** Astolfo sulla Luna… Ancora…
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Astolfo
saltellava allegro con un piede e poi con due sull’arida
superficie lunare, tanto che sia i suoi settanta chili di peso sia i
suoi trentacinque anni di età sembravano essergli scivolati
via da addosso in un attimo.
A qualche metro
di distanza, invece, la magra e autorevole figura di San Giovanni
camminava con calma, sfiorando solo lievemente il terreno secco e
polveroso.
- Divertente!
Credo di non aver mai provato una cosa simile… Tranne forse
la scorsa estate, su quella nuova attrazione a Gardaland! –
esclamò Astolfo, raggiante.
- Astolfo,
ricorda che non sei qui per divertirti. Hai un importante compito.
– sentenziò il Santo, sempre più
sconvolto dalle circostanze che lo avevano condotto ad avere a che fare
con quello strano individuo, ma sempre più abile nel
nasconderlo.
- Si, lo so!
–
Si ricompose alla
meglio per declamare la sua missione – Devo riportare
“un po’ di cervello” a Don Orlando. Da
quando la Nazionale ha vinto i Mondiali sta pensando di farsi cavaliere
di ventura per cacciare i Francesi che avranno ancora il coraggio di
farsi vedere in Italia. –
Subito
però aggiunse, con un inquietante luccichio negli occhi e un
tono sognate: - Un grand’uomo Don
Orlando…–
- Astolfo, si
dice “senno”… Tu devi riportare il
“senno” a Don Orlando… -
precisò l’anziano, implacabile, ignorando
volutamente l’approvazione del giovane.
- Si, come vuole
lei… - ammise, con un’alzata di spalle, ma non ne
sembrava del tutto convinto.
Il santo,
dimostrando ancora una volta la pazienza incommensurabile che
apparteneva al suo titolo, non tradì il minimo fastidio, ma
proseguì pacatamente a camminare.
L’uomo,
d’altra parte, continuava a gironzolare con superba allegria,
allontanandosi dalla sua guida. Uno strano sibilo incomprensibile gli
arrivò alle orecchie, allora si voltò, senza
tuttavia frenare la sua corsa:
- Mi scusi, cosa
dice? Non la sento! - si lamentò, ma proprio in quel momento
gli mancò il terreno sotto i piedi e cadde in una profonda
buca.
- Ahhhhh!
– e urtò in modo alquanto doloroso e scomposto il
terreno sottostante.
Giovanni lo
seguì planando delicatamente dall’alto, i piedi
immacolati sospesi nel vuoto. Scosse la testa con fare paterno:
- Ti avevo detto
di fare attenzione, Astolfo. Non dovresti avventurarti da solo per
luoghi che non conosci. Ti sei fatto male? -
- No, non
tanto… - rispose lui e mostrò per un istante una
smorfia offesa degna di un bambino, mentre si rialzava da terra,
massaggiandosi il collo.
Si
passò le mani su camicia e pantaloni per togliere la polvere
e lisciare il tessuto. Solo dopo alzò gli occhi per
guardarsi intorno.
Di fronte a lui
si apriva un lungo corridoio scavato nella roccia grigia del satellite
terrestre. Qualche semplice lampada di forgia antica diffondeva la luce
lieve e gialla della fiammella che vi bruciava dentro. Numerosi
individui vestiti di lunghe tuniche bianche entravano e uscivano dalle
porte disseminate lungo tutta la galleria. Inutile dire che i santi
emanavano da sé un bagliore molto più intenso
dell’illuminazione artificiale...
- Una base
segreta sulla Luna! Che forza! – festeggiò il
giovane uomo, con un’energia contagiosa.
- Le cose andate
perdute sulla Terra – cominciò a spiegare il
santo, incrociando le braccia con aria solenne – erano
stoccate qui da migliaia di anni. Quando, però, gli uomini
hanno iniziato ad osservare sempre più nel dettaglio la
Luna, poteva essere pericoloso tenere tutto allo scoperto ed
è stato quindi necessario creare questo posto,
cosicché… Astolfo!?-
L’allegro
ospite, incurante del racconto della sua guida, sembrava preda di una
curiosità incontrollabile. Afferrò la maniglia
della prima porta che gli capitò e sbirciò da uno
spiraglio.
-
Cos’è questo!? – esclamò,
quando era ormai praticamente dentro la stanza.
Giovanni, suo
malgrado, lo seguì.
Disseminate per
la sala c’erano catene di ogni forma e dimensione, alcune
appese in massima tensione a degli anelli fissati ai due lati opposti
della stanza. Altre erano rotte in uno o più punti e
giacevano a terra, studiate con cura da celestiali guardiani armati di
cassettine piene di attrezzi da fabbro.
Giovanni prese a
spiegare:
- Questi sono i
legami tra le persone. Tutti quelli che stanno per rompersi, e quindi
per perdersi nel tempo, o quelli che si sono già
disintegrati e giacciono di diritto in questo mondo remoto, a causa dei
litigi e delle incomprensioni che li hanno logorati. Adesso seguimi,
Astolfo, dobbiamo… -
Ma il tempo di
girarsi verso di lui e quello era nuovamente sparito dietro una porta.
Ne uscì però immediatamente, spaventato dal
rumore assordante che riempiva la stanza e ora, dall’uscio
aperto, l’intero corridoio. La sua guida chiuse subito
l’apertura, con un tonfo sordo che insonorizzò
nuovamente la galleria.
- Ma
cosa…? – esclamò Astolfo, ancora
tramortito, con gli occhi sgranati.
- Quella
è la stanza in cui si raduna tutto il tempo perso dagli
uomini: è piena di orologi che segnano il tempo trascorso
vanamente. –
- Ma quel chiasso
era dato dai ticchettii? Ce n’è di gente che perde
il suo tempo…-
- Così
pare. – minimizzò il Santo, prendendo solo atto
– Seguimi – soggiunse poi, con calma.
- Solo un
momento! Ancora questa! – gli rispose, aprendo una nuova
porta.
Dentro si
trovavano ogni genere di chincaglierie: quadri e fotografie appese alle
pareti non lasciavano sgombro neanche un millimetro di muro, pile di
libri e documenti su ordinati scaffali, oltre cose strane e non
identificate radunate fitte su tavoli e mobili di forme stravaganti.
Giovanni fece
appena in tempo a prenderlo delicatamente per un braccio, fermandolo
prima che entrasse:
- Qui sono
racchiuse tutte le idee che non sono state realizzate… -
sintetizzò - Ma adesso dobbiamo arrivare alla sala che ci
interessa. -
Mentre
attraversavano il corridoio, Astolfo non riusciva a trattenersi dal
continuare a guardarsi intorno, tanto che, nonostante fosse
evidentemente un giovane adulto, poteva apparire come un bambino
birbante e curioso. I Santi addetti alla cura di quel luogo salutavano
affettuosamente Giovanni, ma non potevano evitare di rivolgere uno
sguardo dubbioso a colui che accompagnava.
Un’anziana
beata passò al loro fianco con in mano una cesta piena di
calze di tutti i colori e le dimensioni.
- Calze!?
– esclamò il giovane, stupito.
Il santo
annuì:
- Le calze
smarrite in lavatrice. -
- No, dai!
E’ una leggenda metropolitana! Non mi prenda in giro!
– si sbalordì Astolfo, sbarrando gli occhi ancora
una volta, travolto dalla meraviglia.
E per la prima
volta, Giovanni sorrise: - Non potrei mai farlo, figliolo… -
Giunti
praticamente sul fondo del lungo corridoio, entrarono in una stanza
alla loro destra. Sembrava che quello spazio oltre la porta proseguisse
all’infinito e con esso le lunghe file di armadi, su cui
erano disposte ordinatamente boccette di varia dimensione, contenenti
dei liquidi colorati.
- Oh! Che bello!
–
Asfolfo si
entusiasmò immediatamente e allungò subito la
mano sul barattolo più vicino. Questa volta,
però, la reazione della sua guida fu immediata e gli
afferrò la mano tesa a mezz’aria conducendolo via
frettolosamente.
Si
fermò poi solo in un punto imprecisato della lunghissima
sala e prese uno dei flaconcini più grandi. Il liquido
ambrato e vischioso brillava attraverso il vetro trasparente del
contenitore allungato.
- Questa
è una delle cose che non cambiano da secoli! –
sentenziò Giovanni, solenne – Abbiamo cercato a
lungo dei metodi più semplici per conservare il senno
perduto, ma questo rimane il migliore. Come puoi vedere Don Orlando ne
ha perso davvero tanto, ma basterà che beva questo e tutto
andrà a posto. -
L’uomo
lo guardò dubbioso, come sempre smarrito nel suo mondo:
- Senta, ma che
sapore ha? –
- Non lo so.
– ammise, con celestiale serenità – Non
ho mai dovuto recuperare il mio senno. -
- Allora lo
provo! – rispose allora l’altro, prontamente,
protraendo insieme la mano sulla boccetta.
San Giovanni si
rese conto in quel momento, più di quanto in
realtà sapesse già per esperienza diretta e
quotidiana, di quanto fosse glorioso il disegno della Provvidenza.
Fermò il giovane e gli mostrò con il dito un
barattolo quasi altrettanto grande appoggiato poco lontano. Su un
fianco spiccava un’etichetta che ne indicava il proprietario:
“Astolfo”.
- Bevi questa. Ti
farà bene. – disse, ponendogli in mano il
flaconcino e prendendo invece in custodia il senno di Orlando.
- Uffa! Ma questo
è succo di more! Non mi piace! Preferisco la cedrata che mi
ha mostrato prima! –
Il santo si
concesse allora un doveroso strappo alla placida beatitudine: emise un
sospiro, benché decisamente soave. Poi prese sottobraccio il
suo protetto e lo guidò con divina pazienza verso la porta
da cui erano entrati e poi lungo il percorso appena compiuto:
- Lo so, Astolfo.
Ma credimi, fai uno sforzo e bevilo. E’ davvero meglio
così. –
END!
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In principio era un compito di seconda liceo: una rivisitazione della
vicenda di Astolfo sulla Luna, tratto da L'Orlando Furioso
di Ariosto...
Ora, rivisitato e corretto, allungato e quanto possibile migliorato,
è diventato una one-shot... ^^
Spero vi sia piaciuto!!!! XD
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