I was dying to save you
Capitolo 1
I Was Dying To Save You.
Is there anybody out there,
walking alone?
Is there anybody out there, out
in the cold?
One hartbeat lost in the crowd.
"Un altro
sorso di quella robaccia insipida e vomito anche le piume della
giacca."
Tre facce
interrogative accolsero la sua affermazione.
"Le ho
ingurgitate quando mi hanno riassestato il polso sinistro."
Chiarì, distrattamente. Dinanzi a lui un bancone pieno di
zuccheri e caramelle, fiumi di caffè e
cappuccino. "Oh, sostanze ingeribili. Ho bisogno di qualcosa
di forte. Camomilla, phua."
Arricciò il naso liscio, in espressione disgustata.
"Bill, io
non credo che sia un'idea saggia. Sei già abbastanza agitato
così." Gustav gli poggiò una mano sulla spalla, e
si sfrozò di sorridergli, per smorzare la tensione.
"Sto
benissimo." Rispose quello, sbrigarivo. Sedette sulla panca libera, in
fondo. Due righe di caffè trabboccarono dalla sua tazza
Starbucks, per il tremore alle mani che non riusciva a controllare.
Batteva i denti per il freddo, ma era ancora spaventato a morte,
nonostante fossero trascorse già due ore da quando l'avevano
raccolto dall'asfalto della quinta strada.
Non
ricordava quasi niente di quel momento. Sapeva soltanto che un secondo
prima Ben, Georg, Gustav e suo fratello erano dietro di lui, e quello
dopo era stato scaraventato da qualcosa dall'altro lato della strada.
Da qualcuno.
E ora era
lì coi suoi amici, e si sentiva come se un treno
l'avesse investito. Gli facevano male i polsi e l'anca destra, ma il
resto di lui era rimasto bene o male al proprio posto. Era
più che altro la sensazione di non sapere, di non capire
cos'era successo, dov'era finita la persona che l'aveva spinto via,
probabilmente salvandogli la vita, a renderlo inquieto. Non poteva fare
a meno di pensare che mentre la sirena dell'ambulanza si era
allontanata con quella persona, lui stava camminando, con le sue gambe,
per andare a prendersi qualcosa al bar. Avrebbe dovuto esserci lui,
lungo disteso al centro dell'incrocio. Avrebbe dovuto essere lui quello
portato all'ospedale. Rabbrividì di nuovo.
"Tu non
stai bene un cazzo, invece. Cristo, ci è mancato tanto
così che finissi sotto un taxi."
"Tom." Lo
ammonì Georg, sottovoce. Nello sguardo di suo fratello Bill
non scorse rabbia, o disappunto, nessuna durezza, nonostante gli stesse
muovendo un rimprovero; solo paura.
"No,
qualcuno deve dirglielo! Quando ti deciderai a mettere la testa a
posto?"
"Ti dico
che ho controllato prima di attraversare." Sussurrò per
discolparsi. E sapeva che fosse una bugia. Si sentiva in colpa, tremendamente in
colpa, per aver fatto prendere quello spavento a Tom.
"Sì,
come fai sempre." Sbottò, togliendo gli occhi dai suoi,
deluso. Aveva ragione, Bill doveva riconoscerlo. Era cosciente del
fatto che sin da quando erano piccoli, lui era sempre stato quello con
la testa sulle nuvole, che si cacciava nei guai, che combinava casini,
e Tom quello che correva ai ripari. Dicevano spesso di lui che fosse
una testa di cazzo, ma Bill sapeva perfettamente che in
realtà suo fratello l'aveva sempre protetto e difeso, e fino
a quel giorno ci era riuscito anche discretamente.
"Tom, non
è il momento. A casa." Georg parlò quasi
severamente, guardandosi intorno per controllare se qualcuno li stesse
osservando troppo, e poi lasciò cadere gli occhi sul nasino
a scivolo di Bill, puntato verso il pavimento. Sospirò.
"Ormai
è successo, non pensiamoci più." Gli diede man
forte Gustav, andando con gli occhi scuri e prudenti dall'uno all'altro
fratello. "L'importante è che Bill non ci abbia rimesso le
penne."
I gemelli
si guardarono lungamente, accusandosi e scusandosi vicendevolmente.
Sapevano perfettamente di aver scampato un pericolo che sarebbe stato
letale non solo per uno dei due, ma per entrambi. Poi Bill si
alzò, e disse: "Andiamo a casa, ho sonno." Un sorriso
affiorò sulla bocca di Georg, Gustav sbuffò una
risatina, Tom scuoteva il capo rassegnato. "Te le brucerei quelle
penne." Bofonchiò, mentre lasciava la mancia al cameriere,
che li fissava. Le dita di Bill saettarono immediatamente a lisciare la
sua preziosa giacca piumata, e allargò gli occhi con fare
grave. "Non oseresti." Sibilò.
"Attento
a dove la lasci." Gli occhi di Tom lampeggiarono, divertiti.
"Non ci
provare!" La sua criniera d'istrice sventolò impudente,
mentre gli puntava contro il dito indice laccato d'argento, agitando il
collo. Georg, mai come in quei momenti, si rendeva conto di quanto
Diva's Dna ci fosse nella catena genetica di Bill Kaulitz.
"Se fossi
in te non la perderei di vista."
"Tom,
smettila!" Georg e Gustav ridacchiavano sotto i baffi, Bill frignava
come un bambino. Quando furono fuori si resero conto che era passata
quasi un'ora da quando avevano telefonato a David e Ben li aveva
lasciati liberi di riprendersi. Erano già lì con
la scorta, e finalmente Gustav tirò un sospiro di sollievo.
Mentre a lui e al bassista bastava qualche astuto accorgimento per
passare tranquillamente inosservati, i Kaulitz Brothers attiravano
dannatamente l'attenzione, soprattutto quand'erano tanto esagitati.
Georg invece pensò di salvare in calcio d'angolo Bill da una
'ramanzina' che sarebbe stata nota ai posteri come lo sterminio della famosa Rock
Star nella limo coi vetri oscurati, quando vide i
due ragazzoni biondi che gli stavano di fronte, comunemente noti come i boss, che
già tamburellavano coi piedi a terra e affilavano gli occhi
infiammati, pronti a scatenare sul frontman il loro stress represso.
Sveltì il passo, e si fece loro vicino. "Non gli date
addosso, è scovolto. Fate finta di niente."
Mormorò con aria grave. I due si guardarono, ma non
risposero. Quando Bill li raggiunse, come previsto, aveva
già l'espressione da cagnolino bastonato scolpita in faccia.
David e Ben lo fissarono lungamente, lui li ricambiava con
occhi pentiti e preoccupati.
"Allora,
tutti a casa. E' stata una giornataccia." Sospirò alla fine
David, rassegnandosi. Georg ghignò.
"Mi
aspettavo che mi avreste fatto a pezzi." Miagolò Bill,
innocentemente.
Che razza di ruffiano. Tom
gli lanciò un'occhiataccia in tralice.
"Per
questa volta sei graziato." David gli diede una pacca sulla spalla.
"Abbiamo ancora bisogno di un cantante."
"E io che
contavo su di voi." Si lagnò il chitarrista.
"Veloci,
non abbiamo tempo da perdere." Ben lo ignorò bellamente, poi
si avvicinò a Bill, e lo prese per le spalle. "Stai bene,
questo conta."
Tom
roteò gli occhi. In realtà concordava
perfettamente con Benjamin, ma era stupefacente come fosse semplice per
suo fratello battere le ciglia e piegare il mondo al suo volere. Georg
gli strizzò l'occhio, divertito. "Nessuno può
resistere a quello sguardo, non ancora lo impari?" Ma Tom
scrollò le spalle. "Se lo dici tu." Sputò
lì. Entrò in auto con ancora quella smorfia in
viso. Era grato e felice che potesse ancora arrabbiarsi con
Bill, quella giornata era stata veramente da
dimenticare. Bill, invece, avvicinò Georg,
nell'auto, e gli sorrise serafico: "Ti ho sentito."
Il
bassista abbassò istintivamente gli occhi, lo
sguardo intenso dell'amico era difficile da reggere, e invece si
fermò ad osservare la linea lunghissima delle sue gambe,
senza riuscire a non sorridere anche lui.
"Grazie."
Gli sussurrò Bill, prima di sgusciare via dall'auto.
***
"Blanchard?"
"Esattamente."
"Quei
Blanchard?"
"Sì."
"Quelli
francesi? Ricchi e famosi?"
"Sì."
"Sono io
che ho le allucinazioni? Perchè vedo già una
montagna di merda." Benjamin Ebel si lasciò cadere
all'indietro, con profondo sconforto, preso alla sprovvista dalla
pessima notizia. Nella grande sala illuminata, c'erano dei divani
eleganti e due larghe scrivanie da lavoro. Era lì che da un
paio di settimane, il mangment del pluripremiato gruppo tedesco, di
fama internazione, Tokio
Hotel, passava gran parte del tempo, tra telefonate
secolari e barili di caffè annacquato. Lo studio era situato
in un punto alto e stretgico, ma a quell'ora il sole li accecava. David
sospirò pesantamente, portando le dita lunghe e nodose agli
occhi.
"Che
intendi fare?" Gli domandò Ben, scavallando le gambe, e
mettendosi ritto. Da quando stavano a New York il lavoro prendeva
pieghe sempre più interessanti, quasi strepitose. Ma come
tutte le volte, qualcosa doveva andare per il verso sbagliato. Essere
il Menager dei Tokio Hotel era una gran faticaccia. Tra aggressioni e
pedinamenti, critiche, melodrammi, impegni da gestire, traversate
oceaniche, ora investimenti prodigiosamente sventati, e quant'altro,
era già un miracolo che fossero ancora tutti in grado di
stare in piedi, figurarsi mettere su un album nuovo di zecca, partendo
da zero e con un ritardo clamoroso, per non dire imbarazzante.
Ci mancava solo questa.
"Tenere i
ragazzi lontani, è tutto ciò che possiamo fare
per il momento."
"Non
credi che sia il caso di parlarne con la ragazza?" C'era ansia nel tono
del collega.
"Assolutamente,
no." David
aprì gli occhi di scatto, serissimo.
"Sarebbe
saggio assicurarsi che non se ne vada in giro a
spifferare stronzate." Replicò Benjamin. Quando
David lo osservò si rese conto che la sua inquietudine
poteva essergli parsa esagerata.
"Forse
non è così grave come pensiamo. Forse non vuole
niente. Infondo è lei che si è buttata sotto un
taxi. Chi rischierebbe di sbriciolarsi le ossa soltanto per uno
scoop?"
"Forse
non lo voleva."
Gli occhi chiari di Ben si illuminarono di una scintilla sottile. David
fece una smorfia avvilita. "Intendi dire che potrebbe arrivare alla
nostra stessa conclusione in futuro?"
"Sei
perspicace, Jost."
"E io
prego che tu non lo sia."
I due si
guardarono dritto negli occhi per una manciata di secondi, ponderando
la questione. Poi Ben si alzò sospirando, ormai rassegnato
all'idea che l'unico modo di risolvere la faccenda sarebbe stato
renderla nota a tutti, e cercare di prevenire un grosso problema. "Urge
una rinuione; i ragazzi devono saperlo: Bocca cucita e discrezione
massima."
***
L'appartamento
che avevano preso per le registrazioni era comodo e centrale, a Gustav
piaceva la vista e il calore del sole che entrava dalle grandi vetrate
del salone. Faceva attività fisica nella piccola palestra al
piano di sopra, e lunghi bagni nella vasca idromassaggio.
Sì, se la passavano decisamente bene di recente. Amava
lavorare con la sua batteria, e scaricare così le tensioni
delle lunghe giornate. I ragazzi stavano lavorando sodo per dare il
meglio con il nuovo album, e lo stress si faceva sentire spesso. Quella
giornata, poi, era stata particolarmente destibilizzante.
Gustav
aveva visto Bill prendere il volo dinanzi ai suoi occhi, in un attimo
terrificante i contorni del suo amico erano spariti dalla sua vista.
Aveva sentito il suo gemito di dolore, e quel taxi frenare, con uno
stidìo che gli aveva risucchiato completamente l'aria dai
polmoni. Al solo ripensarci un sussulto lo scosse. Gustav non era mai
stato apprensivo o particolarmente ansioso, ma non pensava che
assistere a un incidente del genere lo avrebbe sconvolto
così tanto. Continuava a fissare Bill mentre giocava con
Georg, e non riusciva a non pensare che avrebbe potuto perderlo, se
quella ragazza non avesse deciso che valeva la pena di salvargli la
vita. Si sentì un terribile egoista per quei pensieri,
perchè era sollevato che al suo posto non ci fosse Bill. Ma
era la verità.
Stava
seduto sul divano, lì di fronte a lui, e si rendeva conto di
quanto ancora desiderasse conoscerlo. Dopo otto anni credeva che la sua
dose di Bill fosse sufficiente per sopravvivere anche lunghi mesi senza
stare a sentirlo starnazzare dall'alba al tramonto, loro due erano
persone immensamente diverse: Bill era irruento, invadente e rumoroso,
a lui piacevano il silenzio e la riflessione. Ma stava scoprendo di
voler passare ancora tanto tempo con lui e gli altri. Non credeva che
fosse vicino il momento in cui le loro strade, anche se solo
professionalmente, si sarebbero divise. Comunque aveva imparato, da
quell'esperienza, quanto fosse importante averli vicini tutti i giorni.
A non darlo per scontato.
"Sono
adorabili, vero?" Tom irruppe maleducatamente tra i suoi pensieri.
"Chi?"
"Quei
due. Li guardavi con occhi trasognati." Il chitarrista lo guardava
beffardamente. Gustav mise veramente a fuoco le due figure degli amici,
e scosse il capo. "Adorabili non direi, più che altro
rumorosi."
"Mhh,
sembra che non sia più di tanto scosso. Mi aspettavo che
frignasse tutto il giorno." Tom osservò il suo gemello
mentre spingeva via Georg, e si rotolava dalle risate.
"Georg
è bravo a distrarlo." Osservò Gustav, sorridendo
di sbieco.
"Prima o
poi mi chiederà di accompagnarlo in
ospedale." Gustav annuì solo, guardando negli occhi
inquieti di Tom. Sembrava che l'idea non gli piacesse. Sapevano
entrambi che Bill si sentiva in colpa, era nella sua natura. Magari in
quel momento non sembrava, ma nella sua testolina d'istrice
già si andava plasmando l'idea che fosse stato un suo
sbaglio a causare dolore a quella ragazza.
"Ragazzi?"
La voce di Ben fece calare il silenzio nella stanza. Sembrava troppo
serio. Quasi preoccupato.
"No,
cazzo. Non dirmi che è già uscita la notizia sui
giornali." Bill si rizzò dal pavimento, con sguardo seccato.
Il manager, dagli occhi chiari e i capelli biondi, restò in
silenzio per una manciata di secondi, scorrendo con lo sguardo da uno
all'altro componente del gruppo. Bill e Georg sul tappeto, Tom in piedi
vicino al batterista. I loro occhi erano attenti e impazienti, seri,
come il suo.
"Dobbiamo
parlare." Disse. Sedette sul bracciolo del divano, al fianco di Gustav,
che gli domandò rapido: "E' grave?"
"Potrebbe
esserlo."
"Cioè?"
Fece Tom.
"Quello
che sto per darvi è un consiglio, e non un ordine tassativo,
perchè siete maggiorenni e sapete bene di poter fare
liberamente ciò che meglio credete. Ma per il bene del
gruppo, vi chiediamo di non gironzolare troppo intorno alla ragazza che
stamattina ha spinto via Bill dalla strada."
"Che mi
ha salvato, vuoi dire." Gli occhi nocciola del cantante si strinsero.
Stava pensando che Ben non volesse ammetterlo. Che ci fosse una
ragione?
"Perchè?"
Domandò Georg, sulla sua stessa lunghezza d'onda. Benjamin
restò ancora un poco in silenzio indeciso se riferire ogni
cosa ai ragazzi, o solo una parte di verità. In
realtà non era affatto convinto che la ragazza avesse
qualche pretesa di conoscerli meglio, e se per qualche motivo ne
volesse trarre guadagni.
"Potrebbe
essere pericoloso per la vostra privacy." Si limitò a dire.
"E' una
giornalista?" Gustav lo guardò con aria piuttosto sicura,
era sempre il più sottile dei quattro. Il manager
allargò gli occhi, colpito. "Non esattamente." Disse,
comunque.
"E
allora?" Tom sbottò. Stava per perdere la pazienza,
detestava stare allo scuro delle cose. "Cos'è tutto questo
mistero?"
Qualcuno
tossicchiò rumorosamente, proprio mentre Ben si preparava a
rispondere, e la band si voltò per inquadrare David, sullo
stipite della porta, con in volto un espressione tesa. "Benjamin,
potresti raggiungermi nell'ufficio? E' veramente urgente." Il collega
restò confuso da quella richiesta. Sospirò
scocciato, per l'interruzione, ma infine i due manager uscirono insieme
dalla stanza.
I quattro
restarono fermi a fissarsi per un istante, seriamente perplessi, poi
Tom esordì: "Chi di voi ci ha capito qualcosa?" Gli amici
scuotevano il capo. Nei loro volti c'era solo confusione. "Niente,
però non mi piace." Rispose Georg, per primo.
"Che
significa: non è esattamente
una giornalista?" Si domandò il batterista.
"Forse
è una tirocinante." Buttò lì Tom,
scrollando le spalle. Non gli sembrava un'ipotesi brillante, ma
quantomeno pluasibile.
"O
l'assistente di un giornalista."
"O magari
una spia!"
"Dì
un po'; ti diverti a sparare simili stronzate?" I gemelli si guardarono
male per un momento, Bill incrociò le braccia con una
smorfia. Poi Georg disse: "Sembrava piuttosto grave. Secondo me
dovremmo..."
"Io
voglio andare a trovarla." Lo interruppe il frontman, serio e
determinato. Li guardava come se li stesse avvertendo che lo avrebbe
fatto, più che esprimendo a parole la sua
volontà.
"Bill,
senti, finchè non ne sappiamo di più è
meglio lasciar perdere." Gli rispose subito il fratello, con sguardo
severo.
"Voglio
almeno ringraziarla." Il cantante rilassò lievemente lo
sguardo, ma era evidente che non volesse arrendersi.
Sempre il solito masochista.
"Non
credo che sia una buona idea. Non sappiamo chi è, e se Ben e
David sono così preoccupati, sono sicuro che c'è
un motivo più che valido." Osservò Georg,
pacatamente.
"Neanche
se le mandassi soltanto un biglietto? Oppure, che so io, un mazzo di
fiori, o una scatola di cioccolatini?"
"Ora non
fare gli occhioni cucciolosi, tanto non attacca." Rispose il gemello,
repentinamente. "Finchè non scopriamo che c'è
dietro questa storia, non fare niente. Non resterà delusa;
quelli famosi sono tutti degli stronzi senza cuore. E' risaputo."
"Ora sei
tu che spari cazzate."
"Bill,
senti, non posso darti ordini nemmeno io. Ma ti supplico: non combinare
casini."
Il
cantante accolse in silenzio quella preghiera. Forse Tom e gli
altri avevano ragione; infondo non sapevano nemmeno chi fosse quella
ragazza. Ma era stata così buona a salvarlo! Non poteva
sicuramente trattarsi di una persona orribile. Che fosse un'ammiratrice
che vedendolo in pericolo aveva deciso di proteggerlo?
Possono esserci fan disposte
anche a questo per me?
Non seppe
perchè, ma immediatamente un profondo senso di sconforto e
colpevolezza lo assalì. Non poteva controllare la mente
delle ragazze che li seguivano. Ma non voleva che le sue fan pensassero
che la sua vita valesse più della loro. Non era giusto, non
era sano, ma soprattutto non poteva restare impassibile di fronte ad un
atto del genere.
***
Un ordore
forte di candeggina e vecchio si faceva spazio tra i suoi sensi. Cosa
che le fece storcere subito il naso. Vedeva solo nero, ma sapeva che
presto avrebbe aperto gli occhi e si sarebbe trovata in un luogo
sconosciuto. Poi, potente e vivida l'immagine dell'incidente le
riempì la testa col suo fischio penetrante. Sentì
in un antro della testa il bisogno di coprire il viso con le mani,
scoprendo di non avere la forza di farlo. Si rendeva conto che non
aveva motivo, nè modo, di proteggersi da un ricordo. Non
sentiva dolore. Perchè non sentiva dolore?
Non sono morta per salvarlo,
vero?
"Ehi,
ragazza del suicidio."
Voleva
sorridere, ma ancora una volta si rese conto di non esserne capace.
Era viva,
invece. Era viva e la sua migliore amica era lì affianco a
lei. Sospirò di sollievo mentalmente. Pensava di aprire gli
occhi ma era impossibile anche quello. La luce era fortissima anche al
buio. Gigi le stringeva la mano, adesso con più forza. "I
riflessi sono un po' lenti per via dell'anestesia." La voce che
parlò, Lenys non la riconobbe. Probabilmente si trattava di
un medico, e quasi certamente la morbidezza che sentiva lontana dietro
la sua nuca era quella di un cuscino.
Sono finita in ospedale.
La sua coscienza fece una smorfia. Splendido.
"Non
sarà in grado di comunicare ancora per molto?
Perchè voglio che quando le piomberà addosso la
mia ira, sia in grado almeno di supplicare il mio silenzio." Gigi era
sarcastica, come sempre. Forse non era poi così mal ridotta.
Il dottore rise, osservandola. "Temo di sì, per la sfuriata
dovrà attendere ancora un po'."
Ehi, guardate che sono
perfettamente cosciente! Lenys avrebbe voluto parlare ma
la sua voce non pareva volesse assecondarla. Le dava fastidio che non
potesse farsi partecipe di una discussione di cui era l'oggetto.
"Quando
si riprenderà totalmente?" L'inflessione di Gigi le
sembrò più seria di quanto si aspettasse.
"Basteranno
un paio d'ore, non si preoccupi."
E comincerò a sentire
dolore.
"I suoi
genitori arriveranno presto. Sono molto ansiosi; vederla
così potrebbe farli andare fuori di testa." Rise
nervosamente. Qualcosa nell'incoscienza di Lenys cominciò a
vorticare furiosamente. Un brutto dolore non fisico le
bloccò i pensieri e la sua mente si svuotò
completamente. I suoi genitori stavano arrivando. Non poteva immaginare
niente di peggiore. Insomma se ne stava sdraiata su quel lettino
scomodo, non poteva muoversi, non riusciva a parlare, probabilmente in
quel momento i cani della signora Mary erano stati dati per dispersi.
Quelle povere bestioline vagano sole per New York City, e come se tutto
ciò non fosse sufficiente, lei sarebbe stata martoriata
(martoriata se fosse stata fortunata, sterminata nel caso peggiore) dai
rimproveri dei suoi, e della nonna, e di tutta la sacra famiglia. E
perchè? Per chi? Come le era venuta la malsana
idea di aiutare quell'idiota?
Ancora
una volta si trovò a dare ragione al suo infallibile
istinto. Quel maledetto
infallibile istinto. Sapeva che qualcosa sarebbe andato
storto quella mattina, ed era esattamente ciò che era
succsesso. Sorrise amaramente dentro di sè: Storto, non è che un
pesante eufemismo nella situazione attuale. E siamo sicuri che sia
ancora quella mattina?
Lenys non era
certa.
"Cerchermo
di non mandarli fuori di testa." Le sembrò quasi di vedere
il dottore ghignare. Sembrava simpatico, ma stava flirtando con la sua
amica, e la cosa non le andava molto a genio, con lei presente, almeno.
Non parlava e non vedeva, ma ci sentiva ancora, anche se le voci le
parevano allontanarsi sempre più col passare dei secondi.
Che stesse di nuovo perdendo coscienza? Questo la spaventò.
Non voleva tornare a dormire, voleva essere pronta per affrontare i
suoi genitori faccia a faccia, e dire loro a chiare lettere che non
voleva il loro aiuto. Per l'ennesima volta.
Qualcuno
bussò alla porta in quell'esatto momento, decretando la fine
dei suoi pensieri, e l'inizio del suo battito accellerato. Lo
sentì nel 'bit' di quell'aggeggio che aveva accanto al
letto. Il dottore disse: "Oh,
oh. La signorina sembra agitata."
"E' la
strizza." Sbottò Gigi, proprio mentre qualcuno sussurrava;
"E' permesso?" Una voce dolce, eppure squillante, vibrava nella stanza
come la corda di un violino. Lenys fu invasa da una strana calma, quasi
un'estraneazione, al sentire di quel tono dimesso e timoroso, eppure
qualcosa nel suo stomaco le suggerì che fosse tremendamente
in imbarazzo. Forse era l'effetto dell'anestesia, ma si sentiva confusa
e ritardata.
"Si
accomodi. Lei è...?"
"Ehm...Bill Kaulitz.
Buongiorno."
Chi? Che cosa? Come?
Perchè?
"Lui
è quello che doveva stare al posto della mia amica."
Soffiò bruta Gigi. Lenys immaginò la sua
espressione. Aveva alzato gli occhi al cielo, come se stesse dicendo
qualcosa di ovvio, ma nel suo modo barbaro aveva inarcato il
sopracciglio e agitato il collo fin quasi a farlo scardinare dall'asse.
Poi si era fissata le unghia, e aveva schioccato la lingua.
"Sì,
esattamente." Dalla voce dolce trapelò una scinitlla
d'astio.
"Mi
perdoni, ma lei ha un viso noto..."
"Sì,
è il cantante dei Tokio Hotel. Uhh, che emozione."
Oh, Dio, fa che sembri
invisibile, rendimi invisibile, cancellami.
"Sono
venuto a salutare Lenys." Bill cercò di mantenere la calma.
La ragazza era incazzata per la sua amica. Pensava che se qualcuno
avesse spedito Georg o Gustav a dormire in un lettino d'ospedale con
alte probabilità anche lui avrebbe vomitato insulti.
"Oh, sai
anche il suo nome? Allora a voi divinità olimpiche non
interessano solo le giacche Prada! A proposito i tuoi vestitini sono
nell'armadio in fondo."
No, Dio, rettifico: rendi lei
invisibile, ti supplico! E se magari anche qualche santo vuole
collaborare e cucirle la bocca, smetto di mangiare la cioccolata e vado
a messa tutte le domeniche.
Bill
sospirò lievemente, ma saggiamente decise di ignorarla. "Ho
portato dei cioccolatini." Dalla voce sembrava terribilmente
amareggiato. Lenys si sentì osservata. Non doveva avere una
bella cera.
Gigi
stava per aprire la bocca e rispondere, ma (Lenys ringraziò
Dio per questo, e si rassegnò a dire addio ai suoi spuntini
di mezzanotte, pane, burro e cioccolata) il dottore di cui ancora le
era ignoto il nome, tossicchiò e disse: "Non credo che
potrà mangiarne." come leggendole nel pensiero. "Per il
momento è ancora incosciente, ma glieli terremo da parte per
quando si sveglierà. Comunque non prima di un paio d'ore,
quindi se vuole ripassare più tardi..."
Sembrava
un invito implicito a levare le tende. Il ragazzo sospirò di
nuovo, questa volta rassegnandosi. "Lei sta bene?" Domandò,
muovendo due lunghi passi verso la porta. Era come se avesse paura di
guardarla, o che si vergognasse di stare così bene, mentre
lei era incosciente per causa sua e della sua inguaribile
stupidità.
"Sarà
libera tra un paio di giorni."
Lenys
sbuffò. Favoloso;
davvero favoloso.
"Potete
darle questo da parte mia? Cercherò di tornare il prima
possibile."
Questo? Questo, cosa? Tornare?
Perchè?
Sentiva le voci
sempre più remote e indefinite. Ma aveva capito che Bill
sarebbe ritornato, poi cadde nel sonno, e non seppe più
nulla.
***
"Che
singifica che sei andato a trovarla?" Le labbra di Tom si chiusero
ermeticamente dopo aver pronunciato quella domanda soltanto,
probabilmente onde evitare che la sequela di parolacce che stavano
attraversando la sua testa non venissero pronunciate. Tom non era noto
per le due sue doti di pazienza e misericordia, ma volle lasciare che
suo fratello si spiegasse prima di mandarlo a quel paese.
"Che il
mio cervello ha mandato indicazioni precise al mio corpo
perchè mi portasse nel posto in cui avrei potuto trovare un
essere umano di genere femminile che rispondesse al nome di Lenys, e
che per la precisione è la stessa persona che stamattina mi
ha giusto
salvato la vita!" Bill mise una mano sui fianchi mentre l'altra
gesticolava troppo come al solito.
La
mascella di Tom vibrò, mentre chiudeva le palpebre. Nella
sua mente altre imprecazioni, ma la sua voce buttò
lì un semplice. "Spiritoso."
"Ebete."
"Io, eh?
Almeno ti rendi conto della cazzata immane che hai fatto, mi auguro."
"Sono
andato a ringraziare la persona a cui dobbiamo la mia attuale
permanenza su questo pianeta. Dimmi che cosa c'è di male!"
Sbuffò il cantante, con sguardo candido e ostinato insieme.
Suo fratello pensò che volesse fregarlo. "Sai benissimo a
che cosa mi riferisco, Bill. Non fare il demente." Replicò,
spicciolo.
"No,
veramente non lo so."
"Bill,
santo dio, pensavo che quella misera briciola di buonsenso che naufraga
da parte a parte nel tuo cervello avesse decriptificato la frase: non credo che sia una buona idea,
e l'avesse collegata al concetto: non
commettere questa gigantesca stronzata. Invece sono pronto
a scommettere che il bambino che è in te abbia preso ancora
una volta il sopravvento, e tu le abbia lasciato qualche bigliettino
suicida!"
"Non le
ho scritto l'indirizzo."
"Ma vaffanculo,
Bill." Sputò finalmente via, Tom. Suo fratello non si
lasciò toccare minimamente dall'invito e scrollò
le spalle con disinteresse. "Senti, ormai è fatta."
Tom
sospirò forte, e guardò l'altro con
serietà. "Io non voglio stare qui a farti le paternali, non
sono nemmeno bravo a farle. Ma se ci hai messo nella merda non ti
aspettare che io ti spalleggi, stavolta."
Bill
finalmente alzò gli occhi nocciola, e li lasciò
entrare direttamente dentro i suoi, penetranti e disarmanti. "Lo fai
sempre." Soffiò, solo.
"Perchè
sono un coglione."
"Sei il
mio gemello." Un tremolante sorriso tirò su le labbra di
Bill, mentre si avvicinava a suo fratello, e gli si sedeva in grembo.
Tom non mosse un muscolo, si sforzava solo di sembrare impassibile
mentre un sorriso scavalcava bellamente la sua volontà.
"L'hai detto."
"Tanto lo
so che vuoi abbracciarmi, dirmi che mi ami e che sei grato a
gesù bambino che io sia ancora vivo e vegeto, e che puoi
ancora mandarmi a fanculo."
Dopo un
attimo di silenzio, due risate argentine riempirono
all'unisono la stanza, e i corpi di entrambi vibrarono insieme. Il tono
squillante, e quello basso e roco, uniti, davano vita a uno dei suoni
più piacevoli che entrmbi riconoscevano.
"Ecco,
vai a quel paese, scemo. Levati dalle scatole."
Bill si
alzò e gli strizzò l'occhio. "Non c'è
bisogno nemmeno che te lo dica, vero?"
"Starò
zitto, e adesso vattene!"
Suo
fratello ridacchiava tranquillo, mentre si chiudeva la porta alle
spalle.
Un giorno crescerà.
Ma spero che quel giorno sia ancora lontano. Tom sorrise.
***
La porta
si aprì mentre Gigi stava sbadigliando sonoramente. Nessuno
aveva bussato, e si voltò curiosamente. Allargò
lievemente gli occhi, alla vista di coloro che stavano facendo il loro
ingresso parlottando sommesamente l'uno sull'altro, nella stanza di
Lenys. Una robusta signora anziana, e due eleganti individui di sua
più che vecchia conoscenza. Gigi era preparata a
quell'incontro. Portò una mano alla bocca per schiarire la
voce, si stampò un sorriso dei suoi sulla faccia, e con
assoluta nonchalance, disse: "Buongiorno anche a voi."
La donna
che aveva dinanzi semplicemente si limitò a lanciarle
un'occhiata glaciale. La soprassò, e restò ferma
dinanzi a ciò che le stava di fronte. Sua figlia, di
diciannove anni appena, stava bianca e addormentata sul letto di un
ospedale qualunque, nella città infernale dove aveva avuto
la pessima idea di lasciarla andare. L'omino che le stava dietro invece
era il signor Blanchard, il padre, con in viso la sua espressione
delusa, quella volta quasi preoccupata. Gigi già voleva
cacciarli via. Lenys l'avrebbe ringraziata di sicuro. Svegliarsi con
loro affianco sarebbe stato come guardare negli occhi l'uomo nero.
"Ci
risparmi la sceneggiata." La donna non si voltò nemmeno per
parlarle. Restava voltata di spalle. Quasi sempre si rivolgeva alla
gente come se si trattasse di umili spettatori. Come se fossero le
comparse del suo monologo.
"Curioso,
stavo proprio per dirlo io a lei."
Anche il
marito, a passi lenti e tediati, la scavalcò, voltandosi
appena per parlarle. "Ci lasci soli, prego." Disse.
Senza troppi complimenti, eh.
"Non mi
dia del lei, prego,
sta parlando con una ragazza di Brooklyn. Siamo gente umile e modesta."
Gigi si sforzava di tenere a freno il ringhio che le ribolliva in gola
mentre si rivolgeva a loro. Cosa che non avrebbe fatto con qualunque
altra persona l'avesse trattata in quel modo. Ma si convinceva sempre
più che leccare il culo a quella gente non serviva a niente.
Erano troppo presi da sè stessi per vedere i tentativi di
chi stava loro intorno di ingraziarseli. Non che lei avesse mai voluto
farlo. Solo non voleva peggiorare le cose con loro.
"Anche
molto insolente, direi."
"Oh, a
noi poveri è concesso di essere incivili."
La
signora Blanchard si voltò finalmente e di nuovo la
guardò dall'alto in basso. "Avevo detto niente sceneggiate."
Soffiò, come una gatta.
"Chiedo
umilmente perdono." Gigi sorrise mellifluamente, poi indicò
col capo la sua migliore amica, e lo sguardo le si fece affilato, quasi
minaccioso. "Se si sveglia e grida all'aggressione sono qui fuori."
"Se non
grida con un topo in casa, non si spaventerà per una visita
di cortesia." Un sorriso arrogante stirò le labbra scarlatte
della donna.
"Certi
topi sono più civili di altri. Con permesso." Fece un
inchino, e ghignò beffarda. Non l'avrebbero mai perdonata,
ma avere Lenys con lei era importante. Molto di più che
ottenere la stima di quella gente. Sì, non si
pentiva di averla portata via da loro. L'aveva salvata.
Note dell'autrice: Come sempre ringrazio i quattro
dell'apocalisse per avermi ispirato, e fatto passare tante ore morte in
loro immaginaria compagnia.
Ringraziamenti anche a vavy94 e
a selina89 per le recensioni, è sempre bello avere nuove
lettrici! E un ennesimo grazie speciale anche alle mie tre scrittrici
preferite, che hanno recensito, e Principessa in particolare che mi ha
pazientemente sopportato quando le chiedevo consigli. :)
Spero che questo capitolo vi
abbia intrigato abbastanza, e che continuerete a leggere e a
raccontarmi che cosa ne pensate di questa storia. Baci, Loryherm ^^
|