capitolo 9
Hello,
goodbye
“Come
un raggio che ha il coraggio di lasciarsi il sole dietro
sé…
io
credo in me, nel cuore mio!”
-
Il treno
lasciò la stazione avanzando lentamente nelle pianure del Connecticut.
-
Prese
velocità solo dopo aver una lieve curva a sinistra, e a quel punto la Central
Station di Danbury scomparve alla vista dei viaggiatori.
-
Il
vagone nel quale viaggiava Annika Lespaul era pressoché deserto, fatta
eccezione per una coppia di vecchietti in un angolo, e un paio di ragazzi in
divisa da boy scout dietro di lei.
-
Era un
treno come tanti, quello. La giovane poteva riconoscere i dettagli che
caratterizzavano gli interni di quella linea ferroviaria, e questo le
trasmetteva un senso di sicurezza e pace inauditi. Le poltrone blu cobalto, e
i vetri doppi. I braccioli graffiati, e il pavimento polveroso. Le luci
bianche. Le porticine piccole, porticine da nano.
-
Era
tutto già visto, già conosciuto ed imparato a memoria.
Familiare.
-
Cercando di resistere alla tentazione di accendersi
una sigaretta in un luogo dove, lo sapeva bene, era vietato, la ragazza prese
a sfogliare distrattamente la rivista che aveva sulle gambe. In copertina, una
modella, al limite della denutrizione e fasciata da un tubino rosso, fissava
il vuoto con un disco di vinile stretto tra le dita ossute. Sullo sfondo,
stampe giapponesi e una lampada rosa piuttosto kitsch.
-
Annika sospirò, ricordando quando anche lei
era così: non magra, no. Quello lo era ancora, e tanto. Ma schiava
dell'obiettivo, un oggetto da sistemare e ammirare, un manichino da vestire
non lo era più. Per fortuna.
-
-
-Mio
dio, questo vestito di cade addosso come un sacco!- Esclama sua sorella,
indispettita.
-
-Che
devo fare? Ingozzarmi di torta alla panna nella speranza di mettere su peso
prima di dopodomani?- Risponde lei aspra. Sally non parla, tira malamente la
stoffa lilla sui fianchi ossuti di Annika, nel tentativo di rendere l'effetto
un po' più aggraziato.
-
-Oh
basta, lascia stare!- Esplode lei.
-
-D'accordo, allora. Verrai così. In fondo, a te
cosa importa? E' solo il mio matrimonio, dopotutto.- Annika sospira.
-
-Okay, vieni qui. Cerchiamo di sistemare un po' questo vestito da
damigella.-
-
-
Annika cercò i gli occhiali da sole nella
borsa e li indossò, lasciando che l'avvolgente mascherina di Prada la
schermasse dal mondo esterno. Avrebbe voluto dormire, ma il sedile era
piuttosto scomodo e il sole le batteva proprio in faccia.
-
Il viaggio fino a New York non sarebbe durato
troppo, dopotutto. Una volta arrivata a casa avrebbe dormito per due giorni di
seguito, si disse.
-
Quella settimana a casa dei suoi, nel
Connecticut, l'aveva stremata.
-
Sally, sua sorella, era appena convolata a
nozze con un giovane rampante dall'aria idiota e il conto in banca a sei
cifre. Robert.
-
Robert aveva ventotto anni e li aveva
trascorsi tutti a sorridere. Sorrideva in sella al suo purosangue; sorrideva
quando firmava i contratti con i suoi clienti, nello studio legale di cui era
associato; sorrideva quando parlava con il suocero; sorrideva, persino, quando
il suo sguardo si posava su di lei. Ma su questo Annika non era completamente
certa: forse quella che si congelava sul volto di Robert era una smorfia di
disperazione male celata, ogni qualvolta i suoi occhi incontrassero la
terrificante cognata.
-
Annika non sorrideva, mai. Era stata
addestrata a mantenere un cipiglio sexy, serio, imbronciato o neutrale, a
seconda del tipo di vestito che avesse -o che non avesse- indosso.
-
Dopo dieci anni di lavoro come modella, Annika
aveva dimenticato come si facesse a sorridere.
-
Aveva cominciato a quattordici anni, sfilando
il sabato pomeriggio per piccoli marchi per teenager. A sedici anni un viscido
agente l'aveva convinta a mollare la scuola e a trasferirsi a New York, per
"sfondare nel mondo della moda", come aveva detto lui.
-
Brian e Victoria Lespaul, i suoi genitori,
avevano accettato la cosa senza fare una piega. Evidentemente consideravano la
loro ultimogenita del tutto perduta, anche quando era solo agli inizi della
carriera nel mondo della moda.
-
Annika sorrise malinconicamente, pensando alla
differenza abissale che correva tra lei, Sally e Zac, suo fratello maggiore.
Sally era la figlia di mezzo perfetta. Sally aveva vinto una tonnellata di
stupidi premi scolastici; Sally frequentava il club di letteratura, al liceo;
Sally aveva tutte A; Sally aveva preso una schifosa laurea a Stanford; Sally
insegnava in una ridicola scuola elementare a dei bambocci bavosi e urlanti.
Insomma, Sally era perfetta.
-
Annika no. Zac... lui era stato pressoché
dimenticato dall'intera famiglia Lespaul.
-
-
-Dov'è la foto mia e di Zac al lago?- Chiede Annika indicando una
cornice vuota.
-
Sua
madre la fissa, gli occhi azzurri sono due fessure. Sembra a
disagio.
-
-Oh.
Aeeemh. Sì.- Tentenna.
-
Annika alza un sopracciglio.
-
-Sai
era tutta stropicciata e così l'ho infilata nel vecchio dizionario di latino
di tuo padre, così perde un po' la forma. La rimetterò lì quando avrà perso
tutte quelle fastidiose piegoline.-
-
-Oh, capisco. Brutta cosa, le piegoline.-
-
-Perché devi essere così cattiva con me, Annika?- Domanda Victoria
in tono lamentoso.
-
Potrebbe inscenare una crisi di pianto, se fosse in vena. Magari tra
un po' lo farà per davvero.
-
-Non sono cattiva, mamma. Non sono mica io quella
che non ha invitato il fratello maggiore alle nozze della sorella di mezzo,
mamma. Non sono mica io quella che ha detto "vieni da solo oppure non
presentarti alla mia porta", mammina.-
-
Victoria spalanca la bocca. Annika sorride.
-
-Tuo
fratello... io... io... non ho mai detto...-
-
-No,
certo.- Annika concentra tutta la sua attenzione sui tovaglioli che sta
piegando, quasi fosse una questione di vita o di morte.
-
-Non
gli ho detto questo! Ho solo pensato che fosse troppo presto per presentarsi
di fronte a tutti i parenti con il suo nuovo ragazzo, Annika!- Sbottò sua
madre.
-
Annika, dentro di sé, sorrideva. Sghignazzava. Ma solo dentro di
sè.
-
Perché il suo viso era fermo e impassibile, e non tradiva alcuna
emozione.
-
-Il suo nuovo ragazzo!
Questa si che è bella, mamma
cara. Veramente spassosa. Zac e Jamie stanno insieme da quattro anni.
Quattro! Quattro anni fa, mamma, Sally non conosceva ancora
Robert.-
-
Questo è troppo. Victoria lascia cadere nel lavandino le posate che
sta asciugando e corre in soggiorno.
-
Molto
bene. Ora Annika potrà fumarsi in pace una sigaretta senza nessuno che le
chieda, per favore, tesoro, potresti spegnerla? Il parquet si impregna di fumo
e poi puzza.
-
-
Zac aveva dieci anni più di lei: trentasei.
-
Era un omone enorme, altissimo, spalle larghe
e viso gentile. Era stato il suo primo, vero amore, quando aveva sei anni e
sedeva accanto a lui mentre lui strimpellava il vecchio pianoforte di casa.
Tutte le bambine, si sa, vogliono sposare i propri papà.
-
Tutte, nessuna esclusa, si vede come la
piccola principessa di casa. E al loro fianco, tutte loro, vedono un principe
in casacca bianca e pantaloni rossi fruscianti, con una corona in testa e la
spada al loro fianco. Queste bimbe non hanno ancora esplorato l'immenso
universo maschile, e così danno il volto del proprio babbo a questo principe.
-
Annika no. Annika aveva sempre immaginato che
se avesse sposato un principe, sarebbe stato esattamente come Zac. Avrebbe
avuto i suoi capelli castani ondulati, e i suoi occhi azzurri, la voce
profonda e le mani che danzavano veloci sui tasti del
pianoforte.
-
Zac aveva praticato
hockey su ghiaccio ed era un grande tifoso di basket. Lui e la sorellina
guardavano ogni sabato le partite della NBA in televisione. Amava anche
leggere, tantissimo. Quando lei aveva otto anni e lui era in procinto di
andare all'università, le regalò una vecchia copia di David Copperfield ingiallita dal
tempo.
-
-Tienilo. Leggilo con calma e poi dimmi cosa
ne pensi.-
-
Annika aveva divorato quel grosso librone che
odorava di antico. Era una cosa che amava fare: ogni libro, secondo lei,
possedeva un odore particolare ed unico. Lo aveva constatato annusando persino
i libri di scuola, piccoli tomi colorati e per nulla interessanti, agli occhi
della ragazzina.
-
-Come i vini!- Aveva esclamato Zac quando la
sorellina gli aveva confidato quest'idea.
-
Ogni volta che parlava al telefono con Zac,
Annika ripercorreva le avventure di David con lui.
-
Quando Zac tornava a casa per le vacanze,
portava sempre con se qualche nuovo romanzo.
-
Dopo
David
Copperfield fu la volta di Orgoglio e pregiudizio, e dopo di quello
altri libri ancora.
-
Annika sognò con Wendy e Peter Pan, viaggiò
con Alice, amò insieme a Catherine e Heathcliffe, combatté al fianco dei Greci
e dei Troiani e viaggiò con Odisseo, e tutto questo grazie a suo fratello, il
suo principe amico.
-
Ora Zac insegnava storia dell'arte alla
Columbia e viveva con il suo compagno da quattro anni in un appartamento del
campus. Annika pensò che sarebbe dovuta andare a trovarli, era da tanto che
non vedeva né suo fratello né Jamie.
-
-
-Puoi
spegnere quella cosa?-
-
-Ma
non eri andata in soggiorno?-
-
-Sono
di nuovo qui, disturbo per caso?-
-
-Certo che no. Tranquilla, comunque. La
cosa è semplicemente una sigaretta. Non fumerei mai
marijuana sotto il vostro tetto.
-
-Non
te lo permetterei!-
-
Annika trattenne una risatina. Sua madre era piuttosto ingenua,
quando ci si metteva.
-
-
Aveva provato l'ecstasy una volta sola, e si
era ripromessa di non caderci mai più. La distruggeva completamente, e il suo
corpo, debole per via della dieta ferrea e per l'allenamento continuo, non
avrebbe retto una seconda pasticca.
-
Sfuggiva l'eroina perché, dicevano, ti rende
dipendente dopo la prima siringa. Non voleva diventare una tossicodipendente,
ci mancava solo quella.
-
A volte aveva assaggiato un po' di cocaina.
Alle feste, nei backstage. Solo se veniva offerta, e mai troppa: cercava
mantenere una minuscola percentuale di autocontrollo in un angolo del suo
cervello, per non diventare violenta. Non si preoccupava di beccare roba
cattiva. Nel suo mondo ne girava solo di perfetta, nè troppo pura -l'avrebbe
uccisa, probabilmente- nè piena di schifezze.
-
Non era dipendente, però. Si dava delle
regole. un po' come il cibo.
-
Era ottima, ma non era quell'esperienza
fantastica, meravigliosa, ai confini della realtà come la definivano molti.
Sentiva la fame sparire di colpo, ed era pronta a stare sveglia per settimane.
Le dava una certa carica.
-
Una volta una delle sue coinquiline le aveva
offerto una striscia. Aveva risposto -Oh, sì!- Tutta eccitata. Quando si era
resa conto della sua risposta, era uscita in fretta da casa ed era andata al
cinema. Poi al McDonald's: Big Mac, patatine, Coca-Cola e frullato di fragole.
Se era euforica prima di toccare la roba, significava che doveva darci un
taglio immediatamente.
-
Quello fu uno dei pasti più abbondanti che
fece, nel periodo in cui lavorava come modella a New York. Viveva in un
appartamento con altre tre ragazze, modelle anche loro, e il frigo era
perennemente vuoto. Il suo stomaco altrettanto.
-
Si era imposta un
pranzo e una colazione veri a settimana. Era un
trucco che aveva imparato da una ragazza franco-americana che faceva la
modella da quando aveva tre anni e la sua faccia compariva su tutti i
cartelloni pubblicitari degli USA, accanto allo slogan di una nota marca di
pannolini.
-
-Il
lunedì mangi una ciambella e bevi un cappuccino appena sveglia. Poi mangia
quello che ti pare. Fai la fame, se ti va. Il venerdì mangi un piatto di
pasta, roast beef e patate, pollo con i peperoni... Quello che ti pare. E poi
fai il digiuno fino al lunedì successivo, se a te sta bene. Con questo metodo
ti tieni in forma che è una bellezza.-
-
Qualcun altro le aveva sconsigliato fortemente
la marijuana.
-
-La fumano le teenager, lascia perdere quella
merda! E poi ti mette una fame chimica pazzesca, e a quel punto sei costretta
a diventare anche bulimica. Un consiglio? Lascia perdere. Se vuoi un aiutino,
butta giù un po' di vodka alla pesca e ti tirerà su in un
baleno.-
-
A casa, quando ancora viveva con i suoi, aveva
provato la marijuana diverse volte. In effetti, subito dopo correva sempre a
svuotare la dispensa.
-
Sua madre appariva più disgustata che Annika
avesse realmente mangiato qualcosa, piuttosto che stesse continuando con la
sua dieta assurda.
-
A volte si era domandata se i suoi genitori
fossero stupidi o semplicemente non riconoscevano dei sintomi palesi quando li
avevano davanti.
-
Era sempre stato così, in tutte le situazioni.
-
Victoria partecipava a stupide riunioni di
donne di mezza età che si vantavano per le opere di carità fatte e roba del
genere. Il tutto avveniva sempre in ridicole sale da ricevimento, e le
partecipanti indossavano ogni volta un abito nuovo. Annika aveva sempre
pensato che si trattasse di un modo alquanto singolare di schiaffeggiare la
povertà di cui tanto si preoccupavano.
-
Le donne che frequentavano questo tipo di
riunioni avevano conti in banca ben più forniti di quello dei Lespaul. E si
trattava comunque di conti personali, cioè solo una parte dello stipendio del
capofamiglia, che si premurava ogni mese di versare soldi a nome dell'amata
coniuge. Tuttavia, Victoria si era sempre sentita a casa sua tra quelle donne.
-
Annika, però, guardava con occhio impietosito
questa cosa: nessuna di loro sembrava veramente interessata a sua madre. Se
mancava a qualche riunione, nessuno si prendeva il disturbo di chiamarla. Un
paio di volte qualcuno di loro era venuta a casa quando Annika era in visita
dai suoi. Si erano appollaiate sulle poltrone e avevano sorseggiato il loro
tè, rispondendo con educata freddezza ai tentativi di fare conversazione di
Victoria.
-
Di ritorno dal bagno, mentre sua madre era in
cucina, Annika aveva sentito la voce di una paio di quelle vecchie, grasse
signore in tailleur firmato.
-
-Povera Victoria, dopotutto deve pur riempire le
sue giornate in qualche modo...-
-
-Eh già che poi con quei figli che si ritrova...
Uno peggio dell'altro! Il maggiore è... insomma, avete capito. E la più
piccola... L'avete vista, no?!-
-
-Oh, sì... Sally magari è l'unica parte sana della
mela marcia, ma trovo comunque che sia una giovane piuttosto
ordinaria.-
-
-Precisamente! Ordinaria, è proprio questa
l'impressione che mi da la ragazza. D'aspetto, di modi e di carattere, mai
vista ragazza tanto ordinaria.-
-
Quelle parole sembravano ricalcare quasi
perfettamente quelle che, per sbaglio, aveva udito nei bagni dell'hotel nel
quale c'era stato il ricevimento per il matrimonio.
-
-
Annika rimane chiusa nel suo cubicolo, sebbene sia perfettamente in
ordine e abbia già tirato l'acqua. Ha sentito il ticchettare di qualche paio
di tacchi -Non sa bene quanti.
-
-Ridicola, la damigella d'onore. E' talmente magra che quel vestito
le sta addosso come uno straccio. E avete visto che
occhiaie?-
-
-E'
la sorella di Sally. Un'ex modella drogata e alcolizzata, anoressica e
probabilmente qualcos'altro.-
-
-Sì, a casa ho una montagna di Vanity
con lei in copertina. Comunque
anche Victoria Lespaul non scherza. Con quel vestito sembra una meringa al
limone!-
-
Ridono. Rumore di borse che si aprono, fruscio di vestiti che si
sistemano, trousse del trucco che scattano.
-
-Suo
fratello Zac non è venuto. Immagino che sua madre non l'abbia voluto. E' un
professore omo della Columbia, sai che scandalo!-
-
-Avete visto come Victoria sta sempre appiccicata a mio padre? Dio,
è così orrendo che siamo diventati parenti.- E' Lucy, la sorella di Robert, il
novello sposo.
-
-Magari spera di trovare presto qualcuno per sistemare la più
piccola.-
-
-E
chi?!-
-
-Un
esorcista, magari. Potrebbero andare d'accordo!-
-
-
Il treno fa una fermata, e Annika viene
bruscamente riportata alla realtà dopo quell'interminabile arabesco di
pensieri.
-
Vede scendere i due boy scout, i vecchietti.
Pensa che forse sta per rimanere sola.
-
E invece no.
-
Perché ora è una giovane coppia a salire sul
suo stesso vagone: lui capelli scuri e occhi verdi, lei capelli rossi ricci e
occhiali scuri. E poi una mamma con le sue tre deliziose bambine, e un ragazzo
con il chiodo e i capelli dritti di gel.
-
Annika ripensa ad una delle frasi confuse che
ha captato in quello che, seppure di lusso, era pur sempre un
cesso.
-
Un'ex
modella drogata e alcolizzata, anoressica e probabilmente
qualcos'altro.
-
Avrebbe davvero voluto uscire fuori e fare il
punto della situazione.
-
Prima di tutto, non aveva più niente a che
fare con la moda da anni. Ora gestiva una minuscola libreria sulla Fifth
Avenue di New York, viveva da sola e aveva persino un gatto.
-
In secondo luogo, erano almeno due anni che
non vedeva della droga nemmeno in fotografia. Aveva bevuto del vino al
matrimonio, sicuro, ma prima di questo era rimasta sobria per mesi.
-
Era magra, questo
sì. Mangiava poco, certo. Ma stava combattendo anche contro quel mostro.
Come un raggio, che ha il
coraggio di lasciarsi il sole dietro sè, anche lei voleva
buttarsi alle spalle il passato.
-
Stava lottando con tutte le sue forze, e ne
era fiera.
-
Ma soprattutto, pensò con un sorrisetto di scherno
rivolto agli alberi del Connecticut che le sfrecciavano davanti ora che il
treno aveva ripreso la sua corsa, era fiera di una cosa: di non essere una
totale, abnorme e irrecuperabile stronza!
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Editor
NdA: La storia si è classificata prima al contest di hotaru. Non vi dico la mia sorpresa nel sapere il risultato!
Comunque, la storia si è ispirata in parte ad una storia vera, in parte ad un vecchio film che ho visto tanto tempo fa (di cui non ricordo neppure il titolo XD) e, ovviamente, alla frase che ho scelto per partecipare al contest (la trovate nel sottotitolo e nel testo della shot).
Spero che vi piaccia. So che sembra un po' confusa (i continui flashback, che magari non sembrano nemmeno legarsi bene con il resto della narrazione) ma, almeno nella mia testa, tutta la shot un filo logico ce l'ha. E non credo che sia troppo difficile per voi trovarlo, se seguite bene. ^^
Ah, e se ve lo state chiedendo... Si, esiste davvero una ragazza che si chiama Annika. E' la migliore amica di una mia cara amica. =)
XOXO Deerockt94 |