,
ma almeno un osso le sfiorava un polmone ogni volta che inspirava. Non
male,
per qualcuno che si era fatto sostituire l’intero scheletro con una
lega di cui
il principale costituente è il grafene, e si era rivestita gli organi
con ulteriore
corazzatura. Per aver passato la notte in uno scontro a fuoco con le
forze
speciali NUSA, se l’era cavata alla grande:
“Mi chiedevo… perché l’hai mandata
in orbita?”
“…Lo sai perché.”
“Credo che ti farebbe bene dirlo
ad alta voce. Per entrambi.”
Molto presto nel loro rapporto
obbligato, V aveva capito che solo imponendo dei limiti, delle regole
da
seguire, Johnny l’avrebbe rispettata. Qualcuno fra loro due doveva pur
farlo. Meglio
quindi che la parte della stronza la interpretasse il Solo venuto dalla
strada,
piuttosto che il rockerboy edonista.
Però… però di tanto in tanto… il
rockerboy aveva ragione. V era sicura che Hellman avrebbe vomitato
qualche
idiozia a proposito di come la reliquia riscrivesse i suoi percorsi
neurali in
quell’occasione, ma cosa ne capiva davvero un ratto corporativo?
Sociopatici
con un occhio agli eddies e l’altro a diagrammi costi-benefici… e
nessuna idea
di cosa vivere volesse davvero dire: specie con sé stessi.
“L’ho fatto… perché è quello che
più di ogni altra cosa avrei voluto per me stessa. Come potevo far
altro che
aiutare qualcuno… come me?”
Perché So Mi e V erano davvero
simili: stesso background, attitudini simili. Stessa marcia sfortuna:
mandarla
verso la salvezza sulla Luna era stato dolce e amaro allo stesso tempo
per V,
ma solamente perché nel salvare quella che la Solo considerava già
un’amica,
l’avevano persa.
Ma su questo Johnny preferì non
fare commenti: il fantasma di Jackie era pesante già abbastanza, e per
entrambi.
“Avresti potuto darla a Reed…”
“No. Non davvero. Oh, certo, la
possibilità esisteva, ma il costo era troppo alto.”
“Cosa ha detto Rogue quella volta?
Allettante ha un prezzo che non puoi permetterti…”
“È il contrario: è un prezzo che
non voglio pagare. Tutti moriamo, Johnny. E io… io voglio farlo potendo
ancora
guardarmi allo specchio, trovando me. Non un rockerboy morto da anni.
Non un
mercenario che ha venduto anche le tette al miglior offerente. O una
bestia
‘borg coi tremiti per la cyberpsicosi imminente. Me. E ammazzerò
chiunque si
metterà tra me e quell’obiettivo.”
Sé stessa: come figlia di Heywood,
V non aveva mai avuto molto altro. Non latina abbastanza da unirsi ai
Valentinos e con troppo rispetto per sé da corteggiare gli Scav… e alla
fine,
quel rispetto era stato abbastanza per fare la differenza.
V era diventata un Solo perché non
le era mai stato concesso di dimenticare come combattere.
Sé: Silverhand rifletté un momento
su cosa quelle due semplici lettere significassero per Valerie
Winckowski… e
gli venne da sorridere.
C’erano gonk che bruciavano eddies
e anni per capire chi fossero, strisciando da una livrea ad un’altra
senza
meta, alla ricerca di gloria e identità… Johnny stesso aveva dovuto
riconoscere
che anche lui era stato parte di quella categoria…
E poi c’erano quelli come V, che
avrebbero voluto solo avere abbastanza eddies da essere lasciati in
pace dal
mondo: saggi e sfortunati… che avrebbero meritato di essere celebrati.
No, quelli come V non se ne
sarebbero mai andati senza imprimere il ricordo di loro stessi nella
memoria
collettiva di Night City.
“…Ti prego, non metterti a
comporre canzoni mentre ho pezzi di forze speciali NUSA addosso.”
“Qualcuno direbbe che è il momento
perfetto.”
“Fottiti Johnny.” esalò V con un
sorriso cattivo: “…Aspetta almeno che stia facendo munizioni. Lì il
cervello
non mi serve.”
“…Ehi V?” chiese ancora Johnny
dopo un momento.
“Sì?”
“È stata una buona giornata, non è
vero?”
“…La migliore da un po’.” assentì V guardando l’orizzonte.
Panam una volta aveva confessato,
guardando la vecchia stazione dei treni nelle badlands, che tutti quei
binari
le davano speranza.
Mentre il primo razzo passeggeri
del mattino decollava, V e Johnny dovettero ammettere che la Nomade
aveva avuto
ragione.
Speranza. Che cosa dannata. |