“Dove diavolo
siamo?” – mi decisi a domandargli, dopo un attimo di esitazione
“A te dove
sembra di essere?”
Che domanda
idiota. – “Non ne ho idea. – gli risposi, infastidito. – Non ne ho la minima
idea. Però mi sembra di esserci già stato in questo posto. Eppure ne ho fatta
di strada. Cazzo se ne ho fatta. Ho le gambe pesanti, il fiato corto, forse sto
anche sudando. In effetti inizia a fare un gran caldo qui. E a me, qui, sembra
di esserci già stato”
“Guardati bene
intorno.” – quasi accennò un sorriso a quelle
parole. Non un sorriso divertito. Ma uno di quei sorrisi leggeri, poco
invadenti. Discreti. Di quei sorrisi che nascono spontanei quando vedi qualcuno
arrancare di fronte all’evidenza.“Guardati bene intorno.” – mi ripeté – “Certo
che ci sei già stato in questo posto. Non lo hai mai lasciato, per la verità. Il
fatto è che, vuoi o non vuoi, se giri su te stesso ritorni sempre allo stesso
maledetto punto. E io ti sto osservando da tempo, ormai. Giri come una
trottola. Ci credo che sei stanco. Anzi, mi domando come fai ancora a mantenerti
in equilibrio. Dovrebbe girarti terribilmente la testa. Dovresti avere lo
sguardo perso, come minimo. E invece sei lì. Cioè, sei qui. Hai fatto una
fatica immane, e sei rimasto comunque qui. Composto, elegante, sulle tue gambe.
Ma non ti sei mosso di un centimetro. Continui a girare e girare, senza un
attimo di tregua, a consumare tutte le tue energie, eppure non ti schiodi da
qui.”
“Bene”
“Bene cosa?” –
mi rispose d’impulso, guardandomi quasi esterrefatto. Con quegli occhi con cui
di solito si osservava qualcuno fuori di testa. Già… molto probabilmente, io
ero fuori di testa.
“Bene e basta.
Bene perché ora mi sono più chiare un po’ di cose. Bene perché finalmente ho
capito perché tutto mi sembrava così uguale e così monotono. Per un attimo, ho
pensato che tutto ciò che mi stava intorno fosse marcio. Malato. Poi ho pensato
che fossi io, quello malato. Bene perché invece non è così. Nessuno è malato.
Né io, né il mondo. Bene perché avrò fatto una fatica immensa per niente, ma
almeno adesso mi sento terribilmente in forma. Bene perché…..ma perché non mi
hai fermato prima?”
“Come se fosse
facile. Ma ti sei visto?”
“No. In
effetti è un po’ che non mi guardo. O, più che altro, è un po’ che non mi
trovo. Guardavo e non mi trovavo. Strano, no?... Dai, non fare quella faccia.
Comunque, non hai risposto alla mia domanda. Perché non mi hai fermato?”
“Perché? Prova
prima a rispondere tu, ad una mia domanda. Davvero vuoi farmi credere che tu
non ti sia mai accorto di niente? Tu pensi davvero che io possa essere convinto
che una persona come te non si sia reso conto di essersi trasformato in una
specie di giostra, una di quelle con i cavallucci e le carrozze che girano e
girano fermandosi soltanto qualche minuto tra una corsa e l’altra? Insomma, mi
fai così stupido da farti così stupido?”
“Io…” – non
riuscii a continuare subito la frase. Mi capita sempre così quando ho davanti
gente che ha ragione. Era inutile provare a inventare qualcosa.
“Cerca di
capirmi..” – sospirai, alzando lo sguardo per prendere tempo.
“Se non ti
avessi capito, ti avrei fermato subito, non ti pare? E invece eccomi qui, in
silenzio, ad aspettarti. Che sia stata la cosa giusta da fare, onestamente ho
qualche dubbio. Ma ti ho capito. E ti ho aspettato.”
Cazzo. Aveva
ragione un’altra volta. Odio essere l’idiota di turno. Odio dover ammettere di
aver sbagliato. Lo ammetto sempre, o quasi. Però odio farlo. Non mi restava che
riderci su.
“Ti va di fare
un paio di giri con me?” – gli chiesi ridendo.
“Ho smesso un
po’ di tempo fa ad andare sulle giostre. Ora come ora, preferisco i treni.”
“I treni…”
“Si, i treni.
Quelli si che sono utili. I treni vanno. Succeda quel che succeda, loro
comunque vanno. Magari ogni tanto si fermano più del normale. Qualche guasto,
si sa, è sempre meglio metterlo in conto. Anche loro, prima o poi, tornano
indietro se ne hai voglia. Però, a differenza della tua dannata giostra, loro
vanno. E non si muovono a caso. Sono furbi, questi treni. Hanno i binari. E li
seguono. Sanno precisamente dove andare, dove fermarsi, quando ripartire.
Sembrano quasi fieri del loro movimento deciso e ordinato. Capita spesso che
potresti affacciarti dal finestrino e vedere il vuoto, di fronte a quel
maledetto treno. Ma quel vuoto non ti spaventa, anzi. Ti riempie d’attesa.
Perché sai che c’è un disegno preciso, una stazione prefissata, un arrivo
calcolato davanti a quel vuoto. E allora ti siedi, con calma, e aspetti. E non
c’è niente di meglio che aspettare con calma. Perché spesso le nostre attese
sono fatte di ansie, paure, domande. Sul treno no. Sul treno ti siedi e
aspetti. E ne sei quasi felice.”
“Viaggi
spesso, ultimamente?”
“Non fare il
cretino. – tagliò corto – so che hai capito. Scendi da quella cazzo di giostra
ora, e vieni a farmi compagnia sul mio treno. C’è un posto libero accanto a me,
non lo vedi?”
“Mmm…non lo
so. È ancora presto per il treno. Il treno è un punto d’arrivo. E io non mi
sento ancora arrivato. Tante certezze, poche sorprese. È un lasciarsi
trasportare. E io mi sono lasciato trasportare sin troppo da questa giostra.
Si, hai ragione. È ora di scendere. Ma non penso che salirò subito sul tuo
treno. Almeno non per ora.”
“E dimmi,
allora, cosa pensi di fare?”
“Lo vedi quel
puntino nero lì in fondo?” – gli domandai allungando il mio dito indice accanto
ai suoi occhi.
“Si, lo vedo,
più o meno. Ma non riesco a capire cosa sia.”
“E’ una
macchina, amico mio. È la mia macchina. Penso che ti seguirò, è arrivato il
momento di farlo. Penso che seguirò il tuo treno. Ma lo farò con la mia
macchina. Voglio deciderla io la strada. Voglio essere io a guidarmi. Voglio
essere io, finalmente, a trasportarmi. E voglio essere io a decidere, metro
dopo metro, se accelerare o se frenare, se andare avanti o se tornare indietro
o, più semplicemente, se è il caso di fermarmi un po’, a godermi la strada. Non
è che vuoi un passaggio, no?”
“No,
tranquillo. Io ormai mi sono abituato a questo treno. Probabilmente mi ci sono
abituato un po’ troppo presto, però ormai è così. Non nascondo che ti invidio
un po’, adesso. Ogni tanto verrebbe pure a me di prendere la macchina e
deciderla io, questa maledetta strada. Ma poi ci penso su, e mi rendo conto che
è il treno la mia strada. Per cui in bocca al lupo, amico mio, ci vediamo alla
prossima stazione.”
“Crepi. Che
crepi con tutto il cuore questo lupo. Però un’ultima cosa. Se alla prossima
stazione non mi vedi arrivare, non mi aspettare per troppo tempo. Perché potrei
essere già passato. Potrei essere già andato oltre. Buon viaggio, amico mio.”