Tornare bambina
"Se avessi saputo che sarei stato prigioniero per 15 anni, se me lo avessero detto,
la cosa mi avrebbe aiutato? O mi avrebbe ucciso?"
Oh Dae Sun, Old Boy
Camilla
spense il neon della cucina, e andò verso la camera da letto. I piatti
erano ancora sul tavolo, sporchi, ma per stasera non importava. Li
avrebbe lavati l'indomani. Suo marito Luca era in viaggio di lavoro, e
Elisa avrebbe dormito da un'amica. Stasera era libera.
Passando
in corridoio, sfiorò i libri sugli scaffali, come faceva da ragazzina.
Quando si piazzava ore di fronte alla libreria, senza saper
scegliere...tanti mondi da esplorare in ogni libro, tante vite da
rivivere...allora le sembrava che sceglierne uno volese dire condannare
all'oblio gli altri, far loro un torto.
Sorrise. A cinquant'anni la paura di scegliere non l'aveva più...era subentrata quella di non poterlo più fare.
Andò
verso il comò, ne aprì l'ultimo cassetto, quello dove nei film i ladri
trovano sempre quello che cercano, nascosto sotto qualche capo di
biancheria. Nel caso di Camilla, però, avrebbero trovato solo una
lettera. Una lettera di molti anni fa, con la carta ingiallita, e
l'inchiostro macchiato in alcuni punti. Le macchie c'erano già quando
la lettera le era stata recapitata, una ventina di anni prima.
L'aprì
con cura. E come sempre, fu assalita da un sentimento ambiguo, di odio,
rabbia, amore, desiderio. Marco era morto, lo sapeva, l'aveva letto sui
giornali. Ma le sue parole, le ultime che le aveva rivolto prima ancora
di diventare il Marco di dominio pubblico, erano ancora con lei.
Parigi, 8 luglio 2009
Camilla,
La
tua voce quando ti ho detto che non sarei venuto. Mi perseguita, mi
scava nello stomaco e uccide ogni mio sforzo. Una parola ti è bastata,
ancora una volta, per farmi capire il mio errore. Di nuovo.
"Perché".
Una
parola. E il tuo tono che era il tono di tutto il mio spirito.
Sorpresa, stupore, disperazione, una slavina. Così mi sentivo. Così ti
sei sentita. E averla generata la slavina non ti mette al riparo.
Tu
mi chiedi la lettera. Eccola. Quando leggerai, se leggerai, forse
capirai. Forse no. Come hai detto tu, ho solo questo da offrire, parole.
Era
una sera di aprile. Lungo strade mai percorse, eccitato, impaurito,
venivo ad incontrarti. Solo qualche foto e molte parole scambiate
potevano aiutarmi a cercare di capire che cosa sarebbe successo. Non
l'hanno fatto.
"Se
avessi saputo che sarei stato prigioniero per 15 anni, se me lo
avessero detto, mi avrebbe aiutato? O mi avrebbe ucciso?". La stessa
domanda di Oh Dae Sun mi circola ormai da mesi nella testa. Non sono
passati quindici anni. Sono passati solo pochi mesi. Ma la sensazione
di cambiamento profondo, è stata immediata, improvvisa, travolgente.
Come un apprendista stregone qualsiasi ho sollevato forze che non ho
saputo controllare, che solo ora riesco a fingere d'ignorare.
Arrivare,
parcheggiare. Cercare il tuo nome tra i campanelli. Titubare, guardando
i vicini che entrano attraverso lo stesso cancello, e mi guardano
inquieti. Segno dei tempi. Ma non sono uno straniero, i miei vestiti
sono puliti, i miei tratti sono nordici, più a nord della Lega, e il
mio sorriso non è clandestino. Desto diffidenza, ma garbata. Non paura.
Indugiare
ancora, con un cane che abbaia da qualche parte vicino. Guardare le
case. Ricordi di scuola, quando la maestra ci spiegava le costruzioni
delle diverse tipologie di case romane. Non sembra una casa romana, la
tua, non lo è, ma i ricordi immediati sono quelli. La mente ha i suoi
percorsi. Mi chiedo se potrebbe mai diventare la mia casa. Non mi
rispondo, mi dico che è un falso problema. Sapevo già tutto? O era solo
un pensiero sciocco, inconsapevole del vaso di Pandora che stava per
scoperchiarsi?
Suonare.
Trovarti al portone. Risa d'imbarazzo. Lo sconosciuto a casa della
sconosciuta. Una doccia, chiacchiere, una familiarità dapprima
percepita come finta, poi capita come vera.
Un
bacio. Sentire il volo dentro. Capire l'errore, capire che non lo
controllo, parole che salgono subito alla gola, come una fonte che
abbia trovato una via di sbocco dopo anni. Con uno sforzo, riuscire a
rimandarle giu'.
Sesso.
Molto. La sensazione, il bisogno di abbandonare i preliminari ed essere
solo dentro di te. Anche se immobile. Anche senza muovermi. Ma immobili
non siamo. Sesso come sublimazione di altro. Sesso come penetrazione
dell'anima. Ma non la tua, la mia. Avvertire che sei tu che possiedi la
mia mente come io sto possedendo il tuo corpo. E' bastato un attimo. Ma
è ancora troppo presto per capirlo, e troppo tardi per fermarlo.
Era
una sera d'aprile. Una sera in cui la mia anima divenne consapevole che
lo sbocco esisteva. Senza sapere che di lì a poco si sarebbe mostrata
troppo pavida, forse, per perseguirlo.
E
leggere Catullo in latino, su un letto sfatto dagli odori e dai sapori
di tutto quello di cui Catullo parla. Ascoltare la tua voce, mentre i
rumori estivi penetrano nell'appartamento. Falsamente estivi, e dunque
anch'essi almeno in parte responsaibili della perfetta illusione.
Baciarti ancora, fare di nuovo l'amore.
Parlare in macchina, con la tua voce che è come un balsamo.
Sognare
di fare l'amore con te, anche mentre facciamo l'amore. Come se la
perfezione presente non bastasse, come se volessi fare scorta di futuro.
Non
eri nata neanche come un gioco. Non eri la prescelta con la quale
divertirsi un po' per poi abbandonarla. C'erano altre, per questo. Eri
la prova finale prima del grande salto. Eri quella che doveva
confermarmi che non potevo stare meglio di come stessi. Eri quella che
avrebbe ancora una volta dovuto confermare che non è una questione di
chimica, che tutto era ormai come nel migliore dei mondi possibili.
Era
questo il ruolo che avevo scelto per te. E per questo ti ho mentito.
Non ti ho detto di lei. Non ti ho detto dei nostri piani, del nostro
presente e del nostro futuro. Dovevi essere uno strumento, dovevi
sparire dai miei pensieri, dalla mia vita. Dimenticata il giorno stesso
in cui fossi uscito dalla tua porta.
Non cerco comprensione. Un motivo vero, non c'è.
Sto
mentendo, c'è. E' la voce. La voce che mi ha convinto che in realtà
l'elevazione di spirito fosse temporanea. Che mi avresti lasciato, tra
due, tre anni, per un velista, un pittore, un contabile, un bancario. E
che io non l'avrei sopportato.
Chiamami
essere triste. Lo sono. Un uomo che ha paura di vivere pienamente
l'amore oggi per paura di sprofondare domani. Un uomo che ha scelto
l'atarassia dei sentimenti alla tempesta che tu rappresentavi.
Odiami. Disprezzami perché questo merito.
Avrei
potuto mentirti. Continuare a vederti ancora, almeno un'altra volta.
Senza che tu sapessi niente. La sua distanza, la nostra distanza me lo
permetteva. Almeno per un po'. Sarei potuto venire quel fine settimana.
Stare con te. Non ho voluto. E ho scelto di finire prima ancora che tu
me lo chiedessi. Prim'ancora che tu mi mettessi di fronte all'obbligo
di una scelta.
Non
mi pento della scelta di quel giorno. Perché ti amo. E perché sono un
vigliacco. La prima non posso spiegartela. La seconda forse si'.
Ho
optato per la certezza di un'infelicità che speravo di saper gestire,
figlia della mia decisione di non vederti. L'ho preferita alla
possibile infelicità di un futuro in cui tu mi avresti lasciato. Non
avrei sopportato di vivere una sensazione così e poi vederla sparire.
Ed ho scelto di non viverla.
Ma
l'annichilimento che provo mi fa capire che forse ho commesso un
errore. Il baratto dei sentimenti non mi è stato vantaggioso, e sto
forse pagando più di quanto avrei mai pensato di dover pagare.
Mi dimenticherai? Mi ricorderai con disprezzo? Tu che con una parola hai saputo capirmi e possedermi?
Con
altre donne questo dubbio non mi avrebbe minimamente turbato. Con te mi
tormenta. Non è il tuo giudizio che mi preoccupa. E' l'idea di averti
persa. Aver perso non solo te, ma anche una parte di me.
Un bivio, che io non ho imboccato. Nonostante la strada sulla quale sono rimasto fosse stata chiusa da tempo, e io lo sapessi.
Baciami,
stringimi, fammi sentire il tuo sapore. Scrivere queste parole mi
provoca un desiderio incontrollabile. Ora capisco, finalmente, cosa
vuol dire bruciare d'amore.
A
una riunione oggi per la prima volta ho balbettato. Ti pensavo, ed è
venuto il mio turno di dire qualcosa e non ci sono riuscito. Sei
rimasta nella mia testa, senza andartene. E le parole non mi sono
uscite. Solo suoni gutturali.
C'era un politico accanto a me.
Era l'ospite d'onore. Avrei dovuto presentarlo, fare conversazione
prima e dopo. Mi pareva un tipo in gamba. Sorridente, gentile,
affabile. Sui 55 anni, più o meno. Senz'anello al dito. E mi sono
chiesto se anche lui avesse bruciato tutto per una storia non vissuta.
O se magari avesse bruciato tutto per averla vissuta, la storia. Ti
ricordi quando in riva al lago parlavamo del dubbio della Falena?
Mi
chiedevo se diventerò anch'io così. Mi chiedevo se come lui tornero' a
casa dai miei viaggi di lavoro e guardero' la televisione da solo,
forse chiamando una puttana ogni tanto per soddisfare i miei bisogni.
Forse neanche quello.
Mi
chiedevo fino a che punto una scelta, una scelta sola, possa
condizionare una vita. E mi rispondevo "molto". Ma dipende dalla
scelta. Mi chiedevo se anche lui serbava nel cuore il ricordo di un
volto, di un momento, che non riusciva a passare.
E' venuto il mio turno, e ho balbettato. E me sono andato.
Come hai detto tu, ho solo questo da offrire, parole.
Tuo (da sempre, e per sempre)
Marco
Richiuse
la lettera dolcemente, cercando di minimizzare i danni alla carta.
Pensò a sua figlia Elisa, che con i suoi vent'anni viveva in un mondo
dove ormai le parole esistevano solo attraverso lo schermo di un
computer. Pianse per lei. Perché non avrebbe forse mai potuto capire
cosa volesse dire rileggere parole d'amore scritte vent'anni prima, con
i fogli macchiati dalle lacrime dell'uomo che le aveva scritte per te,
e capaci ancor oggi di farti sentire leggera e pesante come allora.
Si
alzò dalla scrivania, andò di nuovo in corridoio, di fronte alla
libreria. Si sedette per terra, proprio come quando era bambina.
Incrociando le gambe, poggiando i gomiti sulle ginocchia, e il mento
sui palmi delle mani. Guardandola, non fosse stato per i molti capelli
bianchi, la si sarebbe presa ancora per quella bambina di tanti anni fa.
Il
rumore del traffico arrivava smorzato attraverso le finestre. Lo
scaldabagno ticchettava, come una macchinetta da caffé. Mentre Camilla
si trovò di fronte a mille mondi, e ricomincò a dubitare ancora una
volta su quale scegliere, quale far rivivere. Sorrise. E ringraziò
Marco per l'unico vero gesto d'amore che avesse fatto per lei.
Scriverle quella lettera.
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