09.09.09

di manubibi
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Il suono plastico e incerto del disco che si appollaia pigramente sul perno dello stereo risuona per qualche istante, mentre le cuffie raggiungono il loro luogo naturale.
Riproduzione.
Basso e batteria compaiono flessuosi ondeggiando come linee e martelletti colorati dietro la cortina delle palpebre rilassate.
Paul McCartney; poche note fluide e calde che scorrono attraverso le corde con navigata eleganza, minimale.
L'atmosfera è questa, oscura ma piacevolmente rilassata.
Non sa se si sta muovendo, nella sua testa è tutto un pigro dondolare, forse lo segue o è solo fermo, rannicchiato sul divano come un piccolo gatto, le cuffie premute sulle orecchie.

...come together, yeah..., dice il mantra sul finale.
Secondo pezzo. Il rullare tiepido della batteria, e subito compare lui, il protagonista.
George Harrison: lo vede nitidamente, in fondo al tunner delle macchie colorate in fondo alla pupilla.
Gli mostra la chitarra, mentre Paul continua a titillare le corde tessendo compiaciuto la sua tela di Penelope.

You're asking me, will my love grow?
I don't know, I don't know...
Ora dondola, avverte il proprio corpo muoversi mentre è acciambellato come un gatto.
George è illuminato.
Sa di essere molto diverso.
George è quello tradizionalmente più timido, defilato, riflessivo.
Invece è forte, sa quello che vuole; vuole comunicare, ora, George Harrison.
Matthew vede le sue mani grandi e sane, che gli porgono il manico della Gretsch. Che meraviglia.
Matthew sa di avere uno stile completamente diverso, lontanissimo dal suo: nervoso, scattante e impulsivo quando spedisce le proprie dita a cercare qualche nota essenziale a contribuire al lirismo barocco delle proprie melodie.
"No, rilassati", sembra dire il sorriso cortese di George.
George è morto. Non importa.
George è lì, nella sua testa, dietro i suoi occhi.
Conosce il viso di George Harrison.
La cosa più vivida sono gli occhi neri, vivi, ardenti ed espressivi. Parlano.
Matthew sa che dietro quei suoni dolci, suadenti, esperti che sembrano carezze, in fin dei conti c'è solo quello.
Amore.
Amore inteso in molti sensi.
La musica che gli attraversa le sinapsi è amore, di per sé. Semplice, gratuito.
Amore che attraversa il tempo, che arriva pulsante fino a lui.
Gli mostra ancora la mano grande e presumibilmente calda. Potrebbe accoccolarvicisi.
Matthew non si muove davvero, ma allunga la propria, lunga e affusolata, in un gesto di fiduciosa incertezza, gli occhi azzurri abbagliati di stupore infantile.
Si affida attraverso il tunnel della propria fantasia e a quell'uomo dolce che lo invita ad ascoltare, perché non serve capire. Non serve chiedersi il perché di quella fantasia.
George ha scritto questa musica anche per lui. Lo sa.
E la cosa è rassicurante.
George sorride e stringe le dita attorno alle sue nocche.
"Questa canzone è anche per te, Matthew. E' per tutti. Buon ascolto".
Apre gli occhi.



[Eccola qui, Muse e Beatles insieme, alla fine ci sono riuscita. Da leggere ascoltando Something, ma anche tutto  Abbey Road, che ne vale sempre la pena...
Spero vi piaccia :)]




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