In mezzo a tanti festeggiamenti e divertimenti, Bors
decise di condurre la sua compagna Vanora al centro del gruppo e di chiederle
di cantare. La donna inizialmente si schermì, ma anche gli altri guerrieri si
misero ad incitarla e ad insistere. Allora prese ad intonare una canzone
dolcissima e struggente, una ballata che parlava della loro terra lontana e del
desiderio di tornare a casa. Mentre Bors l’ascoltava, orgoglioso della
bellissima voce della sua donna, gli altri cavalieri erano commossi e sognavano
il momento in cui avrebbero veramente rivisto la loro patria. Galahad,
addirittura, che aveva più di ogni altro nostalgia della natìa Sarmazia, aveva
chiuso gli occhi e, trasportato dalla voce di Vanora, vedeva davanti a sé le
immense praterie, le steppe sconfinate e i volti degli amici e dei parenti
lontani.
Proprio in quel momento Artù si
avvicinò silenziosamente al gruppo dei suoi uomini: era molto triste e
preoccupato perché Germanus gli aveva ordinato di condurli ad un’ultima
missione, quella di andare a prendere una nobile famiglia romana che viveva a
nord del Vallo di Adriano e di scortarla al sicuro. Il condottiero non si era
potuto rifiutare, ma aveva tentato di opporsi strenuamente e adesso era
addolorato all’idea di imporre ai suoi guerrieri una spedizione così rischiosa
invece di donar loro la libertà che meritavano dopo tanti sacrifici. Al nord
c’erano i Sassoni e, forse, qualcuno dei compagni di Artù sarebbe potuto non
tornare da quell’ultima missione. Non sapeva come fare a parlar loro dell’ordine
del vescovo e, anzi, vedendoli così incantati dalla canzone e nel vivo dei
festeggiamenti, stava per tornare indietro senza mostrarsi.
Bors, però, lo vide e lo chiamò.
“Artù, vieni! Prenditi un boccale
di vino e vieni con noi ad ascoltare Vanora.”
A quel punto l’uomo non poté più
tirarsi indietro. Si avvicinò ai cavalieri che lo attendevano sorridenti e
ignari di ciò che stava per dire loro.
“Amici miei, compagni” iniziò,
“abbiamo affrontato molte battaglie e pericoli insieme e adesso dobbiamo
prepararci per un ultimo incarico da compiere per Roma.”
Gli uomini non lo presero sul
serio. Bors, credendo che scherzasse, fece una delle sue battute.
“Come no, bere fino a scoppiare!”
esclamò, svuotando d’un fiato il boccale che aveva in mano. Gli altri risero,
ma non Artù.
“A nord del Vallo abita una
nobile famiglia romana, isolata e minacciata dai Sassoni. Dobbiamo andare a
prenderla e scortarla al sicuro.” continuò, sentendosi il cuore a pezzi.
“Sì, sì, certo” rise Gawain “Sei
proprio divertente, sai? Mi avevi quasi fatto paura.”
Bors e Galahad abbozzarono un
sorriso, ma il volto del loro comandante era serio e addolorato e tutti
cominciarono a capire che non si trattava di uno scherzo. Tristano e Dagonet si
avvicinarono in silenzio, entrambi fissando Artù con sguardo indagatore.
Lancillotto pareva sul punto di esplodere.
“Partiremo domani all’alba.
Sarebbe meglio che andaste a prepararvi e a riposare” concluse il condottiero.
“Al nostro ritorno avrete le vostre carte di affrancamento.”
“Perché dovremmo farlo? Siamo già
liberi, Roma non ha il diritto di chiederci altro!” sbottò infine Lancillotto.
“È solo una famiglia rimasta
isolata. Moriranno, se non andiamo a salvarli.”
Bors sputò per terra con
disprezzo.
“Che siano i Romani a proteggere
la loro gente. Io sono un uomo libero e mi rifiuto di rischiare ancora la pelle
per loro!” ruggì infuriato.
“Bors ha ragione” intervenne
Galahad “Il nostro dovere nei confronti di Roma, se così lo possiamo chiamare,
è compiuto. Ci hanno strappato alla nostra gente, cos’altro vogliono da noi?”
Il ragazzo era devastato. Il suo sogno si era infranto proprio quando credeva
di averlo finalmente raggiunto.
“Quello è il territorio dei Woad
e ci sono anche i Sassoni. I maledetti Romani vogliono la nostra morte! Oppure
sei tu che la vuoi, Artù?” Bors era talmente arrabbiato da scagliarsi anche
contro il proprio comandante.
In quell’attimo di tensione
intervenne Tristano, prendendo le parti di Artù.
“Tutti dobbiamo morire, prima o
poi. Se è morire per mano di un Sassone che ti spaventa, allora resta a casa.”
ribatté, rivolgendosi al compagno che protestava.
Bors si azzittì, ma fu Galahad a
risentirsi per quelle parole. Che accidenti era preso a Tristano? Era tanto
contento di farsi ammazzare per quegli stupidi Romani? Lui era l’eroe Sarmata
per eccellenza, avrebbe dovuto essere il primo a rifiutare un ordine tanto
assurdo e invece difendeva Roma?
“Tu parli sempre di morire,
allora perché non muori subito?” gridò il giovane, senza nemmeno rendersi conto
di quello che diceva, tanto era deluso e addolorato. “Io qualcosa per cui valga
la pena di vivere ce l’ho!”
“L’unica cosa per cui valga la
pena vivere è una morte gloriosa in battaglia” replicò sprezzante Tristano.
“Ma davvero? E cosa c’è di tanto
glorioso nel morire da schiavi di Roma, per una missione che non abbiamo voluto
noi e che non ci riguarda?” scattò Galahad. Era la prima volta che osava
rispondere in malo modo a Tristano, ma ciò che lui aveva detto lo aveva
profondamente ferito. Morire in battaglia… era solo questo ciò che desiderava?
Non la libertà, il ritorno in patria, l’amicizia dei suoi compagni?
“Ora basta!” gridò Lancillotto.
Anche lui era furioso per l’ingiustizia che i
Romani stavano facendo loro, ma non voleva che i cavalieri si mettessero l’uno
contro l’altro o scaricassero la colpa su Artù.
A quel punto Dagonet si avvicinò
lentamente al comandante, lo fissò dritto negli occhi e, nel silenzio, fece la
sua domanda.
“I Romani non hanno mantenuto la
loro parola. Noi abbiamo quella di Artù?”
“Avete la mia parola.” rispose
l’uomo con franchezza.
“Questo mi basta. Io vado a
prepararmi” dichiarò il cavaliere. Poi, passando accanto all’amico Bors, gli
chiese: “Tu vieni?”
“Certo che vengo. Come potreste
partire senza di me? Vi fareste ammazzare tutti!” esclamò, seguendo il
compagno. Tristano si accodò a loro e anche Lancillotto, dopo aver lanciato un
ultimo sguardo di muto rimprovero ad Artù.
“Gawain, tu sei dei nostri?”
chiese il comandante al suo guerriero, che non si era ancora espresso.
“Sì, io ci sto” rispose lui,
controvoglia. Poi aggiunse: “E anche Galahad.”
Dette queste parole, Gawain si
allontanò lentamente. Galahad era seccato che l’amico avesse parlato anche per
lui, ma sapeva bene che, se tutti fossero partiti, lui non sarebbe di certo
rimasto alla fortezza. L’ingiustizia patita, però, gli bruciava ancora dentro e
voleva che Artù lo sapesse. Così, prima di raggiungere gli altri, guardò il suo
comandante con un sorrisetto amaro e, davanti a lui, quasi come un gesto di
sfida, versò per terra il vino che gli rimaneva e scagliò la brocca, che andò
in pezzi. Solo allora si voltò di scatto e senza una parola per seguire Gawain.
Alcuni cavalieri, come
Lancillotto e Gawain, avevano preferito recarsi subito alle scuderie per
strigliare i cavalli e preparare il loro equipaggiamento da guerra. Galahad,
invece, era troppo frustrato, disilluso e depresso per fare qualsiasi cosa e
decise di andare subito al suo alloggio per riposare. La mattina dopo si
sarebbe alzato prima dell’alba per sistemare tutto, sperando che la collera
sbollisse durante la notte. Era infuriato con i Romani, naturalmente, quei
maledetti ed infidi tiranni che, dopo averlo strappato a forza dalla sua terra,
adesso non stavano ai patti e pretendevano che rischiasse ancora una volta la
vita per una stupida famiglia di cui non gli importava nulla; era in collera
con Artù perché, secondo lui, si era lasciato ingannare dalle parole viscide ed
ipocrite del vescovo Germanus e non aveva difeso i diritti dei suoi uomini come
avrebbe dovuto. Ma, più di tutto, era deluso e arrabbiato per il comportamento
e le parole di Tristano. Il suo eroe, il suo modello, si sarebbe dovuto
schierare per primo dalla parte dei Sarmati e non obbedire agli ordini dei
Romani come un cane fedele! E poi, quel discorso che aveva fatto… davvero per
lui l’unica ragione di vivere era una morte gloriosa in battaglia? Non
desiderava un futuro, una vita libera e il ritorno in Sarmazia come tutti gli
altri? Se le cose stavano così, allora sicuramente le loro strade erano
destinate a separarsi e questo pensiero tormentava Galahad, anche se non ne
capiva fino in fondo il perché.
Il ragazzo camminava immerso nei
suoi pensieri e si accorse solo all’ultimo momento di un’ombra che gli tagliava
la strada. Trasalì, alzò lo sguardo e si trovò proprio di fronte a Tristano. Sembrava
che fosse rimasto lì ad aspettarlo, indovinando che non si sarebbe recato nelle
scuderie come gli altri. Sorpreso e turbato, Galahad non sapeva bene cosa dire.
“Credevo che tu…” cominciò
titubante, “fossi andato a prepararti per la partenza. Insomma, sembravi tanto
ansioso di dedicarti a questa nuova missione.”
“Invece volevo farti una domanda
e per questo sono venuto a cercarti” replicò con calma l’altro, fissandolo con
sguardo penetrante. “Cosa intendevi veramente quando hai detto che tu hai una ragione
per vivere?”
Il giovane sobbalzò e si sentì
arrossire. Per fortuna in quel punto c’era pochissima luce e forse Tristano non
si sarebbe avveduto del suo turbamento.
“Quello che pensano tutti,
ovviamente, no? Tornare in Sarmazia, avere una vita normale…” provò a spiegare,
ma l’altro lo interruppe.
“Hai difeso le tue ragioni con
troppa veemenza perché siano davvero quelle di tutti gli altri. Tornare in
Sarmazia? Va bene, ma sei così sicuro che sia rimasto tutto come lo ricordi? E
sei altrettanto sicuro che potresti adattarti ad una vita normale, come dici
tu, senza emozioni, senza avventure, un giorno dopo l’altro, sempre uguale? No,
io non credo che tu pensassi a questo.”
“Cosa ne sai di quello che
penso?” ribatté Galahad.
Tristano si avvicinò a lui. Pareva
divertito dal suo imbarazzo.
“Vi conosco tutti piuttosto bene
e tu sei ancora più trasparente degli altri. Ad ogni modo, perché non mi
spieghi quali sono le tue ragioni per vivere? Magari potrei cambiare idea…”
suggerì il cavaliere.
Galahad arrossì ancora di più,
rendendosi improvvisamente conto di quanto Tristano avesse capito dei suoi
pensieri, della sua adorazione e ammirazione e di cose che nemmeno lui aveva
compreso fino in fondo. Ebbe la tentazione di scappar via, vinto dalla
vergogna, ma poi rimase dov’era. Se gli faceva quei discorsi, forse allora
anche lui… forse c’era ancora una possibilità di non doversi separare!