Storia scritta per il concorso One Piece del forum Blue Island e classificatasi al secondo
posto. A lungo ho pensato di scrivere una fic che avesse per protagonista Usopp, uno
dei miei personaggi preferiti di OP, specie dopo la saga di Enies
Lobby. Un personaggio che ha abbandonato il ruolo
stereotipato di “spalla comica” per acquisire uno spessore notevole e guadagnarsi
un ruolo di pari dignità rispetto ai suoi compagni più forti. E, insomma, appena ho avuto l’occasione ho scritto questa
roba XD.
La fic si ambienta tra la partenza da Thriller Bark e l’arrivo alla Red Line.
Il più grande
guerriero dei mari
di Gan_HOPE326
The things you say,
your purple prose just gives you away;
the things you say…
you’re unbelievable.
EMF – “Unbelievable”
Venite pure avanti, voi, con il naso corto,
signori imbellettati, io più non vi sopporto.
Francesco Guccini
– “Cirano”
Mi cola il naso.
E’ un moccolo lungo così, lungo,
viscido e sufficientemente schifoso, che penzola ampiamente, dondolandosi fiero
della propria grossezza, da quell’appendice abnorme che mi ritrovo
poco sotto gli occhi. Non è il momento adatto, non è proprio il momento adatto; ma, probabilmente per colpa del freddo
pungente della notte e di questa pioggia forte che cade giù a gocce grosse e
pesanti (non tanto quanto il mio moccolo, comunque),
non posso farci niente, mi cola il naso. Gli uomini della Marina, tutto
intorno, si affaccendano e urlano. Mi hanno lasciato solo, qui, perché tanto sono
legato, e poi nessuno si aspetta che io possa nemmeno immaginare di riuscire a
fuggire. Una dozzina di genieri sta armeggiando tra i massi e il terriccio che
ostruiscono l’ingresso della caverna. Un paio di loro porta, con cautela, la
cassa di dinamite, coperta da un telo per impedire che la pioggia la bagni.
-
Misurate bene la carica! – ruggisce il tenente Shade, per farsi sentire bene attraverso lo scroscio
dell’acquazzone – Secondo quello che ha detto naso lungo, qui, dentro dovrebbe esserci Cappello di Paglia!
Già. Secondo quello che ho detto
io.
-
Significa che dobbiamo stare attenti a non ucciderlo,
tenente? – chiede uno.
-
No. Significa che l’importante è che il corpo sia
riconoscibile, o non potremo essere sicuri che fosse
davvero lui.
I candelotti vengono
sistemati. Le micce stese. Sono impregnate di
petrolio, bruciano bene persino sotto tutta quest’acqua. Le accendono. Per pochi, lunghi secondi, tutti
aspettano il botto.
Il rumore è forte, improvviso,
cavernoso: all’unisono, i presenti hanno un unico sobbalzo di sorpresa, che si
propaga come un’onda. Quindi si voltano verso di me.
-
Scusate. – balbetto, correndo a sfregare con una spalla
(non posso muovere le mani, legate dietro la schiena) il cappotto di un soldato
che ho imbrattato col mio colossale starnuto.
Il cappotto si sporca solo di
più, e il soldato, irritato, si sbarazza di me scrollando le spalle e mi getta
a terra. Dove resto, col sedere a mollo in una
pozzanghera, ad aspettare che arrivi l’esplosione, quella vera.
Ci vorrà ancora qualche secondo;
quindi, se vi interessa sapere come sono finito in questa
situazione, e se siete disposti a credere alle mie parole, c’è tempo a
sufficienza per raccontarvi com’è andata. Pronti? Allora: era una notte buia e
tempestosa…
Era una notte buia e tempestosa, e la
piccola ma intrepida ciurma del grande, potente, impareggiabile Capitano Usopp si ritrovava a vagare senza una meta su un isolotto sconosciuto. Erano approdati
laggiù in cerca di viveri e acqua, ma non avevano trovato i primi
mentre la seconda aveva fatto presto ad arrivare, e fin troppo
abbondante, dal cielo. Finalmente trovarono una caverna che pareva adatta a
fare loro da riparo. Era un largo buco nel fianco di una montagna, dall’aspetto
regolare, che sprofondava nella viva roccia. L’interno sembrava vuoto e
spoglio, ma era difficile dirlo, poiché già a pochi metri dall’ingresso la cavità
era avvolta nel buio più completo. Gli uomini esitarono, timorosi di cosa
quell’antro potesse nascondere, ma il capitano li incoraggiò.
-
Avanti! – disse –
Qualunque cosa possa vivere in una grotta alta meno di
dieci metri non può certo essere un pericolo per me!
Ahimé: il coraggioso capitano peccò forse, appunto, di troppo coraggio.
Una volta che si furono inoltrati nella grotta, accendendo torce di legno per
rischiarare un po’ l’ambiente, videro presto segni che dimostravano
inequivocabilmente come quel luogo fosse abitato da un essere certamente molto
grande e quasi sicuramente ostile. Trovarono un letto lungo almeno sette metri,
sedie e sgabelli proporzionati, e uno scaffale, altissimo, su cui stavano
giganteschi libri dai titoli preoccupanti come “1000 modi per cucinare un
pirata” e “Quattro corsari in padella”.
-
Questo posto non
mi piace. – disse uno degli uomini di Usopp.
Non fece in tempo a concludere la parola
“piace” che un fragore tremendo scosse la grotta intera. Era appena arrivato un
gigante, anzi, IL Gigante, quello che terrorizzava
quelle contrade da anni, assaltando i villaggi e divorandone gli abitanti; e,
entrando, aveva chiuso l’ingresso della caverna con un colossale macigno. Vedendolo
avvicinarsi, i compagni del Capitano Usopp si
rivolsero a lui, disperati, certi che il mostro li avrebbe
presi e sbranati uno ad uno.
-
Non temete, ragazzi, – bisbigliò il Capitano – ho già in mente
un piano. Quando ci vedrà, noi gli offriremo del vino
avvelenato. Così lo uccideremo senza correre rischi.
-
Ma è disumano! – obiettò uno dei compagni – E
poi, così, chi sposterà quell’enorme masso
all’entrata? Resteremo intrappolati qui dentro per sempre!
Usopp si massaggiò il mento, pensieroso.
-
Giusto. –
concluse – Allora faremo così: il vino sarà solo drogato, e servirà ad addormentarlo. A quel punto, usando dei tronchi d’albero
dalla punta arroventata, noi gli caveremo gli occhi! Così, accecato, dovrà
spostare il macigno per andare fuori a rinfrescarsi, e potremo uscire. Ed è
persino possibile che riesca a sopravvivere, se la ferita non si infetta e non va in cancrena, naturalmente.
-
Fantastico,
Capitano! Lei sì che è un genio! Ed è anche così compassionevole
verso i suoi avversari!
Il Gigante, nel frattempo, si avvicinava…
-
Va bene, va bene! – sbottò
all’improvviso il sottotenente Giles, mollando la
penna con cui stava stenografando il rapporto – Ora dacci
un taglio con queste storielle idiote e rispondi sul serio. Ti abbiamo chiesto una cosa molto semplice, mi pare. Chi sei
tu?
Lo guardai sforzandomi il più
possibile di assumere un’espressione sorpresa e
scandalizzata. Abbastanza semplice da fare: si dilatano gli occhi, si
aggrottano le sopracciglia, si finge un leggero tremore.
-
Come, chi sono! Mi pare di
avervelo appena detto! Sono il grande Capitano Usopp,
il più spaventoso corsaro di tutti i mari! Forse non mi credete, felloni?
Il sottotenente Giles fece il gesto di alzarsi dalla scrivania, protendendo
le sue mani verso il mio collo, ma venne trattenuto da
un collega al suo fianco. Altri marinai, qua e là, risero, chi più, chi meno
apertamente. Uno sghignazzò clamorosamente. No, i felloni non mi credevano,
evidentemente.
…
“Perché
racconti le bugie, Usopp? Voglio
dire, non ti crederà mai
nessuno.”
Mi venne in mente allora: me
l’aveva chiesto qualcuno solo il giorno prima, quando
la mia situazione era molto diversa. Avevo pensato subito a diverse risposte,
ma darne una qualunque avrebbe significato ammettere
qualcosa che non avrei mai voluto dire a voce alta, così avevo finito per restare
zitto. Quindi, perché racconto le bugie? In quel
momento, a guardarmi intorno, circondato come ero da
quei tizi della Marina, tutti grossi come armadi, che mi tenevano a forza su
una sedia, pronti a impugnare le armi, e mi sottoponevano a quel loro bell’interrogatorio, avrei detto che una buona risposta fosse:
per farmi coraggio. Per sentirmi più forte di quello che sono.
Sperando, assurdamente, che dirlo basti per diventarlo davvero.
-
Ascolta. – fece Giles – Se, e
sottolineo se,
decidessimo di credere a questa tua inverosimile balla, non ti troveresti in
una bella posizione. Sei stato fermato dalla Marina in quanto tipo sospetto
privo di documenti: ma da qui a pensare che tu sia un pirata ne passa. Se però tu insistessi a dire di esserlo, allora dovremmo
comportarci di conseguenza. Il che significherebbe che
diventeremmo molto meno gentili.
Capisci cosa intendo? Quindi, la verità. Chi. Sei. Tu.
Dimmelo.
E mi
fissò con occhi furibondi. Carichi di rabbia. Di odio.
Sentii disperato il bisogno di
sfuggire a quegli occhi, di dimostrare che non li temevo, mentre
invece me la facevano fare sotto dalla paura.
-
Ve l’ho già detto, ignobili villani. – esclamai – Sono il grande Capitano Usopp!
-
…e allora io le ho detto:
“Lila è solo un’amica, non puoi esserne gelosa”. E Marianna:
“Amica un corno! Che ci faceva l’altro giorno qui a
casa nostra?” E io… ah, ma che è questo casino?
-
Il sottotenente Giles sta
interrogando un tizio nell’altra stanza. Un imbecille che
dice di essere un capitano pirata. Capitan Usopp.
-
E com’è che urlano tanto?
-
Giles sta andando fuori di testa perchè il tizio continua a snocciolare
frottole assurde. Prima l’ho sentito raccontare di un Gigante, e adesso ha
appena tirato fuori una storia di un Demone del Vento.
-
Oh, fantastico! Ma dico, ci
siamo arruolati in Marina per prendere pirati o mitomani?
-
Non dirlo a me. Quel tipo è proprio patetico. E’ il
genere che detesto di più.
-
Quindi andremo avanti con l’interrogatorio
per tutta la notte?
-
Probabile. Niente sonno oggi, siamo in servizio.
-
Che schifo. Perché non dai un colpo al bar qui vicino col den-den
mushi e ci facciamo mandare due caffé? Così magari ci
teniamo svegli.
-
Buona idea. Aspetta che
chiamo.
-
…
-
…
-
Insomma, che roba. Stare dietro a
un pazzo visionario. La Marina
si è abbassata a questo? Dov’è finita la nostra
dignità?
-
Non so. Con o senza latte?
-
Cosa?
-
Il caffé. Con o senza latte?
-
Senza.
-
Senza, capito. Allora, dicevi, di Marianna?
-
Ah, sì. E allora le faccio: “Se
tu mi amassi davvero come dici, non avresti continuamente bisogno di conferme…”
-
…e così, grazie alla mia
astuzia, forza e coraggio, riuscimmo a sfuggire alle grinfie della spaventosa Banshee.
-
Basta. Io me ne vado a riposare per un po’. Lo lascio a
voi.
Il sottotenente Giles si alzò, sfiancato, e, senza
lasciare il tempo a nessuno di muovere obiezioni, sparì dietro una
porta. Restai imbambolato sulla sedia, privato del mio principale ascoltatore ma con ancora un nutrito pubblico di marinai che
mi fissavano con una sorta di divertita simpatia.
“Perché
racconti le bugie, Usopp?”
Perché mi piace mettermi al centro dell’attenzione, anche solo facendo il pagliaccio.
Perché è un ottimo modo per sentirsi importanti.
-
Non vi ho ancora parlato dell’Uomo che Cammina sulle
Mani, vero?
-
No. Non ce ne hai ancora parlato. – fece uno, ridendo.
Cominciai a raccontare. I marinai
si misero comodi ad ascoltarmi, facendomi domande e accompagnando i momenti più
interessanti della storia con esclamazioni di sorpresa, preoccupazione o
approvazione. Uno mi offrì una birra. Mentre continuavo a riferire nei minimi dettagli quella mia celebre avventura ci fu anche chi
compose una canzoncina così su due piedi e cominciò a fischiettare:
Attento ad Usopp: con lui vicino
il tuo futuro diventa nero!
Se ti vedrà finirai certo
all’ospedale o al cimitero!
E rise,
insieme a tutti gli altri. Ripeterono la canzone in coro, ed io mi unii a loro
nel cantare le lodi alla mia forza spaventosa e al mio
coraggio ineguagliabile. L’ambiente della caserma si trasformò, diventando più
simile a quello di un’osteria piena di pirati ubriachi che fanno
bisboccia.
Attento ad Usopp: comincia a scappare!
Se lui ti becca, finisce male!
Puoi anche fare testamento
e prenotarti il funerale!
Il suono della porta che sbatté
con violenza quando Giles
ritornò nella stanza mise fine a tutto, e il silenzio tornò nella caserma. Il
sottotenente stringeva un foglietto nella mano destra, e aveva un’espressione
cupa.
-
Sembra – mormorò – che quest’uomo non mentisse del tutto.
-
Cosa intende, sottotenente? –
chiese qualcuno.
-
Intendo che il modo migliore per nascondere una verità,
certe volte, è sbatterla sotto il naso a tutti.
Allungò il foglietto, il
volantino, in modo che tutti lo potessero vedere.
-
“Il re dei cecchini”, Sogeking,
con una taglia di trenta milioni di Beli. Il sedicente Capitano Usopp è davvero un pirata, anche se non un capitano. Ha
avuto una parte rilevante nell’incidente di Enies Lobby.
Un brusio percorse i marinai. Uno
di loro, che aveva posato un braccio sulle mie spalle, si ritrasse
improvvisamente, come spaventato.
Spaventato da me!
Per un momento provai una gioia
irrazionale e del tutto fuori luogo.
-
Ed è un compagno di Luffy Cappello di Paglia, con una taglia di trecento
milioni di Beli. Il quale, evidentemente, non si trova lontano da qui.
Mi presero per le braccia, uno da
ogni lato, sollevandomi di peso dalla sedia.
-
Come ho detto prima, con i pirati
siamo molto meno gentili.
Mi trascinarono via, a forza,
mentre io urlavo, gridavo, strepitavo, mi sbracciavo, strillavo che l’uomo con
la maschera non mi assomigliava per niente, dicevo che
stavano commettendo un errore, piangevo, chiamavo a gran voce il mio esercito
di diecimila uomini, e giuravo, giuravo che non l’avrebbero mica passata
liscia, tutti loro, per avere osato mettermi le mani addosso in quel modo,
proprio no.
-
Portatelo di là, così potrò interrogarlo
sul serio. Chiamate
il tenente Shade, lui ci sa fare con queste
cose. Deve dirci dove sono i suoi compagni. E, per l’amor del cielo, fatelo stare
zitto.
Una mano che puzzava di cordami e
polvere da sparo mi premette la bocca. Continuavo a
dimenarmi. Era inutile, ma io non smettevo. Sprecavo le forze, certo: e allora?
Le forze sono mie. Le uso come voglio.
E tutti,
intorno, ridevano. Come avevano riso
prima insieme a
me, ora ridevano di me.
Come se il fatto che egli ostenti
tanto la propria disperazione bastasse a rendere un uomo portato alla tortura
una cosa divertente.
-
…quando vedo Lila, è nera. Dice che non sopporta più di vivere in sospeso. “Lascia
quella Marianna, se ci tieni a me” mi fa, come un
ultimatum. E io: “Ma lei non è importante per me, non
è niente, non c’è neanche bisogno che…”. Oh, accidenti, ma che succede, ora?
-
Il tizio di prima. Sai? Sembra che fosse
davvero un pirata. Lo portano nello
stanzino.
-
Uh. Qualcuno sta per passare un brutto quarto d’ora. Ma che ha da strillare così?
-
E che ne so? Come pirata, mi pare una vergogna. Mai visto uno fare tanto la donnicciola. E abbi un po’ di
dignità, porco cane!
-
Infatti. Se ti metti a fare il
bandito li conosci i rischi che corri. Vuoi l’oro e la
gloria? Ti becchi anche questo. Ben ti sta.
-
Più che giusto. Non ha proprio niente da lamentarsi.
Oh, meno male, gli hanno tappato la bocca.
-
Buon per lui. Almeno gli hanno impedito di rendersi
ancora più ridicolo. Dio, ma che razza di equipaggio
si tiene un codardo del genere?
-
Quello di Cappello di Paglia, sembrerebbe.
-
Stai scherzando?
-
Per niente.
-
…
-
…
-
Buono questo caffé che hai fatto
portare.
-
Vero? Conosco una qui al bar, mi ha detto
che mi faceva una ricetta speciale.
-
Oh, ecco, lo portano via, finalmente un po’ di pace.
-
Buon divertimento, nasone!
-
Ah! Infatti! Passa una buona
notte con il tenente Shade!
-
Andato. Hai visto come ci ha guardati?
-
Ah-ha. Lo stenderei con un
colpo solo persino io, quel mingherlino. Come fa ad avere una taglia?
-
Mistero.
-
Mistero.
-
E quindi com’è finita con
Lila?
-
Sì, dunque, le ho detto: “…non
c’è neanche bisogno che la lasci, è come se fossimo due estranei. Io amo solo te, Lila.”. Per ora s’è calmata.
-
Amico, non ne uscirai tanto facilmente. Perché non
rompi una volta per tutte con una delle due?
-
Ah, non è mica facile. Ci vuole coraggio, con le donne…
Quando
passai accanto a quei due, li mandai mentalmente a fanculo.
Sembravano sorpresi che io avessi paura. Cosa si aspettavano? Certo che avevo paura. Avrei voluto vedere loro, al mio
posto, in questa situazione. O magari in quella in cui mi trovai
quando incontrai quello squalo gigante…
-
Capitano Usopp! – gridò la vedetta, dalla sommità dell’albero
maestro – Pinna a babordo!
Usopp
e tutti i suoi uomini corsero a sporgersi dalla fiancata sinistra della nave,
per controllare cosa si stesse avvicinando. Un largo
triangolo azzurro e lucido fendeva le acque,
dirigendosi verso lo scafo. Uno squalo, si sarebbe detto: ma di dimensioni
inaudite, a giudicare da quella pinna enorme.
-
Mano agli arpioni!
Gli arpioni! – ordinò il capitano; gli uomini si affrettarono ad armarsi e
tornarono al suo fianco.
Vennero calate due scialuppe. Su una di esse si
ergeva in piedi, del tutto indifferente agli scossoni causati dalle onde, il Capitano
Usopp, levando senza sforzo una gigantesca fiocina
che doveva pesare almeno una decina di chili.
-
Arriva!
Gli uomini dell’altra scialuppa gridarono quando
vennero quasi travolti dalla bestia, che era improvvisamente sorta dalle acque,
pronta a divorarli. Era lo squalo più immenso su cui occhio di marinaio si fosse mai posato. Ma solo Usopp non perse la calma nemmeno per un istante: scagliò
l’arpione, con tanta forza e precisione da farlo volare in una perfetta linea
retta, come il dardo scoccato da una balestra. Il ferro entrò dritto in un
occhio della belva e uscì dall’altro, spappolandogli miseramente quel poco di
cervello che un pesce può ritrovarsi. Non abbastanza
cervello per capire che non ci si mette mai, MAI,
contro il più grande Capitano di tutti i mari, comunque.
-
Issatelo a bordo!
Per stasera, basta carne salata! – ordinò Usopp.
Il mostro venne trascinato con molte funi fin
sul ponte. L’arpione gli venne estratto (ci vollero
tre uomini per tirarlo fuori) e finalmente il Capitano Usopp,
con un coltellaccio in mano, si preparò a squartarlo. L’onore di aprirlo spettava
a lui, trattandosi della sua preda. Infilò la lama poco sotto
la gola della carcassa e, con un taglio netto, la tirò giù fino alla
coda. Sulle prime, dallo squarcio non uscì niente.
Poi ci fu un guizzo, e gli uomini si ritrassero spaventati
mentre qualcosa, qualcosa di spaventosamente forte, agguantava Usopp e lo sbatteva contro l’albero maestro.
-
Capitano!
Ma il capitano non poteva rispondere: una mano gigantesca gli stringeva
la gola. Mentre il sangue e le budella dello squalo colavano via dal nuovo pericolo,
fu finalmente chiaro di chi si trattasse. Un essere né
umano né animale. Lo spaventoso Uomo-Bestia, che dopo aver ucciso e devastato
in quella regione per decenni era scomparso meno di un mese
prima. Era adesso chiaro che quell’essere era
stato in qualche modo inghiottito in un sol boccone dallo squalo, e aveva
vissuto nel suo ventre per tutto quel tempo, finché non aveva potuto liberarsi
grazie all’involontario aiuto dei pirati di Usopp.
-
Capitano! Cerchi
di resistere!
L’Uomo-Bestia non aveva pietà. Teneva il capitano premuto contro il
legno dell’albero con una mano, e con l’altra lo colpiva selvaggiamente,
spietatamente, sul volto, una, due, cento volte. Il
viso di Usopp era ormai una
maschera di sangue; era tumefatto e schiacciato; e i suoi uomini piangevano,
disperati, non sapendo cosa fare per aiutarlo, certi di non potersi opporre in
alcun modo a quel mostro spaventoso…
L’ennesimo colpo al viso mi fece
girare la testa di novanta gradi buoni. Sentii qualcosa scricchiolare, dalle
parti della mascella, sotto l’impatto, ma non percepii poi molto dolore. Probabilmente perché il dolore che già provavo era tanto, e tanto
diffuso, che era difficile aggiungercene dell’altro. Quel sottotenente Giles era uno che con le sberle ci
sapeva fare. Tirava dei terribili manrovesci.
-
Smettila una volta buona con queste stronzate!
– gridò, esasperato – Non ci interessano gli squali!
Non ci interessano gli Uomini-Bestia! Vogliamo sapere
di Cappello di Paglia e degli altri tuoi compagni! Dove
sono?
Mi trovavo nello stanzino. Un po’ dappertutto nello stanzino. Per
esempio, molto del mio sangue era sulle pareti. Qualche dente doveva essere a
terra, sul pavimento. Il grosso di me, comunque, era
legato a una sedia sporca del sangue di qualcun altro, afflosciato, mezzo
morto.
E
grottesco.
Non so perché, ma è così. Il mio
corpo reagisce in questo modo alle ferite. Agli altri il sangue può dare
un’aria cupa, o disperata, talvolta feroce. Per me è diverso. I colpi si trasformano in enormi bitorzoli ballonzolanti; la faccia
si copre di bozzi e tumefazioni dai colori iridescenti; la bocca, storta e
sdentata, diventa quasi clownesca; e tra bernoccoli ed ecchimosi svetta il mio
naso, ahimé fin troppo facile a spezzarsi, storto e piegato come un ramoscello.
Ma vi
assicuro: anche se fa ridere, non fa meno male.
-
Andiamo avanti da tre ore in questo modo. – disse una
voce calma, quasi suadente.
Il tenente Shade,
l’unico uomo presente nello stanzino oltre a me e Giles,
si fece avanti emergendo dalla penombra. Fino ad allora
si era praticamente confuso con il buio, e non era difficile. Giacca di pelle
nera, capelli neri, tirati all’indietro, occhi neri,
guanti neri. L’unica traccia di colore nella sua figura era il viso, rosato
anche se pallido, e soprattutto la luce fioca di una sigaretta stretta tra le
labbra; ma d’altro canto, il fumo lo rendeva solo ancora più sfuggente e
confuso. Il tipo che ti aspetteresti sia capace di
scivolarti alle spalle e tagliarti la gola prima ancora che tu possa renderti
conto di cosa stia succedendo.
Mi prese un attacco di strizza
feroce.
-
Non cederà tanto facilmente. – disse ancora Shade.
-
Già. – mormorò Giles – Magari
non lo sembra, ma è un duro.
-
Niente affatto. E’ solo troppo codardo, persino per
tradire i suoi compagni. Ha più paura di quello che gli farebbero loro che di
quello che possiamo fargli noi. Facciamo così: lavoratelo tu ancora un po’, Giles. Poi passalo a me.
-
Hai sentito, capitano?
– Giles mi strinse la faccia tra le mani e se la girò
verso di sé – Questa è la tua ultima chance. Tu non
hai idea di cosa può farti il tenente Shade. Quello
che hai passato con me è nulla, al confronto. Quindi
parla! Parla, una buona volta! Dicci quello che vogliamo sapere!
-
Forse – suggerii con la voce gorgogliante di chi ha la
bocca piena di sangue – vi interessa la storia della
mia battaglia con la Donna Piovra…?
-
BASTARDO!
Il pugno fu così forte da
sbriciolare quel che ancora restava intatto del mio setto nasale e ribaltare la
sedia, mandandomi a sbattere la testa contro il pavimento. Restai intontito,
come uno scarafaggio sul dorso, a guardare la sola lampadina che penzolava dal
soffitto.
“Perché
racconti le bugie, Usopp?”
Per avere qualcosa da dire quando
voglio assolutamente impedirmi di dire qualcos’altro.
Buona risposta.
-
Te lo lascio, Shade. Buona
fortuna. Quanto a te, nasone: te la sei cercata.
Sentii la porta chiudersi, poi Shade che armeggiava con qualcosa. Ci fu come uno
sfrigolio, e nell’aria spessa e calda dello stanzino si diffuse un odore di
bruciato. Alla fine, le mani di Shade afferrarono lo
schienale della mia sedia e mi rimisero in piedi. Vidi cosa aveva fatto.
Aveva acceso un braciere.
Ci aveva messo dentro dei ferri.
Ne teneva uno in mano.
-
Ora sistemeremo questa faccenda. – disse, imperturbabile
– Solo tu ed io.
-
Ora sistemeremo
questa faccenda, solo tu ed io! – gridò il Capitano Usopp,
in piedi in mezzo all’arena, puntando il dito contro il Drago Sputafuoco.
Il mostro lo guardò con un ghigno, quindi dondolò la testa e iniziò a
muoversi in cerchio, guardingo, tenendo sempre d’occhio l’avversario e
mantenendo le distanze. Strusciava la coda sul terreno, spazzando la sabbia con
ampi movimenti. Il suo sguardo era intelligente e maligno, ben più di quello
che ci si aspetterebbe da un semplice animale. Il
pubblico che affollava gli spalti dell’anfiteatro
esplose in grida di incitamento.
-
Uccidilo,
Capitano! Uccidilo!
Il Drago teneva nella propria morsa il villaggio da anni; e ogni anno, nel mese del raccolto, esigeva un orribile tributo. Gli
abitanti dovevano consegnargli i cento migliori cavolfiori trovati nei campi.
Non c’era verso di farlo rinunciare alle sue pretese. Un anno provarono a
sottoporgli semplicemente la più bella fanciulla del
villaggio; ma il Drago, dopo averle dato un’annusata, la snobbò. Pare si trattasse di un drago vegetariano.
Ma ora il grande Capitano Usopp avrebbe messo
fine a tutto ciò!
Nel colosseo le cui rovine si ergevano vicino al villaggio da secoli,
costruito da chissà quale popolo in tempi dimenticati e che il Drago aveva
recentemente eletto a propria dimora, erano accorsi
tutti gli abitanti della zona per assistere a quella battaglia, perché avrebbe
deciso il loro destino. E anche perché il biglietto
costava davvero poco.
Usopp si mise in guardia. Sfidare un drago non poteva essere una cosa
semplice. La creatura, infatti, si dimostrò molto astuta. Fintò un attacco con
la coda, costringendo Usopp a gettarsi di lato per
scansarlo. A quel punto sputò una veloce fiammata. Il capitano fece appena in
tempo a scartare, ma il fuoco lo lambì comunque. Usopp si afferrò il fianco destro, ustionato, trattenendo a
stento un urlo di dolore.
Urlai come un pazzo
mentre il ferro arroventato mi bruciava la carne. Shade
lo risollevò lentamente e ordinò:
-
Parla.
Ferito ma non battuto, il guerriero scattò in avanti, impugnando la
fionda. Non poteva sconfiggere il Drago con la forza bruta, ma forse poteva
vincere individuando il suo punto debole. Doveva capirlo. Conoscerlo.
Studiarlo. Come un libro.
Ma a differenza dei libri, i draghi reagiscono. La seconda fiammata
sfiorò Usopp in volto e lo fece cadere.
-
Parla. – ripeté Shade, mentre
la mia guancia sinistra fumava ancora.
Cominciai a piangere. Ad
implorare pietà. A dire, di nuovo, inutilmente, che era tutto uno sbaglio.
Il Drago Sputafuoco non perdette l’occasione,
e si gettò immediatamente sul Capitano Usopp, tenendolo
fermo al suolo con gli artigli e soffiandogli vicino al viso col suo alito
caldo, pronto a dargli il colpo di grazia. Staccargli
la testa con un morso, forse, o incenerirlo definitivamente.
Non c’era più nulla da fare. E allora…
-
Ora basta.
Shade mi
sbatté di nuovo giù a terra e portò il ferro a
un millimetro, giuro, un millimetro dal mio occhio destro. Il calore mi
strinava le sopracciglia.
-
Sei indegno. Una vergogna. Un’offesa per gli occhi.
Racconti frottole, piangi, sbraiti e te la fai sotto. Non
so cosa tu ci faccia qui, o cosa ti faccia credere di
essere un pirata: tu non lo sei. Odio i pirati, ma devo riconoscere loro che
almeno posseggono qualcosa che tu non hai. Orgoglio.
Tu non hai orgoglio. Non fingere di essere quello che
non sei e risparmiati questo dolore. Dimmi dove si trovano i tuoi compagni, dimmi
dove si trova Cappello di Paglia. Tu non sei degno nemmeno di sporcare le
mannaie dei nostri boia, lui sì. Indicamelo, e avrai salva la vita. In caso
contrario…
Il ferrò
fece avanti e indietro, come se prendesse la rincorsa per venirmisi
a ficcare dritto nella pupilla.
-
…ti ucciderò.
…e allora il Capitano Usopp
vide l’Angelo della Morte, scheletrico, con la sua falce in mano, avanzare
verso di lui, e capì che era la fine. Se non avesse
fatto subito qualcosa…
(“Perché
racconti le bugie, Usopp?”)
-
Ti do tre secondi. Meno tre…
…qualcosa tipo ingannarlo… convincerlo che
non era ancora giunto il suo momento… o magari una sfida a scacchi…
(Per
mentire a me stesso. Per sfuggire alla realtà.)
-
Meno due…
…ma alla fine… non gli veniva in mente niente…
e l’Angelo era lì…
(Ma non
si può farlo all’infinito. Né in qualunque situazione.
C’è una linea che non si può superare.)
-
Meno uno…
…niente…
…nessun’idea…
…
Niente.
-
TI DIRO’ TUTTO! – gridai – BASTA! TI PREGO! DIRO’
TUTTO! TUTTO!
-
Molto bene. – Shade sorrise e
ritirò il ferro.
E io
dissi ogni cosa. Tutto. Tutto quello che dovevo dirgli.
Alla fine, Shade
parve soddisfatto. Mi lasciò lì e andò ad aprire la porta.
-
Preparate un po’ di dinamite! – gridò
al resto dei suoi uomini – Andiamo a catturare un vero pirata!
E questo
è quanto.
Mentre la
miccia a combustione lenta sta per consumarsi completamente, Shade fa un ultimo, sbrigativo briefing ai suoi uomini.
La pioggia lo ha inzuppato e gli appiccica i capelli alla fronte, ma lui non
perde minimamente il suo atteggiamento professionale. Un militare dalla testa
ai piedi.
-
Le informazioni che abbiamo in nostro possesso sono
chiare. La ciurma di Cappello di Paglia è sbarcata su quest’isola
circa quindici ore fa, con il capitano in preda a un
grave accesso di febbre. Il medico di bordo gli ha somministrato un farmaco
capace di guarirlo, che però non fa effetto prima di
tre giorni. Nel frattempo il malato resta in uno stato di incoscienza;
i pirati, perciò, nell’impossibilità di salpare a causa dei tempi necessari per
memorizzare il magnetismo dell’isola con il Lock
Post, hanno deciso di lasciare il loro capitano in un luogo protetto, al
sicuro, e sparpagliarsi sull’isola per far trascorrere il tempo evitando di
essere catturati. Il luogo scelto, visto che nessuno di loro poteva stare di
guardia, è stata questa grotta, di cui hanno poi fatto franare l’ingresso,
convinti di nasconderla così a chiunque, e sicuri di poterla riaprire poi una
volta che fosse stato necessario. Quindi abbiamo molti
pericolosi ricercati in giro per l’isola, ma, cosa
ancora più importante, abbiamo Cappello di Paglia in persona, qui dentro,
convalescente e indebolito. Possiamo facilmente mettere le mani su uno dei più
famigerati pirati in circolazione; un’occasione come questa non ricapita
facilmente.
Accenna nella mia direzione:
-
E tutte queste informazioni le
dobbiamo alla gentile collaborazione del nostro amico dal naso lungo, che me le
rivelate durante una nostra amabile chiacchierata.
Abbasso la testa,
sommerso dalle risate di scherno dei marinai, che additano le mie ferite e le
ustioni. Bruciano da matti; meno male che la pioggia allevia un po’ il
dolore.
-
Ragazzi, anche se è malato o addormentato, quello che
troveremo qui dentro sarà pur sempre un pirata da
trecento milioni di Beli. Quindi non corriamo rischi. Appena l’ingresso della caverna salta, entrata a bottone, due alla
volta. Dieci restano qui fuori per dare copertura e tenere d’occhio il
prigioniero. Voglio un lavoro pulito.
Gli uomini annuiscono, impugnano
i fucili, si mettono in formazione. Rigidi, perfetti, come
devono essere i soldati. Senza esitare, senza paura.
L’esplosione è assordante. Mi
schiaccia i timpani; la vertigine mi getta in ginocchio e mi fa vomitare. Escono
roba gialla e sangue.
Shade
mi guarda da sopra in sotto, ancora perfettamente piantato sui suoi piedi, e mi
fa un sorrisino.
-
Fate irruzione!
Con prudenza ed
efficienza i marinai si fiondano dentro la grotta, il
cui ingresso è ormai sgombro da massi e detriti. Non
dal fumo prodotto dallo scoppio, però, che ancora aleggia davanti e dentro la
caverna. Gli almeno trenta uomini armati fino ai denti che sono entrati
per arrestare un pirata in coma si ritrovano persi in
una specie di nebbia che puzza di zolfo e irrita occhi e gola. Nella nebbia
perdono un po’ del loro ordine. Cominciano ad avanzare leggermente a tentoni, esitando, per esplorare la grotta senza però
perdersi di vista.
-
Cos’è quello?
Qualcuno scorge una sagoma nel
bianco. Un’ombra nera. Qualcun altro non la vede. Poi
c’è un tonfo. Chi non aveva visto la sagoma si volta e
adesso non vede più nemmeno i propri compagni; chi l’aveva vista, prima di non
riuscire a vedere più niente, l’ha anche vista ingrossarsi, diventare una forma
enorme e incombente, pronta a schiacciare, a sbriciolare, a distruggere.
Come il pugno di un Gigante.
-
Ragazzi? – mormora qualcuno,
girandosi lentamente, il fucile teso – Ragazzi, ci siete?
Il sibilo passa tra lui e il
compagno al suo fianco. E’ spedito e silenzioso. Un soffio
d’aria che al suo passaggio taglia tutto ciò che incontra. I marinai
perdono il fiato e cadono a terra, colpiti da un nemico velocissimo,
impercettibile, letale.
Come un Demone del Vento.
Il vento, ma un vento diverso, colpisce anche altrove. Quasi
nello stesso istante, a pochi metri di distanza, altri tre uomini vedono l’aria
turbinare intorno a loro. Intravedono, nella nebbia che si dirada, una
sagoma che li sorprende, una donna dai capelli di fuoco, circonfusa di fulmini;
ma forse è solo un’illusione, perché quell’immagine sembra moltiplicarsi,
distorcersi, svanire. E alla fine, intorno a loro, è
solo tempesta. Un lampo li colpisce. Mentre i loro corpi scivolano a terra, il
vento turbina ancora, in una piccola tromba d’aria, e urla
feroce e trionfante.
Come una Banshee.
Il trambusto giunge fuori dalla caverna.
-
Che cazzo
succede? – impreca Shade – Voi dieci, anche voi,
dentro la caverna! Presto!
Non riescono nemmeno ad entrare,
li vediamo praticamente volare fuori, malconci e
sanguinanti. C’è qualcuno all’ingresso, nascosto dal fumo. Qualcuno
che mulina in aria due lunghe mazze con velocità e forza – o forse sono gambe.
Sembra assurdo, ma sono gambe; gambe di un corpo
capovolto che si regge sulle proprie braccia.
Come un Uomo che Cammina sulle
Mani.
-
Vengo dentro anch’io!
Shade salta
in avanti inferocito, mettendo mano alla spada corta e sottile, quasi un
pugnale, che tiene allacciata al fianco, e così mi lascia solo. Io ne approfitto per chinarmi vicino a un marinaio mezzo morto
e usare la lama della sua spada piantata a terra per tagliare le corde e
liberarmi.
Il tenente è riuscito in qualche
modo ad entrare nella grotta, e adesso fa quadrato con una dozzina dei suoi.
Una dozzina, fino a poco fa; adesso sono undici. Dieci. Nove. Qualcuno sta facendo piazza pulita. Emerge dalla nebbia, sferra un pugno
poderoso che stende qualcuno e poi scompare di nuovo. L’unico rumore che fa
percepire è quello di un ansare, pesante, possente; l’unica cosa che fa vedere
di sé è un braccio muscoloso e coperto di pelliccia che scatta.
Come un Uomo-Bestia.
Una spada, da qualche parte,
guizza, e un marinaio grida di gioia, ritrovando finalmente un barlume di
speranza.
-
Gli ho tagliato un braccio! –
dice – Ho visto un braccio e l’ho tagliato! Credo fosse
una donna!
Ma la speranza gli muore in cuore quando scopre con angoscia che sulla sua lama non c’è
sangue: solo qualche petalo rosa, che vola via, leggero. E poi sono decine le
braccia che gli si intrufolano ovunque, sul corpo.
Sono tre le mani che gli afferrano testa e collo. Lo scricchiolio, sinistro, mette
terrore anche a chi non ha visto cos’è accaduto. Chi ha visto, invece, non ha
dubbi. Sono in balia di una creatura capace di avvinghiarli nei suoi tentacoli
e stritolarli senza sforzo.
Come una Donna Piovra.
E alla
fine Shade rimane solo. Intravede, di tanto in tanto,
qualcosa che si muove nella foschia, ma solo per sparire subito dopo. Agita la
spada nell’aria, senza tagliare nulla di più del fumo.
-
Fatevi vedere! Fatevi vedere, bastardi! – ruggisce.
Una sagoma grossa e quasi
sproporzionata, un unico fascio di muscoli, appare e si fa più definita in
mezzo al biancore. Shade gli getta addosso
la propria spada. La lama d’acciaio cozza contro il petto dell’essere,
ma si limita a produrre un sonoro clangore, per poi ricadere a terra. Mentre il tenente indietreggia, l’essere gonfia i polmoni,
quindi soffia verso di lui una fiammata.
Come un Drago Sputafuoco.
Shade è
mezzo accecato; i suoi vestiti prendono fuoco e lo costringono a gettarsi a
terra e rotolarcisi furiosamente per spegnere le fiamme. Quando
si rialza, ustionato, coperto di fuliggine, dolorante, quasi nudo, non riesce
più a vedere ciò che lo aveva attaccato. Ansima e ringhia di rabbia come
un animale, si guarda intorno alla ricerca di qualcuno, qualcosa da combattere.
E quando finalmente vede qualcun altro, una figura
esile, magra, alta, non ragiona nemmeno prima di lanciarsi furiosamente
all’attacco.
-
Sei morto, pirata di merda! –
strilla – SEI MORTO!
Ma man mano che la figura si
avvicina i suoi contorni si definiscono. Le orbite
vuote. Il naso scavato. La mandibola schioccante.
Il tenente si ferma. Cade in ginocchio,
tremante, tenendo gli occhi levati in alto, mentre le forze e il coraggio lo
abbandonano. Davanti a lui si trova uno scheletro che leva in alto una spada.
Come l’Angelo della Morte.
Che
schiude la bocca arida per pronunciare qualcosa, certamente le parole fatali,
la sentenza finale che ogni uomo attende e teme.
-
Devo darti ragione. – dice – In
effetti, lo sono.
E a questo punto, con un grido
acutissimo, il tenente fugge, inseguito da una lugubre risata cantilenante, scappa
inciampando nei corpi dei suoi compagni caduti, finisce nel fango e comincia a
strisciarci dentro, senza più riguardi, senza più
compostezza, pensa solo a scappare, abbandonandosi finalmente a una liberatoria
paura. Urla, piange, e chiede aiuto, a Dio o alla
mamma. Vuole solo andarsene da qui.
Ma si trova davanti
me.
Che gli
pianto un piede nella schiena ed esclamo, trionfante:
-
Dove credi di scappare, tu? Al Capitano Usopp non si sfugge!
-
I mostri. – balbetta a stento, praticamente
in preda al delirio – I mostri. Ci sono i mostri. Avevi detto
che c’era Cappello di Paglia. Solo Cappello di Paglia. Che
stava dormendo!
-
Beh. – dico io, facendo spallucce –
Ho mentito.
-
Ma quelli! Quelli! I mostri!
Non sono veri! Non è possibile!
-
Non chiamerei mostri
i miei compagni. Non sarebbe gentile.
E
aggiungo, con un sorriso intenerito e paterno:
-
Ma, lo ammetto, ogni tanto
fanno paura persino a me.
Gli ci vuole qualche secondo per
capire tutto a fondo. Via via, il suo sguardo passa
dal terrore più folle a un timore discretamente
ragionevole e, per finire, a semplice e pura rabbia.
-
CI HAI INGANNATI! – ringhia.
-
Sì.
-
ERA UNA TRAPPOLA!
-
Più o meno.
-
Perché? PERCHE’?
-
Perché la storia vera è un po’
diversa da quella che ti ho raccontato. Siamo approdati qui perché
avevamo finito i viveri; abbiamo trovato quella caverna. Credo che fosse un rifugio di contrabbandieri, o forse altri pirati,
perché qualcuno ci aveva immagazzinato dentro un sacco di cibarie. Io ero
andato a fare una passeggiata fuori dalla grotta
quando ho sentito il rumore della frana. Naturalmente, i miei compagni non ci
avrebbero messo molto a liberarsi da soli, ma il nostro carpentiere mi ha fatto
sapere, gridando da là dentro, che era meglio non ci provassero, perché da
quello che vedeva lui se avessero toccato qualcosa
all’interno c’era il rischio che venisse giù tutto. Quindi dovevo pensarci io;
trovare della dinamite, qualcuno che sapesse usarla, e
convincerlo a far saltare l’ingresso.
Shade boccheggia.
Anche la sua furia sembra essersi placata,
probabilmente perché è troppo esausto anche per quella.
-
Vuoi dire che ti sei fatto
catturare apposta?
Non rispondo niente.
-
Ma non è possibile!
Ma no,
non esageriamo.
-
Ti abbiamo torturato per ore! E
tu ci hai rivelato tutto solo alla fine! Nessuno è in grado di mentire in
quelle condizioni!
Eh, nessuno, nessuno…
si fa presto a dire nessuno…
-
E tutte quelle balle che ci
hai raccontato prima! Tutto il tempo per cui hai
resistito!
-
Una buona bugia – dico io – ha
bisogno di essere preparata.
E se c’è
un argomento su cui posso pontificare, porco cane, è proprio questo!
Quello mi guarda come fossi un
pazzo.
-
Sei davvero una vergogna!
Ci risiamo.
-
Che razza di pirata si
comporta così? Non hai il coraggio di combattere a viso aperto e ricorri a
questi trucchetti! Battiti sul serio, se sei un uomo!
Sei indegno! Non ti rendi conto di quanto sei ridicolo?
Di quanto sei patetico?
Beh, detto da un uomo che sbraita
e si agita goffamente mentre lo tengo schiacciato dentro
una pozzanghera di fango…
-
Sei senza spina dorsale! Senza orgoglio!
Ok, è
il momento di finirla. Gli punto la mia fionda, tesa
al massimo, dritta dritta in mezzo agli occhi, a un
millimetro di distanza, come il suo maledetto ferro arroventato.
-
Sarà – dico – ma tu sei senza armi.
Gli tolgo il piede dalla schiena.
Ficcando le dita nel terreno e tirando, Shade riesce
in qualche modo a tirarsi fuori dalla pozza, anche
perché glielo lascio fare. Si rimette in piedi, barcollante,
e finalmente comincia a correre! Accidenti, come corre! Come avesse
il diavolo alle calcagna! E il diavolo sono io! E rido! E
canto! E sparo vanterie assurde! E gli dico che se l’ho lasciato in vita è perché possa andare a
riferire a tutti quanto sia terribile il grande, potente, impareggiabile
Capitano Usopp!
…
Sono soddisfazioni che capitano
di rado, queste. Bisogna pur gustarsele fino in fondo.
Poi lui sparisce, e il dolore
delle ferite e delle bruciature si fa sentire di
nuovo, tutto di un colpo. Fossi uno di quei machos che non batterebbero ciglio nemmeno se gli
sparassero una palla di cannone nelle parti basse, potrei anche stringere i
denti e sopportarlo. Ma io non ho nessuna reputazione
del genere da difendere; così, trovo semplicemente più comodo svenire.
-
Mi sa che questa è la volta buona che ci lasciamo le
penne. Hai paura, Usopp?
Questa non è la
realtà – questo è un sogno. Ne sono sicuro perché questa scena l’ho già
vissuta. E’ quello che mi è successo ieri, prima che avvistassimo quest’isola, quando eravamo semplicemente persi in mare,
senza viveri né acqua dolce da due giorni, indeboliti e, apparentemente,
destinati a morte sicura. Ci siamo io e Nami
abbandonati sul ponte, sotto il sole cocente, troppo
fiacchi per fare qualunque cosa. E’ un sogno di sicuro, anche perché mi manca
quel senso di fame feroce, lo stomaco che si torce su sé
stesso, e la sete, con la bocca che sembra fatta di sabbia arida pronta a
sbriciolarsi. Sto bene, invece, mi sento perfettamente
in forma. Per il resto, tutto è identico, anche la nostra conversazione. E infatti:
-
No. – rispondo io.
-
Perché racconti le bugie, Usopp? Voglio dire, non ti crederà mai nessuno.
Ecco, a questo ieri non ho
risposto. Ci sono tante risposte possibili a questa domanda. Però
quella giusta è una sola.
-
Perché è vero. Non ho paura.
Non ne ho. Improvvisamente,
capisco di trovarmi esattamente dove desidero essere. Su una cosa aveva
ragione Shade, dicendo che i
pirati devono avere orgoglio. Ma ognuno ce l’ha a modo
suo. Su questo mare c’è chi va orgoglioso della propria abilità con la spada,
chi della propria forza bruta, chi del proprio innumerevole equipaggio: il mio
orgoglio è semplicemente esserci. Tutto qua. Sono un tipo normale. Non ho
superpoteri e non ho una forza straordinaria, sono debole, fragile, fifone e
bugiardo, sono fuori posto, eppure sono qui, a combattere fianco
a fianco con dei compagni incredibili contro nemici spaventosi. Certo
che ho paura, chiunque ce l’avrebbe. Certo che me la
cavo con trucchetti e menzogne, spesso non possiedo
altre armi. Ma ci sono, e tengo duro, alla faccia di
tutti quelli che possono anche ridere di me, ma solo perché non hanno mai
affrontato nulla di quello che ho affrontato io. Dopotutto, ci vuole più fegato
per essere un codardo su una nave pirata che un coraggioso su una poltrona.
-
Ma questo – fa Nami, con gli occhi chiusi e un sorriso sulle labbra,
intervenendo nel filo dei miei pensieri – lo pensi solo perché siamo in un
sogno. Perché ieri, in realtà, la paura ce l’avevi
eccome. Se avessi avuto abbastanza acqua in corpo
saresti scoppiato a piangere, credo.
-
Non è vero!
-
Non mentire. Ti conosco.
-
Non diciamo fesserie! Figurati se potevo mai avere
paura!
-
Certo, certo…
Resti fra noi, magari, sotto sotto, un po’ di paura ce l’avevo
davvero.
Un pochino, però.
Solo un pochino.
Parola di Usopp.
FINE