Maggie
Ricordo di
una bambina.
Maggie sin da bambina odiava stare in compagnia.
Non sopportava la presenza
di nessuno, ancor meno i
discorsi.
Forse l’unica
che non le dava disturbo sentir parlare era la
sorellina Sophia, di quattro anni.
La cosa peggiore era che
nessuno pareva capirla.
Una volta era andata a un
ballo. Quelli di società, dove le
fanciulle facevano sfoggio dei loro abiti e i gentiluomini davano il
meglio si
sé.
Una ragazza infiocchettata
come un pacco regalo attirò la
sua attenzione.
Non aveva fatto nulla di particolare; solamente risposto alla domanda
di un
giovane.
<< Avete un
accompagnatore per questo ballo,
signorina? >> << A dire il vero
sì, signore. Mi dispiace. >>.
Maggie, che attraversava
il salone per raggiungere i
genitori, aveva sentito questa piccola conversazione.
Ebbe un capogiro,
impallidì visibilmente e un forte mal di
testa la assalì.
Qualcuno la fece sedere, e una signora le sventolò il
ventaglio davanti per
farle prendere un po’ d’aria.
Aveva solo sette anni.
Un episodio inciso per
sempre nel suo cuore fermo accadde
non molti anni dopo.
Aveva undici anni, e tornava a casa sua dopo una permanenza piuttosto
lunga
dalla zia.
Quando le avevano comunicato l’impaziente desiderio della zia
di rivederla le
venne nuovamente mal di testa, e sentì una specie di
disagio; come se qualcuno
le avesse dato una forte gomitata. Barcollò, ma non fece
domande.
Ora finalmente poteva
gustare le mura bianche della sua
casa, entrare nelle familiari stanze e sorridere alla
servitù che la
accoglieva.
Il padre venne ad aiutarla
a scendere e a portare i bagagli
insieme al maggiordomo, Victor.
La condussero nella sua
stanza senza una parola, limitandosi
a un “Benvenuta” accompagnato da un sorriso
stiracchiato.
La sua cameriera
insistette perché mangiasse qualcosa e si
mettesse a letto, com’era volontà del dottore.
Da quando si era sentita
male senza apparente ragione al
ballo, i suoi genitori si erano preoccupati molto, visto che
l’episodio
continuava a ripetersi più e più volte.
L’avevano
affidata alle cure di un medico, che l’aveva
semplicemente definita “di salute cagionevole”.
Tuttavia Maggie insistette
perché potesse andare a trovare
la madre, che riposava nella sua camera.
Corse fino alla stanza della signora, con la vestaglia bianca
svolazzante e le
scarpine leggere ai piedi.
Spalancò la
porta, e trovò sua madre circondata da medici e
cameriere, pallida, fredda, quasi livida.
I medici scuotevano il
capo, ma suo padre la prese
delicatamente per le spalle e balbettò qualcosa come:
<< Non ti
preoccupare, tesoro. La mamma dorme >>.
Maggie sapeva che quella era una bugia. La sentiva ribollire nello
stomaco, e
in bocca dominava il sapore metallico del sangue.
Sentì solo gelo, poi tutto si fece nero.
Una
vampira dagli
occhi neri prende in mano una fotografia.
Ride, senza allegria, e la strappa.
Avrebbe dimenticato, anche se il suo appetibile potere la rendeva
consapevole
ogni giorno di più che lei non aveva mai avuto
un’infanzia.
Sì, avrebbe dimenticato. Anche se quel ricordo, dopo secoli,
bruciava ancora.
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Eccomi con un'altro
personaggio, un passato e una one shot.
Sono noiosa, vero?
Ebbene sì. Maggie. Quanto mi piace quella vampira? *.*.
Riesce a dire bianco o nero, vero o falso.
Allora...
riesca ad ascoltare solo la sorellina Sophia (inventata da me medesima)
perché è una bambina di quattro anni.
Avete
mai visto un bambino di quattro anni che non sia spontaneo? Ecco.
Sophia è spontanea e dice
sempre la verità.
Quindi,
rieccomi alla fine.
Spero
vi sia piaciuta.
Luna.
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