Prologo
Prologo: Unwanted Life
- Buonanotte. Ci vediamo
domani.-
Persi una boccata d’aria fresca
e mi incamminai verso casa: era la prima settimana di aprile e il cielo era
leggermente annuvolato. Per il resto era tutto assolutamente magnifico: sugli
alberi erano spuntati i primissimi fiori, le temperature erano miti e dolci e
mancava solo una settimana al mio matrimonio…meno sette alla felicità.
Scoccai un’occhiata leggermente
preoccupata alle nuvole: per quel che mi riguardava poteva anche scoppiare un
secondo Diluvio Universale, purché quel giorno ci fosse il sole.
Passando davanti alla casa dei
Mershal rimasi a fissare dei boccioli bianco panna: avevano la stessa precisa
sfumatura del mio vestito, appoggiato sul ripiano centrale del mio armadio e
avvolto nella carta di seta.
Me lo provavo praticamente
tutti i giorni e ogni volta sorridevo, felice: era ancora tutto perfetto.
Arrivai davanti al cancello ma,
prima che potessi spingerlo, mi sentii chiamare.
- Rose!-
- Royce! Ma che ci fai qui??
Non dovresti essere a festeggiare con i tuoi amici??-
Sorrisi dolcemente al mio
fidanzato: alla luce tenue della luna i suoi capelli sembravano cristalli
d’argento.
- Quei pazzi hanno ordinato
dello scotch…sai che non lo reggo…avevo bisogno di una boccata d’aria e mi
spunti tu, proprio come una fata…-
Mi sfiorò la guancia con una
carezza.
- Ti va di fare due passi con
me, solo 5 minuti? Sono solo le otto…ti riaccompagno a casa subito…che dici?-
Mi strinsi al suo braccio.
- Perfetto… ma niente domande
trabocchetto per sapere qualcosa sul vestito, chiaro?? Non ti racconterò mai
niente, neanche se è un mese che mi supplichi.-
Ridemmo insieme e lui barcollò
appena.
- Non hai esagerato un filo??
Se non ti va di bere glielo dovresti dire..-
- Non me ne parlare!! Il
prossimo bicchiere che mi offrono, gli rompo la bottiglia in testa!! –
- No, che non lo fai. Non ti
voglio all’altare pieno di lividi.-
Ero così presa dalla
conversazione che neanche mi accorsi in quale vicolo mi avesse trascinato.
Mi passò una mano sui fianchi,
mi strinse forte contro di sé e solo allora mi guardai attorno: intorno a noi
c’erano cinque uomini.
Mi fissavano come si guarda
solo un animale da comprare, i visi rossi dall’alcool.
Uno di loro passò una bottiglia
a Royce e lui bevve diverse sorsate.
- Non è proprio una buona idea,
tesoro…sei già un po’ brillo…-
Mi mise un dito sulle labbra.
- Rosie, questi sono alcuni
miei amici: John, Marcel, Maynard, Harold e Lucas. Sono venuti apposta per te,
per conoscerti.-
- Felice di avervi incontrata.
Royce, io adesso devo tornare a casa, ma se tu preferisci restare ci vediamo
domani.-
Feci per girarmi, ma una mano
mi prese per la manica e mi buttò nel mezzo del cerchio.
- Resta un po’ con noi, Rosie,
sono venuti apposta per incontrarti.-
- E lo hanno fatto. Vado, a
domani.-
- Mi sa tanto di no, piccolina
mia.-
Mi attirò al suo petto con
forza e cercò di toccarmi il seno: rabbrividii e solo in quel momento mi accorsi
del suo fiato pesante.
- Altro che brillo! Royce, sei
ubriaco!! Domani ne riparliamo.-
- Non avrai fretta di
lasciarmi! Mi offendo, sai??-
Appoggiò una mano sulla mai
giacca e la strappò via in una colpo, lanciandola lontano.
Il mio respiro iniziò ad
accelerare e indietreggiai di qualche passo, finendo contro il muro.
- Avevi ragione amico…è davvero
bella!! Con quelle guance rosa poi…-
Royce mi si avvicino ancora:
per la prima volta in vita mia ebbi paura non per chi amavo, ma di chi amavo.
Provai ad allontanarlo con una
spinta, ma lui mi bloccò il braccio e lo torse.
Con un gesto velocissimo, prese
tra le dita il colletto della mia camicetta e la lacerò.
Il terrore dilagava in ogni
angolo del mio corpo: vidi i suoi occhi cerulei allargarsi di un desiderio folle
e bramoso.
- Dio santissimo!!
Ragazzi…avete visto che davanzale?!! Ci scommetto tutto quello che volete che le
gambe sono ancora più belle!! Royce, che ne dici di dare un occhiata??-
Risero.
- Royce, basta!! Smettila
subito! Sono io, sono Rosie, fini…-
- Chiudi quella bocca, fatina
mia.-
Mi strinse ai fianchi,
portandomi un braccio dietro al collo, e lo morsi.
Sentii con una felicità vacua e
dolorosa quell’imprecazione.
Ma non vidi arrivare il colpo
sul viso che mi sbatté per terra.
- Rosalie…non si fanno certe
cose…-
Salì sul mio corpo e, mentre
cercavo di scrollarmelo di dosso spingendolo con le mani, mi tolse la gonna e le
calze.
- Smettila…in nome del Cielo….Royce,
basta, ti prego…per favore…-
Piangevo. Sentivo le lacrime
scorrere calde sul mio viso.
Sembrava che persino questo li
facesse felici.
Uno dei suoi amici appoggiò una
bottiglia a terra: mi sporsi, la presi e cercai di rompergliela in testa.
- Maledetta…Rosalie, sei una
povera illusa…sei mia. –
Una mano, appoggiata sulla mia
clavicola, mi stese di nuovo sull’asfalto, mentre altre mi ci tenevano
inchiodata.
- Basta, vi prego,
smettetela!!-
Esplosi in singhiozzi ancora
più violenti.
Ma poi rialzai lo sguardo e
rividi i loro visi: avevo perso.
- Maledetti bastardi…- Ogni
parola era un gemito, -siete solo dei maledetti porci…che…-
Una mano mi cacciò un pezzo di
stoffa in bocca.
Le loro risate cominciarono a
girarmi nelle testa: non ero solo l’oggetto del loro piacere, ma anche quello
del loro scherno. Ero un giocattolo.
Non passò una frazione di
secondo e mi ritrovai nuda.
E loro addosso a me, con il
loro fiato caldo e nauseante, le loro mani che erano solo zampe disgustose.
E il dolore, il disgusto e la
voglia di morire.
Per non essere più tra le loro
dita, in loro potere, la tenera creaturina da violentare.
E le stelle che brillavano,
immobili e silenziose.
E il buio.
La prima cosa che sentì fu il
calore sulla mia pelle, poi la morbidezza della seta.
Ero morta, o almeno così
pensavo: ero in pace, al caldo, immersa in qualcosa di così famigliare da darmi
sicurezza a occhi chiusi. Troppo.
Sbattei diverse volte le
palpebre, cercando di mettere a fuoco.
Guardai stupefatta le pareti di
legno chiaro, l’armadio più scuro davanti a me, la scrivania ordinata e la
psiche dall’altra parte e, nell’ombra, una porta bianca.
Abbassai lo sguardo e vidi la
morbida e lucente seta azzurra delle lenzuola che mi coprivano e la coperta rosa
così ben conosciuta: la mia stanza.
Mi girai verso la finestra: il
sole chiaro e forte destinato a durare nei giorni entrava vivace: ma a che
serviva che quel mio desiderio fosse stato esaudito? Non ce n’era il minimo
motivo.
Provai a convincermi che fosse
stato un terribile incubo, forse dovuto ad un’improvvisa febbre, ma poi notai il
livido bluastro sulla mia mano e i tagli da vetro sul mio polso.
Neanche la mia volontà di
morire era stata ascoltata.
Nessuno, da nessuna parte,
sembrava amarmi abbastanza da esaudire i miei desideri, per una sola volta non
futili.
Abbassai lentamente le palpebre
aspettandomi di sentire di nuovo le lacrime sulle mie guance, ma l’unica cosa
che capii fu che avevo perso così tanto da non poter esprimere il mio dolore:
avevo perso la fiducia di poter amare.
Mi ci sarebbe voluto tanto per
capirlo: in quel momento sapevo solo che tutto, tutto mi si era rivoltato contro
e mi aveva stretta tra le spire di quel serpente velenoso e terribile che è il
destino.
Mi lasciai cadere di nuovo tra
i cuscini di piume, fissando il vuoto luminoso del soffitto.
Sentì alcuni colpi leggeri alla
porta e vidi la figura sottile di mia madre entrare.
Si sedette accanto a me e
appoggiò la sua mano sulla mia.
La guardai in viso: aveva gli
occhi umidi, pieni di lacrime che neanche era suo diritto piangere.
- Rosie…Rosellina…stai
tranquilla, piccola mia, ci siamo qui noi.-
Lasciai che mi accarezzasse
piano il viso: era come essere di nuovo una bambina che si è appena svegliata,
circondata solo dall'amore di chi vuole consolarla.
Attesi. Attesi che parlasse di
nuovo. Che dicesse di nuovo qualcosa degno di una madre. Di una madre che ha
capito e visto l’animo di sua figlia.
Ottenni solo l’ennesimo rumore
di vetri infranti.
- Rosie…non te lo dovrei dire,
ma…ma forse…forse starai meglio…Royce mi ha detto che non gli interessa
quello…quello che è successo. Ti ama così tanto, bambina mia, ti ama e ti vuole
sposare.
Avrei dovuto lasciarti dormire,
non dirti nulla però…non avere paura…vuole stare con te…sempre, per sempre.
Non gli importa…nemmeno
se…se…se tu fossi incinta…ti ama senza condizioni, lo vedo nei suoi occhi.-
- E’ qui??-
- Sì, tesoro, sì…te lo chiamo
subito.-
Uscì veloce, e felice: sembrava
così sollevata, come se avesse evitato un catastrofe.
Io, la sua unica figlia,
violentata una settimana prima del matrimonio e quindi lasciata: doveva aver
creduto di essere finita in un incubo.
Mi sollevai di nuovo sui gomiti
e aspettai, con l’ansia di una condannata in attesa del giudice.
Entrò piano, mia madre alle
spalle, una meravigliosa maschera di preoccupazione e si avvicinò a passi
veloci.
Mi baciò la mano.- Rosalie!-
La porta si chiuse.
- Sei felice, ora?-
- Tu no, Rose? Ora sei una
donna.-
- Perché?-
- Perché??! Perché sì! Mi fai
impazzire, tu mi hai rubato il cuore, ninfa.-
- Sei solo un porco. Vattene.-
- Ehi, che problema hai?? Non
mi volevi sposare?? Non te l’ha detto la mamma che si fa l’amore con il proprio
uomo, sciocchina mia??-
- Fare l’amore? Amore??! Tu hai
fatto tutto tranne questo. Hai solo ascoltato te stesso. Sei solo un grandissimo
bastardo.
Sei un ladro che non ha niente
e ruba quello che gli altri hanno di più prezioso.
Io. Volevo. Essere. Tua. –
Quante centinaia di volte si
era già sentito dire tutto questo??
- Volevi? E che c’è, non
venirmi a dire che ora non mi ami più…sono stato il primo e forse sarò l’unico.-
- Vattene.-
- Stai buona…mi vuoi sposare,
no?-
- Frega mia madre, se ti
riesce, ma non provarci nemmeno con me!-
- Bellissima creatura, mi sa
tanto che non hai ancora afferrato un particolare: la tua condizione.
Se ti lascio adesso, sarò uno
scandalo…e se si venisse a sapere?? E se tu fossi incinta?? Immagina.
Se poi cominciassi a dire che
sono stato io…penserebbero allo shock e ti manderebbero da uno psichiatra, o
peggio, in un manicomio…Desideri questo?
E comunque resterebbe sempre
colpa tua: sei troppo bella…tutti direbbero che te la sei andata a cercare…tutta
colpa del tuo corpo bellissimo e peccaminoso.
Scegli, fiorellino mio,
diventerai la pazza, l’emarginata, la puttana, o farai la vita che vuoi come
tutti chiedono da te?
Decidi, Rosie. Il bianco ti è
sempre stato così bene.-
Scivolai sul materasso,
immobile.
Fregata, mi aveva fregata,
chiusa in una gabbia.
Mi ero fidata, innamorata, e
tutto quello che avevo ottenuto era sognare di poter scoppiare a piangere…un
istante di pace sarebbe valso tutte le lacrime del mondo.
La porta si aprì di nuovo: era
mio padre.
Gli sorrisi triste, gli presi
la mano e mi girai dall'altra parte fingendo di dormire: avevo bisogno di
pensare, di riflettere, di tornare a essere la solita Rosalie per poter
decidere.
Avrei sopportato che mi
guardassero male, forse anche di dovermene andare perché non più voluta: avevamo
così tanti parenti pronti ad accogliermi.
Ma mio figlio?? Quella piccola,
invisibile creatura che poteva esserci o non esserci?
Se fossi stata incinta e fossi
stata sola mi avrebbero di certo mandato via o, alla meno peggio, chiusa in casa
prima che qualcuno cominciasse a notare il pancione...ma poi??
Ci avrebbero separati.
Non avrei mai visto il mio
piccolo, sarebbe subito scomparso, forse anche subito dopo il parto.
Non avrei visto il suo primo
sorriso, non avrei toccato la sua pelle di latte, non sarei stata fiera
vedendolo crescere, non lo avrei sentito chiamarmi “mamma”dopo un incubo.
E lui sarebbe cresciuto come un
orfano, un figlio della vergogna: di sua madre.
Per quanti anni gli avrebbero
detto che non lo avevo voluto? Gli avrebbero detto la verità, da adulto, o solo
fatto intendere che era il figlio di una donnaccia?
Non avrebbe avuto né padre né
madre, mai.
Non lo avrei permesso, non
avrei mai potuto permetterlo.
Lo avrei protetto.
In nome di qualcuno, che forse
non avrei mai visto, da potere davvero amare di nuovo, ero pronta anche a
chiudere da sola le sbarre della mia prigione.
Mi alzai piano dal letto,
sentendo il dolore diramarsi per il mio corpo, mi avvolsi nella vestaglia e
uscii dalla mia stanza.
Quando entrai nel salotto i
miei genitori erano seduti sul divano, parlando. Di me.
Mi appoggiai alla poltrona
davanti e mi strinsi nell'abito, poi respirai a fondo e sorrisi.
-Allora non mi fate gli
auguri?? Tra una settimana mi sposo...-
Odiai le loro espressioni di
ebete gioia: niente era più sbagliato. Niente.
Erano le otto di mattina, forse
appena dopo, e l'unica cosa sensata da fare mi sembrava guardare il sole che
con i suoi raggi illuminava il giardino di casa mia.
Peccato che fosse il giorno del
mio matrimonio: non me l'ero davvero immaginato così, ma importava forse
qualcosa?? Niente era più come avevo voluto che fosse.
Pregai che si immobilizzasse
tutto.
-
Ciao, sposina!!-
Vera. Era arrivata, silenziosa
come sempre, dolce e delicata come sempre.
Si appoggiò al davanzale
accanto a me, lasciandomi pensare.
Mi girai verso di lei: era già
pronta, nemmeno la cerimonia stesse per cominciare, nemmeno se l'inizio del mio
incubo fosse a un battito di ciglia.
Guardando la crocchia di trecce
in cui aveva raccolto i capelli mi chiesi a che ora si fosse alzata: prima di me
di sicuro, conoscendo i suoi capelli, impossibili e ricci.
Mentre spostavo di nuovo lo
sguardo verso l'esterno mi accorsi che teneva la mano destra sul ventre: non era
la prima volta che lo faceva.
-
Vera...perché hai la mano sulla pancia?? Non sarai incinta di
nuovo?-
-
Forse...forse. Alt, ferma, oggi si parla solo e soltanto di te...felice??
E' la tua attività preferita.-
Mi squadrò in un momento.
-
Allora, dietro la mia infinita esperienza– Mimò il gesto delle
virgolette- oserei dire che i capelli te li sei lavati ieri sera, perciò bisogna
solo acconciarli. Rosie, Rosie ci sei?? Va bene che è presto, ma ci vorrà tempo
per sistemare tutto...ti senti bene?? Ti vado a prendere un po' d'acqua? Rosie...-
-
Tranquilla, tutto bene...sono solo un po'...confusa. Dammi un
secondo.-
Mi girai per evitare che
vedesse i miei occhi che si muovevano veloci: avrebbe capito subito che mentivo;
Dovevo assolutamente riprendere in mano la situazione.
-
Come al solito hai ragione tu, alla fine...è meglio muoversi.-
Presi tutto dall'armadio e
andai in bagno.
Indossai la biancheria e poi
estrassi il vestito dalla scatola, sollevandolo davanti a me.
Diedi le spalle allo specchio e
feci scivolare l'abito dalla testa e uscii.
Era morbido sulla mia pelle.
Era morbido e pungeva e bruciava come acido.
-
Serve una mano per i laccetti sul retro?-
-
Magari...-
Chinai la testa allontanando i
capelli dal collo e mi girai.
-
Rosie, me la dici una cosa...perché non hai voluto che venisse
anche tua madre?-
-
Sai che non ne ho idea...Forse per non averla addosso di
continuo...-
-
Non le è ancora passata la mania di essere ossessiva, eh?!-
Mentire. Mentire ancora.
E fingere.
-
Fatto! Dai, girati! O mio Dio!! Rosie, sei bellissima. Sembri un
angelo bianco!-
Restai a guardare: non vedevo
l'angelo che diceva lei.
Percorsi con lo sguardo
l'abito: la scollatura a cuore, i corpetto stretto sulla vita, la gonna di seta
e tulle, le maniche a gomito di pizzo.
Ero ammirata da quel vestito
che sembrava negare la Depressione.
Ero disgustata da quel bianco.
-
C'è fin troppo bianco.-
-
Rosie, che hai detto?-
-
Niente, niente...-
-
Rosie.-
Mi si parò davanti: a dispetto
dei miei 10 centimetri in più, sembrava più alta di me.
Sperai che non capisse: lei non
doveva farlo. Non lei.
Mi fisso con quei suoi occhi
scuri e tranquilli, e poi sorrise.
Mi accarezzò appena il viso.
-
Avete già fatto l'amore, vero?- Mi fece sedere sul mio letto – Non
hai fatto niente di sbagliato, Rosie...sei innamorata.-
Non aveva capito. Per una volta
si era sbagliata.
Ma sentendo quella parola, che
dovrebbe solo rassicurare, non avevo potuto trattenere una specie di sobbalzo.
Innamorata. Io? Adesso?
Ma lei era la sicuro dalla
verità e anche tanti altri lo sarebbero stati.
Cercai di ricomporre un sorriso
sul viso e per caso mi guardai le mani: erano ancora coperte dai graffi e cercai
velocemente i guanti per coprirle.
Ma trovai solo la mia mica che
mi stringeva forte il polso.
-
E questi?? Come te li sei fatta?
-
Ma niente, una caduta...-
-
Una caduta su quello che sembra vetro? Rosie, che ti è successo?-
Sapevo che avrei dovuto subito
alzare il viso, guardarla dritta negli occhi e mentire ancora: quel gesto e
avrei dissipato i sospetti.
Ma non ci riuscii: stavo
guardando i segni che mi avevano tradito.
-
Che ti è successo, davvero? Rosie, non eri malata, vero?? Che è
successo?-
Mi alzò piano il mento. Pregai
che per una volta non riuscisse a leggermi dentro.
-
No...Rosie, no...ti prego, ti prego...dimmi di no....-
Era fatta. L'aveva capito. Per
fortuna mancava l'ultima parte.
Mi ritrovai a cercare di nuovo
di sorridere, sentendo finalmente le lacrime sulle guance.
-
Rosalie, non devi sposarti. Non se non vuoi.-
-
Vera, devo.-
-
No.-
Mi sfiorai appena la pancia con
la mano.
-
Devo.-
Poi non riuscii più a dire una
parola e inizia a piangere per la prima volta, appoggiata alla mia migliore
amica, come una ragazzina.
Mi addormentai mentre Vera mi
acconciava i capelli.
Quando mi svegliai l'impacco di
camomilla aveva cancellato gli occhi rossi e il trucco mi aveva reso ancora più
bella del solito. Ero davvero la ninfa che non avrei voluto essere.
Gettai un'occhiata alo
specchio: per lui ero perfetta.
Ma io non ero pronta: non lo
ero, non volevo esserlo, ma dovevo esserlo.
All’esterno, nel giardino, era
tutto una festa: fiori, festoni e ospiti.
Avevamo deciso che ci saremmo
sposati nella cappella dei King e così salii insieme sulla mia famiglia su un
calesse di fine ‘800, per attraversare la cittadina, che, alla continua ricerca
dell’ultimo pettegolezzo, si era sparpagliata sui lati delle strade.
Non riesco a ricordare nulla
delle cerimonia, eccetto le lacrime che puzzavano d’ipocrisia a centinaia di
metri di distanza.
Non ascoltai i commenti, i
complimenti o le battute maliziose che mi venivano rivolte ogni momento; solo le
parole di una cugina quindicenne,mi restarono impresse:- Ti faccio tanti auguri,
cugina. Un giorno spero di avere accanto qualcuno come tuo marito, qualcuno che
mi ami come lui ama te…è il mio desiderio-
Cosa avrei potuto dirle? Che si
sbagliava? Che era una messinscena?
Non volevo rovinare un sogno
d’innocenza e quindi non parlai.
Non mormorai una solo parola
nemmeno quella notte, quando due bracci ami trascinarono su di un letto.
Avevo in me ancora qualcosa,
ancora una piccola speranza luminosa che mi teneva a galla.
E che lasciò due settimane
dopo, trascinandomi negli abissi bui di una notte non voluta.
Salve a tutte…prima di tutto
ringrazio chiunque abbia letto, è importante anche questo.
Come dice il titolo questo è un
prologo…per vedere i veri sviluppi della situazione e soprattutto il fantastico
Emmett bisognerà aspettare il prossimo capitolo.
Spero che non sia troppo
triste, ma sinceramente questo il modo in cui mi sono sempre immaginata una
situazione del genere.
Ciao e bacio
Momoka chan
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