A
chi ci ha lasciato in guerra, semplicemente.
Falling
down
Aveva cominciato
a
piovere.
Corte lame d’acqua le fracassavano la pelle chiara e
perfetta, ma Ino Yamanaka
non accennava a muoversi: seduta su un cumulo di terra e pietre,
continuava ad
osservare con occhi vuoti ciò che era rimasto di Konoha, un
immenso squarcio nel
terreno pieno di assi di legno, frammenti, calcinacci, oggetti,
vita… ma non
corpi.
Fortunatamente non corpi. Ad Ino
venne la nausea soltanto ad immaginare un corpo esanime ricambiare il
suo
sguardo con la sua stessa espressione.
No, non era accaduto, per fortuna. Non
era accaduto. Nessuno era morto. Tutti erano salvi.
Abbassò la testa e un ciuffo di capelli le
oscurò la vista.
Nella voragine non c’era nessuno.
Nessuno.
Lì dentro c’era solo tutta la sua vita.
La sua vita passata, tranquilla,
che era crollata con un misero castello di sabbia insieme a tutte le
costruzioni del villaggio. Ma, dentro di sé, Ino continuava
a ripetersi che
avrebbe dovuto saperlo, che prima o poi
sarebbe accaduto.
Ormai la vita tranquilla non esisteva più; ormai era
cominciata la guerra.
Non potevano più crescere fiori intorno a lei, ma solo
sangue, odio e
sofferenza.
Ma per fortuna, almeno in quella battaglia, nessuno era morto.
Nessuno era caduto in quella voragine.
Nessuno.
Ino cercò di mettersi in piedi per raggiungere
altri abitanti del villaggio,
che in quel momento si trovavano dall’altra parte dello
squarcio a farsi curare
da Sakura, ma non ci riuscì: le gambe non riuscivano a
reggerla. Angosciata, si
accovacciò su se stessa, puntellando i gomiti sulle cosce e
seppellendo il viso
tra le mani.
Nessuno era caduto in quella voragine,
nessuno, ma Ino non riusciva a convincersi.
Chiunque avrebbe potuto raggiungere quei calcinacci. Sarebbe potuto
accadere ai
suoi genitori, ai suoi amici, a Choji, a Shikamaru…
A quel pensiero, il cuore le salì in gola, provocandole
ancora più disgusto.
Aveva paura.
Per la prima volta sentiva il terrore invaderle gli arti e
immobilizzarla a
terra, perché, con il villaggio, con tutto ciò
che per tanto tempo l’aveva
circondata e fatta vivere, erano crollate anche tutte le sue certezze.
Sarebbe mai valsa la pena di combattere per un futuro migliore se forse
non
l’avrebbero neanche mai raggiunto?
Ino non riusciva più a pensare.
Strinse forte il viso tra le mani, graffiandolo, ma la risposta non
giunse.
Sarebbero potuti cadere in quella
voragine…
“Ehi, Ino”
Una mano ruvida le strinse piano la spalla e la kunoichi
capì che Shikamaru era
tornato indietro a prenderla. “Che ci fa qui da sola? Vieni,
così potrai
aiutare Sakura. Alzati.”
“Io… non ci riesco.” esalò
lei a mezza voce. Sentiva il sangue pulsare forte
sotto i gomiti, sotto le mani.
“Ma cosa diavolo dici?” sbottò lo
shinobi leggermente irritato. Non era proprio
il momento di perdere tempo, dovevano riorganizzarsi al più
presto. “Vieni,
forza.”
Strinse la presa sulla spalla della sua compagna di squadra e
finalmente ella
si voltò a guardarlo. I suoi occhi erano inespressivi, tanto
opachi che
Shikamaru tacque di scatto, preoccupato.
“Non ce la faccio, Shikamaru.” ripeté
lei piano, restando immobile “Ho paura.”
Lo shinobi la fissò per un attimo stupito, poi
sbuffò.
“Ino, ti prego, non è il momento di fare i
melodrammatici. Alzati!”
La sua compagna, però, non si mosse.
“La sento, Shikamaru.” provò a spiegare
ancora, guardando senza interesse
l’immenso squarcio nel terreno davanti a lei
“Cresce dentro di me, mi
immobilizza…”
Sconcertato, lo shinobi le si sedette accanto.
“Ino” sussurrò guardandola, serio. Una
lacrima le morì sotto la palpebra prima
ancora di nascere.
“Tutto è franato, anche la mia vita…
saremmo potuti cadere anche noi in quella voragine
come tutti quei palazzi…” disse la kunoichi e
finalmente i suoi occhi ripresero
luce, una luce fioca e triste. Nessuna scintilla di determinazione li
animava
più. Era come quando era morto Asuma sensei: era crollata.
Tutta la sua forza e
la sua apparente sicurezza avevano lasciato il posto alla sua
fragilità di
donna, quella fragilità che nascondeva ogni giorno dietro
gesti sprezzanti.
Non avrebbe resistito ad un’altra giornata del genere, non ce
l’avrebbe fatta,
Shikamaru lo sapeva. Per questo motivo si fece forza, cercando di non
pensare,
e scoppiò a ridere senza allegria. Ino lo trafisse con
sguardo offeso, allora
lo shinobi si fermò immediatamente, riprendendo la sua
espressione apatica e
troncando la sua recita senza successo.
“Sei una seccatura, eh?” esclamò alzando
gli occhi al cielo con un sospiro. Ino
ruppe un singhiozzo in silenzio. “Non è successo,
non pensarci. Non ti porterà
da nessuna parte farlo.”
“Lo so.” Sorprendentemente, lei annuì e
lo guardò negli occhi, inquieta “Ma non
posso farne a meno.”
“Non ci pensare, non ci pensare e basta. Dobbiamo andare
avanti.”
E senza riflettere, senza averlo premeditato, Shikamaru la
abbracciò, mentre i
suoi occhi fissavano ancora il cielo, quel giorno così arido
di risposte. La
kunoichi si abbandonò tra le sue braccia, per la prima volta
sentendosi al
sicuro. Era il suo porto, la sua casa che ormai non c’era
più in una giornata
così funesta e piena di dolore. Era la sua vita presente che
risaliva quella voragine
e che ne usciva fuori e continuava a scorrere, nonostante tutto.
Il giubbotto da chunin dello shinobi asciugò le poche
lacrime che sgorgarono
dai suoi occhi; la sua mano sfiorò in una lieve carezza i
suoi capelli biondi.
Era la calma dopo la tempesta. Era finalmente il silenzio dopo urla di
dolore.
“Dobbiamo andare avanti” sussurrò ancora
Shikamaru, assorto. Ino annuì in
silenzio, avvicinando di più la testa al suo petto.
Almeno per quel giorno, non era caduta
nella voragine. Non ci era caduta. E nessuno con lei.
A pochi metri da loro, Choji, distrutto dalla stanchezza, ma
con un sorriso
in volto, si faceva strada tra le macerie per raggiungerli.
Nda:
E dopo quasi un anno di stop, torno a scrivere una ShikaIno. Non mi
ricordavo
mi facesse tanto felice scrivere di loro due. XD
Tanto per onorare quella tradizione che mi lega così
saldamente a questo
periodo, ho scritto qualcosa di triste e angstoso,
anche se forse non troppo. Mi piaceva l’idea che il finale
potesse dare
speranza, così l’ho lasciato aperto. Ma tanto io
so già come andrà a finire.
L’idea per questa shot è venuta dal nulla, mentre
ascoltavo un po’ di musica.
Ho immaginato Ino cadere a pezzi sul ciglio di un burrone e questo
è il
risultato. La vicenda è ambientata dopo l’attacco
a Konoha di Pain, ma non ho
inserito nel testo riferimenti tangibili cosicché posa
risultare, per così
dire, “fuori dal tempo”.
Per quanto riguarda la caratterizzazione di Ino, secondo me non
è affatto OOC.
Personalmente, tendo molto spesso a dimenticare che i personaggi di cui
scrivo
hanno solo sedici anni, e in questa storia l’ho voluto
dimostrare. Quando a
sedici anni ci si rende conto di essere nel bel mezzo dello svolgimento
di una
guerra credo che sia il minimo crollare a questo modo.
Sono soddisfatta di come è venuta fuori questa shot. Tra
qualche tempo magari
mi farà schifo, ma per adesso va bene così. Il
resto ditemelo voi. :)
Buona
White Midnight (anche se passata) a tutti!
Un
bacio,
Ayumi
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