Rapsodia in agosto
Questa storia inizia in
un’estate qualunque, come tutte le estati senza nome, di anni
senza nome.
Ma per qualcuno può
essere l’inizio di tutta una vita: di amori, speranze,
tradimenti, illusioni.
Una rapsodia di
sentimenti che danza sulle punte, arriva con il vento, si ferma, si espande
attraverso le stagioni senza nome, di anni senza nome.
”Pensieri e conseguenze di una lettera da Hogwarts”
Estate, I Malandrini
“These are the days worth living
These are the years we’re given
And these are the moments
These are the times
Let’s make the best out of our lives…”
“Our Lives” The
Calling
Quella mattina Peter scese a colazione con più
entusiasmo del solito.
Per chi non lo sapesse,
quella mattina era venerdì, e il venerdì la Signora Minus prepara delle
frittelle che sono la fine del mondo.
Come puoi dormire, quando senti quel dolce odorino
proveniente dalla cucina, che non fa altro che invocare il tuo nome?
E’ proprio quello che si chiedeva Peter, saltando
gli scalini due a due, per piombare direttamente nel soggiorno.
Ecco, ora può sentire il profumo molto meglio, e
giurerebbe che sua madre le sta riempiendo di zucchero proprio in quel momento,
proprio come piace a lui.
-Chissà se ci sono anche le uova?-pensò Peter,
mentre entrava nella piccola cucina.
Erano solo le nove di mattina, ma già si poteva
capire che quella sarebbe stata una giornata davvero calda.
Le cicale in giardino suonavano la loro melodia
ininterrotta, mentre il calore dei fornelli contribuiva a rendere l’aria ancora
più afosa.
“Oh, ti sei già alzato, Pete caro?”
A Peter dava fastidio che sua madre continuasse a chiamarlo “caro”, soprattutto quando lo faceva
in pubblico, riuscendo solo a renderlo ancora più ridicolo di quanto già non fosse.
Non era un modello di studio, è vero, e di certo
non aveva il fisico dello sportivo, ma cercava in tutti i modi di apparire
migliore, di risultare simpatico a qualcuno.
Purtroppo finora non aveva avuto grandi risultati:
a scuola tutti lo chiamavano “palla di lardo” (o con altri epiteti non
propriamente gratificanti) e chi mai avrebbe voluto essere amico di una palla
di lardo?
Non poteva biasimarli: anche lui non si sarebbe mai
schierato dalla parte del più debole, nemmeno per carità.
Suo padre diceva che è un
vantaggio avere molte amicizie importanti, soprattutto nel mondo del lavoro,
dove qualche aggancio poteva sempre risultare utile.
E allora chi potrebbe avere
interesse per un goffo ragazzino senza particolari qualità?
Doveva cercarsi qualcuno che lo proteggesse,
diventare amico di qualcuno forte e importante, per poter brillare almeno della
sua luce riflessa.
Finalmente sarebbe stato importante.
Finalmente la gente si sarebbe spostata al suo
passaggio, e non l’avrebbe travolto facendo finta di non vederlo. Finalmente
l’avrebbero guardato sotto una nuova luce e mentre passava l’avrebbero indicato,
sussurando: “Guarda quello: è Peter Minus.”
Le frittelle erano già spaventosamente diminuite di
numero, quando il ragazzino si accorse della lettera
appoggiata sul tavolo, indirizzata a lui.
“E questa?!”disse
afferrandola con le dita sporche di zucchero.
“E’ arrivata
questa mattina presto!!!”esclamò sua madre eccitata,
voltandosi verso il figlio. L’indirizzo era scritto con caratteri decisamente importanti, ed era chiusa con uno stampo di
ceralacca. Quando l’aprì sentì l’odore forte di caffè
che si era ataccato alla carta.
Era un invito. L’invito ufficiale alla scuola di
Magia e Stregoneria di Hogwarts.
“Oh Pete caro, io e tuo padre siamo
così fieri di te!”
Sì, forse avrebbe trovato gli amici che cercava.
************
Se fosse l’estate più
calda dell’ultimo secolo, questo ancora non lo so sicuramente, ma per James era
la più calda di tutti i suoi undici anni.
James sdraiato sul letto, James solo in mutande,
James a pancia all’aria che guarda il soffitto e invidia le mosche sul muro
fresco, che sicuramente non avranno così caldo, lassù in alto.
Guarda l’orologio in fondo al corridoio; in questa
posizione riesce a spiarne le mosse ed ogni tick tack
del rincorrersi delle lancette.
-In questo modo lo tengo d’occhio- pensa James, lo
stesso di prima (è meglio precisare, perché di James ce ne sono tanti, ma che spiano
l’orologio uno solo) -Così dovrà per forza continuare a girare.-
Perché James pensa che sia colpa
del vecchio pendolo di zia Patty, che proprio non si decide a far girare le lancette,
se in quell’estate il tempo sembra non scorrere mai.
L’intero quartiere è avvolto dal torpore e da
quella strana foschia che si crea per colpa dell’afa: nessuno trova la forza
per arrivare fino al proprio frigorifero, figuriamoci per uscire di casa.
Così oggi Londra sembra un immenso deserto in un
clima decisamente inappropriato per essere inglese:
questo pensa James che ha lasciato perdere l’orologio e le mosche per
raggiungere il davanzale.
Un’impresa degna del più grande eroe di tutto il
mondo magico e non: e al nostro eroe sembra proprio di sentire la voce eccitata
del telecronista, che annuncia le sue gesta minuto per
minuto.
“Ed ecco che arriva Potter !!!
La sua abilità e la sua grazia lo hanno fatto diventare famoso in tutta
l’Inghilterra!! Guardate con che passo felpato si avvicina alla sua preda,
ignara di ciò che sta per accadere!Guardate la destrezza! Ammirate la classe! Ed ecco, è arrivato, ormai non più di venti centimetri lo
separano dalla meta!! Le urla dei tifosi tacciono improvvisamente, trattenendo
il respiro per non perdersi un istante della fine. Ecco, la preda si è accorta
dell’arrivo di Potter: ma ormai è troppo tardi!!! Con
un solo balzo il nostro eroe toglie quel poco spazio che li divideva: e il
davanzale finalmente è suo!!!!!!!!!”
Conquistato il davanzale, Potter può prendersi gli
applausi, ringarziare le fan, mandare baci al pubblico: ora forse, mentre è
intento ad agitare la mano verso un pubblico immaginario, capisce perché suo
padre continua a dire che dovrebbe essere un po’ più modesto.
Ma a James Potter questo non
può interessare, Lui ha Sfidato il Caldo, ha Conquistato il Davanzale.
E ora guarda in strada,
nella strada deserta di quel quartiere di Londra, appena in tempo per scorgere
sua madre rientrare e sentire il familiare rumore della chiave che gira nella
toppa.
-Tre giri- pensa James,
chiudendo gli occhi, come se servisse a sentire meglio - tre giri, si incastra
e mamma impreca.-
E tende le orecchie, per
sentire le sue predizioni avverarsi e il grido di disappunto di sua madre
disturbare il silenzio.
James ora ridacchia, divertito, e cerca di pulire gli
occhiali appannati sull’elastico dei boxer, in quella bollente giornata
d’Agosto.
Se solo avesse saputo che quel giorno, con la
posta, sarebbe arrivata anche la sua lettera di ammissione
ad Hogwarts, magari non avrebbe passato il tempo a invidiare mosche, spiare
orologi e conquistare davanzali.
O almeno si sarebbe vestito.
************
Nero, Bianco, Nero, Bianco.
Le dita sottili scorrevano velocemente sui tasti
del pianoforte.
Un tasto nero e poi due bianchi, ancora bianchi,
ancora, ancora…
Era passata più di un’ora da quando aveva iniziato
a suonare: non che gliene importasse, ormai aveva dimenticato ciò che stava
suonando.
Guardava fuori, guardava la pioggia scendere pian
piano, mentre le dita sembravano voler continuare a percorrere l’intera
tastiera senza una meta precisa.
Di solito suonava sempre quando pioveva.
Forse, pensò, perché amava entrambe le cose.
Era passata più di un’ora da quando aveva iniziato
a suonare, ma era passato ancor più tempo da quando quell’uomo vecchio aveva
bussata alla sua porta.
Non aveva mai visto un tipo del genere: per quanto
potesse apparire anziano, sembrava che nei suoi occhi non si fosse perso il
fresco spirito dell’adolescenza.
Quello sguardo furbo e così penetrante aveva subito
conquistato l’attenzione di Remus, e non gli permise
di distoglierla nemmeno quando il vecchio iniziò a parlare.
Nemmeno quando si sedette in quel piccolo
soggiorno, per prendere il the preparato da sua madre.
Nemmeno quando gli disse che sarebbe andato a
Hogwarts.
Che strano, per un attimo non
si era neanche accorto di quello che diceva quell’uomo, troppo intento a
fissarlo negli occhi.
Voleva capire che cos’era quel guizzo di
divertimento, di sicurezza, che sembrava scacciare ogni ombra dal suo viso, che
gli permetteva un’espressione così tranquilla e allo stesso tempo decisa.
“Hai sentito, Remus?” la voce
quasi commossa di sua madre, lo risvegliò improvvisamente.
“Hai sentito, puoi andare ad
Hogwarts!E’ sempre stato il tuo sogno!”
Già, era sempre stato il suo sogno. Come quello di
frequentare una qualsiasi scuola d’Inghilterra.
Ma si sa, se sei una bestia
in grado di sbranare una persona in meno di cinque minuti, non è proprio una
cosa facile.
“Non ti devi preoccupare” questa volta era stato il
vecchio a parlare. La sua voce era calda e possedeva una tale calma da risultare rassicurante: proprio come Remus se l’immaginava.
“Sono al corrente del tuo ‘problema’ ed ho già provveduto ad
attuare le precauzioni necessarie. Potrai trasformarti una volta al mese senza farti vedere e senza far del male a nessuno.Come
vedi non ci sono pericoli.”
Era tutto perfetto. Tutto programmato, analizzato,
curato, nei minimi dettagli. E allora perché sentiva
che c’era qualcosa che stonava?
L’uomo si alzò, in tutta la sua elegante statura,
appoggiò la tazza sul tavolino di vetro e si voltò sorridendo verso il
ragazzino sulla porta.
“Benvenuto ad Hogwarts.”
Continuava a suonare alla cieca, mentre con lo
sguardo si perdeva tra le gocce di pioggia.
Ascoltò per un attimo la musica che stava
inconsciamente producendo.
Una melodia piuttosto triste.
Sorrise amaramente.
Ormai tutto di lui stava diventando piuttosto
triste.
Non aveva desiderato altro in tutti i suoi undic’anni, se non avere la possibilità di frequentare una
scuola.
Ed ora che questa possibilità gli veniva servita su di un piatto d’argento, non trovava di
meglio che guardare la pioggia dalla finestra.
Cos’è, forse non era abituato ad avere tutto così
facile, lo spaventava l’idea di non dover ancora
soffrire per conquistare qualcosa?
Stupido, pensò, era solo uno stupido da
commiserare.
Aveva paura.
Ma non di poter andare a
scuola, quanto di quello che avrebbe trovato, in quella scuola.
Quanta gente sarebbe stata disposta ad accettarlo
per quello che era?
Nessuno.
Quanti lo avrebbero accettato se non avessero saputo?
Pochi. Ma comunque
qualcuno.
Non aveva mai avuto amici e se poteva evitava di stare
a contatto con la gente. Perchè altrimenti avrebbero capito.
Avrebbero compreso ciò che veramente era e
l’avrebbero odiato per sempre.
Meglio non correre questo rischio.
Meglio evitare di farsi troppe conoscenze.
Meglio continuare a fingere.
Ecco cosa spavenatava Remus
Lupin: sette anni di bugie, sette anni di fughe, sette anni di solitudine.
Non potè fare a meno di pensarci quella sera,
mentre suonava il pianoforte, mentre guardava la pioggia e si sentiva così solo
in quella piccola stanza, troppo stanco per scendere a
cena e troppo triste per smettere di suonare.
Nero, Bianco, Nero, Bianco.
Nero.
************
Non riusciva a dormire.
Era quasi un’ora che si rigirava nel letto,
continuando a cercare una posizione che gli permettesse di riposare.
Niente, non riuisciva a fare a meno di continuare a
pensarci.
Sapeva che sua madre si sarebbe arrabbiata se, una
volta salita in camera, lo avesse trovato ancora sveglio a fissare il soffito.
Ma lui non poteva dormire, non quel giorno, non
dopo quello che era successo.
Sarebbe andato ad
Hogwarts.
Lui, Sirius Black, aveva ricevuto proprio quel
giorno l’invito ufficiale alla scuola di Magia e Stregoneria più famosa di Inghilterra.
Suo padre l’aveva frequentata, e così il padre di suo
padre, ed anche il padre del padre, del padre…insomma, più o meno tutta la
famiglia Black era stata ad Hogwarts, o almeno così
gli aveva detto suo padre quella mattina, perdendosi in uno dei suoi soliti
importanti quanto noiosissimi discorsi sulla discendenza, l’importanza del
sangue, e altri blablabla simili che Sirius non aveva mai veramente ascoltato.
Ora era nella sua camera, disteso sul letto,
intento a fissare il muro con aria assorta e con la mente totalmente da
un’altra parte.
Hogwarts.
Che strano, tanta eccitazione
per una sola, misera parola.
Ed era pure buffa.
Quella mattina, all’arrivo della posta, non appena
aveva visto una lettera indirizzata a lui, si era subito sorpreso: chi mai
poteva scrivergli? Era solo un ragazzino di undici
anni, e di conoscenze non ne aveva poi molte, se non si contavano i cugini con
cui era costretto a passare gran parte del suo tempo libero.
Ma quando aveva aperto la busta, quando aveva realizzato che tutto quello che vi era scritto era vero, ed
era scritto per lui, il suo stupore era subito mutato in incredulità,
eccitazione e pura gioia.
Aveva sceso le scale quattro a
quattro, rischiando seriamente di schiantarsi con la faccia sul marmo,ed aveva
corso per tutto il lungo corridoio che portava in cucina.
“Mamma, mamma,guarda cos’è
arrivato!!” urlò mentre spalancava la grande porta, sventolando la lettera come
fosse un trofeo.
“Sirius, per favore, non urlare, quante volte te lo
devo dire?!”
Sua madre era in un angolo, che ceracava invano di
dare una piega al colletto del vestito di suo fratello Regulus, che
imbronciato, cercava in tutti i modi di divincolarsi.
A Sirius sembrò una vecchia foto, una di quelle decisamente antiche e piuttosto tristi che ogni tanto notava
sfogliando svogliatamente l’album di famiglia.
“Mamma guarda: l’ha appena consegnato il gufo con
il resto della posta!”
“Regulus, avanti, sta un po’ fermo!!”
“E’ una lettera…”
“Insomma, mi lasci sistemare questo vestito?!”
“…la lettera di ammissione
ad Hogwarts!”
“Ah, mi vuoi far diventare matta?! Fermati un
attimo!”
“Mamma, mi stai ascoltando?”
La Signora Black si voltò un attimo, squadrando il
figlio come se si chiedesse da dove fosse sbucato, per poi rivolgergli una
specie di sorriso impacciato.
“Ma certo, Sirius. Sono
davvero felice per la lettera….”
“…di ammissione ad
Hogwarts!” finì per lei il figlio.
“Certo, certo, la lettera per Hogwarts…sono sicura che tuo padre ne sarà entusiasta, quando lo
saprà! Perché intanto non vai di sopra a giocare un
po’ con la tua scacchiera magica? Ti piace tanto..”
“Ma veramente, la scacchiera non l’ho più.” Disse un pò perplesso il ragazzino.
“Davvero?”
“Sì, sei stata tu a buttarla via, una settimana fa,
perché dicevi che non facevo altro che seminare pedine per tutta la casa…non ti
ricordi?”
Ci fu un
attimo di silenzio in cui la Signora Black fissò negli occhi suo filglio, non
sapendo bene cosa rispondere.
“Sì…la scacchiera!” alla fine riusciva sempre a
ricomporsi “certo, bè….allora perché non
vai a scrivere a tuo padre, sono sicura che non vedi l’ora di fargli sapere la
novità!”
“Sì..ora vado” disse
Sirius, mentre usciva dala cucina.
Era sicuro che sua madre non avesse ascoltato una
sola parola di quello che aveva detto, senza la minima intenzione di rendersi
partecipe della gioia del figlio.
Ma in fondo sapeva che quello che gli faceva più
male, erano i sorrisi falsi che gli rivolgeva, quelli
che si rivolgono alle persone di cui non ti importa, ma che le buone maniere ti
costringono a trattare con gentilezza e accondiscendenza.
Sentiva dentro di sé queste sensazioni ogni volta
che parlava con lei, ogni volta che gli sorrideva, anche se non le considerava
più come una volta.
Ormai ci aveva fatto l’abitudine.
Hogwarts.
H-O-G-W-A-R-T-S.
Strawgoh, al contrario.
Ok, ora stava esagerando.
Per chi avesse guardato da fuori, sarebbe parso
solo un ragazzino indisciplinato, ancora sveglio alle una
di notte, ma in realtà, Sirius, in quel momento era molto di più.
Un turbine di emozioni si
agitava in lui, e mentre respirava gli sembrava quasi di veder uscire dalle
narici tutte quelle sensazioni così intense.
Era come se un nuovo capitolo della sua vita fosse
iniziato, come se grazie a quel misero foglio di pergamena, potesse
già sapere il suo avvenire.
E Sirus pensò, mentre si
accoccolava contro il cuscino, stringendo ancora la lettera, che teneva davvero
il futuro nelle proprie mani.
************
Ecco qui i pensieri, i sentimenti
, le sensazioni di questi quattro ragazzi in quell’estate che sembra
lontana.
Così diversi, così complessi: aspettative,
gioia, paura, eccitazione.
Così diversi eppure così vicini.
Questi sono quei pensieri di quel giorno dove tutto
è iniziato, di quel giorno d’Agosto di cinque anni fa.
Pensieri di
fine Estate
Allora che ne dite???^__^
Spero tanto che l’idea vi sia piaciuta!!!
Questo è solo il primo capitolo e non so bene come
sia venuto.
In pratica volevo descrivere le sensazioni e le situazioni di quando i Malandrini hanno
ricevuto il loro invito ad Hogwarts. L’ho divisa nei
vari momenti della giornata (mattina, pomeriggio, sera, notte) come, secondo me,
si adattava meglio al carattere di ognuno. Secondo voi ci sono riuscita?
Nel prossimo capitolo (come dice
l’ultima frase) ci sarà un salto temporale fino al quinto anno di
scuola.
La mia intenzione è quella di dividere i capitoli secondo le stagioni e ad ogni stagione far
corrispondere un personaggio….Spero di farcela perché le cose da scrivere sono
tante, ma il tempo che ho è davvero poco!!^^”
Non so se riuscirò a postare rispettando delle scadenze, quindi vi chiedo perdono fin da ora per il mio
spirito scrittore perennemente in ritardo…
Intanto mi farebbe tantisssimissimo piacere se
lasciaste un commento per questo capitolo iniziale…so che è faticoso arrivare
fino alla scritta “Vuoi inserire una recensione?” e premere il tasto del mouse,
ma davvero ne sarei contentissima^__^
E in cambio vi benedirò a vita per il vostro
commento……o magari potrei impegnarmi per continuare a scrivere la fic, non so,
devo ancora scegliere…XD
Bacioni e tantissimi ringarziamenti a tutti coloro che hanno letto!!!
Dragonfly