É
solo un altro salto
Il
sole brilla di fronte a me.
Dalla
cima di una collina rocciosa osservo la sterminata valle che si
stende sotto di me.
Picchi
rocciosi si innalzano da ogni parte, profonde spaccature convergono
verso il basso.
Crepacci
si aprono all'improvviso nel vuoto.
La
nuda e fredda roccia mi circonda.
Dall'orlo
del baratro che si apre a nemmeno un respiro da me, accovacciato
proprio sul bordo, fisso l'orizzonte sconfinato.
Il
vento spazza la vetta su cui mi trovo, creando mulinelli di sabbia
che via via si infrangono sul mio corpo.
Mi
scompiglia i capelli mandandomeli sugli occhi.
La
sciarpa che mi copre il viso sventola come uno stendardo, leggera
nella brezza.
Mi
faccio scudo con un braccio per poter continuare a guardare il
paesaggio.
Per
un attimo i raggi di luce si riflettono sul maglio (1)
alla mia mano sinistra, lasciandomi abbacinato per qualche secondo.
Scuoto
la testa, poi torno a guardare.
Il
tempo non è stato benevolo con quelle montagne: le ha erose,
modificate, plasmate a suo piacimento. Ha creato gallerie, enormi
sentieri nella fredda materia priva di vita, battuti solo dal vento,
dal sole e dalle intemperie.
Le
creste, i costoni, le cime più alte della catena si sono
piegate al suo volere, e mano a mano sono diventate solo una piccola
parte del tutto.
Le
nude pareti bruciate dal sole sono divenute piatte, prive di
qualsiasi appiglio, levigate da qualcosa di più forte della
loro determinata e solida immobilità.
La
sabbia è diventata la loro ruggine: minuscoli frammenti di
quello che un tempo erano picchi, maestose montagne, continuano ora e
ormai da secoli la loro lenta azione degenerativa, trasportati dalla
volontà dei venti e delle tempeste.
Per
miglia a miglia vedo solo sabbia e roccia.
Non
un filo d'erba, non un albero in lontananza e fino a che l'occhio non
si perde nella linea dell'orizzonte.
Sospiro.
Alcune
nuvole si muovono nel cielo, debole e vana speranza di una pioggia
purtroppo lontana.
“Questo
luogo battuto solo dai venti... dal sole... dalle intemperie...”
Un
sorriso mi increspa le labbra, rese secche dall'arsura del deserto.
“...e
battuto dai vagabondi... come me”.
Sorrido
ancora.
Mi
alzo in piedi, liberando le ossa e i muscoli dall'intorpidimento.
“Ho
bisogno di sgranchirmi un po'...”
Muovo
il collo fino a che non sento un leggero schiocco.
Pronto.
Con
lo sguardo deciso, fisso prima il lungo spadone Toledo (2)
appeso al mio fianco e poi ancora il paesaggio roccioso del canyon.
Sorrido.
Do
la schiena allo strapiombo.
Faccio
un passo oltre il baratro.
E
mi butto nel vuoto.
L'aria
fresca scorre, vibra attorno a me.
La
sciarpa blu oltremare e rosso fuoco sventola dietro di me come la
coda di un variopinto volatile esotico.
Vedo
sfilare davanti ai miei occhi la scoscesa parete di pietra illuminata
dal sole. È talmente vicina che mi basterebbe allungare un
braccio e la toccherei.
Non
ancora, penso.
Non
è ancora il momento.
Il
suolo si avvicina ad una velocità pazzesca.
Riesco
ad alzare lo sguardo: lassù in cima, molto più in su,
la punta dove poco prima stavo ad osservare l'enorme labirinto di
pietra.
Quanti
metri ho già percorso cadendo?
Abbasso
gli occhi appena in tempo: un' aguzza sporgenza spunta nel mezzo
della mia traiettoria, ad un centinaio di metri in caduta libera.
Se
non faccio qualcosa finirò infilzato!
Con
un ampio movimento avvicino il braccio sinistro alla parete.
Fletto
le spalle.
Il
mio guanto metallico si conficca con forza nella roccia.
Una
miriade di scintille mi investe, mentre uno stridente rumore di
metallo mi risuona nelle orecchie.
Le
mie dita rivestite d'argento (3) cercano un appiglio, una
presa su quella superficie piatta e liscia.
Serro
la mascella.
Forza!
Forza!
Porto
il mio corpo verso il basso; unica cosa a sorreggermi, la mano
guantata.
Le
mie gambe si piegano in un movimento quasi armonico, mentre i piedi,
tentando di stabilizzare e rallentare la mia caduta, scivolano contro
la pietra.
Avanti...
Avanti!
La
sporgenza è sempre più vicina.
Piego
il braccio, cercando di deviare la mia traiettoria di lato, compiendo
un arco.
Il
maglio sprizza scintille come se stesse bruciando.
Al
suo passaggio lascia profondi segni rossastri sulla pietra scavata,
mentre polvere e piccoli frammenti di roccia piovono sulla mia testa.
Mancano
davvero pochi metri...
Do
uno strattone di lato.
Io,
tutto il mio corpo scarta verso sinistra.
Un
attimo e la pericolosa cresta mi sfreccia al fianco, mentre proseguo
nella discesa.
Un
gioioso urlo liberatorio mi esce dai polmoni.
Ma
non è finita ancora.
La
parete su cui sto scivolando comincia a restringersi, formando una
specie di gola con l'altra lastra rocciosa di fronte.
Di
nuovo nessun appiglio, se non quello forzato offerto dal mio guanto,
né sulla mia parete né su quella davanti a me e che va
sempre più avvicinandosi.
Nemmeno
una fenditura o una frattura nella pietra.
Sorrido
ancora.
So
esattamente cosa fare.
Aspetto
il momento buono.
Aspetta...
aspetta...
ci
siamo quasi...
E
salto.
Puntellandomi
sulla parete stacco il maglio dalla roccia e mi spingo nel vuoto
dell'abisso.
Per
qualche secondo volo solamente, assaporando qualche attimo di libertà
totale.
Libero
da ogni vincolo.
Forse
è così che si sentono le aquile quando sorvolano le
vette più alte...
libere...
quando
solo l'aria le sorregge e i venti ne guidano la rotta, come le
navi...
Infine
atterro sull'arenaria (4) davanti a me.
L'altra
è ormai alle spalle.
Con
un piccolo scatto risalgo la pietra, per trovare un nuovo appiglio,
poi riprendo a scivolare.
È
così che devo procedere d'ora in poi.
Salto.
Scivolata. Salto.
Salto.
Scivolata. Salto.
È
come un mantra.
Ma
mi dà una tale sensazione di libertà...
è
come se potessi sentire davvero
quella roccia senza vita.
Anzi: è come se per
me quella roccia avesse acquistato improvvisamente vita.
Non tutti gli uomini possono
dire di aver sentito battere il cuore di una montagna o di un
deserto...
Lo sento pulsare sotto
questa dura crosta bruciata dal sole e levigata dal passare del
tempo.
Lo sento vibrare nel vento
che mi fischia nelle orecchie.
E mi trasmette un'euforia
che non ha eguali.
Continuo a scivolare,
saltare e scivolare ancora, passando da una parete all'altra, finché
la mia caduta non si arresta su di una sporgenza che sembra quasi
spuntata dal nulla.
Atterro piegando le
ginocchia, con i palmi a terra.
Osservo il guanto.
Le estremità delle
mie dita, coperte da metallo, sono leggermente arrossate, come se
l'intera copertura fosse stata portata ad incandescenza.
In un attimo sono di nuovo
in piedi.
Le pareti dalle quali sono
disceso proseguono verso il basso, perdendosi nel buio del canyon.
Un'alta guglia lontana, una
delle poche rimaste, infatti oscura la zona dove sono, impedendo alla
luce del sole di giungere sino a me. Devo proseguire dove posso
vedere.
Osservo la nuova situazione
che mi si profila.
Le due pareti proseguono
alla stessa distanza l'una dall'altra ancora per qualche metro.
Oltre, la prima, quella
dalla quale mi sono buttato, compie una curva, sparendo alla vista;
l'altra, continua, apparentemente all'infinito.
Posso vedere il canyon
aprirsi in lontananza.
Non c'è nessun'altra
via. Ancora nessun appiglio.
“Bene.”
mormoro
Misuro la piatta sporgenza
su cui mi trovo.
Perfetto.
Prendo lo slancio.
Una mano sullo spadone,
l'altra sul muro.
Il guanto tocca ancora la
pietra.
E corro.
Corro.
Corro
sul muro (5),
lo strapiombo al mio fianco.
Di nuovo la feroce
sensazione di libertà assoluta mi colma.
Il guanto sfrega contro
l'arenaria, lasciando dietro la mia corsa una scia di rosse scintille
splendenti.
E ancora salto.
Facendo forza sulle gambe mi
spingo ancora sull'altra parete.
Senza soluzione di
continuità riprendo a correre, stavolta aiutandomi con l'altra
mano, priva di maglio.
Salto ancora una volta.
Corro.
E salto.
Corro. Salto. Corro.
Corro. Salto. Corro.
La curva della parete si
avvicina.
Raccolgo tutte le forze
nell'ultima corsa, consapevole del fatto di non poterne fare un'altra
perché cadrei nel vuoto.
Il guanto sfrega un'ultima
volta.
Si stacca dalla roccia.
E salto.
È come se tutto
improvvisamente accadesse a rallentatore: io salto e raggiungo
l'altra parete, ad un secondo dalla curva della prima. Al salto ne
segue un secondo, immediato, nella direzione in cui la prima roccia
curva.
Devo trovare un'altra
sporgenza.
E so che ce n'è una
da quella parte.
L'ho vista poco prima dalla
cima del canyon.
Deve esserci.
C'è,
mi dico.
Deve
esserci. Io l'ho vista.
Chiudo gli occhi.
Il mio corpo atterra
pesantemente sulla pietra dura e calcarea.
La polvere si alza.
Tossisco un paio di volte,
spolverandomi i vestiti.
Riavvolgo la sciarpa attorno
al mio collo, il mio portafortuna, mentre guardo dove mi trovo.
La luce del sole mi illumina
di nuovo.
Sono sulla sporgenza.
Quella che avevo visto. O
che forse credevo di aver visto... ma non ha più importanza
ormai.
“Ah!”
grido “Lo sapevo!”
Sistemo lo spadone alla
cintura.
Controllo che il maglio non
abbia danni.
Niente. Perfetto.
Sotto di me, brilla
illuminata dai raggi solari una lontana, sottile striscia argentea.
Un fiume.
Intorno a me, si innalzano
verso il cielo pareti e pareti del canyon, guglie e punte.
Davanti a me, sporgenze che
si susseguono a sporgenze.
Appigli.
Fenditure.
Possibilità pressoché
illimitate.
“Oh,
bé.” sospiro ancora aggiustandomi la casacca in pelle
sul petto “ In fondo... è solo un altro salto...”
Già.
È
solo un altro salto.
Moon_Glade
XD
Note:
1:
il maglio è un guanto di ferro;
2:
lo spadone Toledo è un particolare tipo di spada dal
caratteristico filo abbastanza lungo, quindi di dimensioni abbastanza
notevoli rispetto alle spade e sciabole ordinarie; veniva usato dai
saraceni, persiani,ecc. (per dirla semplice è una spada lunga
e basta);
3:
fa riferimento al fatto che in quella mano ha il guanto (ma non è
che il guanto è d'argento...);
4:
l'arenaria è di solito la roccia costituente le formazioni
rocciose come i canyon;
5:
non pretendo che solo chi conosce Prince Of Persia legga la mia fict,
per cui spiego: per chi non lo sa il principe corre sui muri (lo so
che è pazzesco...). Per farvi un'idea immaginatevi un muro e
qualcuno che vi corre sopra per la sua lunghezza (non verso l'alto);
ciao a tutti quanti! Questa
volta ho deciso di rendere omaggio (lasciatemi il parolone) al mio
gioco preferito, Prince Of Persia, e in particolare all'ultimo
episodio, anche se mi sono cari anche i tre giochi precedenti della
trilogia. Per l'ambiente mi sono ispirata a quello desertico
dell'inizio gioco e così anche per i movimenti e mosse
“speciali” del principe. Per leggere la fict senza
fraintendimenti vi dico solo che quando parla, i dialoghi del
principe sono in corsivo ma con le virgolette (“), quando pensa
invece i dialoghi sono solamente in corsivo.
Grazie a quelli che
leggeranno e commenteranno.
“...man and wolf
together to the end...”
per chi volesse leggerla con
la musica consiglio “Owl city- Fireflies” perché è
con questa canzone che l'ho scritta. Esistono comunque miliardi di
canzoni con cui è possibile leggerla, a mio parere. Ognuno
ascolti (se vuole, certo!) la canzone che ritiene più
appropriata. XD
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