Pettirosso.
Renata cuciva, seduta su
una sedia a dondolo in legno
chiaro.
Sì, cuciva.
Lentamente, senza fretta.
Un passatempo che la
faceva sentire più umana, e non le era
mai stato negato quel piccolo piacere.
L’aveva visto
fare migliaia di volte. Sua nonna amava cucire,
sedendosi sempre su una sedia a dondolo vicino al caminetto e
ascoltando la
piccola Renata leggere le sue favole preferite, con placida
soddisfazione.
In quel momento la vampira
portava al collo una sottile
sciarpa, tessuta con abilità dalla nonna per la sua adorata
nipotina.
Renata la teneva con
attenzione quasi maniacale; quella
sciarpetta rossa era tutto ciò che le rimaneva della donna
che l’aveva
cresciuta.
In quel momento vestiva
con una semplice camicetta bianca,
una lunga gonna nera e la sciarpa rossa vicina al cuore.
Portarla al collo candido
faceva contrasto con la sua
delicata figura, che sembrava uscita da una fotografia in bianco e
nero.
La lunga mantella scura
era posata sul sofà, pronta a essere
indossata in caso la venissero a chiamare.
Alla morte di sua nonna,
accaduta quando Renata era ancora
in tenera età, la bambina era stata affidata alla madre,
poiché del padre non
si sapeva nulla.
Bruciata con
l’accusa di stregoneria dopo atroci torture
pochi anni dopo.
In quel tempo Renata
iniziava a fiorire nella sua gentile
bellezza, ancora troppo timida da permetterle di schiudere le ali e
levarsi in
volo, libera nel tiepido sole della fanciullezza.
Aro l’aveva
accolta, strappandola dalla sua cieca
disperazione quand’era poco più che adolescente.
Diciassette anni, forse.
A quindici aveva visto bruciare la madre su una pira nera per le
fiamme, nella
piazza pubblica. I due anni successivi li ricordava a stento.
Si era portata nella nuova
vita solo il filo rosso
dell’infanzia, tessuto nell’adorata sciarpa, e
fuoco. Un fuoco maledetto, che
aveva consumato in sé il suo unico punto di riferimento.
L’ultimo che le era
rimasto.
La sua riconoscenza verso
Aro traspariva in un inspiegabile bisogno
della protezione della sua nuova
famiglia, i Volturi.
Un bisogno morboso di
essere protetta e dare a sua volta
protezione, come se qualcosa avesse legato la sua anima a quelle mura,
che
ormai riconosceva come casa.
Non aspirava
più alla libertà adulta, o al girare il mondo.
No, Volterra le bastava.
Non sarebbe riuscita a uscire dalla
sua boccia di vetro, perimetrata dai confini della città.
Neanche voleva, a
dirla tutta.
Aro socchiuse piano la
porta, chiamando Renata con un
sussurro melodioso. Lei era la sua guardia personale, senza la quale
non si
muoveva dal palazzo.
Lei trasalì,
mise via il lavoro, indossò la mantella e lo
seguì nervosamente: quasi messa in soggezione dalla sua
figura cordiale e
influente.
Aro a sua volta
sogghignò, senza sentirsi minimamente
colpevole. No, affatto.
Dopo secoli era solo
gongolante per aver raggiunto il suo
scopo.
Un
pettirosso
rinchiuso in gabbia non muore. Semplicemente diventa incapace di usare
le ali.
La
gabbia gli
basterebbe, la libertà sarebbe un concetto troppo astratto
per lui.
No,
il piccolo pettirosso
non vorrebbe mai volare via.
È
il mondo esterno che
lo ucciderebbe.
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Angolo Autrice.
Ehilà gente.
Sì, mi sto dedicando con passione alla guardia dei
Volturi.
Oh yes. Per vostra sfortuna.
Questa One shot mi piace
abbastanza, se devo essere sincera (evviva la modestia).
Non credo sia semplicissima da
spiegare come quella di Demetri, purtroppo.
Non si sa nulla del passato di
Renata, solo che è caratterialmente molto ansiosa.
Mi è capitata tra le
mani una sciarpa che non vedevo da tempo e... e lì la
fantasia è volata.
Immagino Renata cresciuta dalla
nonna, poi affidata all'incostante madre senza un marito. Siamo verso i
primi anni del settecento, quando ancora si praticava la caccia alle
streghe. Renata vaga per due anni, con la sola protezione di
sé stessa (scudo fisico). Aro la trova e la prende con
sé, proteggendola. O come preferisco, rinchiudendola nella
boccia di vetro, ovvero Volterra.
La similitudine col
pettirosso non è casuale: ricorda, infatti, la sciarpa rossa a cui è
affezionatissima.
Mi piace troppo la parte in
corsivo alla fine. Non so, è venuta da sé, non ci
ho pensato né mi sono sforzata. Come se fosse sempre stata
lì, e aspettassi che io la decifrassi da tutto quel casino
(alias la mia mente).
Ho finito
di annoiarvi. Spero vi piaccia!
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