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Capitolo Primo ---
Era sdraiata
su quel prato da ore ormai. Il crepuscolo illuminava il
cielo di un dolce color arancio ma lei non aveva alcuna intenzione di
muoversi da lì.
La foresta era un luogo che amava tantissimo e dove, sin da piccola,
amava trascorrere la maggior parte del proprio tempo in solitudine e
tranquillità.
Un leggero venticello autunnale le scompigliò i corti
capelli
castani, gelandole il collo scoperto e un brivido le percorse la
schiena mentre si metteva seduta su quell'erba appena umida.
Aprì gli occhi marroni e si osservò attentamente:
maglia a strisce nere e fuxia a giro maniche, minigonna di jeans e
stivali neri in pelle.
Certo non era un abbigliamento adatto al mese di settembre.
Si sgranchì le braccia per poi alzarsi lentamente,
osservando il laghetto dinnanzi a sè.
Si
era trasferita da poche settimane a Feel's Church e l’unico
luogo dove
si sentiva davvero a casa era quella foresta a pochi passi dalla
villetta dove abitava con sua madre Rosalie e suo padre Joseph.
Non
riusciva ancora a capire bene cosa ci avessero trovato di interessante
in quella cittadina, i suoi genitori; una città dove
negli ultimi tempi si
erano solo manifestati incidenti, a quanto sembrava, molto pericolosi,
a detta dei racconti delle vicine - pettegole - di casa.
Ma dopotutto, per due
scrittori di romanzi gialli, una città misteriosa come
quella non poteva
essere altro che
un’ottima fonte d’ispirazione per i loro racconti.
I suoi
genitori si erano conosciuti ad un concorso per aspiranti scrittori e
da lì era nato il loro amore. Anche lei, come loro, aveva il
dono della
scrittura e un giorno avrebbe intrapreso la loro strada lavorativa.
Il cellulare le squillò improvvisamente, facendo risuonare
una canzone degli Evanescence in tutta la foresta e qualche animale
più sensibile si levò in alto,
infastidito dal volume alto della suoneria.
Si sbrigò a premere il pulsante verde e a rispondere
frettolosamente, aspettandosi già chi fosse dall'altro capo
del dispositivo mobile
«Pronto?»
rispose con voce flebile e dolce
«Sabrina, dove diavolo ti sei cacciata?» la voce
dall’altra
parte del telefono era furiosa e preoccupata al tempo stesso
«Mamma» sospirò ella
«Tranquilla, ora torno a casa»
«Cerca di sbrigarti, lo sai che non voglio che passi troppo
tempo da
sola, fuori casa»
«Non
sono sola» rise, guardandosi intorno: di certo non poteva
ritenersi sola
con tutti gli animali che abitavano quel bellissimo luogo
«Non dirmi che sei di nuovo in quella maledetta
foresta» non rispose e
sua madre continuò «Sabri, dove abitavamo prima
non c’erano tutti i pericoli che ci sono qui»
«E allora perché mi avete trascinata qui,
facendomi lasciare
tutti i miei amici?» la risposta le venne spontaneamente con
un pizzico di rabbia, se i suoi genitori sapevano che quel posto era
pericoloso, non riusciva a comprendere il
motivo per cui allora si erano voluti trasferire con tanta urgenza ed
euforia.
D'accordo, era per il loro lavoro, ma lei a causa loro aveva
abbandonato tutto e tutti
«Perché hai solo diciassette anni e non volevo
lasciarti da
sola»
«Ok, ok, la solita cantilena» gesticolò
Sabrina, alzando gli occhi al cielo con una smorfia.
La madre, in tutta risposta, sospirò scocciata
«Non ho voglia di litigare adesso. Torna a casa che domani ti
inizia
anche la scuola e devi andare a dormire ad un orario decente»
Si la scuola,
si disse tra se e se, una
stupida scuola dove non
conoscerò nessuno.
Era
sempre stata timida fin da piccola e i pochi amici che aveva nella
città dove abitava prima se li era fatti solo
perché erano stati loro
ad avvicinare lei. Ora doveva ricominciare da capo e sapeva che sarebbe
stato difficile.
«Va bene. A dopo!» il suo udito
captò un lieve battito d’ali a pochi
passi da lei. Si voltò alla sua destra e notò un
gigantesco corvo
appollaiato sul ramo di un albero
«Mi dispiace» furono le ultime parole di sua madre,
prima di
riagganciare, ma ella non ci fece molto caso, intenta com'era,
ad osservare quello strano volatile che aveva un non so che
d’ipnotico e di spaventoso allo stesso tempo.
Solo pochi istanti dopo si rese conto di avere ancora il telefono
vicino all’orecchio e sussultò senza un motivo
preciso, posandolo in tasca mentre il corvo scendeva
cautamente dall’albero, avvicinandosi a lei.
Era strano come non riuscisse a muoversi, continuando ad osservarlo con
spavento.
Aveva sempre odiato i corvi - per quel che si diceva facessero agli
occhi o qualcosa di simile - ma non ne aveva mai avuto particolarmente
paura. Quel corvo, però, aveva qualcosa di davvero strano.
Questi si levò in cielo per poi appoggiarsi sulle sue gambe
nude.
Sabrina gettò un urlo impaurito, tirandosi appena indietro,
ma l'animale non si mosse di un
centimetro dalla sua posizione. Sembrava che la osservasse con
attenzione e curiosità, come
se fosse stato umano invece che un semplice animale della notte.
Cercò di cacciarlo via scuotendo la gamba ma senza risultato.
«Ah!» finalmente si decise a volare via,
lasciandole sulla gamba un
graffio non troppo profondo ma sanguinante.
Odiava il sangue, e la sola vista la faceva quasi sentir male. Si
alzò lentamente, cercando di non barcollare.
Meraviglioso! Già non le piaceva quella città, e
di certo quello
che era appena accaduto non le faceva cambiare idea.
«Stupido animale» sussurrò infastidita,
pulendosi la gonna e le gambe da alcuni pezzi d'erba.
Egli attese che lei se ne andasse, prima di mutare da corvo ad un
giovane uomo dai capelli e gli occhi corvini.
Vestito di nero, come suo solito, era appoggiato ad un albero non poco
distante da quello dove si era appollaiato poco prima. Portò
una mano alla bocca, leccando le dita ancora sporche di sangue fresco,
e sogghignò.
Quella fanciulla, bella e indifesa, sola in quella foresta
così
pericolosa e
ignara di ciò che poteva accaderle, era una preda troppo
succulenta per
lui.
Ma dopotutto, da ciò che aveva udito, era appena arrivata in
città e non poteva conoscere il rischio che correva
nel trovarsi nel suo
territorio.
Non voleva ucciderla e nemmeno spaventarla. Non sarebbe stato
educato da parte sua comportarsi così con una nuova
arrivata, ma quello
non significava certo che non poteva assaggiare un po' del suo sangue.
L’aveva
graffiata per questo, godendo della paura e la determinazione presente
nei suoi occhi, - sguardo che aveva trovato solo in una persona prima
di
lei -, e ora che aveva assaggiato la dolce flagranza del suo
sangue… beh,
di certo non poteva farsi scappare una preda così succulenta.
Si
sarebbe divertito un po’ con lei se fosse tornata, infondo
non si
divertiva da tempo, e se non l’avesse fatto…
l’avrebbe cercata
lui.
Le aveva letto nella mente, il suo Potere si era rafforzato
sempre di più dopo il suo ultimo pasto, e poteva usare
ciò che aveva
scoperto per attirarla a sé, poggiare
delicatamente le
labbra sul suo
tenero collo, e farle provare così
l’estasi, un’estasi eterna.
Sogghignò nell' allontanarsi per poi raggiungere la sua
ferrari
nera parcheggiata poco distante.
Se
il suo fratellino l’avesse sentito! Di certo lo avrebbe
odiato ancora
di più, a dispetto di tutto ciò che aveva
promesso ad Elena prima che
tornasse in vita e prima di tutto quel casino con la Dimensione Oscura.
Il suo dolce, tenero… stupido fratello minore.
Meglio non pensare a lui o si sarebbe solo rovinato la serata.
Sabrina tornò a casa in pochi minuti. Aveva corso per tutta
la foresta e il cuore le batteva velocemente, quasi a farle male il
petto.
Non
si sapeva nemmeno spiegare il motivo di quella strana agitazione,
sapeva solo che improvvisamente un brivido le aveva percorso la schiena
e qualcosa le diceva di correre via il più veloce possibile.
Correre via da cosa?! Non lo sapeva, ma doveva correre se non voleva
essere presa.
Si fermò davanti al cancello di casa, sospirò e
calmò
il respiro.
Che
stupida, pensò, che mi è successo
improvvisamente?! Era come se
avessi paura che qualcuno mi inseguisse. Sono proprio una stupida, quel
maledetto corvo mi ha impressionato.
Si guardò intorno: non erano nemmeno le 20:00 ed era come se
l’intera città fosse come morta.
Forse questa
città finirà per farmi impazzire.
Percorse il vialetto alberato del giardino e raggiunse la porta
d’ingresso. Frugò nelle tasche della minigonna. Maledizione! Aveva
dimenticato le chiavi.
Suonò il campanello e si preparò mentalmente alla
ramanzina che l’avrebbe attesa una volta entrata in quella
nuova casa alla quale ancora doveva abituarsi.
Ad aprire la porta fu proprio sua madre.
Le
sorrise, mettendo una ciocca dei capelli biondo rame dietro
l’orecchio, e si
tolse gli occhiali, guardandola attentamente con gli occhi
uguali ai suoi.
Aveva ereditato gli occhi della madre e i capelli del padre, anche se
come somiglianza era identica a Rosalie.
«Dai entra» le mise una mano sulla spalla mentre si
chiudeva la porta
alle spalle.
Strano come non avesse fatto ulteriori storie.
Entrate in cucina, la ragazza potè sentire un invitante
odore di cena: a quanto sembrava, sua madre stava cucinando una delle
sue prelibatezze
«Scusa il ritardo» si scusò con voce
flebile, approfittando del fatto che non sembrasse arrabbiata
«Non fa niente» la donna le diede un bacio sulla
fronte e poi tornò ai
fornelli «Scusami tu, ero solo preoccupata»
la figlia sorrise, facendo spallucce
«Papà?!» si guardò intorno,
stupita di non vederlo
«è
nel suo studio, sta stampando il suo nuovo manoscritto»
rispose la
madre, aprendo il coperchio della pentola e buttando gli spaghetti
nell’acqua che iniziava a bollire.
«E tu? Non hai ancora finito il tuo?»
«Mah, non so quando lo finirò, sono a mancanza di
idee»
Quelle parole la fecero ridere «Tu senza idee? Mamma, io e te
non siamo mai senza idee»
Rosalie sorrise «Beh, vorrei creare un finale davvero
stupefacente e ci vuole tempo per fare le cose per bene»
«Lo so» annuì Sabrina, capendo
perfettamente la situazione. Capitava molto spesso anche a lei,
dilungarsi per fare le cose decentemente
«E tu? Non stavi scrivendo un libro?» le chiese
improvvisamente la donna dai capelli ramati.
La figlia arrossì «Beh, si, ma da quando ci siamo
trasferiti non l’ho ancora
continuato»
«Di che parla?» le fece l’occhiolino,
l'altra «Tranquilla,
non ruberò la tua idea»
«Ci mancherebbe!» la bruna rise di nuovo
«Di vampiri, comunque»
«Ormai
tutti si stanno fissando con questi vampiri» Rosalie
girò gli spaghetti
nella pentola e
si avvicinò a lei «Bah. Comunque sono sicura che
farebbe successo, visto che è scritto da te.
Perché,
una volta finito, non me lo dai? Lo mostro al mio Editor»
«Ma no, mamma» ella mosse le mani in segno di
disapprovazione, spostando una sedia dal tavolo al centro della stanza,
per poi accomodarvisi «Che
vergogna far leggere il mio libro a dei professionisti»
«Non eri tu quella che voleva fare la scrittrice?»
«Si ma… beh...» gesticolò,
non trovando le parole adatte
«Allora
potremmo leggerlo prima io e tuo padre, darti il nostro parere
professionale, ed infine decidere insieme se farlo vedere o no ad un
Editor»
all'insistenza della madre, la ragazza, sentendosi quasi messa alle
strette, sospirò, annuendo sconfitta
«Ma non prendetemi in giro» quasi
l'ammonì e l'altra sorrise, mettendo una mano sul cuore
«Promesso!»
Sabrina si alzò dalla sedia e si avvicinò ad un
mobile, aprendo uno dei cassetti «Inizio ad
apparecchiare?»
Rosalie scosse il capo «Ci penso io. Tu va a chiamare tuo
padre»
La ragazza dai capelli castani salì le scale a chioccia che
portavano al secondo piano,
dirigendosi nello studio del padre, in fondo al corridoio.
La
maggior parte dei libri che scriveva sua madre parlava di delitti ed
investigatori privati stile Sherlock Holmes mentre quelli di suo padre
parlavano di cose soprannaturali tipo: alieni e streghe. Tutti e due
però, si occupavano di libri gialli.
Sembrava che anche lei si
stesse dirigendo su quella strada, dopotutto i romanzi che parlavano di
vampiri non erano certo romanzi rosa, anche se i vampiri delle sue
storie non erano i soliti mostri assetati di sangue, ma bellissimi
ragazzi tormentati dalla loro natura che si innamoravano delle loro
prede.
Aprì la porta dello studio, trovandosi di fronte
un’uomo dai
capelli castano scuro, mossi, che sistemava dei fogli in una cartella:
sicuramente erano le fotocopie del suo manoscritto.
Nel sentire la porta aprirsi si voltò verso di lei, e nel
riconoscerla allungò un sorriso, mentre i suoi occhi neri
brillavano alla luce fioca della lampada sulla sua scrivania.
«Amore»
La figlia si avvicinò a lui, allungandosi sulle punte dei
piedi per poi dargli un bacio sulla guancia «Papà,
mamma ha preparato la cena»
l'uomo sorrise «Arrivo subito» posò la
cartella sulla scrivania e si
avvicinò nuovamente a lei «Emozionata per il primo
giorno di
scuola?» fece, poggiandole una mano sulla spalla mentre
uscivano dalla camera.
«Non me lo ricordare, ti prego»
L’uomo sorrise, dirigendosi con lei al piano inferiore.
Dopo
cena, la giovane si diresse nella sua stanza, dove preparò
le ultime cose per
la scuola, prima di sedersi alla scrivania posta vicino alla finestra
ed illuminata
dalla luce della luna, per iniziare a scrivere qualcosina.
Sorrise nel momento in cui le sembrò
che l’ispirazione stava arrivando ed accese il pc
portatile. Attivato il computer ed aperta la pagina Word,
iniziò a scrivere le prime righe
del nuovo capitolo del suo libro.
Minuti dopo, si bloccò di colpo, puntellando un dito sulle
labbra con fare pensoso
«Un nome per il protagonista…»
iniziò a pensare: un ragazzo vampiro, misterioso,
bellissimo, dai capelli e gli occhi
neri, - proprio come amava lei -, e da uno sguardo…
«Damon!» esclamò congiungendo le mani,
entusiasta «Si! Damon
è perfetto!»
tornò
quindi a scrivere, senza accorgersi di essere osservata da un corvo
appollaiato sul ramo di un albero poco distante dalla finestra della sua camera…
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