Prologo
Calore,
tutto intorno.
Sdraiata
nel letto, in posizione fetale, sonnecchiavo, esausta dalla frenetica giornata
che avevo appena vissuto finché, all’improvviso, non sentii sul volto una
folata di aria fredda ed una strana sensazione non mi
colpì alla bocca dello stomaco.
Espirai,
un brivido freddo che saliva lungo la spina dorsale per poi irradiarsi per
tutto il corpo.
Aprii
gli occhi.
Un
secondo.
Poi
urlai.
Era
stata una giornata frenetica.
Di
prima mattina, piena di entusiasmo e paura, mi ero
imbarcata in una nuova avventura. L’università.
Provenivo
da un piccolo centro abitato, uno di quei paesi di provincia, talmente anonimi
da confondersi fra loro, per le persone che venivano da fuori. Avevo vissuto in
quel posto per più di dieci anni eppure, nonostante fossi perfettamente
integrata, c’era qualcosa che mi rendeva diversa dalle altre persone.
I
miei concittadini sapevano dove erano nati. Allo stesso modo, sapevano dove
sarebbero morti. La cosa più inquietante, per me, però era che nessuno di loro stesse male al pensiero che, nella maggior parte dei casi
almeno, i due luoghi coincidessero.
Per
quanto mi riguardava, invece, io sapevo dove ero nata ma ignoravo dove sarei
morta. L’unica certezza rassicurante che avevo, era che non sarebbe stato lì.
Ero
uscita di casa, quella mattina, animata da uno strano entusiasmo. Non ero mai stata un tipo di persona che amava esprimere i
propri sentimenti. Vivendo in un piccolo paese avevo imparato che, volente o
nolente, le persone sanno sempre i fatti di tutti e, generalmente, non si
limitano solo a questo. Oltre a conoscere, desiderano commentare, ingrandire, a
dismisura, ogni piccola faccenda. Era questo, fondamentalmente, che non mi
andava giù perciò, non appena avevo capito come funzionavano le cose, non mi
era rimasto altro che adeguarmi.
Volevano
parlare?!? Di sicuro, però, non di me perché io non gli avrei
dato l’opportunità di farlo.
Avevo
imparato ben presto a mostrarmi poco partecipe, per evitare di essere
coinvolta. Avevo imparato a sentire i discorsi, senza ascoltarli realmente.
Avevo imparato, infine, a tenere per me e le poche persone di cui mi fidavo,
ciò che pensavo. Era più comodo e mi creava meno nervoso.
Ma
quella mattina, salendo sul pullman, per raggiungere il luogo dove avrei
vissuto d’ora in poi, con l’ultima delle borse che costituiva il mio bagaglio e
le cuffiette che mi inondavano il cervello della mia
musica preferita, non ero riuscita a celare il mio entusiasmo. Seduta su quel
sedile, lo sguardo fisso sul panorama esterno, non riuscivo
a smettere di sorridere.
Una
nuova vita mi aspettava. Una nuova vita, nella quale riponevo tutte le mie aspettative. Avrei incontrato nuove persone, visto nuovi
luoghi, ampliato la mia mente.
Sorridendo,
appoggiai il capo contro il vetro freddo del pullman mentre il mezzo percorreva
veloce le strade provinciali, avvicinandosi al capoluogo. Quando
poi, dopo un viaggio di circa un’ora finalmente il pullman si fermò ed io potei
scendere, assieme agli altri viaggiatori, aprii gli occhi, a dismisura e mi stiracchiai,
il sorriso sulle labbra.
Il
sole mi sfiorò il viso ed io impiegai un minuto intero nella ricerca degli
occhiali finché, dopo averli trovati ed appoggiati sul naso, non iniziai a
camminare, il passo svelto, canticchiando una canzone, verso la stazione
ferroviaria.
Comprai
il biglietto, attendendo non poco in fila, continuando a canticchiare. Le
persone attorno a me tenevano lo sguardo su di me ma ora, stranamente, la cosa
non mi dava più fastidio.
Ero nel mondo, non chiusa in una gabbia e, queste persone che
ora mi fissavano non avevano la più pallida idea di chi ero e, soprattutto, nel
giro di un paio d’ore, si sarebbero scordati di quella strana ragazza che
canticchiava canzoni mentre attendeva il suo turno.
Era
una bella sensazione. Sorrisi e, quando finalmente arrivai davanti alla
bigliettaia, esclamai con voce stranamente entusiasta la meta del mio viaggio. La donna dietro il vetro sorrise di rimando, contagiata.
Un
minuto.
Come
avevo previsto, mi stavo allontanando con il biglietto e le altre persone
avevano già trovato una altra persona da fissare,
tanto per soddisfare la loro curiosità.
Lo zaino in spalla, mi appoggiai alla
spalliera di una panchina di cemento, la musica che continuava a scorrere nelle
mie orecchie. Espirai, spostando lo sguardo sull’orologio. Espirai ancora poi spostai una cuffietta, ascoltando gli
annunci. Sorrisi.
Il treno che stavo aspettando frenò poco dopo sul binario ed
io, veloce, saltai su, lo zaino che, per la velocità sbatteva contro la mia
schiena. La musica ancora nelle orecchie, camminai un po’, attraversando il
corridoio, muovendo la testa a tempo, lo sguardo che correva sui numeri dei
sedili, alla ricerca del mio. Alla fine, lo trovai.
Appoggiai la mia piccola mano bianca sulla maniglia,
abbassandola. Feci scorrere la porta dello scompartimento di lato, entrando. Oltre a me, c’era solo un’altra persona, una ragazza che dormiva,
il capo appoggiato contro il poggiatesta, la sua borsa, casualmente,
abbandonata sul sedile al quale corrispondeva il mio biglietto.
La osservai un paio di secondi, poi alzai veloce le spalle,
sedendomi in un altro sedile, iniziando a premere i tasti dell’ipod nel vano tentativo di ascoltare le mie canzoni
preferite ad un volume che fosse almeno “decente” ma
che non recasse disturbo.
Pochi secondi e poi lasciai cadere le mani sul mio grembo,
soddisfatta.
La musica che continuava a suonare, appoggiai
a mia volta la testa contro il sedile, dando le spalle alla porta, osservando
di nuovo il paesaggio che scorreva veloce, al di fuori del finestrino.
Era passata una mezz’ora da quando ero partita dal capoluogo
e il treno aveva abbandonato i campi, sostituendoli con palazzi, grattacieli,
ponti. Espirai, continuando a guardar fuori poi, il sorriso sulle labbra, a
poco a poco, scivolai nel sonno. Mi addormentai.
Sbam.
Qualcosa si era schiantato contro di me ed
io, ancora mezza addormentata, aprii gli occhi.
Lo scompartimento, ora era vuoto.
Corrugai un secondo le sopracciglia, non riuscendo a capire
poi, all’improvviso, notai la ragazza che si trovava nello scompartimento con
me fino a poco prima, sfrecciare di corsa per il binario della stazione nella
quale ci eravamo fermati.
Alzai le spalle, più tranquilla, prima di rimettermi in piedi
in cerca del cartello su cui era riportata la fermata. Un secondo. Dopo averlo
trovato, sorrisi, saltando di nuovo seduta al mio
posto.
“Ne manca solo una…”
Riappoggiai il capo contro il sedile, lo sguardo fisso fuori dal finestrino. Pochi secondi ed il treno ripartì, aumentando la velocità non appena lasciata la
stazione.
Un paio di minuti.
Il treno iniziò a percorrere un lungo ponte, circondato
dall’acqua. Il mare. Sorrisi, afferrando la mia borsa,
incamminandomi verso la porta per scendere.
Il treno ancora in movimento, ferma davanti alla porta, piegai il capo, cercando di intravedere già la città sul
mare.
Venezia.
N. S. S. A.( Nota senza senso dell’autrice):Sbuff…Mi domando per quale motivo, ogni qualvolta io decida
di “appendere” la penna al chiodo, ci sia sempre qualcuno che preme perché io
racconti al mondo gli affaracci suoi… :-P ad ogni
modo… Ringrazio chiunque mi seguirà anche in questa avventura e chi volesse
lasciarmi un commento! Viel Dank!
Bis bald!