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«Chiuda
la porta, Churchill».
Winston
entrò e chiuse la porta alle sue spalle. Si piazzò
proprio davanti alla scrivania, come al solito. Attendeva che l'uomo
da cui aveva preso ordini negli ultimi due anni della sua vita, gli
dicesse ancora una volta cosa fare.
«Lei
si è sempre mostrato all'altezza della situazione»
cominciò l'uomo. Winston
si confuse. Non
si aspettava qualcosa del genere.
«La
ringrazio» disse, piuttosto sorpreso.
«Perciò,
credo sia giunto il momento di affidarle qualcosa di più
serio. Lei è a conoscenza di quanto sta accadendo, non è
vero?»
Winston
non sapeva esattamente cosa avrebbe dovuto rispondere. Certo che ne
era a conoscenza. Non era uno stupido. Assistere a tutte quelle
riunioni in cui non si parlava d'altro... solo un perfetto idiota, o
qualcuno che davvero credeva nella regola del Consiglio di tapparsi
le orecchie e la bocca in qualsiasi occasione, avrebbe potuto evitare
di ascoltare. Ma non era certo il suo caso.
«Suvvia,
non faccia finta di non sapere».
Winston
drizzò il busto, un movimento veloce, da soldato.
«Sì,
signore. Sono al corrente».
«Che
idea si è fatto?» domandò il Reggente. Winston
abbassò gli occhi a guardarlo. Lo chiedeva a
lui?
«Signore,
se devo essere sincero, questa storia non mi convince del tutto».
L'uomo
alzò gli occhi, stringendoli. Voltò leggermente il
viso, squadrando il volto di Winston di traverso.
«Sarebbe
a dire?»
«La
velocità degli eventi. Non mi quadra. Prima, la pietra
sparisce. Poi viene ritrovata. Sappiamo che Kurtag l'aveva affidata
alla giovane amante di Fisher. È da lei che Fisher l'ha avuta,
esatto?»
«Continui»
disse il Reggente, agitando la mano con eleganza.
«Ebbene...
come è possibile che l'Ordine sia riuscito a rintracciarla
così in fretta? Forse la ragazza si è fatta scappare
qualcosa, magari l'ha detto a qualcuno, facendo giungere la notizia
alle orecchie dell'Ordine... oppure, come? Possibile che Fisher sia
stato tanto stupido da tradirsi?»
«Forse
ha ragione lei, la ragazza ha parlato troppo...»
«Sì,
ma è difficile da credere. Perché l'Ordine si sarebbe
dovuto preoccupare di tenerla d'occhio e di metterle accanto una
spia? Lei era insignificante. Per me, qualcuno deve per forza aver
tradito. Qualcuno interno al Consiglio, che sapeva del ritrovamento.
Solo così l'Ordine avrebbe potuto conoscere chi aveva la
pietra».
L'uomo
si ficcò le mani in tasca, muovendole freneticamente.
Masticava nervoso, come se non riuscisse a ingoiare qualcosa.
«Quello
che dice, se corrispondesse al vero, sarebbe molto grave».
«Lo
comprendo» assentì Winston.
«Vuol
dire che le nostre difese sono state completamente violate. Il
Consiglio stesso dovrebbe sciogliersi e attivare una... epurazione».
«Così
parrebbe».
Il
Reggente lo fissò attentamente. Muoveva le mani nelle tasche,
attirando l'attenzione degli occhi vivaci del giovane, che continuava
a starsene sull'attenti.
«Lei
non sembra particolarmente toccato dalla cosa» fece l'uomo.
Winston tenne gli occhi fissi avanti a sé.
«In
due anni ho imparato che la responsabilità di un uomo di
governo va ben al di là di semplici scrupoli di coscienza».
L'uomo
serrò la mascella. Annuì, volgendo altrove lo sguardo.
«Io le ho insegnato questo? Se è così»
riprese, dopo una breve pausa «ho fatto davvero un lavoro
eccellente. E terribile allo stesso tempo».
«Ciò
che facciamo qui, è segreto perché esula dalla comune
comprensione. Non è quello che mi ha sempre ripetuto,
signore?»
Il
reggente lo fissò stranito. Quindi sogghignò, lasciando
trapelare tutta la sua sorpresa.
«Certo
che lei mi stupisce!» confessò. «Comunque è
vero. Cosa penserebbe la gente se sapesse che ogni cosa nel mondo,
ogni guerra, ogni carestia, ogni trattato, il destino di ogni singolo
angolo della Terra è deciso dai tredici uomini riuniti in
queste sale?»
Si
avvicinò alla finestra. Pioveva, fuori. E una sensazione
uggiosa si trasmise al suo cuore, quasi l'avesse assorbita
dall'esterno come una spugna. «Quello che si impara qui,»
riprese «ci toglie ogni possibilità di essere umani. Ne
ho viste di porcherie, in sessant'anni, ma non sembrano mai avere
fine. L'uomo avanza sempre più verso un destino che è
puro nulla. Si vive rincorrendo il potere, prostituendosi a quella
gran troia che è il successo...»
Si
volse a guardare Winston, che lo fissava curioso, ma impassibile.
«Non ne sente la puzza, Churchill? Non sente il fetore che ci
lascia addosso quella gran puttana? Ognuno di noi smania per
sdraiarsi tra le sue gambe rinsecchite e avide e non ci si accorge di
quanto schifo ci lascia addosso. Quella troia ci succhia l'anima, e
ci trasforma in quello che è. E noi ci ammaliamo di lei, del
denaro, del successo. Cos'altro conta, in fondo? Lei saprebbe
rispondermi?»
Winston
abbassò lo sguardo a fissarlo. «Lei non sembra ancora
una troia, signore».
L'uomo
rise, e la sua era una risata esile e rauca. «Ti ringrazio,
ragazzo» disse, scendendo a una cordialità inusuale. «Ma
la verità è che anche io sono marcio dentro. Tengo le
redini di qualcosa che era nato per assicurare il futuro
dell'umanità, ma che ormai è diventato solo un
meccanismo per far denaro, come tanti. Questo consiglio continua a
vivere dietro la rendita delle sue glorie passate, quando ancora in
queste sale risuonavano ideali e la gente era pronta a morire per una
giusta causa. Ma ora? Ora si pensa a quanto potrebbe fruttare una
guerra tra Francia e Austria. Si organizzano scambi territoriali. Lo
sa cosa sono queste?» fece, sventolando davanti al naso di
Winston una serie di fogli svolazzanti che raccolse dalla sua
scrivania. «Sono i documenti che regolano lo scoppio di una
guerra. Una guerra, proprio così. È stata la nostra
ultima trovata. Una bella guerra per ridurre la popolazione e
azzerare le risorse. È già stabilito tutto. Chi
attaccherà per primo, perché, come... chi vincerà.
Perché non importa, in realtà, se qualcuno perde o
vince, o chi muore e chi no. Importa il risultato. La visione
globale. Crede che la gente potrebbe capire tutto questo?»
«No,
signore» disse Winston. Effettivamente, persino lui faceva
fatica a capirlo.
«Esatto,
proprio così. Dobbiamo dar loro l'idea che il mondo sia ancora
retto da ideali quali la giustizia e la volontà. Dobbiamo dar
loro la speranza. Devono credere di essere padroni del loro destino,
di avere la possibilità di costruire il mondo che vogliono. E
mentre noi gli ammantiamo tutte queste favole edificanti davanti al
naso, gli facciamo andare per traverso la medicina, in modo che
nemmeno si accorgano di averla presa. È sempre stato così,
e sempre sarà. La libertà... bella parola, ma vuota!
Non significa nulla, se non la responsabilità di occuparsi di
chi è troppo ingenuo da capire come stanno realmente le cose».
«Perché
mi dice questo, signore?» osservò cautamente Winston.
L'uomo si riscosse come da un sogno.
«Non
lo so» ammise. «Forse perché avevo solo bisogno di
parlare con lei. Chi può dirlo?»
Tacquero
entrambi. L'uomo riprese a muovere le mani nelle tasche dei
pantaloni.
«Voglio
che vada a scoprire qualcosa su quella ragazza, su come aveva fatto a
trovare la pietra, la gente che frequentava... tutto. Voglio sapere
perché Kurtag le ha affidato la pietra. Magari è
possibile scoprire qualcosa... ed evitare la catastrofe
dell'epurazione. In queste condizioni, sarebbe un vero disastro... un
vero disastro...» ripeté, quasi mormorando.
«Come
ordina» rispose prontamente Winston.
«Io
provvederò al resto, come sempre. Sa?» aggiunse in
ultimo, e sul volto gli si stampò un sorriso vacuo, allungato
come una ferita ancora aperta e sanguinante. «L'unica cosa che
sento, ora, è la fortuna di trovarmi da questo lato. Io darò
l'ordine per l'epurazione: dodici persone probabilmente moriranno e
io penso solo al fatto che non toccherà a me. Ecco come ci si
riduce, Churchill».
«Prima
o poi, tutti devono scontare i propri peccati – fece Winston».
«I
peccati non esistono» lo irrise l'uomo. «Sono una favola
che abbiamo inventato per illuderci di avere un'anima. Il senso di
colpa che ci hanno instillato dentro secoli di religione ha fatto il
resto. Ma in realtà, non c'è proprio nulla di tutto
questo. Esiste solo la volontà. Ed essa non risponde a nessun
altro che a noi stessi».
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