Non morirò

di Keeper of Memories
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Prompt: le carezze sui graffi si sentono di più.

 

 

Al suo rientro, la prima cosa che Ivan sentì fu l' acre odore di fumo di sigaretta. Gilbert si stava dondolando pigramente sulle gambe posteriori di una delle sedie della sala da pranzo, i piedi posati malamente sul tavolo.

«Dove sono gli altri?» chiese, riponendo il pesante cappotto sull'appendiabiti.

Gilbert non rispose subito, sbuffò l'ennesima nuvola di fumo e sospirò.

«Est e Liet sono di sopra a riempire scartoffie e rispondere al telefono. Lat è corso via biascicando qualcosa sui treni. Non ho idea di dove siano le tue sorelle, non sono la loro balia.»

La figura imponente di Ivan si stagliò al fianco del tedesco, nascondendo dal volto di Gilbert la scarna luce che illuminava la stanza.

«Non sei la loro balia... eppure hai molto tempo da perdere, mi pare.»

Ivan non era contento. La sua voce non cambiava mai di mezzo tono, eppure tutti i suoi sottoposti sapevano sempre quando era arrabbiato. Questo non sembrava valere per Gilbert, anzi forse nemmeno gli importava.

«Ho già fatto quello che mi hai detto di fare.»

Il tedesco si dondolò un'ultima volta, poi tolse i piedi dal tavolo e si sedette normalmente.

«Sai benissimo che è la guerra il mio forte, no?» aggiunse, senza mai staccare gli occhi purpurei dal volto fanciullesco di Ivan «I tuoi superiori sembrano non volerne scatenare nemmeno mezza, per cui ti sono totalmente inutile.»

«E da quando hai il permesso di parlarmi in questo modo?»

Gilbert si alzò di scatto, il volto a pochi centimetri da quello di Ivan, che non batté ciglio.

«Fai il duro con me, adesso? Tsk. Non ci provare nemmeno...»

La mano di Gilbert scivolò rapida su quella del russo, che strinse saldamente. 

«...non in queste condizioni.»

Ivan sussultò leggermente, ma non abbassò mai lo sguardo. Le sue mani erano di un rosso acceso, scottate e graffiate dall'inclemente inverno moscovita.

«Non è nulla di nuovo» disse, ed era vero. Dacché ricordava, le sue mani erano sempre state così, aveva smesso di preoccuparsi del dolore molto tempo fa.

«Oh, davvero? A me sembrano peggio del solito.»

Il pollice di Gilbert tracciò lentamente il profilo di una chiazza rossastra e Ivan credette di bruciare. Strinse la mano del tedesco nonostante tutto, perché le carezze sui graffi si sentono di più e mai come in quel momento desiderava il calore di quel contatto.

«Ho ucciso una lepre.»

Gilbert alzò gli occhi al cielo. Conosceva Ivan a sufficienza da sapere che mentiva. Non che lo ritenesse incapace di uccidere, anzi, nella sua lunga vita di Nazione lo aveva visto commettere atrocità tremende. La sua violenza però era sempre perfettamente indirizzata, Ivan aveva sempre uno scopo, un obiettivo a cui puntare. L' assenza di una potenziale lepre per cena poteva significare solo una cosa.

«Menti. Tu non hai ucciso proprio nessuno.»

«Che importanza ha? Il risultato è lo stesso.»

Ivan sorrise, il sorriso rassegnato di chi ha accettato il proprio destino. Gilbert invece sogghignò.

«Sei un bastardo fortunato, allora» disse, portandosi la mano di Ivan alle labbra «Io sono proprio duro a morire.»





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