Sono a Heatrow, dentro un piccolo bar dentro ad un ancora
più piccolo bagno. Ci sono sei porte blu con relativo segno
rosso, cioè sei possibilità negate di andare al
gabinetto prima di prendere l'aereo, cioè sei porte tutte
blu che mi danno dell'idiota.
Ci sono persone che passano la vita ad aspettare, persone che non
aspettano mai e persone invece che aspettano quando non dovrebbero e
non aspettano quando sarebbe conveniente farlo, e sprecano la vita a
capire dove hanno sbagliato. Io appartengo all'ultima categoria, ma non
preoccupatevi, non mi sento solo.
Tutti prima o poi sbagliano i tempi, ed è solo questione di
fortuna che questo capiti spesso o quasi mai, per cui, almeno per
qualche attimo della vostra vita, voi vi troverete nel mio insieme e
saremo vicini.
Ve l'ho detto, non mi sento solo.
Esci dal bagno, corri verso l'uscita, prendi il piccolo autobus
scassato che ti porta all'aereo. Strano come una volta entrati in
aeroporto non si veda più la luce del sole per
più due ore. Passi dai bar ai check-in al furgoncino dei
gelati all'aereo, e tutto senza respirare mai aria vera.
Ci vuole una bella mente perversa per non farti uscire da lì
per tutto quel tempo.
Magari lo fanno apposta. Ti fanno uscire sempre meno da centri
commerciali, uffici e case, sempre meno, fino a che non sarai
più abituato all'aria fresca e alla luce diretta e vivrai in
città a vetro doppio.
Forse dovrei prendere l'aereo e basta.
I miei sono divorziati. Da piccolo dovevo andare da un genitore
all'altro e pensavo: e se io non prendessi quel treno ma un altro?
Immaginavo praterie immense e cavalli e mucche sfilare fuori dal
finestrino. Era facile: bastava cambiare binario e puff, sarei sparito
per sempre. Ma avevo paura. Di cosa non so, ma avevo paura. Tentennai
finchè mia madre non si trasferì in Canada.
L'aereo costava troppo, e io non potei più andare da lei.
Così lasciai perdere.
Ma pensa se lo facessi adesso, "Scusa capo, ho sbagliato aereo, non so
dove sono diretto", poi butti il cellulare nel primo cestino,
là dove dovrebbe stare, e sei sparito. Per tutti sei morto
da eroe sul lavoro, magari investito da un'auto lunga e scura. E per
te stesso sei libero.
Siediti sul sedile, regola il sedile, ascolta le istruzioni.
Non ho mai capito perchè le dicano. Se l'aereo decolla,
decollo. Se l'aereo atterra, atterro. Se l'aereo si schianta, mi
schianto. Dov'è il problema?
Se la gente non avesse così tanta paura di morire vivrebbe
di più. E non sto parlando solo di minuti o di ore o di
fottutissimi anni. Sto parlando di vita, di infilarsi giù
per un fiume con una canoa e non sapere se arriverai in fondo con la
testa attaccata sul collo.
Sto parlando di fregarsene di quello che succede alla tua testa e al
tuo collo, e di fare tutto per quell'unico, piccolo secondo in cui non
capirai più niente e ti dimenticherai del cervello una buona
volta.
In tutta la mia vita mi è successo sì e no tre
volte, e ognuna di quelle volte e valsa come una vita intera. A che
serve vivere a lungo, avere un lavoro, fare una famiglia e morire da
vecchi? Sei convinto che è così che si vive una
vita felice, ma non l'hai deciso tu.
Sono la rivendicazione di morire giovane di Jack.
Guarda il vicino, chiacchiera con il vicino, dimenticati che non
vorresti parlare al vicino.
Fino a qualche mese fa non avrei parlato così. Fino a
qualche mese fa ero un maniaco degli orari, odiavo le gomme da
masticare e amavo i temperini.
Ma stavo diventando sempre più nervoso. Avevo voglia di
prendere a calci tutti e non potevo farlo. Non c'era un motivo preciso.
Semplicemente avevo l'impressione che qualcuno mi guardasse dall'alto e
ridesse. Sempre.
Presi a pugni una macchinetta del caffè. Gettai le buste
della spesa in faccia ad un commesso. Non era abbastanza. Cominciai a
correre di notte. Fu allora che li vidi per la prima volta, dietro un
videonoleggio. Un gruppo di gente in cerchio attorno ad un uomo e un
ragazzo senza scarpe e senza giacca. Si picchiavano.
Si stavano semplicemente picchiando, e nessuno li fermava. Li guardai
per mezz'ora. Il ragazzo perdeva sangue da un orecchio ed era a terra.
Gridò "Basta" e il combattimento finì.
Quello non era un pestaggio. Era uno scontro in piena regola.
Tornai lì la settimana dopo e quella dopo ancora. Muovevo
sempre un passo in più verso quel cerchio magico. Alla fine
mi unii a loro.
"L'aereo atterrerà fra qualche ora. La compagnia aerea vi
augura buon viaggio."
La prima volta che metti piede al Fight Club devi combattere. Non mi
tirai indietro.
Il primo con cui mi battei era uno che non conoscevo. Grosso e grasso.
Ma non avevo paura.
Quando tornai a casa avevo un occhio talmente pesto che sembrava una
prugna. Ma ero più che vivo.
Da quel giorno, tutte le settimane, il mio appuntamento fisso fu il
Fight Club. Non pensavo a cosa vedeva la gente nelle ferite, nelle
botte e nel sangue sulle camicie. Io ci vedevo la prova che non ero
come tutti gli altri, e che ero un gradino più in su nella
scala degli immortali.
Sto meglio e sto peggio. Odio qualsiasi cosa si metta fra me e quelle
sere. Non mi fermo più e nessuno mi ferma. L'unico ostacolo
che voglio superare è il prossimo combattimento.
Il Fight Club è la mia famiglia.
Qualcuno se ne è accorto. Qualcun altro no. Mia madre mi
trova più rilassato, ma si preoccupa per i lividi a cui io
non do importanza.
Penso solo che la mia via adesso è mia.
E ne ho avuto conferma quando sono salito su quest'aereo.
"Siamo in vista dell'aeroporto. Prepararsi all'atterraggio."
Adesso so che non siamo solo un gruppetto che si picchia per strada.
Siamo moltissimi, siamo uniti, e abbiamo un capo. Non so niente di lui
ma mi fido, perchè è lui ha creato il Fight Club
senza il quale sarei rinchiuso in un manicomio.
"Vi ringraziamo per aver scelto la nostra compagnia"
Non appena sarò uscito dal terminal un taxi mi
porterà nella piazza principale della città.
Faremo crollare la sede della Banca. E allora il Fight Club
uscirà allo scoperto.
Scendi le scalette, recupera il bagaglio, esci fuori in strada.
Sarà un bel botto, ve lo assicuro.
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