Salve a tutti! Speravate di
esservi liberati di me vero? XD
Beh non è così XD. Visto che
la mia fantasia al momento è un po’ bloccata e soprattutto
visto che ho vissuto un periodaccio ho deciso di postare questa piccola
One Shot.
Ho scritto questa storia qualche
tempo fa, in un periodo in cui ogni cosa sembrava andare male.
Parla di Edward e di Bella. Ho tentato, sadicamente, di immaginare
che cosa sarebbe successo se Edward non fosse
arrivato in tempo per salvare Bella da James. Bella sarebbe morta, e Edward
cosa avrebbe fatto? Ecco, questa è la mia idea!
TROPPO TARDI…
Bella POV
So che è finita, l’ho letto nei suoi occhi. L’odore del mio
sangue lo farà impazzire in pochi secondi, ne sono
certa. E questo renderà tutto più veloce. Per fortuna.
Una piccola parte del mio cervello, quella non concentrata
sul sangue e sul dolore è certa che Edward sarà al sicuro, non cercherà James,
non cercherà di vendicarsi rischiando la vita…
Vedo il predatore avvicinarsi, gli occhi
neri per il desiderio del mio sangue, un ruggito di trionfo gli esce dal
petto. Non riesco più a sopportare il suo sguardo, chiudo gli occhi e con un
braccio cerco di proteggermi, non so neanche io da cosa.
Non l’ho sentito spiccare il balzo e avventarsi su di me. Ma
sento i suoi denti. Mi ha afferrato il braccio e i suoi canini non hanno atteso
di raggiungere il mio collo. Urlo e scalcio mentre un
fuoco più doloroso della gamba rotta comincia a bruciarmi la mano.
“Spero proprio che il tuo caro Edward ti vendichi…” James
non ha ancora perso il controllo, sento la sua voce
calma vicino al mio orecchio nonostante le mie stesse urla di dolore.
“Hai davvero sbagliato a non trasformarla!”. Non capisco
perché sta urlando, non mi importa. “L’avresti
salvata! E ora lei non sarebbe qui a soffrire per la
tua codardia!”.
Un altro ruggito trionfante e un’altra ondata di dolore e
fuoco mi colpisce. Urlo ancora più forte
mentre sento i suoi denti affondare nel mio braccio. Il dolore è
insopportabile, il calore insostenibile.
Smetto di dibattermi nonostante le mie stesse urla
continuano a risuonarmi nella testa. Non riuscirò a rimanere cosciente per
molto altro tempo; il mio cacciatore si stacca di nuovo da me.
“E… comunque Cullen, il suo sapore
è anche migliore del suo odore!”.
Ora è davvero finita. La sua mano sulla mia testa mi fa voltare, sento il suo fiato caldo sul collo, a pochi
centimetri dalla sua bocca. Un altro ruggito, più forte gli risuona nel petto.
Sento James sorridere mentre poggia le labbra sulla
mia pelle.
Altro dolore.
Un altro morso.
L’ultimo.
Urlo anche io, ma so che è inutile. Lui è salvo.
La morte non è mai stata così dolorosa, neanche nei miei
incubi peggiori.
Ma è bello morire per chi si ama.
“Edward, ti Amo”.
Edward POV
Sarei dovuto restare con lei. Non avrei dovuto lasciarla
sola neanche per un momento. L’aereo stava per atterrare, mi tranquillizzai
quel tanto che bastava per non distruggere il poggiabraccia del sedile.
L’avrei rivista, l’avrei abbracciata e tranquillizzata, saremo scappati lontano da James e un giorno sarei riuscito
a vendicarmi, a mettere fine alla sua sporca esistenza. Chiusi gli occhi
durante l’atterraggio; il suo viso mi apparve come un sogno, piccola e
indifesa, così fragile.
Le sue guance che arrossivano al contatto con la mia mano, i
suoi occhi che cercavano sempre i miei, come fossero un’ancora
di salvataggio nel mare in tempesta.
Mi riscossi dai miei pensieri appena in tempo, i passeggeri
si stavano già dirigendo verso l’uscita dell’aereo, mi misi in coda anche io.
Futili pensieri affollavano le menti di tutti quegli esseri umani; nella mia
testa decine di voci si sovrapponevano.
“Accidenti a questa schiena! Dovrò farmi vedere da un
medico.”.
“Speriamo che l’acconciatura non si sia guastata!”.
“Edward stai calmo” la voce di Carlisle, sopra le altre,
tentò di tranquillizzarmi. Mi voltai verso di lui. Non ero solo. Anche Emmett
era con noi, i suoi pensieri mi aiutarono a calmarmi e quasi sorrisi quando
nella sua testa apparvero decine di idee su come
torturare James.
Scendemmo dall’aereo in fila con tutti gli altri passeggeri,
attraversammo il lungo tunnel e superammo i metal
detector. Mi sembrava fossero passate ore dallo sbarco quando
il viso di Alice apparve tra la folla, seguita dalla sua voce che mi salutava e
mi raccontava degli ultimi giorni che avevo trascorso lontano da lei. In hotel sola e spaventata, all’aeroporto con Alice e
Jasper, una lettera, il bagno…
Poi una nuova voce, quella di Jasper. “Edward! È scappata!”.
Seppi che il mio corpo si era
immobilizzato. Istintivamente guardai verso Alice e la vidi sbarrare gli
occhi, vittima di una visione. James. Bella. Sangue. Dolore. Morte.
Uscimmo di corsa dall’aeroporto
mentre Alice metteva anche Carlisle e Emmett al corrente di ciò che aveva
visto. Jasper ci aveva già procurato un’auto, mi misi
alla guida spingendo sull’acceleratore.
Iniziò la nostra folle corsa contro il tempo; superammo
troppo spesso il limite di velocità. Non sapevamo dove fosse quella scuola di
danza. Cercai nelle menti di ogni essere umano in un
raggio di un chilometro dalla macchina, alla ricerca di una qualche
informazione stradale.
La trovai.
Ora sapevo dove guardare; accelerai verso quella direzione proprio mentre Alice aveva un’altra visione. Bella. Morta. Intorno solo vetri rotti e tanto, troppo sangue. James. Gli
occhi accesi come rubini. Le labbra ancora sporche di sangue. Il suo sangue.
Alice sbarrò gli occhi tornando in se. “È
troppo tardi Edward…”.
Un ruggito mi perforò il petto. “No!”. No. No. No. No. Non
poteva essere morta. L’avrei salvata e avrei ucciso James, anzi, l’avrei disintegrato.
Non sarebbe morta per causa mia.
Arrivammo 5 minuti dopo. Ci fondammo fuori
dall’auto e in pochi istanti eravamo nella sala.
L’odore di sangue mi colpì forte, come una cannonata. Poi la
vidi.
Bella.
In un attimo ero accanto a lei. I suoi occhi erano chiusi, sembrava serena. Probabilmente senza tutto
quel sangue chiunque avrebbe pensato che fosse stata
solo addormentata. Sotto tutto quel rosso la sua pelle sembrava ancora più
bianca, e fragile.
Non ero stato in grado di proteggerla da me stesso, da
quello che ero.
Allora mi accorsi che era finita.
Non l’avrei più vista inciampare per corrermi in contro. Non
sarebbe più arrossita sotto le mie mani. Non l’avrei
più sentita sussurrare il mio nome nel sonno. Non avrei più potuto ascoltare il
battito del suo cuore. Un suono che avrei riconosciuto anche
a chilometri di distanza, che mi tranquillizzava, che amavo. Il suo
cuore non avrebbe più battuto per me, non avrebbe
accelerato ad ogni mio bacio, ad ogni mia carezza. Non più.
E ora il mio era muto come mai lo
era stato. Il suo posto era occupato solo dal dolore, un dolore
che andava oltre la ragione umana.
Ma volevo salutarla almeno, mi
chinai sul suo viso e poggiai le mie labbra sulle sue, fredde come le mie.
L’odore del suo sangue mi bruciò la gola e il naso con forza inaudita, ma non ero mai stato così padrone di quel lato di me come in quel
momento.
“Edward…” mi voltai per affrontare Alice. Sapevo cosa voleva
dirmi, che non era stata colpa mia, ma solo sua e di Jasper e altre scuse del
genere.
Parole vuote e senza senso che risuonavano nella mia mente
offuscate dal dolore. Però mi ritrovai a fissare i
suoi occhi, che esprimevano più di quanto Alice avesse mai potuto dirmi a
parole.
Aveva perso un’amica, una sorella. E
anche i suoi occhi, come i miei, se avessero potuto si sarebbero riempiti di
lacrime. Si inginocchiò accanto a me e posò una mano
sulla guancia di Bella, bianco contro bianco. Poi si appoggiò a me, la sua
testa sulla mia spalla, chiudendo gli occhi.
Mi mostrò tutti i suoi ricordi di Bella.
Il giorno in cui l’avevo presentata alla
mia famiglia, con le lamentele di Rose sul suo odore; quando prima ancora aveva
capito che sarebbero state amiche, se non sorelle forse. Fino all’hotel a Phoenix, le sue preoccupazioni, le sue ultime
parole ad Alice. Chiusi gli occhi anch’io.
Dietro di noi Carlisle, Emmett e Jasper partecipavano in
silenzio al mio, nostro, dolore. Sentivo le loro scuse riempirmi la mente, le
scuse per essere ciò che eravamo.
Poi qualcosa attirò il mio sguardo. Un
nastro rosso, legato con cura a qualcosa di piccolo e grigio, una videocamera.
Vicino un biglietto. Lentamente lo aprii. Solo poche parole.
“Questo è per te Edward, divertiti!”.
James. Avrei riconosciuto il suo odore, di legno ed erba,
tra milioni. Quando riuscii ad alzare gli occhi dal
foglio Alice aveva già collegato la camera al televisore.
La prima immagine ci mostrò la sala vuota, tranne che per
lui, sorridente ed educato.
“Ciao Edward, goditi lo spettacolo!”.
Poi le immagini si susseguirono, veloci e terribili. Mi
costrinsi a guardarle tutte.
Mio padre e i miei fratelli non si
erano mossi, gli occhi sbarrati dall’orrore e dal dolore. Alice era in
ginocchio, le mani sugli occhi, scossa da singhiozzi senza lacrime. Io ero
rimasto immobile, nelle orecchie ancora le sue urla, la mia Bella maltrattata e
schernita da quell’abominio.
Con un pugno distrussi una parete di specchi. Non servì a
nulla. Avevo ancora voglia di distruggere. Qualcosa, o qualcuno. Voglia di
vendetta.
Allora dolore e consapevolezza mi sconvolsero di nuovo.
Mi lasciai scivolare contro il muro, le mani tra i capelli.
Il respiro irregolare e veloce.
Alice mi si avvicinò e si sedette accanto a me, un altro
pezzo di carta in mano, una lettera. Scossi la testa, non volevo leggere
nient’altro, ma lei la lasciò davanti a me, così la afferrai esasperato.
Era una lettera di Bella. Si scusava, mi chiedeva scusa per
quello che aveva fatto. Mi chiedeva di perdonarla.
No Bella. Non posso perdonarti per essere sparita dalla mia
vita per sempre. Per aver portato con te il mio cuore
lasciando nel mio petto nient’altro che agonia. Non posso perdonarti per
avermi ridato il desiderio di vivere e poi avermelo portato via per sempre.
Non posso vivere senza di te, lo sapevi!
Lo sapevi che con te sarei morto anche io!
Ma sei andata lo stesso da James, conscia che ti avrebbe presa, che non ti avrebbe fatta tornare da me. Perché non mi
hai aspettato? Per altruismo.
Non avevi capito che della tua famiglia non gli importava
nulla, non avrebbe mai preso tua madre. Lui voleva te,
come aveva voluto Alice 50 anni prima.
Tornai in me quando Alice mi offrì
la mano per aiutarmi a rialzarmi. La guardai, sul viso una maschera di
tristezza, specchio della mia. Mi lasciai aiutare, poi
guardai Carlisle.
Sapeva cosa gli avrei chiesto, e non mi avrebbe
fermato. Alice mi prese una mano.
“Lo troverai Edward. Ti sta aspettando”.
Sarei andato a cercare James, lo avrei
ucciso con le mie mani. Per averla fatta soffrire, per avermela portata via per
sempre. Victoria non sarebbe stata un problema, se si
fosse intromessa anche lei sarebbe sparita con lui. Non mi importava.
Fu un tormento dover aspettare la polizia locale. La mia
famiglia era al sicuro, nessuno sapeva che eravamo stati a Phoenix. Fu un
tormento vedere Charlie e Renè. Nessuno dei due ce l’aveva
con me, non mi ritenevano responsabile di ciò che era accaduto alla loro unica
figlia e i funerali si svolsero davanti all’intera Forks, commossa per la
perdita subita dal loro ispettore.
Fu un tormento doverla bruciare. Avevamo dovuto, non
potevamo permettere che qualcuno riconoscesse i segni dei morsi. Fu straziante.
Avevamo bruciato l’intera scuola, cancellando ogni traccia.
Tornati a Forks sapevamo che la
vita non sarebbe stata più la stessa. Volevo andarmene,
volevo cercare James. Ma fu lui a trovare me.
Era il crepuscolo. Io e Alice eravamo
sul divano, apatici. Poi una visione, James ai piedi delle
montagne, il nostro campo da gioco. Ironico.
Alice mi fissò e io mi specchiai nei suoi occhi neri.
“Devi dirlo a Carlisle, se proprio non hai il coraggio di affrontare
Esme”. Annuii dopo un attimo. “Si, partirò stasera”.
Presi la
Volvo. Non la usavo da giorni. Il suo odore era ancora là.
Accelerai verso l’ospedale, per dire addio a mio padre. Lo trovai nel suo
studio intento a leggere dei documenti, quando entrai alzò lo sguardo, gli
occhi spenti e stanchi.
“Ciao Edward” mi salutò. “Ciao Carlisle”.
Impilò i fogli e li ripose in un cassetto, cercava di
prendere tempo. Quando non poté più far finta di
ignorarmi alzò di nuovo gli occhi, fissandoli nei miei, così simili e così
diversi.
“Si Carlisle” risposi ai suoi pensieri inespressi, “voglio
distruggerlo”. Mio padre si coprì il viso con le mani, lo lasciai fare, non gli
misi fretta.
“Sai che non ti fermerò Edward…”
mi disse quasi in un sussurro, “ perché sei qui allora?
Per cosa vuoi il mio permesso?”. Alzai gli occhi verso
di lui, ma non riuscivo a guardarlo.
“Voglio…” ma non sapevo che dire. “Voglio… Carlisle non ci riesco!”.
Mi sedetti sulla sedia davanti alla sua scrivania, le mani nei capelli. Se avessi potuto avrei pianto fino a prosciugarmi. “Non
posso restare qua!” le mie mani scesero sul mio viso,
tentando di asciugare lacrime mai scese. “Io non riesco a
vivere senza di lei… tutto mi ricorda Bella!”.
Carlisle si alzò lentamente, girò
attorno al tavolo di legno e si inginocchiò davanti a
me, mettendomi le mani sulle spalle. “Edward…”.
A quella parola alzai lo sguardo su di lui. Mi odiai.
Soffriva a causa mia. I suoi occhi erano pieni del dolore che solo la perdita
di un figlio porta con se. Non riuscivo a guardare
tanta sincerità nei suoi occhi.
“Se non vuoi restare, non ti
tratterrò”.
Tornai a fissarlo, stupito. Lasciò cadere le mani lungo i
fianchi, tornando a sedersi dietro la scrivania.
“Non fraintendermi” continuò, “sai che farei di tutto per farti restare”. I suoi occhi si accesero di un antico
fervore e sulle sue labbra nacque un sorriso intriso di tristezza e dolore. “Ma nei 90 anni che sei stato al mio fianco nulla ha cambiato
la tua vita come lei, e nulla la cancellerà mai dai tuoi ricordi”. Annuii più a
me stesso che a lui.
Poi un sorriso triste e amaro si dipinse sulle mie labbra. “E pensare che la prima volta che l’ho vista avrei voluto
ucciderla sul momento”.
Carlisle mi guardò. Ricordava
anche lui quando pochi mesi prima ero corso da lui per
annunciargli la mia partenza. Un Deja Vu a cui non avevo pensato.
“Hai semplicemente scoperto la grandezza della nostra natura
e di quella umana Edward,
non l’hai uccisa, l’hai fatta diventare la tua ragione di vita, e lei ti ha
accettato”. Annuii ancora, il sorriso sostituito da una smorfia di dolore.
Non so quanto tempo passammo con
gli occhi bassi senza parlare ma non avrei più potuto resistere oltre. Mi alzai
e mi incamminai verso la porta senza guardarmi
indietro. “Addio Edward…”. Mi fermai, la mano sulla maniglia della porta,
incapace di girarmi e affrontare ancora il suo sguardo. “Addio papà… dì a Esme che l’ho amata come una
madre…”. Poi uscii.
Tornai lentamente alla Volvo.
Nella mia testa la voce di Carlisle mi augurava buona
fortuna con James. Un ringhiò mi uscì dalle labbra.
James. Ormai era buio, accelerai verso casa ma lasciai
la Volvo
all’inizio del vialetto, non volevo incontrare nessuno. Poi partii di corsa
verso le montagne.
Sarei arrivato in pochi minuti se un odore familiare e una
voce non mi avessero fermato. “Edward…”. Alice sbucò
dagli alberi accanto a me”.
“Alice vattene ti prego, devo andare
da solo”. Lei per tutta risposta mi si avvicinò e mi abbracciò, poggiando la
testa sulla mia spalla. Rimasi interdetto, ma la abbracciai anch’io. Dopotutto
era sempre Alice, mia sorella, la mia migliore amica.
Come se mi avesse letto nel pensiero nella sua mente
cominciarono a scorrere tanti ricordi. I nostri ricordi.
La prima volta che si era presentata a
casa nostra con il povero Jasper tutto sulla difensiva.
La prima caccia insieme, sulle montagne, alla ricerca di puma
e linci. Il suo primo giorno di scuola come mia sorella, il nervosismo,
l’euforia nel sapere che ce l’avrebbe fatta. Le
partite a scacchi, minuti spesi a guardarci negli occhi concentrandoci sulle
mosse, un pedone spostato, il re sconfitto. Poi le risate quando Carlisle e Esme
avevano cacciato Emmett e Rose per il loro ennesimo
viaggio di nozze. E ancora gli ultimi mesi, la mia felicità
riflessa nei suoi occhi e nei suoi pensieri.
Lentamente mi lasciò andare e con un sorriso triste mi
guardò negli occhi. “Ecco… ora sai tutto”. Mi posò un bacio leggero sulla
guancia e poi corse via.
Rimasi immobile per qualche secondo. Per la prima volta
qualcosa mi aveva fatto dubitare della mia scelta, abbandonare tutto ora non mi
sembrava più così facile. Per un millesimo di secondo la mia decisione vacillò,
ma qualcos’altro, forse la mia coscienza, sempre che ne avessi
ancora una, la fece apparire davanti ai miei occhi. Bella. La mia Bella.
Il dolore mi mozzò il respiro, più vivo e più forte che mai.
No, non avrei abbandonato la mia risoluzione. Così ripresi a
correre verso quella radura che era stata l’inizio e la fine di tutto.
Arrivai in pochissimo tempo.
James mi stava aspettando, in mezzo a quel campo. Mi vide e
assunse una posizione di difesa, sul suo viso un ghigno divertito e gli occhi
ridotti a due fessure. Stava ricordando la scuola di danza,
si soffermava sui particolari, sulla sua sofferenza. Un ringhio mi
squarciò il petto. Non sarebbe vissuto ancora a lungo, non glielo avrei
permesso, non dopo tutto il male che aveva fatto, che aveva fatto
a lei.
La nostra battaglia cominciò. Era scaltro e intelligente,
non si scopriva mai troppo e seguiva l’istinto tutte
le volte che poteva. Cominciò a piovere; l’acqua faceva da testimone al nostri incontro silenziosa e inesorabile. Poi riuscì a
colpirmi, non ricordo bene come fece ma in un istante
mi ritrovai sbalzato in mezzo agli alberi e riuscii a frenarmi solo poggiando
mani e ginocchia sul terreno.
In un secondo fui di nuovo nella radura. James sorrideva
affabile, senza un capello fuori posto, la testa affollata di pensieri e
ricordi su di lei. Ringhiai e il combattimento ricominciò più veloce e violento
di prima. I tuoni del temporale si alternavano ai nostri
scontri, nessuno si sarebbe accorto di noi.
Riuscivo a parare i suoi colpi ma
nessuno dei miei attacchi andava a segno. Stavo perdendo la pazienza
mentre il suo ghigno si allargava insieme all’aumentare del mio
nervosismo. Quel sorriso portò altri ricordi, altre
immagini di Bella. Ruggii e stavolta la mia mano raggiunse la sua gola. Ci
ritrovammo contro la parete di roccia della montagna, le mie dite ancora
strette al suo collo e un rantolo gli uscì dalle
labbra.
“Non ridi più? Vigliacco!”. Lo
spinsi più forte contro la roccia. Il suo sorriso però non si spense.
“Edward, Edward,
Edward… ce ne hai messo di tempo!” e rise. Una risata
cattiva, senza allegria.
Non riuscii più a trattenermi. Chiusi gli occhi. Un rumore
metallico tanto forte da riecheggiare nella radura e la sua risata si spense,
per sempre.
Poco dopo un fuoco scuro bruciava tra le montagne sovrastate
da un fumo malsano. Alice apparve all’improvviso al mio fianco e con lei quel
profumo di casa che non avrei più sentito. La guardai e nella sua mente vidi delinearsi il mio futuro, certo e sicuro ora. Poi lo vidi
sparire nel buoi.
Alice mi guardò con gli occhi sbarrati e le braccia rigide
lungo i fianchi.
“Alice… devo farlo…” abbassai lo sguardo,
non riuscivo a guardarla. Sentii un fruscio e quando rialzai gli occhi
lei non c’era più. Non ebbi il coraggio di seguirla, né di fermarla.
Riapro gli occhi e allontano la mano da quella di Aro.
Marcus e Caius
sono ancora circondati dal loro seguito, hanno paura di me. Aro sospira.
“Edward sarebbe un tale spreco…”
ritorna a sedere sul suo trono, pensieroso.
“Non cambio idea Aro, voglio che lo facciate”.
Sono sicuro della mia decisione, non la cambierò.
Marcus si avvicina e si sistema
vicino ad Aro, poco dopo anche Caius fa lo stesso,
con un sospiro.
Io non mi muovo, sanno che non me ne andrò
finché non avrò ottenuto ciò che cerco.
“Sei davvero sicuro?” Aro cerca di farmi cambiare idea.
“Si” annuisco, “voglio morire”.
Un altro sospiro. Sorrido. La decisione è stata presa.
“Va bene Edward preparati a morire”.
Chiudo gli occhi. Le ultime cose che vedo sono Dimitri, Felix, Jane e Alec
prendere posizione.
Poi il suo viso, tutto per me.
FINE
Writer’s
Corner:
Allora… piaciuta? Avete pianto, avete
riso? Fatemelo sapere con un commento! ^^
Spero di continuare a scrivere altre “Passion
Nights” ma ancora nessuna idea,
le avete? XD