bocca di rosa shinotema
**Titolo: Bocca di rosa
**Personaggio scelto/altri
personaggi/pairing: Shino Aburame; Shino Aburame, Temari no Sabaku,
Altri; ShinoTemari, accenni ShikaTema.
**Genere: Romantico, Introspettivo, Erotico, Song fic
**Rating: Arancione
**Avvertimenti: One shot, Au, what if…?, lemon
**Note dell'Autore: In questo periodo sto amando De André, per cui questo mi è venuto **
Che dire a riguardo? Temari,
esattamente come Bocca di rosa nella canzone, non deve essere vista
come una volgare puttana, come una donna dai facili costumi, ma
semplicemente una donna che sa esattamente quello che vuole e non ha
quella morale tanto ristretta e ottusa a rinchiuderla in regole sterili
e poco umane. E’ una donna passionale, che sa amare e sa farsi
amare, questo è quanto.
Ma proprio perché va contro le
regole comuni è la prima vittima delle malelingue dei benestanti
e ben pensanti, personificati qui in una specifica persona.
La mia ambientazione si rifà
molto agli ambienti western dei film… spero di non aver scritto
benemerite cavolate xD
Oh, che poi il titolo possa riferirsi sia a temari che a Shino, non è certo un caso ^^
A voi la lettura e il giudizio ^^
(*)Musica e testo di Fabrizio de André
Bocca di rosa
La chiamavano bocca di rosa
metteva l'amore, metteva l'amore,
la chiamavano bocca di rosa
metteva l'amore sopra ogni cosa.
C'è chi l'amore lo fa per noia
chi se lo sceglie per professione
bocca di rosa né l'uno né l'altro
lei lo faceva per passione. (*)
Il letto scricchiolò rumorosamente quando l’uomo vi si
sedette sopra, alzando il busto fino a mettersi completamente a sedere.
Sospirò, socchiudendo gli occhi alla luce del sole filtrante
dalla finestra socchiusa. Portò una mano ai capelli, grattandosi
la cute con sguardo sonnolento, ancora più nel mondo dei sogni
che nella realtà ben tragica.
Si alzò, cercando così di sgranchirsi i muscoli delle
gambe, intorpiditi dal sonno pesante che ancora non li aveva del tutto
abbandonati.
Il suono di un fruscio di lenzuola tirate gli arrivò mollemente alle orecchie.
-Non pensavo tu fossi una persona così mattiniera…-
Il sarcasmo pungente di quel tono canzonatorio non sfuggì alla
mente dell’uomo seppur questi non fosse ancora del tutto
cosciente.
Shikamaru si voltò verso la donna ancora distesa nel suo letto,
avvolta dalle lenzuola candide. Sorrideva maliziosa, fissandolo con i
suoi due occhi verdi. L’uomo sbuffò, leggermente annoiato
da tutto quello.
-Temari, è presto per mettersi a far del sarcasmo…-
Un passo, un altro subito seguente, fino a che non viene intrapresa una camminata sicura e decisa.
Lo sguardo fiero ben fisso di fronte a sé, le spalle
all’indietro, il petto dalle seducenti e morbide curve messo in
evidenza senza alcun pudore, e quelle labbra così ammalianti e
rosse piegate in un sorriso ammiccante, da predatrice. Così
Temari no Sabaku si presentava di solito agli occhi curiosi degli
abitanti di quel Paesino situato tra le lande del deserto roccioso,
così la donna si faceva vedere agli uomini e alle donne di
Konoha che, dimenticata da tutto e da tutti, ogni cosa aveva
dimenticato, anche la sua più intima umanità interiore.
I cuori aridi d’amore delle persone ben si lasciano trasportare
dall’istinto che tutto avvolge, che tutto affoga, lasciandosi
travolgere da una parte dalla passione senza alcun ritegno
dall’altra dall’invidia più sfrenata.
E le lingue sanno correre più delle gambe, più di una qualsiasi freccia scoccata da un arco ben teso.
-Avete visto, quella spudorata, come si atteggia?-
-Fa la gran signora, lei, ma non è nient’altro che una svergognata!-
-Guardate che trucco, guardate che sguardo ammaliatore!-
-Ma non si vergogna neanche un poco?-
Così, esseri abitudinari troppo ammorbiditi sui propri sterili
costumi morali, alle proprie infime necessità irrinunciabili, al
minimo cambiamento si alterano, e stridono e trepidano perché
tutto ritorni alla normalità, perché tutti torni al color
grigio della più mera malinconia.
Ma la passione spesso conduce
a soddisfare le proprie voglie
senza indagare se il concupito
ha il cuore libero oppure ha moglie.
E fu così che da un giorno all'altro
bocca di rosa si tirò addosso
l'ira funesta delle cagnette
a cui aveva sottratto l'osso.
Ma le comari di un paesino
non brillano certo in iniziativa
le contromisure fino a quel punto
si limitavano all'invettiva.(*)
Il chiasso si sentiva al di fuori della Locanda del paese, una grande
stanza dal parquet di legno scuro, tavolini sparsi un po’
ovunque, e gente urlante che vagava da una parte all’altra del
locale, pregna di liquore e di cibo d’ogni tipo, segno di quella
vitalità nascosta che non accennava a morire neppure in
quell’ angolo nascosto del Mondo.
Era lì che gli uomini si incontravano, per una partita a carte,
per una rissa o semplicemente per la compagnia, quando il duro lavoro
delle miniere era finito e all’animo frustrato serviva
semplicemente un goccio di umore(1) per elevarsi dal fango in cui era
caduto.
-Alla salute!-
Con cori festanti, i liquori venivano ingurgitati, a bagnare bocche e a
riscaldare gli stomaci, perché dal momento che il cibo non era
mai molto bisognava in qualche modo occupare il ventre con qualcosa che
facesse dimenticare l’aridità e la durezza della terra.
E così il rumore allegro e chiassoso scoppiava da quella piccola
ubicazione, uscendo fino alla strada, contagiando persone o animali,
divenendo il triste fulcro di ogni attività umana di
quell’angusto luogo.
Persino lo sceriffo, signor Sarutobi, era solito passar le sue serate
in quel posto, annegando i propri dispiaceri del giorno in qualche
bicchiere di rum.
Ma in tutto quello stridore di suoni contrapposti v’era qualcuno
che non partecipava, che non faceva parte della comunità urlante
che gridava a gran voce.
Seduto al bancone, in mano un bicchiere di vino rosso, passava le ore
in assoluto silenzio, come se lo strenuo tentativo di far parte della
comunità, almeno in minima parte, si sgretolasse e si annullasse
nel momento in cui la ragione orgogliosa si rifiutava di scendere
così in basso da annullare la propria volontà a scapito
del proprio imperante istinto distruttore.
Shino Aburame, le labbra pallide rigidamente serrate, se non quella
rara volta in cui si schiudevano per accogliere al loro interno qualche
goccia di rinfrescante vino pregiato, guardava l’Umanità
triste nelle lotte quasi ferine dei propri compagni, che
immancabilmente ruzzolavano a terra nel prendersi a pugni,
completamente ubriachi, completamente pregni di alcol.
Resisteva alla volontà di integrarsi in quel grigiore,
preferendo la cupa solitudine alla ben più triste omologazione
in un colore opaco e privo di spessore.
Certamente, al grigio preferiva sicuramente altre sfumature.
E fu da quella persona così bisognosa di tonalità,
così desiderosa di un colore caldo in cui lasciarsi cullare, di
un po’ d’amore rosso al quale dedicarsi con passione che la
bionda Temari andò, con passo deciso, sicuro.
Quella sera avrebbe baciato e baciato le labbra pallide del signor Aburame.
Si sa che la gente dà buoni consigli
sentendosi come Gesù nel tempio,
si sa che la gente dà buoni consigli
se non può più dare cattivo esempio.
Così una vecchia mai stata moglie
senza mai figli, senza più voglie,
si prese la briga e di certo il gusto
di dare a tutte il consiglio giusto. (*)
-Signor Aburame… buona sera!-
Due occhiali scuri la scrutarono a lungo prima che la voce grave si
decidesse ad uscire dalla gola, un po’ rauca per lo sforzo di
parlare dopo così tanto silenzio.
-Signorina Sabaku…-
La donna sorrise, prendendo posto accanto all’uomo senza chiedere
il suo permesso e ordinando subito qualcosa da bere. I suoi occhi
tornarono immediatamente sulla persona di Shino.
-Come mai qui tutto solo? Non le piace stare in compagnia?-
Shino alzò lentamente il proprio bicchiere, portandoselo alla bocca.
E Temari fissò quelle labbra che pigramente si schiusero, quel
tanto appena sufficiente perché il vetro poggiandosi sulla carne
rosea lasciasse scivolare dentro un poco di liquido scuro. Si chiusero
ancora una volta sotto il suo sguardo, inglobando ciò che le
aveva dolcemente bagnate, senza alcun accenno di fretta sbrigativa.
L’uomo parlò nuovamente, guardandola dritta negli occhi,
come a voler intendere di darle quel rispetto non così scontato
che invece le era dovuto, almeno secondo la sua logica razionale.
-Se così non fosse non mi ritroverei qui da solo, signorina Sabaku…-
La donna sorrise amorevolmente, arrischiandosi a toccare in maniera delicata il braccio del suo conversale.
-Ma lei non è solo, signor Aburame…-
La vide, la stizza, passare velocemente su quelle labbra, su quella
bocca, come se il contatto fisico non fosse una cosa tanto quotidiana
per l’uomo.
Ma il secondo passò velocemente, e le labbra tornarono lungo
distese, quasi rilassate, così che la donna poté
continuare sicura, sorridendo vittoriosa.
-Non più, almeno…-
Quelle labbra sarebbero state sue, col loro sapore proibito
l’avrebbero inebriata fino a condurla alla pazzia, fino a
renderla completamente ubriaca. Voleva saggiare il frutto vergine di
quel viso, mangiarlo fino a non lasciarne neanche un pezzo indietro.
Semplice curiosità, semplice capriccio?
A Temari non importava più di tanto dare un nome alla passione
che l’aveva colta, che l’aveva spinta tra le braccia di
quell’uomo tanto silenzioso.
Le sue labbra, nel momento in cui aveva guardato quelle labbra che
così restie si aprivano al dialogo, così restie si
concedevano, aveva trovato impellente l’impulso di provarle, di
sentirle su di sé, contro di sé.
Perché la donna era dell’idea che quando una passione ti
coglie bisogna assecondarla prima che questa ti travolga e ti sconfigga
definitivamente.
E l’uomo aveva risposto, eccome se aveva risposto.
L’aveva accolta tra le sue braccia, quella sera, quella notte,
scaldandola col proprio calore, riscaldandosi col suo, beandosi della
sua voce dolce, del suo profumo inebriante.
Non aveva parlato, non aveva affaticato la voce più del necessario.
Ma le sue labbra si erano schiuse più e più volte ancora,
baciando la bocca rossa della donna, la sua pelle, i suoi capelli, il
suo corpo tutto, facendola sua in una notte e per una notte solamente.
E arrivarono quattro gendarmi
con i pennacchi con i pennacchi
e arrivarono quattro gendarmi
con i pennacchi e con le armi.
Il cuore tenero non è una dote
di cui sian colmi i carabinieri
ma quella volta a prendere il treno
l'accompagnarono malvolentieri.(*)
-Non si vergogna proprio, quella schifosa? Circuire quel buon uomo di
Shino Aburame in maniera tanto… tanto sfacciata! Che vergogna,
che vergogna!-
Le voci circolavano, così come i fatti venivano compiuti. Semplice e lineare, ad una causa conseguiva una conseguenza.
E l’animo monocromo delle persone accetta davvero malvolentieri
una nota stonata di colore vivace, che questo intacchi o non intacchi
la propria monotona quotidianità. Alla fine,
l’indifferenza è una cosa che ben pochi esseri umani hanno
il coraggio di professare, così com’è vero che ci
si abbandona più spesso e volentieri alla malvagità
infida della pura e semplice invidia.
-Prima il signor Nara, ora il signor Aburame… non ha proprio pudore?-
Malelingue, mai stanche di parlare, mai sazie di cattiveria.
Shino lo sapeva fin troppo bene, sapeva quanto l’indivia
femminile, la gelosia insita in coloro che non erano capaci di
esprimere a parole i propri pensieri fosse pericolosa, mortalmente
pericolosa.
Aveva visto vite umane corrose dall’ombra del sospetto, morte
dentro ancora prima di fiorire del tutto per colpa di quei turpi
sentimenti.
E per quanto la sua rispettabilità, il suo essere uomo lo
escludeva da simili cattiverie, sapeva quanto ciò era incapace
di estendere l’ala della protezione anche a quell’essere
colpevole solo di aver desiderato così tanto le sue labbra.
Quella bocca si schiuse ancora una volta verso e per Temari, ma di questa la donna avrebbe fatto volentieri a meno.
-Vorrei che non ci vedessimo più, signorina Sabaku…-
Non seppe dare un nome subito a quella sensazione velata dietro gli
occhiali, a quell’espressione così triste da commuoverle
l’animo fino a dentro il petto. E l’orgoglio prominente che
era stato così crudelmente ferito da un rifiuto netto di quelle
labbra ora rigide, ora impietose, cadde sconfitto di fronte alla
pietà umana che il tono della voce seppe comunicarle.
Se fosse stato per Shino, lei lo poteva intuire, non avrebbe smesso di abbracciarla per alcun motivo.
Ma l’uomo non è un animale solitario e piuttosto che
vederla cedere sotto i colpi micidiali di quelle lingue biforcute,
l’Aburame preferiva che lei rimanesse l’integra e
meravigliosa donna che aveva conosciuto quella sera.
Per proteggere la mera idea, la sublimazione di quel volto, cedeva ben
volentieri la fisicità intrinseca. Vigliacco, si ritirava ancor
prima di essere stato punto.
Temari gli sorrise, avvicinandosi col viso al suo.
-Mi conceda ancora poco tempo e io sparirò presto alla sua vista…-
Niente di più crudele è del rimarcare i sogni, gli intimi desideri con gesti semplici, azioni amorevoli.
Più di una volta, anche quella notte, anche quel giorno e la
notte dopo, Temari si appropriò di quella bocca di rosa, di
quella bocca d’angelo. E sua la fece fino allo stremo,
finché la voce stessa non chiese, pietosa, una tregua.
Ma una notizia un po' originale
non ha bisogno di alcun giornale
come una freccia dall'arco scocca
vola veloce di bocca in bocca.
E alla stazione successiva
molta più gente di quando partiva
chi mandò un bacio, chi gettò un fiore
chi si prenota per due ore.
Persino il parroco che non disprezza
fra un miserere e un'estrema unzione
il bene effimero della bellezza
la vuole accanto in processione. (*)
Il giorno della partenza lui non era andato alla stazione del treno,
non voleva provare con gli occhi l’irriducibile tristezza che
provava col cuore. Non voleva ammettere di pensare a quegli uomini che
avrebbero accolto la bionda donna tra le proprie braccia, così
come lui aveva fatto per una sola notte.
Quella piccola nota di colore, così vivace, non voleva
pretenderla tutta per sé, non voleva dimostrarsi stupidamente
sciocco e geloso in maniera arrogante.
Perché solo i cuccioli si dimostrano festanti con la persona che ha loro concesso una singola carezza.
Temari, stretta nel suo cappotto, guardò per l’ultima
volta Konoha, quella piccola città, quel Villaggio che, allo
stesso tempo, l’aveva accolta e l’aveva scacciata con forza
ruggente, con energia incredibile.
Senza rimpianti, senza rimorsi, sorrise a quelle case, a quelle strade
e a quella gente che, curiosa, era venuta a salutare per l’ultima
volta la bionda straniera.
E con passo deciso salì sul treno, verso un nuovo Villaggio, verso un nuovo giorno.
E con la Vergine in prima fila
e bocca di rosa poco lontano
si porta a spasso per il paese
l'amore sacro e l'amor profano. (*)
Oh, sarebbe tornata, sarebbe tornata a baciare quelle labbra rosee, quella Bocca di rosa.
Sarebbe tornata Temari, a riprendersi ciò che era stato suo,
anche solo per un istante, anche solo per una notte, per bearsi ancora
una volta di quel dolce nettare, di quell’ambrosia divina.
Per baciare ancora una volta Shino Aburame, Temari no Sabaku sarebbe tornata.
Note finali.
(1)Umore: nel senso di alcol.
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