–
Sarebbe bello aspettare l’alba...
Diverse ore
prima...
***
Era
da poco passata la mezzanotte, quando il gruppetto di ragazzi
uscì dal locale e
mosse qualche passo sul selciato bagnato: aveva smesso di piovere, le
nuvole si
erano diradate quasi completamente e nel cielo
s’intravedevano le stelle. La
luna, notò Cristina, riposava fra tutti quegli astri dotati
di luce propria e
non era mai stata così sola. I lampioni – talmente
alti, dritti e fieri da
sembrare i padroni incontrastati della città –
rischiaravano la strada entro
una trentina di metri e si specchiavano nelle pozzanghere;
l’aria tremolava in
un continuo gioco di riverberi giallastri.
La
giovane procedeva abbastanza speditamente, immersa nei propri pensieri.
Teneva
le mani in tasca. Non fece caso agli amici che camminavano un
po’ barcollanti
ad un paio di metri da lei, incespicando sul marciapiede. Del resto,
non vide
neppure che, alla sua destra, Andrea si era avvicinato e aveva poggiato
il
gomito sul suo braccio; ci fece caso poco dopo, quando scorse il
profilo del
ragazzo con la coda dell’occhio. Arrossì
lievemente e non fece nulla di
particolare: continuò, bensì, a passeggiare,
cercando di mantenere una velocità
costante.
Non
voleva che lui capisse che la sua vicinanza la metteva a disagio...
gran bel
giro di parole, non trovate?
–
Ehilà, Andrea! – tuonò
all’improvviso Massimo. – Hai sonno?
–
Lascialo stare: non vedi che sta male? – ribatté
una voce, probabilmente quella
di Claudia, alle loro spalle.
–
Mamma mia... scusa! Non avessi mai... – iniziò il
ragazzo, ma fu prontamente
interrotto da Luca:
–
Beh, se Andrea si sentisse così
male,
potrebbe appoggiarsi a Cri... o no?
Un
coro di graziose risate seguì quella semplice ipotesi. Le
guance della ragazza
in questione si tinsero di un colore intenso, rosato, e il muscolo del
suo
braccio destro s’irrigidì notevolmente sotto la
manica del cappotto. Cristina
si sentì in dovere di rivolgersi all’amico che le
era di fianco. – Stai bene?
Lui
teneva lo sguardo fisso davanti a sé. Rispose con un
“sì” debole e incerto,
senza mai degnarla di un’occhiata.
–
Dai, seriamente... stai bene?
Andrea
si voltò verso la propria interlocutrice. L’aria
fredda della notte s’incuneava
tra i suoi capelli e gli sferzava il viso. – Sì
– ripeté; stese il braccio
sinistro e le circondò le spalle in una sottospecie di
abbraccio, portandola
delicatamente a sé. – Perché? Ti
preoccupi per
me? – aggiunse, con un mezzo sorriso.
Cristina
era sicura d’aver percepito una nota dolceamara in quelle
parole. – Ovviamente!
– rispose d’un fiato.
Andrea
si era paralizzato. L’avverbio pronunciato in modo talmente
sentito; l’avverbio
che forse lasciava intendere qualcos’altro: era stato quello
a paralizzarlo. Il
giovane se ne stette in silenzio per una ventina di secondi, poi
ripeté,
incredulo:
–
“Ovviamente”?
Oh, oh.
Cristina trasalì. Capì d’essersi
tradita.
Rimase
indecisa sul da farsi, e si limitò a sgranare gli occhi come
un cerbiatto colto
di sorpresa dai fari di un’auto. Notò la stretta
del ragazzo solo in quel
momento... avrebbe voluto dire qualcosa, ma la sua mente era
completamente
vuota. – Beh... è chiaro che io
sia
preoccupata... perché... voglio dire... chiunque
si preoccuperebbe se qualcun altro stesse male, o no? ... non
è bello vedere
qualcuno che sta male – iniziò, cercando di
mettere in moto rapidamente il
cervello.
Andrea
seguiva il discorso in silenzio. Lei continuava a parlare a vanvera,
senza
neppure ascoltarsi: sperava di depistare il ragazzo con un lungo
vaneggiamento
insensato.
–
Tu non ti preoccuperesti nel vedere
qualcuno che sta male? – domandò infine, quasi a
chiedere confermare della
teoria appena espressa.
–
Sì... sì, certo... – rispose lentamente
il giovane. Cristina sentì uno strano
tono nella sua voce, ma non riuscì a capire se
quest’ultima tradisse confusione,
insicurezza o semplice delusione. Sospirò.
In
ogni caso, Andrea non aggiunse nient’altro. Il suo braccio
– posato fino a quel
momento sulle spalle dell’amica – si
ritirò mestamente e la sua mano sinistra
trovò posto nella calda tasca del giubbotto.
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