Disclaimer:
I personaggi di Queer as Folk non mi appartengono, benché
meno lo sceneggiato. Da questa storia non ci ricavo assolutamente nulla
ù_ù
That Day
Di tutti i modi in cui
Brian Kinney amava essere svegliato, solo uno in quel momento era
l'ultimo che avrebbe scelto per tornare alla realtà.
Perché la bocca di Justin era così tanto abile
nel farlo cadere in uno stato d’incoscienza tale per cui
Brian non sarebbe riuscito ad arrabbiarsi col biondo per averlo
svegliato proprio quel giorno, quando l’unica cosa che
avrebbe voluto fare sarebbe stato dormire. Magari fino alla
fine dei tempi.
Così, ancora
in quello stato comatoso dovuto al traumatico risveglio e
all’appagante orgasmo, aprì leggermente gli occhi
e con la voce impastata dal sonno salutò Justin con un
esausto ma triste ‘buongiorno’.
“Ciao…”
gli rispose il ragazzo con un sorriso mentre gli carezzava dolcemente
la fronte, scostandogli alcune ciocche castane leggermente umide.
"Cosa diavolo ci fai
qui?" gli chiese l'uomo cercando di tornare a respirare normalmente nel
più breve tempo possibile. Non aveva più
vent'anni, e tutte le sigarette che fumava di certo non lo aiutavano a
recuperare le forze e il fiato come accadeva quando aveva
l’età di Justin..
"Ho dormito qui, non ti
ricordi?" rispose l'altro ricevendo da parte di Brian un'occhiata
particolarmente scocciata, irritata e anche profondamente triste.
“Sì,
mi ricordo che hai dormito qui” mormorò
l’uomo afferrando un lembo del lenzuolo e coprendosi. La
fresca aria del mattino aveva cominciato ad infastidirlo.
Justin, vedendolo, non
riuscì a tranne re un debole sorriso.
"Perché lo hai
fatto?" chiese Brian sapendo che il biondo avrebbe capito che si
riferiva al fatto di averlo svegliato..
"E' mattino."
"Ti avevo chiesto di non
farlo. Di non salutarmi…" mormorò il moro
tuffando la testa nel cuscino e cercando di ritrovare il sonno perduto.
Non voleva svegliarsi per salutare Justin. Sarebbe stato molto meglio
se il ragazzo fosse partito lasciandolo da solo a macerarsi nel suo
dolore e nella sua taciuta tristezza che mai e poi mai avrebbe mostrato
a qualcuno. Avrebbe preferito che neanche Justin lo vedesse in quello
stato, ma evitarlo gli era stato impossibile "Odio i saluti della
partenza" biascicò poi con il volto ancora premuto contro il
cuscino.
"Già, fanno
troppo Signorina Miniver..." commentò
Justin, sapendo che in questo modo avrebbe attirato l'attenzione del
compagno che, come da programma, non si astenne dal fulminarlo con lo
sguardo "Lascia perdere" si affrettò poi a dire il biondo "E
comunque non ci sarà nessuna partenza fino al diciannove,
quindi oggi non c’è nessuno da salutare".
Brian corrugò
le sopracciglia distendendo leggermente il volto prima ci accigliarsi e
realizzare cosa gli aveva appena detto il ragazzo.
"Non è molto
carino da parte sua scappare a New York il giorno in cui saremmo dovuti
partire per Milano in viaggio di nozze" gli fece
notare Brian calcando particolarmente il tono sulle ultime parole, come
a fargli capire a che sceneggiata si era prestato solo per renderlo
felice, per ricevere cosa in cambio? Un calcio nel culo.
"Io invece trovo che sia
un'ottima idea" rispose Justin rotolandosi sul letto e avvicinandosi al
corpo dell’uomo.
“Lo fai
apposta?” chiese Brian con una nota triste nella voce.
“Cosa?”
replicò Justin sorpreso.
“Sai di aver
distrutto il Brian Kinney che ero quando mi hai conosciuto cinque anni
fa, quello arido di sentimenti, sicuro di sé!
Perché devi continuare? Hai vinto, di cos’altro
hai bisogno adesso?” sbottò l’uomo irato
davanti ad un Justin apparentemente teso, ma che non aveva smesso per
un secondo di sorridere.
“Non eri arido
di sentimenti” spiegò il biondo dolcemente
“semplicemente avevi solo paura di essere ferito nel momento
in cui li avessi mostrati” gli fece notare scostandogli una
ciocca di capelli dagli occhi.
“Fanculo, e
così è successo! Prima ero ancora abbastanza
forte da sopportare quegli stronzi dei miei amici perché
– checché tutti ne dicano – solo Emmett
è l’unico ad essere sincero e a comportarsi sempre
allo stesso modo col sottoscritto. A Michael voglio bene, ma non ci ha
impiegato nulla a voltarmi le spalle quando non gli sono più
andato a genio. Ted sarebbe anche ok, ma la gelosia e
l’invidia lo rendono pessimo quanto Michael, anche se
ovviamente ciò che pensa e fa Theodore m’interessa
fino a un certo punto. Gli altri sono sempre tutti pronti a criticarmi,
ma nessuno si è mai guardato allo specchio per giudicare se
stesso. Che cazzo volete di più da me?! Stavo meglio senza i
miei fottutissimi sentimenti!” replicò il moro
alzando il tono di voce a prendendo stizzito una sigaretta dal
pacchetto che aveva abbandonato sul comodino la notte precedente.
“Non hai del
tutto torto.”
“L’ho
mai avuto?” domandò Brian retorico.
“Forse”
replicò Justin rubando la sigaretta dalle mani
dell’uomo per aspirarne una boccata mentre lo guardava,
aggrottando le sopracciglia, notevolmente perplesso.
“Il diciannove
ci aspetta un aereo sul quale saliremo tutti e due e che ci
porterà – dopo uno scalo – a Milano. Non
New York” disse Justin con un sorriso sincero stampato sul
volto. L’uomo notò solo in quel momento che il
ragazzo non aveva fatto altro che fremere tutto il tempo in attesa di
potergli dare la notizia. Quello che Brian non capiva era come
e perché Justin avesse deciso di tornare
sui suoi passi. Il compagno – per quanto Brian
l’avrebbe sempre negato, ma fu lieto della
capacità del ragazzo di comprendere ciò che stava
pensando in quel momento – sembrò infatti
comprendere i suoi dubbi e aprì la bocca per dargli le
risposte di cui l’uomo necessitava.
“Tutti non
hanno fatto altro che ripetermi per anni che tu non eri la persona
adatta a me, che avrei dovuto cercare qualcun altro che sarebbe stato
in grado di amarmi perché tu non l’avresti mai
fatto e non l’avresti mai neanche voluto”.
“Però
l’ho fatto” ci tenne a fargli presente
l’uomo.
“Infatti!
Se Brian Kinney è sceso a patti con se stesso per
me… Perché diavolo dovrebbe fregarmene
qualcosa di New York?!”
“Forse
perché è la tua grande occasione per diventare un
artista famoso e fare strada?!”
“Quello che
nessuno riesce a capire – nemmeno tu, dopo tutti questi anni
– che non me ne frega niente del resto. Tu sei la mia
occasione e così è sempre stato. Ho rinunciato
alla famiglia, a delle promesse e delle proposte per te ma non ho
nessun rimpianto per quello che mi sono lasciato alle spalle. Io ho
sempre e soltanto voluto stare con te. E per quanto ridicolmente
romantica possa sembrarti come dichiarazione, le cose stanno
così.”
Brian si
ritrovò completamente senza parole davanti
all’affermazione di un ragazzo che, davanti la
possibilità di diventare il nuovo Andy Warhol, era
intenzionato a rinunciare per poter stare con lui.
“Devi fare
quello che ti rende felice. Come quando invece di andare a studiare
economia per far felice i tuoi hai deciso di entrare
all’Accademia di Belle Arti” cercò di
farlo ragionare Brian, combattendo con quella vocina dentro di lui che
gli suggeriva di chiudere la bocca per una volta tanto e accettare
senza batter ciglio le scelte del ragazzo invece che provare a
spingerlo ad andare per non condannarlo ad una vita con un uomo di
dodici anni più vecchio di lui. Checché ne
dicessero non era così un fottuto egoista come la maggior
parte dei suoi amici amava dipingerlo e come lui stesso alla fine si
era abituato ad apparire. Era un pubblicitario: se alla gente piaceva
considerarlo in questo modo e così lo volevano, allora lui
così sarebbe stato.
“Ed
è quello che faccio anche adesso: tu sei la mia Accademia e
New York… è un qualcosa che non farei per non
deludere la mia famiglia adottiva. Ma come dice Emmett, fanculo
al mondo. Me ne fotto della massa.”
“Ma quella
massa è quella che è disposta a peso
d’oro i tuoi quadri e farti diventare ricco e
famoso…” cercò di farlo ragionare
Brian, sempre meno convinto delle sue parole.
“La recensione
l’ho avuta. Gli esperti e gli appassionati del settore sanno
già chi sono. Se mi vogliono, possono sempre cercarmi. Alan,
il tizio che ha preso il posto di Linz alla Sidney Bloom Gallery, ha
tutti i miei contatti e si è offerto di farmi da
intermediario in caso di necessità”
spiegò Justin coprendosi a sua volta col lenzuolo e
avvicinandosi maggiormente al corpo dell’uomo. Brian gli
lanciò un’occhiata penetrante e il ragazzo
già sapeva cosa gli avrebbe chiesto.
“A che
prezzo?”
Justin rise.
“E’
vecchio. Ha voluto solo farmi un pompino”.
“Quanto
vecchio?”
“Ehm…
Trentott’anni?” mormorò il biondo con un
sorriso avvicinandosi al volto dell’uomo e lasciando un umido
bacio sulle labbra del compagno. Uno scappellotto fu l’unica
risposta che il moro gli diede prima di spingerlo con la schiena verso
il materasso.
“Ho dimenticato
di dirti… ho già chiamato la Liberty Air, in modo
da riconfermare il nostro volo, il giudice di pace per farlo
presenziare al nostro matrimonio e il catering”
mormorò Justin mentre l’uomo si ere già
avventato sul suo collo e iniziato a lasciargli baci lascivi sulla
pelle, facendo intanto scontrare provocatoriamente i loro bacini
già nudi.
“Dove sta la
fregatura?” chiese Brian mordendogli sensualmente il lobo.
“Ho lasciato a
te l’onore di dire agli altri che ci abbiamo ripensato e il
matrimonio si far- ahhhh” gemette Justin
inarcando la schiena quando l’uomo spinse con forza
l’erezione contro il suo bacino.
“Questo ti
costerà molto caro Taylor. E non sperare di cavartela con un
pompino…” sussurrò l’uomo
lascivo all’orecchio del ragazzo.
“Ho tutto il
tempo per pagare il mio debito. Non devo andare da nessuna
parte” rispose Justin perdendosi nella bocca e tra le braccia
dell’uomo. Sarà stata una dichiarazione
patetica e ridicolmente romantica, ma al ragazzo non
importava assoluto nulla. Quel giorno, in cui
avrebbe dovuto perdere tutto, era quello in cui forse poteva dire di
aver iniziato a vivere e fatto l’unica scelta che davvero
aveva mai voluto fare.
Non sapeva come avrebbero
reagito gli altri o cosa sarebbe successo domani, la prossima settimana
o il prossimo mese, quel che gli interessava era che aveva finalmente
deciso ed iniziato davvero a vivere la sua vita con Brian. Quel giorno
il resto non contava.
Note
dell’autrice:
L’idea era
segnata sulla mia agendina da un sacco di tempo –
probabilmente quando scrissi Fairytales gone mad
– ma non ho mai avuto modo (…diciamo pure
voglia -.-‘) di metterla nero su bianco. Avendo
ripreso in mano qualche settimana fa un fandom su cui non scrivevo da
eoni, ho pensato che se ero riuscita a scrivere una nuova kaulitzest
avrei anche potuto dedicarmi un po’ a Queer as Folk.
Non mi dispiace il
risultato: è fluff, romantica, totalmente
l’opposto delle post 5x13 da me sinora scritte.
Però talvolta bisogna sperimentare cose nuove u.u
Il titolo è
– vergognosamente – l’omonimo di una
canzone dei Tokio Hotel (no comment u.u)
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