Ecco il secondo capitolo, ho
paura che ordalia sia impropria…
L’ispirazione per la parte
centrale del testo mi è venuta dal film Moll Flanders, anyway siate clementi!!!!!
“Ma…”
fece per chiedere Filippo alzandosi di poco dal letto.
“Stai giù tranquillo, si parlerà poi”
Marie entrò in quel momento: “Lei
è Marie, ti ha salvato la vita e si è presa cura di te.”
La ragazza fece una riverenza
leggera ed elegante e sorridendo aggiunse: “Siete troppo gentile, voi siete
fatto di un ottima pasta”
“Cerca di dormire un po’, domani parleremo ancora”
L’uomo annuì, e il re fece con
gli occhi un tacito segnale alla ragazza che uscì seguendolo.
Appena chiusa la porta:
“Sua maestà non
vuole che dica niente a suo fratello della sua attuale situazione.”non
era una domanda ma una semplice affermazione
“Certo, Marie mi stupisci ogni volta…”
“E’ mio dovere compiacere il mio
re e anticipare ove possibile i suoi desideri” per quanto ostentate potessero
essere quelle parole, lo sguardo della ragazza non dava adito
a dubbi, era un affermazione volta a sottolineare la differenza abissale
di ceto che esisteva fra i due, tra chi comandava e chi obbediva niente di
più
“Torna al tuo assistito. Verrò domani mattina.”
Fece per andarsene ma si ricordò
di una cosa: “Marie, tienti pronta per sta notte, qualunque cosa ti succeda sappi che non è in
pericolo ne la tua vita ne il tuo onore, se come dici la tua virtù è intatta,
altrimenti avrai di che temere, sarai comunque qui domattina e mi informerai
delle condizioni di mio fratello, capirò dal tuo abito.” Detto
questo uscì lasciando sgomenta Marie rientrando con le gambe tremanti in
camera, aveva paura, non per la sua
virtù, sapeva di essere intatta, cosa le avrebbero fatto? Il tono e la faccia
del re era poco rassicurante, con quel ghigno sembrava
un gatto in procinto di agguantare un topo aveva una paura folle ma questo si
disse non doveva impattare sulle cure che doveva al ferito.
Rientrò e vide gli occhi
dell’uomo guardarla, se al re erano sembrati coraggiosi a lei
sembravano solo incuriositi di vederla, ma erano occhi talmente belli, azzurri
contornati da una sottile linea blu tra l’iride e il bianco, e il viso,
incorniciato da quei folti capelli era pallidissimo, ma dai lineamenti talmente
regolari e attraenti che nessuna donna sarebbe rimasta insensibile. Si avvicinò
e cambiò la pezza che gli teneva sulla fronte con una più fresca, teneva gli
occhi bassi intimorita da quello che poteva vedere, finì di tergergli la fronte
e il collo e poi si risedette:
“Grazie” era
la voce dell’uomo, debole, ma comunque chiaramente percepibile.
Quasi non
rendendosi conto, Marie sollevò lo sguardo e sorrise mestamente: “Dovere.
Ma non ho fatto niente.”
“Mi avete salvato la vita”
“Non sono stata io, ma è stato
chi vi ha trovato e vi ha portato qui velocemente, ora dovete solo riposare e
guarire”
“Io ricordo voi comunque” poi
aggiunse “Mi chiamo Filippo”
“Solo Filippo?” chiese la ragazza
“Solo Filippo. Non è un bel nome
ma è il mio”
“No, anzi trovo
che sia bello, mi domandavo solo se non avete un cognome o un titolo”
“No, vi dispiace?” l’uomo la
guardò di sottecchi, ma la vide rilassarsi contro lo schienale della poltrona e
sorridere ancor di più ed era tanto tempo che non vedeva una donna sorridere.
“Al contrario, questo mi mette a
mio agio.”
“Bene, da dove venite?”
“Sono nata e cresciuta in queste
campagne, mi chiamo Marie”
Non parlarono molto i pensieri di
marie erano concentrati su quello che le sarebbe
accaduto di lì a poco, filippo si era addormentato
vinto dall’emozione. Per quanto si sforzasse, la ragazza non poteva staccare
gli occhi da quell’uomo, il suo viso l’aveva colpita, come la vista del suo
corpo, si domandò quante sofferenze avesse mai dovuto subire, aveva visto
cicatrici sulla schiena, tagli, graffi e lividi, ma quanto le sarebbe piaciuto
che fosse un uomo del popolo, un uomo verso cui indirizzare i suoi pensieri,
con onore e senza paura di incorrere nell’ira, ma lui era di un'altra razza,
dei vertici di un'altra razza, un fratello di re e i soli sentimenti a cui lei aveva diritto di aspirare erano di rispetto e di
devozione nulla più, se fosse sopravvissuta alla notte che si preparava giurò
che se mai avesse avuto bisogno lei sarebbe corsa in suo soccorso ne andasse
della sua vita e non avrebbe mai chiesto nulla in cambio.
La porta si aprì silenziosamente,
marie pensò che il cuore cessasse di batterle in
petto, si alzò, comparve Ughette, che fermandosi al
lato della porta, le disse tacitamente di camminare davanti a lei. Con qualche
incertezza scese le scale, l’aria era fredda, o forse era la paura a farla
sembrare tale, fuori un manto nero copriva tutto celando le campagne alla vista
di chi quella sera era sveglio, la ragazza sentiva un ansia
crescente percorrendo i corridoi, in attesa che il suo destino si compisse,
scesero nei sotterranei, ed entrarono,
in quella stanza vi erano altre
quattro donne, tutte anziane e tutte con un aria di alterigia che non
prometteva niente di buono:
“Spogliati e sdraiati lì” disse Ughette indicando un tavolo
“Come?” chiese Marie
“Hai sentito, fai alla svelta e
non fare storie.”
“Ma madame.”
“Non voglio sentire storie, ho
detto.” Urlò e la ragazza intimorita lo fece, rimase in sottoveste, pregando in
cuor suo di non doversi esporre più di così.
“Ora sdraiati,
non fare scherzi.”
Marie già sull’orlo delle lacrime
lo fece, erano tutte donne non avrebbe avuto niente da
temere, ma c’era in gioco la sua vita, tutte le donne uscirono tranne ughette ed un'altra, l’altra signora si avvicinò e le
allargò le gambe:
“Che sta facendo?” nessuna risposta,
la signora guardò fra le sue gambe per un tempo che a marie
sembrò interminabile, tremava di vergogna, quella parte era sempre rimasta
privata, tentò di non pensare, aveva troppa paura, ed era impietrita, ora che
cosa le avrebbero fatto?
Dopo un secolo, o così almeno
sembrò a Marie la donna finalmente si tirò via da quella posizione e si volse
verso ughette:
“Allora?”
La signora con un sorriso
sommesso annuì e richiuse le gambe della ragazza, che quasi stava per svenire:
“Su Marie” disse Ughette con un tono di voce dolce “puoi alzarti ora”
Stupita da un tale cambiamento di
tono e di comportamento la ragazza si alzò e prese i
suoi vestiti:
“No, mettiti questo e seguimi” le disse l’altra donna porgendole un mantello
bianco che aveva preso da uno scaffale su cui ben piegato ce n’era anche uno
nero, se lo mise sulle spalle mentre la signora glielo drappeggiava
elegantemente anche sulla testa. Uscirono dalla porta, e ripresero a salire,
camminarono ancora, finchè non entrarono in un'altra
stanza, sta volta molto più elegante ed in cui era
stato acceso un bel fuoco.
“Spogliati pure
quel mantello. Non avere più paura, è finito tutto.” Disse ughette circondandole le spalle con un braccio tentando di
farle passare lo spavento, e conducendola dietro un paravento, in cui c’era una
vasca da bagno piena di acqua calda.
La fece entrare nell’acqua calda
e le tolse anche la sottoveste, Marie si rese conto solo allora di quanto era
stanca e l’acqua calda la cullò piacevolmente in un tranquillo dormiveglia, Ughette nel frattempo versava essenze nell’acqua, le
sciolse la crocchia, che portava alla sommità del capo e prese a pettinarle i
lunghi capelli poi la aiutò ad uscire dalla vasca.
“Marie indossa questi, per
cortesia.” Le disse
“Ma ci
deve essere un errore, è troppo elegante.”
“Nessun errore è qui apposta per
te”
“Non riesco a capirne il motivo”
“Non devi capirlo, devi solo
metterle” la ragazza annuì e la signora la aiutò anche questa volta, le fece
indossare le mutande, che Marie non aveva mai indossato, e il panno che a quei
tempi si soleva mettere attorno al petto, il tessuto era morbido e caldo, di un
tiepido color panna, poi
venne il turno del corsetto, stretto per mezzo di lacci dietro la schiena, la
sottoveste inamidata.
“Che state facendo?” disse.
“Non fare domande e non portene,
tra un ora sarai di nuovo nella stanza che hai
lasciato, a prenderti cura del tuo paziente, chiunque sia, ma lascia che ti
dica una cosa, non chiedermi di spiegarla, però, capirai quando ne avrai l’occasione:
non cedere mai senza un anello al dito.”
Marie rise e riacquistò tutta la
sua sicurezza:
“Signora, lo so, sono vergine, ma
non stupida. Crede che non sappia le implicazioni, crede che non sappia del
rischio a cui vado in contro, sono un anomalia nel mio
campo come ben sa, ho visto molte ragazze più giovani di me rovinate da nobilotti di campagna, costrette a lasciare i propri figli
alla ruota, il tutto solo perché i signori volevano essere sicuri di non
ammalarsi, ho pregato tante volte di non fare quella fine, fin ora il signore mi
ha ascoltato, ma cosa mi riserberà il futuro?”
“Dipende da te.” Sospirò Ughette, meravigliandosi di quanto quella
misera ragazza avesse chiara in mente la cosa.
“Non del tutto, che potere ha una
contadina? Posso pregare, ma il resistere ad un uomo
che ha potere comporta sempre delle conseguenze.”
“Hai ragione.” Convenne la donna
mentre si avvicinava all’armadio lo aprì, ne tirò
fuori una veste azzurra con delicati pizzi, la aiutò a metterla, era di una
scomodità infinita, ma guardandosi allo specchio, non potè
che essere soddisfatta di quell’immagine.
Uscì ed era mattina, presto
Filippo si sarebbe svegliato e avrebbe dovuto mangiare, stando attenta a non
farsi scorgere da nessuno percorse silenziosa i
corridoi e rientrò in camera del suo protetto.
Un vassoio con del cibo era già
stato preparato lì, lei lo portò nelle vicinanze del letto e si risolse ad
aspettare per l’ennesima volta, la sua particolare professione lo esigeva e a
lei non era mai pesato, ma i suoi pensieri e il suo lavoro erano inevitabilmente
disturbate dal senso di profonda inesattezza della situazione, non si era, ne si era potuta dimenticare dello sguardo del re, era
esattamente lo sguardo che ha di solito un predatore quando sa che la sua preda
non ha più scampo. Si alzò e andò alla finestra, per riflettere e per godere del primo sole mattutino che elargiva con generosità
il calore dei suoi raggi
“Chi siete?” domandò la voce del
suo protetto.
“Sono solo io, Marie.”
“Marie, come siete bella,”
“Vi prego ad
un umile contadina non date del voi.”
“Sei bellissima Marie.”si
corresse
“E voi siete un adulatore, ma vi
ringrazio. Prego il vostro cibo, ce la fate a mangiare da solo?”
“Certo, non ti preoccupare. Ma tu?”
“Ho già mangiato, non vi
tormentate per me.” si sedette placidamente di nuovo, osservò Filippo bere un
goccio di brodo dalla tazza e mordere un pezzo di pane, sebbene fosse un azione semplice e classica, la ragazza scorse quasi delle
lacrime a fior di occhi, da parte di chi gli stava davanti, vide l’operazione
ripetersi più volte, con calma; il sorriso le ornò il volto, la felicità la
spinse a cantare sommessamente tra se e se, non muovendo la bocca, ma
semplicemente emettendo un suono più o meno regolare. Filippo distolse gli
occhi dal piatto e li spalancò:
“Perché, non canti ad alta voce?
Mi farebbe tanto piacere, sempre se ti va”
La ragazza sorrise e con la voce più bella che potesse
sfoggiare cantò, la melodia si sparse nell’aria, la donna guardava fuori dalla
finestra, ma in lei si rinnovava il voto di fedeltà che aveva fatto la sera
prima, non avrebbe mai potuto andare oltre, anche se
lo avrebbe davvero desiderato. Si voltò e vide che il sonno lo aveva preso, la
stanchezza lo aveva sopraffatto e il suo corpo sebbene tanto forte da superare
quelle settimane di stenti era ancora i
via di guarigione