Espiazione
Prologo:
Passi sulla neve
La
città, quella mattina, appariva vuota, silente, libera.
Aveva nevicato per
tutta la notte, e il bianco aveva ricoperto ogni cosa.
Il
pallido sole invernale era sorto, eppure Midgar era rimasta dormiente.
Tutto
appariva ovattato in quell’onirica visione, quasi irreale.
L’unico
rumore che Tseng sentiva era il tonfo dei suoi passi sulla neve. Era un
rumore
leggero, quasi impercettibile, eppure era l’unico che
probabilmente la città
stesse udendo. Un rumore ritmico e costante.
Il
Turk rabbrividì, mentre una gelida folata di vento lo
trapassava da parte a
parte. Istintivamente, si strinse nella giacca nera che aveva indosso e
ricontrollò, per l’ennesima volta, le direttive
della missione.
Era
a causa di quell’orribile tempaccio che adesso si trovava
lì, ad arrancare per
le strade deserte di una fredda e solitaria Midgar. Quando il
Presidente ShinRa
aveva visto le prime avvisaglie di una tempesta di neve
nell’aria, l’aveva
mandato a chiamare, insistendo perché agisse
all’alba, quando la neve sarebbe
stata ancora alta e nessuno lo avrebbe disturbato nel compiere il suo
dovere.
In
verità, la missione non era nulla di eccessivamente
complesso: doveva solo
fermare un traffico di Materie illegali che aveva luogo nei
più oscuri vicoli
della città. Spiare, uccidere, occultare. Sempre la solita
storia.
Nonostante
le sue resistenze, il Presidente ShinRa aveva insistito
affinché lavorasse in
coppia con un altro Turk. Reno, per la precisione.
Inutile
dire quanto quella scelta fosse stata gradita da Tseng. Il solo
pensiero del
continuo ciarlare del ragazzo aveva riacceso la sua emicrania, ma si
era
limitato ad annuire, preferendo non discutere gli ordini che gli
venivano
assegnati.
Tuttavia,
l’unico suono che sentiva erano, ancora una volta, i suoi
passi sulla neve. I
due avevano preferito dividersi, per poi incontrarsi appena qualche
isolato
prima della zona malfamata della città.
A
Tseng quel tempo piaceva. La neve copriva ogni cosa, ogni dolore, ogni
emozione. Restava solo la tranquillità, la quiete dopo la
tempesta che aveva
infuriato la notte. Era bello poter guardare la città e
vederla senza pensieri,
libera dalla schiavitù del dolore e della sofferenza. Faceva
bene all’anima.
Stava
ancora contemplando l’assoluto silenzio che regnava nel viale
in cui si era
appena immesso, quando, dietro di sé, un altro leggero tonfo
si unì al rumore
dei suoi passi. Tseng si fermò, ascoltando quel suono che si
univa all’ululare
del vento.
“Non
dovevamo dividerci, Reno?” chiese, e si stupì di
come la sua voce rimbombasse
tra le strade vuote, fino a raggiungere ogni angolo del viale.
I
passi continuarono, finché una mano non gli si
posò sulle spalle. Qualche
fiocco di neve cadde dal cielo, preannunciando una nuova nevicata.
“Ho
trovato il furfante, sono in una strada secondaria non molto lontano da
qui”
esclamò Reno con la sua solita giovalità,
indicandogli una stradina laterale a
qualche decina di metri da loro. “Ti dirò la
verità, mi è solo sembrato un
grosso bestione senza cer…”
“Reno!”
lo ammonì Tseng.
“Va
bene, va bene, un po’ più di serietà
nelle missioni” sospirò esasperato il
rosso, anticipando i moniti dell’altro.
“Fa
silenzio, dobbiamo agire in fretta” rispose Tseng
“Portami dai due”.
Reno
si zittì e fece strada attraverso un buio e maleodorante
vicolo.
Il
Turk moro ascoltò il lieve calpestio dei passi
dell’altro confondersi con il
silenzio della città. Istintivamente infilò una
mano sotto la giacca invernale
e strinse forte il calcio della pistola, pronto ad estrarla in caso di
necessità.
Sarebbe stato un lavoro veloce, rapido e indolore. Beh, indolore per
lui e per
Reno.
Non
si avvertiva nessun rumore provenire dal fondo del vicolo.
“Sei
sicuro che questa sia la strada giusta?” chiese Tseng,
dubitando della memoria
di Reno.
“Fidati,
non avrei alcun interesse a perdere tempo!” gli
bisbigliò l’altro di rimando.
“Anch’io non vedo l’ora che questa
missione finisca, mi si è ghiacciato anche
il…”
“Si,
ho capito” lo interruppe Tseng, impedendogli di continuare
l’imbarazzante
frase.
“Sei
perspicace, eh?” chiese Reno, lanciandogli
un’occhiata di complicità.
“Sssh,
non senti nulla?” sussurrò l’altro,
prendendo la pistola in mano e guardandosi
in giro, circospetto.
“Oh,
andiamo, non evitare le mie domande! Tutti sanno della tua infatuazione
per
Elena! Quand’è che ti deciderai a chiederle di
uscire?”
“Vuoi
stare zit…? Ehi, un momento! Io non ho nessuna infatuazione
per Elena!” esclamò
Tseng contrariato.
“Tanto
meglio, così posso provarci io!” rispose Reno con
un’alzata di spalle.
“Fai
pure” sussurrò il Turk, senza nemmeno prestargli
attenzione. Aveva questioni
più importanti a cui pensare. Aveva sentito uno
scricchiolio, seguito da un
tonfo sordo, provenire dalla fine del vicolo, ancora immerso
nell’oscurità.
“Eddai,
amico, non c’è gusto così!”
esclamò Reno, cingendogli le spalle con un braccio.
“Voglio qualcuno con cui battermi per il cuore di una
ragazza!”
“E
io voglio qualcuno che non rompa continuamente durante le
missioni” commentò
ironicamente Tseng, senza perdere la concentrazione. “Ma come
vedi, nessuno ha
mai quello che vuole!”
Un
altro scricchiolio, vicino a loro. Tseng volse di scatto la testa alle
loro
spalle, ma non c’era nulla, ad eccezione della pallida neve
che copriva la
città.
“Vuoi
farmi credere che non c’è nessuna che ti faccia
battere forte il cuore? Neanche
Cissnei?” chiese ancora Reno, riprendendo a camminare verso
la fine del vicolo.
“Cissnei
è poco più che una bambina, potrebbe andare bene
per te!” sbottò Tseng,
togliendo la sicura dall’arma che teneva tra le mani.
“Ma
no, ho appena detto che devo provarci con Elen…”
“Attento!”
esclamò l’altro Turk improvvisamente, spingendolo
verso il freddo asfalto
coperto di neve del vicolo. Aveva avvertito un movimento, con la coda
dell’occhio, lieve, quasi impercettibile,
nell’oscurità davanti a loro; poi un
leggero sibilo, che alle sue orecchie era apparso amplificato dal
silenzio
della città. Senza neanche pensare, aveva spinto Reno a
terra con sé. Un attimo
dopo, un proiettile era passato appena sopra le loro teste.
“Merda!”
esclamò Reno, estraendo la sua pistola dalla cinghia che
teneva in vita, sotto
la giacca.
Tseng
sentiva il suo viso avvampare per il freddo contatto con la neve. Aveva
gli
occhi chiusi, ed era disteso a terra, inerme, facile bersaglio per
chiunque se
ne stesse nell’ombra del vicolo ad osservarli.
Poi
sentì uno sparo risuonare nell’aria, e si rese
conto che Reno aveva cercato di
colpire l’aggressore. E poi ancora passi sulla neve.
“Stai
bene?” chiese poi una voce vicino a lui.
“Si”
rispose Tseng, alzandosi e prendendo la mano che Reno gli stava
porgendo. “Dove
è andato?”
“Da
quella parte” indicò Reno con il dito. Tseng
guardò la direzione che gli
indicava il Turk dai capelli vermigli, e si sollevò quando
vide che il
malvivente aveva lasciato le proprie impronte sulle neve, troppo
distratto
dalla fuga.
“Seguiamole,
e in fretta” esclamò indicandole. Reno
annuì ed insieme si precipitarono verso
la fine del vicolo.
Le
impronte andavano verso l’entrata dei Bassifondi; i due Turk
intensificarono il
passo, pronti a finire il lavoro per cui erano stati convocati in
quella fredda
mattina invernale.
Camminarono
per un po’, oltrepassando lo spoglio Viale Loveless ed
avvicinandosi sempre più
alla zona più umile della città.
“Che
stavo dicendo prima?” chiese d’un tratto Reno,
incuriosito.
“Non
saprei, fai silenzio e segui le impronte!” esclamò
Tseng, ancora una volta
senza nemmeno ascoltarlo. Ma perché li avevano accoppiati
come partner per le
missioni? Che aveva fatto di male?
“No,
era qualcosa di importante, ne sono sicuro!”
esclamò Reno, con la fronte
corrucciata nello sforzo di ricordare.
Tseng
sospirò. La prossima volta doveva ricordarsi di portarsi
qualcosa contro il mal
di testa.
“Ah,
ecco! Ti stavo dicendo che volevo provare con Elena, non con
Cissnei” esclamò
Reno, felice di essersi ricordato di cosa stesse parlando in
precedenza. “E
mettiamo di lasciare Cissnei per Rude, allora tu potresti uscire
con…?
Scarlet?”
“Non
se ne parla proprio!” gli sbraitò contro Tseng.
“Ok,
ok! Calmati però!” si scusò Reno,
abbassando lo sguardo alle impronte che
seguivano.
“Le
orme finiscono qui” constatò Tseng dopo qualche
minuto, davanti ad un vicolo
maleodorante. Il vicolo appariva completamente sgombro da qualsiasi
fiocco di
neve: evidentemente i fumi caldi provenienti dalle caldaie delle
fabbriche li
vicino avevano già sciolto la magia di quel freddo giorno.
“Secondo
la nostra planimetria, questo vicolo è una delle strade che
conduce ai
bassifondi. Tuttavia non sembra essere molto
utilizzato…” constatò Reno.
“Meglio,
avremo meno possibilità di essere notati”
osservò Tseng, immergendosi nella
densa oscurità del vicolo. Sembrava di avere oltrepassato la
soglia di un altro
mondo: da una parte, vi era la Midgar luminosa, splendente, sopita da
una lunga
e meravigliosa nevicata; dall’altra vi era quel vicolo, e i
bassifondi, e
qualunque altro luogo che, come quello, era stato abbandonato alla
fredda
oscurità della Midgar crudele, oscura, simile ad un immenso
baratro di
disperazione. Tseng capì di aver abbandonato il mondo
rassicurante della Midgar
innevata già solamente mettendo un piede
all’interno del vicolo.
Reno
lo seguì, ed insieme si addentrarono per le oscure vie che
portavano ai
Bassifondi. Il vicolo era umido, sporco, troppo caldo rispetto
all’ambiente
circostante. I vapori che avevano sciolto la neve adesso invadevano
l’aria e le
loro menti.
“Vedi
nessuno?” chiese il Turk più giovane, scrutando
nell’oscurità nebbiosa davanti
a loro.
“No”
rispose Tseng, aggrottando la fronte. Ma dov’era finito?
Poi
sentirono una voce. Una voce roca, forte, simile ad un grugnito, sita
pochi
metri davanti a loro. Istintivamente, Tseng si strinse ancora
più forte alla
sua arma, facendo aderire la forma della mano al suo calcio.
“Fermi!”
aveva detto quella. Un momento dopo, una figura emerse
dall’oscurità: era lo
stesso uomo che poco prima era fuggito dal loro agguato: basso, dai
capelli
corvini, con una cicatrice che gli solcava la guancia destra, a ricordo
di una
grave ferita. Con l’ausilio del braccio sinistro teneva una
donna stretta sé, a
cui puntava una pistola alla tempia.
“Lasciala
stare!” esclamò Reno, osservando la donna che si
dibatteva tra le braccia del
suo assalitore, alla ricerca di una via di fuga.
“Reno!”
esclamò Tseng osservandolo severamente. Più si
sarebbero dimostrati interessati
alla salute della donna, più l’assalitore
l’avrebbe utilizzata come scudo.
“Sai
bene che non puoi farcela contro di noi” esclamò
Tseng, con la pistola puntata
verso l’uomo. Quest’ultimo mise la donna davanti a
sé, impedendo al Turk di
poterlo colpire.
“Dici?”
domandò quello, con il sudore che gli imperlava la fronte, a
causa dei fumi
della caldaie.
Poi
sentirono un urlo provenire da dietro il trafficante. Un attimo dopo,
videro una
ragazzina che cercava di liberare la madre dalla sua stretta potente.
Era una
ragazzina esile, sulle soglie dell’adolescenza; i suoi
luminosi occhi verdi
erano due specchi colmi di determinazione. Tuttavia il suo tentativo
non servì
a nulla.
“Vattene
a casa, ragazzina!” la derise l’uomo,
scrollandosela di dosso e facendola
cadere sul duro selciato del vicolo.
“Mamma!”
urlò quella, guardandola con gli occhi colmi di lacrime.
“Scappa,
mettiti al sicuro!” urlò la donna, fuori di
sé, cercando di salvarla.
“Hai
sentito?” sussurrò Reno, serio, alla bambina.
Tseng notò che quest’ultima non
doveva essere molto più piccola del Turk, al massimo di uno
o due anni.
“Penseremo noi a tua madre, tu riparati da qualche
parte”.
La
ragazzina abbozzò un lieve sorriso fiducioso sul volto, e
poi li oltrepassò,
per nascondersi dietro un bidone dei rifiuti a pochi metri da loro.
Tseng
sentì il bisogno impellente di declassare Reno, ma si
limitò a lanciargli una
fugace occhiataccia. Lui e la sua stupida bontà
d’animo!
“Ehi,
sta scappando!” esclamò Reno, cominciando a
correre per il vicolo, inseguendo
il malvivente che cercava una via di fuga tenendosi ancorato alla donna
stretta
che aveva preso in ostaggio.
“Mamma!”
urlava la bambina dal vicolo.
Il
ragazzo sentiva un gran mal di testa, mentre un caos di voci urlavano
nella sua
mente. Non sapeva cosa fare con quella confusione nella
mente…
“Tseng,
inseguiamolo!”
“Mamma,
mamma!”
“Fatemi
ragionare, ve ne prego…
aspettatemi…”
“Tseng,
sbrigati! “
“MAMMA!”
Poi,
la decisione.
“Reno, spostati da
lì!” urlò all’altro.
Prese
la pistola in mano.
“Mamma,
mamma!”
La
puntò.
“Tseng,
cosa vuoi fare?!”
Prese
la mira, attento a non sbagliare. Ma in cuor suo sapeva già
che probabilmente
non ce l’avrebbe fatta.
“No,
Tseng! E’ troppo pericoloso!”
La
mano gli tremava…
“Fermo!”
L’uomo
aveva già raggiunto la fine del vicolo. Poteva sentire di
nuovo il rumore dei
passi sulla neve…
“Mamma!”
Poi,
un colpo. Gelido, penetrante. Gli echi dello sparo si addentrarono in
lui.
Niente
più rumore di passi sulla neve.
Solo
un urlo, e tanto, tanto sangue sulla luminosa e silente Midgar.