3. Ricordi
Mitsuki Koyama era sdraiata nel suo
lettino, che era stato spostato da quelli di tutti gli altri, avvolta in una
pesante coperta. Aveva il volto arrossato e piccole gocce di sudore le
scivolano sulla pelle, mentre un termometro che le facevano
tenere per dieci minuti ogni ora non faceva che confermare l’evidenza.
Accanto al letto, su un piccolo vassoio
di legno, c’era la sua cena ormai fredda. Non l’aveva neanche assaggiata.
“…Che ci sarà scritto…” continuava a
mormorare nei brevi momenti in cui la febbre alta le lasciava un po’ di tregua,
e si sollevava dal suo torpore.
La stanza era completamente vuota:
erano tutti a cena. I soli occupanti della camera erano una bambina
febbricitante e un’aspirante messaggera di morte che le accarezzava piano la
testa.
Aryuna, nel
suo vestito di un arancione sgargiante, era seduta sulla sponda del letto di Mitsuki. Appoggiata accanto a lei
c’era la sua asta a forma di chiave. Non ricordava più da quanto tempo fosse lì
ad accarezzare i capelli della bambina malata, che non poteva avere il minimo
sentore della sua presenza. Era passata una giornata intera da quando aveva
salvato Yu dalle grinfie di quell’uomo, e per tutto
il giorno lei e Takuto non si erano praticamente parlati. Quando si incrociavano
nei corridoi dell’orfanotrofio si scambiavano solo un breve sguardo, pieno di
un vuoto incolmabile.
Per tutto il pomeriggio, tenendosi sempre a debita
distanza l’uno dall’altra, osservarono quel bambino biondo che trascorreva
felice le ore, ignaro del destino che lo attendeva. I
due spesso si rintanavano in solitudine, riflettendo per ore prima di ritornare
a guardare Yu e così dimenticandosi tutti i risultati
dei loro pensieri. Le occasioni sarebbero state infinite, ma nessuno dei due
era riuscito a compiere la propria missione. Entrambi erano sovrastati da una
serie infinita di dubbi, e in Aryuna questi si
aggiungevano alla strana sensazione di aver già visto Yu
molto tempo fa, contribuendo non poco alla sua indecisione.
Nonostante il loro comportamento, Izumi non si era fatto vedere. Probabilmente li stava
osservando con quel suo ghigno, chiedendosi come sarebbe andata a finire. Forse
era anche divertito dalla situazione.
Mitsuki emise
un lieve gemito, e Aryuna le prese la mano con
dolcezza. Si sentiva colpevole della febbre della bambina, e in un ennesimo
momento in cui aveva un disperato bisogno di stare da sola aveva deciso di
farle compagnia, per quanto le era possibile. Quella bambina le aveva ispirato
subito tenerezza, e la sua curiosità riguardo a lei, Eichi
e quello strano libro non si era ancora esaurita.
I pensieri di Aryuna
tornarono all’immagine che le si era stampata nella
mente nella notte precedente. Era come il negativo di una foto, solo che ad essere ritratte non erano immagini, ma sensazioni. Non
sapeva cosa riguardasse, se fosse uno scherzo della sua mente o un ricordo
della sua vita passata, l’unica cosa certa in quella visione era Yu in una situazione di pericolo. Ma
ogni volta che si concentrava, che cercava di tirarne fuori qualcosa di concreto,
quella specie di ricordo si allontanava di più da lei.
Esasperata, si alzò facendo scivolare
lentamente la sua mano da quella di Mitsuki.
Lentamente uscì dalla stanza, percorrendo il corridoio illuminato dai lampadari
e dalla luce del tramonto che filtrava dalle finestre. Scostò con la mano una
tenda e fece per uscire su un balconcino, ma la figura in piedi davanti a lei
che divideva la luce rossastra del Sole la fece fermare: Takuto
era in piedi sul muretto bianchissimo che delimitava il balcone, e guardava
pigramente il cortile vuoto sotto di lui.
Aryuna sgranò
gli occhi. Non aveva certo intenzione di dividere quello spazietto
con lui! Si girò e stringendosi nelle spalle il più possibile si incamminò in punta di piedi.
“Con quel cappello e quella coda è
proprio impossibile vederti!”
Aryuna si
bloccò, socchiudendo gli occhi e serrando le labbra.
“Uh, sei qua! Non ti avevo visto…”
“Ah, sì? Non penso di avere un cappello che si nota meno del tuo!” Takuto si girò e le fece l’occhiolino.
Aryuna lo
raggiunse sul balcone e gli si affiancò.
“Non hai niente di meglio da fare che
stare qua a fissare il niente?”
“E tu non hai niente di meglio da fare
che venire qua a chiedermi queste cose?”
Silenzio.
Dopo un paio di minuti aprirono tutti e due la bocca, ma appena videro che anche l’altro
stava per dire qualcosa la richiusero subito.
“Sai, ci sono due bambini qui dentro…”
Cominciò a dire Aryuna “Pensa un po’, lui ha una
specie di libro, e da ieri sera non fanno che… ma mi stai ascoltando???”
Lo sguardo di Takuto
era perso nel vuoto.
“Come?”
“Ma come sarebbe,
“come?” È proprio impossibile parlare con te! Una viene qui senza nessuna voglia di parlare, però rimane a parlare
per cortesia e nonostante si metta a parlare con te tu non la ascolti mentre
parla!” Tutte queste parole furono dette senza prendere neanche un respiro.
“Aryuna, ma
che…”
“Ma che cosa?
Accidenti a quando Izumi ci ha presi
tutti e due per addestrarci! Sai che ti dico? Me ne vado! Ecco!”
Aryuna si
girò e si incamminò con passo deciso, ma si fermò non
appena vide che Takuto non le stava dicendo nulla e
non la stava seguendo. Dopo qualche attimo di incertezza
tornò al suo fianco. Lui le concesse solo un breve sguardo.
Rimasero un altro po’ in silenzio,
osservando la notte che piano piano si univa alle
lunghe ombre che i palazzi proiettavano negli ultimi minuti del tramonto.
“Che pensi di fare?” Chiese Takuto. Aryuna si voltò di
scatto, aprendo la bocca come per dire “non sono affari tuoi!” ma ci ripensò.
“Non lo so. È tutto così confuso… tu?”
“Non so. Ho pensato tanto oggi… e mi
sembra di non aver pensato a niente.”
Un altro lungo silenzio.
Takuto si
voltò ed entrò nell’edificio. Aryuna lo seguì con la
coda dell’occhio.
“Comunque, il mio cappello è molto più
bello del tuo.” Mormorò lei.
“Ti ho sentito…” Disse Takuto sorridendo, mentre spostava la tenda per oltrepassarla.
Aryuna rimase
indecisa sul da farsi, poi si girò anche lei e lo seguì.
Il corridoio si era riempito di bambini
che correvano verso le loro stanze, senza sapere che in mezzo a loro c’erano un
gattino bianco e una piccola volpe arancione.
La Luna era quasi piena, e l’indomani
avrebbe fatto capolino nel cielo un disco perfettamente rotondo. Yu stava dando da mangiare allo stesso gufetto
che la sera prima aveva fatto la sua conoscenza, ridendo con gioia allo stesso
modo.
Aryuna e Takuto erano di nuovo in quella stanza, seduti su un letto
vicino a Yu. Si erano richiusi in un mutismo,
aspettando un qualunque segno che li avvisasse del fatto che l’ora del bambino
stava giungendo. Ma non succedeva nulla.
Yu chiuse la
finestra e si sistemò nel suo lettino, aprendo il portafoto che aveva sempre
con sé e osservando al suo interno.
“Takuto… hai
intenzione di restare qui seduto tutta la notte?”
La domanda improvvisa di Aryuna lo spiazzò, ma anche lei si stupì di averla posta. Takuto, però, rispose quasi subito.
“Non chiederlo a me… sei tu quella
convinta della missione, quella piena di obiettivi e senza problemi!” Lo disse
con un tono calmo, ma nonostante questo Aryuna si arrabbiò.
“E questo che c’entra?”
“Dico solo…”
“Facevi meglio a stare zitto!”
“Ehi, fino a prova contraria hai
iniziato tu! E ora non dire un’altra volta che con me non si può parlare!”
Aryuna, che
stava per dire proprio quelle parole, si alzò in piedi stizzita.
“Hai ragione, allora non ci provo
nemmeno! Uh, guarda, lo strappo sul tuo cappello si
sta riaprendo!”
Takuto si
alzò a fronteggiarla.
“Avevi proprio ragione prima,
maledizione al giorno…”
“Buonanotte, Aryuna.”
Sussurrò Yu.
Fu come se all’improvviso un pugnale
fosse affondato silenziosamente nelle loro schiene.
Takuto e Aryuna si voltarono di scatto, fissando con gli occhi
sbarrati quel bambino che stava guardando nel suo portafoto dorato. Si
sentivano come un uomo che aprendo la porta di casa dopo una giornata di lavoro
avesse visto al di là della soglia invece del suo
salotto un deserto o una foresta intricata.
La folla di pensieri che riempiva le
loro menti non faceva altro che gridare una marea di suoni indistinti, e in
quel caos l’unico gesto istintivo che fecero entrambi fu di avvicinarsi a Yu e guardare nel portafoto. E lì, incorniciata in un
minuscolo spazietto, c’era una piccola fotografia che
ritraeva Aryuna mentre schioccava un bacio sulla
guancia di Yu, ancora più piccolo di com’era adesso.
Takuto guardò
Aryuna, che dopo un attimo di silenzio si mise a
correre oltre la parete, spiccando il volo con un balzo, mentre cercava di
andare il più in alto possibile. Ma le forze le
mancarono dopo pochi metri e piombò a terra in mezzo al cortile. Poi si mise in
ginocchio a singhiozzare, piangendo amaramente.
In un attimo le si
erano affacciate alla mente numerosissime immagini. Ricordava di essere
stata assunta dai genitori di Yu come babysitter. Di essere diventata quasi di famiglia dopo molti mesi accanto al
bambino. La gioielleria della famiglia del piccolo, che si trovava sotto
la loro casa, dove spesso lei si divertiva con Yu,
osservando i suoi genitori che servivano i clienti. I gioielli con cui il piccolo
si divertiva a giocare, e che li faceva indossare a
lei, ridendo di gusto. La risata, dolce e cristallina, che non mancava mai. Lo sguardo felice della mamma e del papà di Yu.
Le volte in cui lo portava nel parco a giocare con gli altri bambini. Le fototessere
con le facce buffe. Il giorno in cui il bambino le aveva detto che lei era la
sua migliore amica, e lei lo aveva stretto forte al suo petto. Le sere in cui
lei era da sola con Yu nella gioielleria, e giocavano
a fare il ladro e la poliziotta che lo arrestava. I baci, gli abbracci, le carezze. I cioccolatini di cui lui era ghiotto
e le scorpacciate che si facevano insieme. I suoi occhioni
grandi che lo guardavano, che si rispecchiavano nei suoi, così azzurri.
Le immagini si facevano sempre più confuse.
Da momenti di serenità si passò ad un’angoscia
tremenda. Ricordava un uomo col passamontagna. Una pistola. Tensione nella
gioielleria, che esplodeva in una serie frenetica di gesti. Spari, sangue sul
pavimento, grida spezzate, qualcuno che cadeva a terra davanti a lei, le mani
che le tremavano, suoni di sirene della polizia e dell’ambulanza, una pistola
puntata alla sua tempia…
“Aryuna!”
Gridò Takuto, prima di buttarsi al suo fianco.
Lei scoppiò a piangere ancor più a
dirotto, abbracciandolo e spingendo la fronte contro il suo petto. Takuto, completamente spaesato, la strinse a sé cercando di
darle un po’ di sicurezza. Rimasero così per molto tempo, mentre i singhiozzi
di Aryuna si spegnevano lentamente, finchè nel cortile dell’orfanotrofio tornò a regnare il
silenzio.
Takuto non sapeva cosa dire, e nel terrore di rompere il silenzio nel
modo sbagliato aspettò che fosse lei a parlare.
Dopo un tempo che parve infinito, Aryuna iniziò a mormorare qualcosa.
“Ero la sua tata, Takuto…
la sua tata…”
Non c’era altro da dire. Le lacrime continuarono a
scivolarle silenziosamente, bagnando la maglietta di Takuto.
“Non ce la faccio.” Tirò su col naso e si asciugò gli occhi col dorso della mano. “Non
posso rubargli l’anima. Io mi ritiro.” E si alzò lentamente in piedi.
Takuto un
tempo avrebbe esultato sentendo queste parole, ma ora aveva voglia di tutto
tranne che di essere felice.
“Aryuna…”
“No, non dire nulla. Ti prego. Io me ne
vado.”
Si allontanò da Takuto,
senza la forza di volare e riuscendo a stento a camminare fino al muro di cinta
dell’edificio.
“Non è scappando che risolverai il
problema.” Aryuna si fermò. “Siamo condannati, lo
sai. Per quanto vuoi fuggire?”
Lei si prese il tempo di qualche
respiro prima di rispondere.
“Per il tempo che servirà. Ti auguro
buona fortuna, Takuto.”
“Izumi verrà
a prenderti. O qualcuno per lui.”
“E allora gli spiegherò. Come hai detto
tu, siamo condannati per sempre. Avrò tutto il tempo per diventare una
messaggera. Ora tocca a te.”
Takuto le si avvicinò di qualche
passo, non sapendo neanche perché.
“Ci ho pensato molto.
Non so neanche io se riuscirò a rubare l’anima di questo bambino. forse…” Fu interrotto da alcune voci sommesse che
provenivano dalla strada.
Due uomini stavano discutendo
animatamente, ma facendo attenzione a non farsi
sentire. Aryuna rabbrividì.
“Conosco questa voce.”
Si diresse piano verso la siepe, fino
al punto da cui provenivano le voci. Takuto arrivò
poco dopo di lei, e quando furono abbastanza vicini si
fermarono ad ascoltare.
“Haku, ti ho
detto che non sono più sicuro di voler andare avanti!”
“Ma sei
impazzito? Siamo così vicini!”
Scrutando oltre la siepe Takuto si accorse che l’ultimo uomo ad aver parlato era lo
stesso energumeno vestito di grigio che il giorno prima aveva tentato di rapire
Yu.
“Lo so, ma ieri stavi per essere
scoperto!”
“Akito,
domani sarà diverso! E dopo saremo ricchi! Ricchi, hai
capito?”
Haku, il più
grosso dei due, troneggiava su Akito e mentre parlava agitava freneticamente le braccia. L’altro era più
calmo, immobile a fissare il marciapiede. Tutti e due
avevano un aspetto trasandato, erano vestiti di grigio scuro e la sagoma
inconfondibile di una pistola che sbucava dalle tasche dei pantaloni. Lo
sguardo di Haku era pieno di malvagità e disprezzo,
la sua barba incolta gli scuriva ancora di più il viso, le sue manone callose sembravano pronte a strangolare qualcuno
senza esitazione.
“Non lo so…”
“Vuoi finirla? Non posso farlo da solo,
mi serve un complice!”
Aryuna
sussultava ogni volta che la voce di Haku risuonava
nel silenzio della notte.
“Secondo me dovremmo rinunciare.”
“Qui non sei tu a decidere!” Si
avvicinò ancora di più all’altro e gli afferrò il colletto con entrambe le
mani. “Comando io, e io dico che si va fino in fondo!
Domani notte entriamo, facciamo quello che dobbiamo
fare e ce ne andiamo! Chi vuoi che ci fermi? Quattro
marmocchi e due maestre?”
Lasciò andare Akito,
che si allontanò bruscamente sistemandosi i vestiti.
“E va bene, va
bene, ma io domani non entro. Rimango fuori a controllare.”
“Fai come vuoi,
pezzo d’idiota.” Dopo aver mormorato tra i denti queste parole
si allontanò, seguito a breve distanza dal suo compagno.
Takuto e Aryuna rimasero ad osservare quei
due mentre sparivano e riapparivano dal buio sotto le luci dei lampioni, finchè dopo un tempo che sembrò interminabile non girarono
un angolo e scomparvero definitivamente.
“Ma chi…”
Iniziò a dire Takuto, subito interrotto dalla voce di
Aryuna.
“La voce di
quell’uomo… tempo fa ha rapinato la gioielleria della famiglia di Yu. E ha ucciso i suoi genitori.” Ricominciò a
singhiozzare.
“E ora cosa vogliono?”
“Li hai sentiti anche tu, no? Non so perché,
ma vogliono Yu! E domani entreranno
nell’orfanotrofio!” Iniziò a camminare senza una meta nel cortile, con l’unica
intenzione di fuggire da tutto ciò che la circondava. Si fermò solo
quando Takuto le mise una mano sulla spalla.
“Allora forse è per
questo che domani notte Yu morirà. Dopotutto,
come diceva la profezia, domani ci sarà anche la Luna piena.”
“Bene, allora domani sarai pronto per
rubare la sua anima.”
“Sei ancora decisa
ad andartene?”
“Sì, e non voglio più
parlarne. Addio, Takuto.” Si alzò lentamente
in volo, inarcando la schiena e tenendo la testa all’indietro mentre i suoi
capelli ondeggiavano per un lieve alito di vento che si era alzato in quel
momento. Teneva gli occhi chiusi, cercando di non pensare a nulla.
“A presto, Aryuna.”
Le rispose lui quando ormai era troppo lontana per sentirlo.
Dopo qualche minuto anche lui si
sollevò da terra, dirigendosi pigramente al di sopra dell’edificio.
Si sedette in mezzo al tetto dell’orfanotrofio, appoggiando il gomito su un
ginocchio sollevato e la testa sul braccio.
Restò in silenzio per tutta la notte,
osservando la Luna che compiva il suo giro, le stelle che si facevano più
luminose e poi sparivano lentamente, le luci della strada che si spegnevano e
quelle delle case che si accendevano di tanto in tanto. Il cielo si schiarì
lentamente, finchè il nero lasciò il posto al blu, il
blu all’azzurro, l’azzurro al violetto chiaro. Aveva
avuto davvero troppe cose a cui pensare negli ultimi
giorni, e ora si sentiva davvero stanco. Sapeva che avrebbe preso l’anima di Yu e sarebbe diventato un messaggero di morte, ma non era
più sicuro di nulla. Era questo che lo aspettava? Sarebbe diventato tutto più
facile, oppure ogni volta avrebbe provato lo stesso tormento? Sarebbe successo
anche a lui quello che era capitato ad Aryuna?
Avrebbe dovuto rubare l’anima a qualcuno che gli era
stato caro in vita, o qualcosa di simile, e i ricordi lo avrebbero dilaniato?
Essere un messaggero di morte vuol dire tutto questo?
Con un balenìo
il Sole fece capolino all’orizzonte. In un attimo tutto si rischiarò, mentre
quel puntino tremolante di luce si faceva sempre più grande, e un bianco
abbagliante accecò per un attimo Takuto, che aveva
guardato laggiù un secondo in più del dovuto. La luce si stese sulla città, non
un manto soffocante come la notte, ma una linfa vitale che si riversava nelle
strade.
Takuto continuò
a guardare l’orizzonte finchè il Sole non si liberò
dell’abbraccio della terra e iniziò la sua ascesa.
“Ora non mi resta che aspettare
stanotte.” Pensò.
Sotto di lui Mitsuki
era affacciata alla finestra della sua stanza, osservando con meraviglia quello
stesso spettacolo.
Continua...